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Mattarella ricorda Cassino nel nome della pace

Nell’80^ anniversario della distruzione di Cassino da parte degli alleati il presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, ha sottolineato che il ‘prezzo’ più caro è quello pagato dai civili: “Nella drammatica storia della Seconda Guerra mondiale, con le sue immani sofferenze, Cassino, la città ed il suo territorio, queste popolazioni, sono tragicamente entrate nell’elenco dei martiri d’Europa, accanto ad altri centri come Coventry, come Dresda”.

Cassino è stata assediata per 129 giorni: “Gli storici ci consegnano un numero (così alto da essere terrificante) di migliaia e migliaia di vittime delle diverse armate, della popolazione civile, degli abitanti di questa città, di questo territorio, come conseguenza dei 129 giorni di combattimenti qui avvenuti. I cimiteri (e quelli di guerra, dedicati ai combattenti) fanno qui corona e ammoniscono. Una tragedia dai costi umani ripeto di dimensioni spaventose. In questa terra avvennero scontri tra i più cruenti e devastanti”.

Ecco il motivo per cui è necessario ripudiare la guerra: “E mentre un sentimento di pietà si leva verso i morti, verso le vittime civili, non può che sorgere, al contempo, un moto di ripulsa da parte di tutte le coscienze per la distruzione di un territorio e delle sue risorse, per l’annientamento delle famiglie che lo abitavano, nel perseguimento della cieca logica della guerra, quella della volontà di ridurre al nulla del nemico, senza nessun rispetto per le vittime innocenti”.

La guerra non conosce limiti: “Lutti e sofferenze pagate in larga misura dalla incolpevole popolazione civile, a partire da quel funesto bombardamento del 15 febbraio contro l’Abbazia, nella quale, con i monaci, perirono famiglie sfollate, tante persone che vi si erano rifugiate contando sull’immunità di un edificio religioso, espressione di alta cultura universalmente conosciuto.

Ma la guerra non sa arrestarsi sulla soglia della barbarie. L’offensiva della coalizione contro il nazismo, che aveva occupato, ed opprimeva, l’Italia, rase totalmente al suolo la città e la storica Abbazia. Questo territorio, all’indomani degli eventi bellici, si presentò completamente distrutto: case, chiese, strade, ponti, ferrovie, scuole”.

Per questi eventi occorre rendere omaggio ad una città ‘martire’ per non perdere la memoria: “A quella comunità così duramente colpita, a quelle donne e a quegli uomini contro cui la furia bellica si manifestò in tutta la sua disumanità, la Repubblica esprime oggi affetto e rimpianto e, nel ricordo, si inchina alla loro memoria.

Rende omaggio a un eroismo silenzioso nel tempo della sofferenza, e alla loro orgogliosa volontà di far riprendere la vita in quello che era divenuto un campo di rovine. Ricordiamo come un gesto eroico quello di trovare dentro di sé le risorse per porre mano immediatamente alla ricostruzione.

Anche dell’Abbazia, faro di civiltà, avviata, questa ricostruzione dell’Abbazia, ancor prima della conclusione del conflitto. Toccò al primo Presidente del Consiglio dei ministri espresso dal Comitato di Liberazione Nazionale, Ivanoe Bonomi, porne la prima pietra già nel marzo del 1945”.

Ma, contemporaneamente, Cassino è stata protagonista anche della rinascita della democrazia: “Cassino martire. Ma Cassino anche protagonista, straordinaria testimone di questa risalita dall’abisso. Un abisso che inghiottì anche migliaia di giovani di altri Paesi che morirono combattendo contro gli oppressori dell’Italia e che ricordiamo con commozione e con riconoscenza.

La strada della libertà è stata segnata dal sacrificio e dal coraggio degli uomini che combatterono coraggiosamente (e tanti vi persero la vita) in questi territori, prendendo parte alla lotta di Liberazione, per far sì che prevalesse la pace nel Continente dilaniato da nazionalismi e da conflitti e che non avessero a soccombere le ragioni dei diritti delle persone e dei popoli”.

Quel cammino che ha portato alla democrazia ed alla pace: “Quello che l’Italia ha compiuto in Europa in questi decenni è un cammino straordinario di pace e di solidarietà, abbracciando i valori dell’unità del nostro popolo, della democrazia, dell’uguaglianza, della giustizia sociale.

Valori che gli italiani vollero consacrati con la scelta della Repubblica e con la Costituzione. Insieme a una affermazione solenne, tra le altre: il ripudio della guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo per la risoluzione delle controversie internazionali.

Sono queste le poche parole dell’art.11 della nostra Costituzione che contiene le ragioni, le premesse del ruolo e delle posizioni del nostro Paese nella comunità internazionale: costruire ponti di dialogo, di collaborazione con le altre nazioni, nel rispetto di ciascun popolo”.

