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Papa Francesco: per Natale tacciano le armi

Prima della recita dell’Angelus papa Francesco ha incontrato i bambini del dispensario pediatrico Santa Marta: “Questa mattina ho avuto la gioia di stare con i bambini, con le loro mamme, che frequentano il Dispensario Santa Marta in Vaticano, portato avanti dalle Suore Vincenziane. Brave suore queste! Fra di loro c’è una suora che è come la nonna di tutti, la brava suor Antonietta, che ricordano con tanto amore. Ed a me questi bambini, erano tanti, mi hanno riempito il cuore di gioia. Ripeto: ‘Nessun bambino è un errore”. I bambini hanno consegnato un regalo al papa e la festa è continuata con i giocolieri.

Eppoi ha benedetto i ‘Bambinelli’: “E ora benedico i ‘Bambinelli’, io ho portato il mio. Le statuine di Gesù Bambino che voi, cari bambini e ragazzi, avete portato qui e che poi, tornando a casa, metterete nel presepe. Vi ringrazio di questo gesto semplice ma importante. Benedico di cuore tutti voi, i vostri genitori, i nonni, le vostre famiglie! E per favore non dimenticatevi dei vostri nonni! Che nessuno rimanga solo in questi giorni”.

Eppoi ha invitato i fedeli a pregare per la pace nelle zone di guerra: “Seguo sempre con attenzione e preoccupazione le notizie che giungono dal Mozambico, e desidero rinnovare a quell’amato popolo il mio messaggio di speranza, di pace e di riconciliazione. Prego affinché il dialogo e la ricerca del bene comune, sostenuti dalla fede e dalla buona volontà, prevalgano sulla sfiducia e sulla discordia.

La martoriata Ucraina continua ad essere colpita da attacchi contro le città, che a volte danneggiano scuole, ospedali, chiese. Tacciano le armi e risuonino i canti natalizi! Preghiamo perché a Natale possa cessare il fuoco su tutti i fronti di guerra, in Ucraina, in Terra Santa, in tutto il Medio Oriente e nel mondo intero. E con dolore penso a Gaza, a tanta crudeltà; ai bambini mitragliati, ai bombardamenti di scuole e ospedali… Quanta crudeltà!”

Prima della recita dell’Angelus papa Francesco ha raccontato l’incontro tra due donne in cinta, Maria ed Elisabetta, felici per la vita: “Entrambe hanno tanto di cui gioire, e forse potremmo sentirle lontane, protagoniste di miracoli così grandi, che non si verificano normalmente nella nostra esperienza. Il messaggio che l’Evangelista vuol darci, però, a pochi giorni dal Natale, è diverso.

Infatti, contemplare i segni prodigiosi dell’azione salvifica di Dio non deve mai farci sentire lontani da Lui, ma piuttosto aiutarci a riconoscere la sua presenza e il suo amore vicino a noi, ad esempio nel dono di ogni vita, di ogni bambino, e della sua mamma. Il dono della vita”.

Ed ha chiesto di non essere indifferenti davanti alla vita: “Per favore, non restiamo indifferenti alla loro presenza, impariamo a stupirci della loro bellezza, come hanno fatto Elisabetta e Maria, quella bellezza delle donne in attesa. Benediciamo le mamme e diamo lode a Dio per il miracolo della vita!”

E’ stato un invito a gioire davanti ad ogni nascita: “Ricordiamoci, però, di esprimere sentimenti di gioia ogni volta che incontriamo una madre che porta in braccio o in grembo il suo bambino. E quando ci succede, preghiamo nel nostro cuore e diciamo anche noi, come Elisabetta: ‘Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!’; cantiamo come Maria: ‘L’anima mia magnifica il Signore’, perché sia benedetta ogni maternità, e in ogni mamma del mondo sia ringraziato ed esaltato il nome di Dio, che affida agli uomini e alle donne il potere di donare la vita ai bambini”.

E dalla Terra Santa è arrivato un messaggio natalizio dei capi delle Chiese di Terra Santa ai loro fedeli e a tutto il mondo, che prende le mosse dal versetto 16 del quarto capitolo del Vangelo di Matteo: “Nella Natività di Cristo, la luce della salvezza di Dio è venuta per la prima volta nel mondo, illuminando tutti coloro che Lo avrebbero accolto, sia allora sia oggi, offrendo loro ‘grazia su grazia’ per sconfiggere le forze oscure del male che cospirano incessantemente per portare alla distruzione della creazione di Dio”.

