Tafida: un teorema di vita

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Ricordo dalle lezioni di matematica del liceo che, a conclusione delle dimostrazioni dei teoremi, si scriveva la sigla C.V.D. ‘come volevasi dimostrare’, a indicare che la validità della tesi avanzata era definitivamente acclarata.

L’espressione, traslata dall’originario ambito teoretico verso il linguaggio corrente, si utilizza quando la realtà dei fatti conferma un pronostico che non era stato inizialmente ritenuto fondato. Ma perché iniziare un articolo con questa digressione? Un nome potrà essere d’aiuto alla memoria: Tafida Raqeeb.

Come Charlie, Isaiah e Alfie, la sua giovane vita era destinata, secondo le autorità ospedaliere inglesi, a morte certa a causa della rottura di un aneurisma cerebrale. E, qualora non fosse intervenuta la morte, la sua esistenza sarebbe stata talmente inutile – ricordiamo che, al momento della controversia, Tafida era in stato di coscienza minima – da non rappresentare per lei il “best interest”, il miglior interesse.

Il teorema umano era presto dimostrato: interruzione delle cure, distacco dei supporti vitali, fine. Ma nell’ordine dei fattori che hanno governato la vicenda si apre uno spiraglio: i genitori di fede musulmana, forti della “fatwa” del Consiglio Islamico Europeo che dichiarava come grave peccato l’eutanasia, iniziano una battaglia legale che, inaspettatamente li vedrà vincitori contro il Royal London Hospital.

Già solo questi dati sono un miracolo, eppure il corso degli eventi prende una piega ancor più inaspettata quando l’ospedale rinuncia a proporre appello, permettendo alla famiglia di trasferire la bambina al Gaslini di Genova, centro d’eccellenza per la cura e la riabilitazione di pazienti affetti di così delicate patologie.

Tutto qui? No, in questi giorni Tafida è stata dichiarata fuori pericolo di vita e trasferita dalla terapia intensiva alla terapia a media intensità.

Tafida ora respira e con lei tutti noi possiamo tirare un sospiro di sollievo nel constatare che, nel teorema umano, drammaticamente segnato dalle coordinate dello scarto e della valutazione della vita in termini di bieca utilità, si interseca l’agire di Dio, che non fa preferenze né di religione, né di etnia, né di provenienza geografica.

Ribadisco: la famiglia di Tafida è musulmana, i genitori sono musulmani praticanti, eppure sono stati supportati dall’Associazione ‘Giuristi per la Vita’ e da ‘Steadfast ONLUS’, entrambe di ispirazione cattolica.

E sebbene qualche ‘leone da tastiera’ si sia indispettito del fatto che una bambina musulmana abbia vinto la sua battaglia giudiziaria a differenza di Charlie, Isaiah e Alfie, che provenivano da famiglie cristiane, io credo che siano stati proprio questi tre angioletti a intercedere davanti a Dio perché non venisse compiuto l’ultimo assassinio.

“Come volevasi dimostrare”: la formula conclusiva del teorema ci ricorda che, oltre il dimostrabile umano, frutto spesso di una prospettiva limitata e, ancor peggio, limitante, si rivela ai nostri occhi in tutto il suo splendore il progetto di libertà, di speranza e di vita che trova origine in quel Dio-Bambino, incarnato nella storia umana e mai stanco di visitarla e redimerla.

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