Inoltre ha ricordato le parole di san Paolo VI, che definì l’abbazia ‘messaggero di pace’: “La nuova Abbazia ha la stessa vocazione ma ambisce anche a essere prova di un’accresciuta consapevolezza degli orrori della guerra e di come l’Europa debba assumersi un ruolo permanente nella costruzione di una pace fondata sulla dignità e sulla libertà. Ne siamo interpellati. Sono mesi, ormai anni, amari quelli che stiamo attraversando. Contavamo che l’Europa, fondata su una promessa di pace, non dovesse più conoscere guerre”.

Parole che richiamano alle guerre in atto in Europa ed in Medio Oriente: “Ai confini d’Europa, invece, anzi dobbiamo dire dentro il suo spazio di vita, guerre terribili stanno spargendo altro sangue e distruggendo ogni remora posta a tutela della dignità degli esseri umani. Bisogna interrompere il ciclo drammatico di terrorismo, di violenza, di sopraffazione, che si autoalimenta e che vorrebbe perpetuarsi. Questo è l’impegno della Repubblica Italiana.

Far memoria di una tragedia, una battaglia così sanguinosa, come quella di Cassino, che ha inciso nelle carni e nelle coscienze del nostro popolo e di popoli divenuti nostri fratelli, è anche un richiamo a far cessare, ovunque, il fuoco delle armi, a riaprire una speranza di pace, di ripristino del diritto violato in sede internazionale, della dignità riconosciuta a ogni comunità”.

Cassino è un invito a non perdere la memoria: “Cassino esprime un ricordo doloroso di quanto la guerra possa essere devastante e distruttiva, ma è anche un monito a non dimenticare mai le conseguenze dell’odio, del cinismo, della volontà di potenza che si manifesta a più riprese nel mondo.

Cassino città martire.  Cassino città della pace. Questo il messaggio forte, intenso, che da qui viene oggi. E’ questo il traguardo a cui ambire. E’ questa la natura dell’Europa, la sua vocazione, la sua identità. E’ questa la lezione che dobbiamo tenere viva, custodire, trasmettere sempre, costantemente”.

(Foto: Quirinale)

Il messaggio della Chiesa per il Ramadan: fermare la guerra

In occasione del mese del Ramadan e per la festa di ‘Id al-Fitr 1445 H. / 2024 A.D., il dicastero per il Dialogo Interreligioso ha inviato ai Musulmani del mondo intero un messaggio augurale a firma del prefetto del dicastero, card. Miguel Ángel Ayuso Guixot, M.C.C.J, e del segretario del medesimo Dicastero, e da mons. Indunil Kodithuwakku Janakaratne Kankanamalage: ‘Cristiani e musulmani: estinguere il fuoco della guerra e accendere la candela della pace’, in cui si mette in evidenza che tale messaggio è “un mezzo importante per rafforzare e costruire buone relazioni tra cristiani e musulmani, grazie alla sua diffusione attraverso i media tradizionali e moderni, in particolare i social media. Per questo motivo sarebbe utile far conoscere meglio questo Messaggio ad entrambe le comunità”.

Il tema scelto è dovuto al momento particolare, pieno di conflitti, dovuto alla produzione e commercio delle armi: “Papa Francesco ha recentemente osservato che questo aumento delle ostilità sta di fatto trasformando ‘una terza guerra mondiale combattuta a pezzi’ in ‘un vero conflitto globale’.

Le cause di questi conflitti sono molteplici, alcune di lunga data, altre più recenti. Insieme al perenne desiderio umano di dominio, alle ambizioni geopolitiche e agli interessi economici, una delle cause principali è sicuramente la continua produzione e il commercio di armi. Anche se una parte della nostra famiglia umana soffre gravemente gli effetti devastanti dell’uso di queste armi in guerra, altri si rallegrano cinicamente del grande profitto economico derivante da questo commercio immorale. Papa Francesco ha descritto questo come intingere un boccone di pane nel sangue del nostro fratello”.

Il messaggio è un invito alle religioni a promuovere la pace: “Allo stesso tempo, possiamo essere grati di possedere anche immense risorse umane e religiose per promuovere la pace. Il desiderio di pace e di sicurezza è profondamente radicato nell’animo di ogni persona di buona volontà, poiché nessuno può non vedere gli effetti tragici della guerra nella perdita di vite umane, nel bilancio di gravi ferite e nella moltitudine di orfani e vedove”.

Inoltre è un invito perentorio a condannare la guerra, che non è mai ‘santa’, mentre la vita è ‘santa’: “Di conseguenza, la condanna e il rifiuto della guerra dovrebbero essere inequivocabili: ogni guerra è fratricida, inutile, insensata e oscura. In guerra perdono tutti…

Tutte le religioni, ciascuna a modo suo, considerano la vita umana sacra e quindi degna di rispetto e protezione. Fortunatamente, gli Stati che consentono e praticano la pena capitale diventano ogni anno sempre meno. Un risvegliato senso del rispetto per questa fondamentale dignità del dono della vita contribuirà alla convinzione che la guerra deve essere rifiutata e la pace custodita”.