Di questa ‘Luce’ sono testimoni molti cristiani: “Esteriormente poco sembra essere cambiato. Eppure interiormente, la santa nascita del nostro Signore Gesù Cristo ha innescato una rivoluzione spirituale che continua a trasformare e indirizzare innumerevoli cuori e menti verso le vie della giustizia, della misericordia e della pace”.

Ed hanno pregato per il ‘cessate il fuoco’ raggiunto nel Libano, auspicando che esso sia raggiunto anche a Gaza: “In questo spirito natalizio colmo di speranza, rendiamo grazie all’Onnipotente per il recente cessate il fuoco tra due delle parti in guerra nella nostra regione e chiediamo che venga esteso a Gaza e a molti altri luoghi, ponendo fine alle guerre che affliggono questa parte del mondo.

Rinnoviamo inoltre il nostro appello per il rilascio di tutti i prigionieri e delle persone private della libertà, il ritorno dei senzatetto e degli sfollati, la cura dei malati e dei feriti, il soccorso di coloro che hanno fame e sete, il ripristino di proprietà ingiustamente sequestrate o minacciate; la ricostruzione di tutte le strutture civili, pubbliche e private, che sono state danneggiate o distrutte”.

(Foto: Santa Sede)

33 anni di solitudine per il ‘camara’ Emmanuel

Parte all’età di 17 anni dalla sua nativa contea, Maryland, in Liberia. Siamo nel 2008 e ci troviamo nel primo mandato di Ellen Johson Sirleaf, prima donna presidente del Paese insanguinato e diviso da anni di guerra civile. Emanuel lascia la città portuaria di Harpour, chiamata anche Cape Palmas, per passare nell’adiacente Costa d’Avorio e stabilirsi a Tabou, città rifugio per migliaia di liberiani. Dopo un paio d’anni si trova a Zerekoré  in Guinea tra le altre migliaia di rifugiati e sopravvive come agente informale di cambiavalute grazie a un fratello maggiore.  Amici e la navigazione sul net lo fanno migrare in Algeria nel 2012.

Ciò che cerca è l’attraversamento del mare Mediterraneo che si pone come spartiacque tra i due continenti, uno dei quali Emanuel vorrebbe abbandonare al suo destino. In Algeria guadagna quanto basta per tentare la traversata del mare e passa in Marocco. Per tre volte tenta di lasciarsi alle spalle il continente africano e per tre volte la guardia costiera marocchina riporta i natanti a riva. Per i primi due viaggi ha speso 500 euro mentre per l’ultimo ne ha sborsati, inutilmente, il doppio. Faceva la spola tra i due Paesi, il Marocco e l’Algeria, dove lavorava da manovale e guadagnava abbastanza per pagarsi i viaggi.

Siamo ormai nel 2022. La vita di Emanuel sembra tornata normale e per un anno si ristabilisce a Algeri.  Per strada,  come gli altri africani neri, spesso è chiamato ‘camara’ (compagno) o ‘dog’(cane) . Entrato in un negozio per comprare di che nutrirsi, è stato fermato da un poliziotto. L’hanno arrestato, derubato e infine deportato fino a Tamanrasset. Ivi ha convissuto nel centro di detenzione con altre centinaia di migranti, rifugiati o richiedenti asilo. Dopo qualche settimana sono stato imbarcati e poi buttati nel deserto presso la frontiera col Niger. Una settimana a Assamaka, cittadina migrante inventata dal nulla, e dopo a Agadez.

Passa qualche mese nello snodo delle migrazioni dell’Africa occidentale e centrale, per raggiungere, con mezzi di fortuna, la capitale Niamey. Abita, da un paio di settimane, con decine di migranti come lui, non lontano dall’attuale palazzo adibito come Ministero della Giustizia che non c’è. Emanuel custodisce 33 anni di solitudine e spera di attraversare il mare per un’ultima volta.

Giornata del Malato: curare nelle relazioni

Il messaggio per la 32^ Giornata Mondiale del Malato, che si celebra oggi, si intitola: ‘Non è bene che l’uomo sia solo. Curare il malato curando le relazioni’, ispirandosi al capitolo 2 del libro della Genesi (Gen 2,18), come ha specificato papa Francesco: “Ci fa bene riascoltare quella parola biblica: non è bene che l’uomo sia solo! Dio la pronuncia agli inizi della creazione e così ci svela il senso profondo del suo progetto per l’umanità ma, al tempo stesso, la ferita mortale del peccato, che si introduce generando sospetti, fratture, divisioni e, perciò, isolamento.

Mariapia Veladiano racconta ‘quel che ci tiene vivi’

Angeletto Zoccolaro è diventato avvocato per riparazione. Bianca, psicologa da sopravvissuta. Per entrambi l’infanzia è stata l’inferno, e ciascuno ne è uscito a modo proprio: Angeletto congelando i ricordi, Bianca elaborando. Lui è abitato dall’oscurità che lo lambisce, lei, di contro, sull’oscurità di ciò che è stato ha costruito la sua luce. Così, strato per strato, si rivelano i protagonisti del nuovo romanzo di Mariapia Veladiano, ‘Quel che ci tiene vivi’: due polarità che rimangono insieme per attrazione, ben attente a non sbordare nelle ferite individuali.

La Chiesa alle prese con la diminuzione dei sacerdoti

La ‘Festa dei Fiori’  per celebrare nella Chiesa di Milano la festa del Seminario; infatti i ‘fiori’ sono i seminaristi, cioè i 15 diaconi che il 10 giugno saranno ordinati sacerdoti nel Duomo; ieri al seminario di Venegono si sono trovati per tale festa e la messa dell’arcivescovo, mons. Mario Delpini, ma anche per la presentazione di un dossier sulla situazione della diocesi, preparato dalla rivista ‘La Scuola Cattolica’ dal titolo ‘Un popolo e i suoi presbiteri. La Chiesa di Milano di fronte alla diminuzione dei suoi preti’, come ha spiegato  don Paolo Brambilla, docente di Teologia dogmatica in Seminario e curatore del dossier con don Martino Mortola, professore di Dogmatica:

Il battesimo del deserto

Al finire della notte, mi alzo in pieno deserto, per la preghiera. Qui, però, la preghiera è silenziosa: è osservare questi miliardi di stelle che ti sovrastano e ti fanno incantare. E poi luminosissima, in queste notti nere, vedi scendere piano piano la luna sul filo dell’orizzonte per dirti addio. Le stelle si spengono. Dall’altra parte appare, allora, soffice, una luminosità sempre più viva che prepara, incantevole, il sorgere del sole.

Non senti la solita preghiera dell’alba dai minareti, né il tocco discreto della campana di un monastero. In un silenzio che ti impressiona è l’armonia della natura che prepara la nascita più sorprendente della vita: il giorno. Come milioni e milioni di anni fa, la contempli, ora, con i tuoi stessi occhi. Liturgia celeste grandiosa. Sei solo al mondo e non ti pare vero.

Ma è necessario ‘imparare a vivere nella solitudine, per essere nel cuore del mondo’, mi raccomandava un monaco trappista. E la solitudine e lo sradicamento sono mirabili inviti a scendere in profondità e a respirare quella universalità che ti lega invisibilmente agli altri. La solitudine con Dio tonifica, apre. E guarisce.

Così mi presento a fare colazione, dopo avere vissuto nell’austerità del giorno precedente e l’essenzialità delle cose : eccomi a tavola con ogni delizia. Marmellate profumatissime, miele del deserto, specialità di ogni tipo e raffinatezza… si offrono con eleganza, fastosamente come a una festa.

Rifletto, così, al bisogno vitale per gli uomini di questo particolare momento, prezioso nel ritmare periodi di povertà, di mancanza, di isolamento: la festa. Essenziale dimensione per qualsiasi comunità umana o religiosa : la festa, luogo privilegiato di riconciliazione.

La festa è quando, deposti gli strumenti di lavoro e le nostre armi quotidiane, metti gli abiti belli per celebrare la comunione. Essa unisce e riunisce, riconcilia, annulla le esclusioni, esalta l’essenziale. Momento comunionale vivo, vitale e sorprendente canta la tua identità. Ed è il luogo, allo stesso tempo, dove vive il noi, l’essere insieme ad altri. La festa è una sosta, una vera oasi sul nostro cammino!

Ma, dopo varie ore di cammino solitario per il deserto, nella mattinata, finalmente, eccomi arrivato alle dune di Merzouga, le più belle di tutto il Sahara. Bellezza impressionante. Dolcissime curve, fino all’altezza di 200 metri, si spiegano per circa venti chilometri come vele al vento, dal quale si lasciano sfiorare, accarezzare, cesellare, ricamare… con una leggerezza e una disponibilità incredibili. Dal sole e dalle nuvole, invece, si lasciano rivestire di ogni tonalità: giallo ocra, arancione, giallo dorato, marrone… Spettacolo unico.

Sono solo oggi, sulla cresta di una duna, ma mi vengono in mente i giovani con cui venivo qui per anni, nel tempo di quaresima. Incredibile nostalgia. Li rivedo ancora correre come caprioli, a piedi nudi, su e giù su queste montagne di sabbia rossa, finissima con il pericolo di perdersi… tanto facile qui, al calare improvviso della notte. Ma, ricordo ancora quando, immobili per la meraviglia, assistevamo al sorgere o al tramonto del sole. Momenti magici. O quando si celebrava l’eucaristia sulla duna più alta… una messa sul mondo, come la definiva Teilhard de Chardin.

Come dimenticare quando al momento del perdono posavano l’orecchio su questa sabbia rossastra, in pieno Sahara, per auscultare la terra, come il ventre di una donna. Ed era per provare a sentire il pianto di milioni di uomini, donne e bambini, di esistenze infelici sulla terra, miserabili, vite inumane, impossibili, sradicate dagli eventi e, semmai, migranti. In fondo, per chiedere perdono di avere un cuore inconsapevole, insensibile, indifferente alle tragedie del mondo. Signore pietà, Signore pietà ! Oppure, al momento della pace, vedere questi giovani affondare le mani e le braccia il più possibile nella sabbia, nel loro tentativo in mezzo al deserto di dare la mano a tutti gli uomini della terra, per esprimere le lunghe solidarietà che avrebbero voluto far nascere…

Sono solo, ormai, ma rendo omaggio, con emozione, a questi giovani che il deserto ha consolidato o trasformato nei loro aspetti più sani e più belli. Due, infatti, sono ritornati in Africa per un periodo di volontariato; un altro, per lo stesso motivo in Brasile, a Salvador de Bahìa; altri ancora…

Incontravamo nel nostro pellegrinaggio verso il deserto l’ospitalità e la testimonianza di varie comunità cristiane in terra musulmana. Ci mostravano il volto interculturale, evangelico e coraggioso di questa Chiesa nel Maghreb, un vero laboratorio di comunione. Essa accompagna nella sanità, nell’educazione e nelle tante povertà una società in crescita, così differente dalla nostra.

Incantevoli la dedizione e la passione: una forza di testimonianza incredibile, tale da scuotere profondamente le certezze del mondo musulmano. Una lezione magnifica del deserto che qui sa fiorire e dare frutto. Sì, nello spirito di Charles de Foucauld e della sua fraternità universale. Di null’altro il mondo ha bisogno, oggi. Per vivere.

Edoardo Patriarca: gli anziani ‘daranno molto frutto’

“Il versetto del salmo 92 ‘nella vecchiaia daranno ancora frutti’ è una buona notizia, un vero e proprio ‘vangelo’, che in occasione della seconda Giornata Mondiale dei Nonni e degli Anziani possiamo annunciare al mondo. Esso va controcorrente rispetto a ciò che il mondo pensa di questa età della vita; e anche rispetto all’atteggiamento rassegnato di alcuni di noi anziani, che vanno avanti con poca speranza e senza più attendere nulla dal futuro. A molti la vecchiaia fa paura”: così inizia la lettera di papa Francesco indirizzata ai nonni  ed agli anziani in occasione della  seconda giornata, che si celebra oggi.

Covid 19: racconti del dolore al femminile

“Che cosa fai, che cosa pensi, se tuo marito muore per una malattia sconosciuta, e tu non hai potuto essergli vicino negli ultimi giorni, negli ultimi istanti; se sei divisa tra i sensi di colpa per non aver saputo capire in tempo, ammesso che un tempo per capire ci fosse, che il maledetto virus (‘la bestia’, il ‘maledetto mostro’) era arrivato e la rabbia nei confronti di istituzioni che sembrano più che mai lontane e inefficienti…; se la quarantena ti tiene lontana non solo dal cimitero, ma dagli amici, dalle persone che ti vogliono bene”.

Matteo Spicuglia racconta la storia di Andrea Soldi: una storia che ci riguarda

Il 5 agosto 2015 la città è caldissima, qualcuno è già in vacanza, altri cercano un po’ d’aria nei giardini del quartiere. Anche Andrea Soldi è seduto su una panchina, ma quella è la ‘sua’ panchina sempre, in ogni stagione. Lì si rifugia quando i pensieri lo assalgono, lì trova conforto e si sente a casa. Andrea soffre da anni di schizofrenia, la madre, il padre e la sorella sono il suo sostegno e piazza Umbria il posto del cuore.

Cyberbullismo e bullismo: la minaccia per le ragazze

Bullismo e Cyberbullismo rimangono una delle minacce più temute tra gli adolescenti, dopo droghe e violenza sessuale; ne è vittima il 61%, in quanto ragazzi e ragazze non si sentono al sicuro sul web e dopo il cyberbullismo, è il Revenge porn a fare più paura, soprattutto tra le ragazze. Infatti nell’anno del covid-19 i giovani esprimono tutta la sofferenza per il senso di solitudine, il 93% di loro afferma di sentirsi solo, con un aumento del 10% rispetto all’anno precedente.

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