In effetti, conclude il messaggio, le religioni riconoscono il ruolo della coscienza, che forma alla pace: “Formare le coscienze al rispetto del valore assoluto della vita di ogni persona e del suo diritto all’integrità fisica, alla sicurezza e ad una vita dignitosa contribuirà parimenti alla condanna e al rifiuto della guerra, di ogni guerra e di tutte le guerre.

Guardiamo all’Onnipotente come al Dio della pace, fonte della pace, che ama in modo speciale tutti coloro che dedicano la propria vita al servizio della pace. Come tante cose, la pace è un dono divino ma, allo stesso tempo, il frutto degli sforzi umani, soprattutto nel preparare le condizioni necessarie alla sua instaurazione e conservazione.

L’augurio pasquale di mons. Andrea Migliavacca, vescovo di Arezzo

In vista delle celebrazioni della Settimana Santa e della Pasqua il vescovo Andrea Migliavacca ha incontrato la stampa per condividere il proprio augurio alla comunità: “Vorrei estendere il mio augurio a tutta la comunità non solo alla Chiesa, ma a tutti, da chi non crede a chi non è cristiano, fino a chi arriva da Paesi lontani. Auguro che sia una Pasqua di pace; a Mosca, in Ucraina, a Gaza e nella Terra Santa, in Sud Sudan, in Siria e in tutti quei luoghi colpiti dalle ostilità e che il Papa chiama ‘terza guerra mondiale a pezzi’, dei pezzi che si stanno via via unendo, purtroppo.

Il Risorto porta questo saluto: ‘Pace a voi’. Il mio augurio poi vorrei fosse un augurio di vita, in questo contesto di inverno demografico e dove diminuiscono costantemente le nascite. Alla vita si manca oggi di rispetto su più fronti, con un Paese europeo che addirittura mette in costituzione il diritto all’aborto, ma anche nei tanti modi con cui viene negata la dignità della vita delle persone, come avviene con la non attenzione ai poveri. Che la Pasqua ci aiuti a scoprire la ricchezza e la bellezza della vita e ci faccia diventare difensori della vita.

Vorrei poi che il mio augurio pasquale fosse un augurio alla famiglia e di famiglia. Le famiglie oggi vivono situazioni di grande difficoltà, ma la famiglia è il luogo che aiuta a rendere coesa una società e ci apre al mondo del lavoro, dello studio. Essa è il fondamento sul quale la società può camminare insieme, per questo va custodita e accompagnata”.

Nel difficile contesto internazionale nel quale viviamo non possiamo lasciarci vincere dalla sfiducia. “La luce e la speranza sono uno dei frutti della Pasqua. Un dono che può essere coltivato con la preghiera che educa il cuore a diventare costruttore di pace. La speranza nasce anche dalla consapevolezza che dove ci sono guerre oggi ci sono anche costruttori di pace. Certo, serve uno sguardo realistico, ma deve essere contrastata la cultura della guerra e delle armi”.

In merito alle crescenti emarginazioni e povertà il vescovo Andrea Migliavacca ha sottolineato come “Il Risorto nella Pasqua visita i suoi e porta la luce e la pace. Tutti, specialmente in questo tempo, a partire dalla Chiesa, siamo invitati a visitare i volti e i luoghi della povertà, così come le tante famiglie che non arrivano a fine mese.

Lo si può fare portando un aiuto concreto, ma anche attraverso l’arte dell’incontro. Le persone infatti hanno bisogno di aiuto materiale, ma anche di umanità”. Ecco allora l’invito “a vivere e rendere vivi i quartieri, i luoghi di incontro e aggregazione”, nella consapevolezza che c’è un clima di “alleanza tra varie istituzioni civili, compresa la Diocesi e la Caritas diocesana, per contribuire a rispondere meglio alle problematiche delle nostre comunità, condividendo la lettura dei problemi e la disponibilità a unire le forze”.

La diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro si appresta a celebrare la Settimana Santa, culmine dell’anno liturgico. Sono numerose le Messe presiedute dal vescovo Andrea Migliavacca. Domenica delle Palme e della Passione del Signore, nella basilica di San Domenico in Arezzo alle ore 10.30 si svolgerà la commemorazione dell’ingresso del Signore in Gerusalemme con una processione fino alla Cattedrale dove poi verrà celebrata la Messa (in diretta su Tsd nel canale 85 e in streaming all’indirizzo www.tsdtv.it/live).

Mercoledì Santo, 27 marzo, nella Pieve di Santa Maria in Arezzo, alle ore 21.00 ci sarà un concerto-meditazione realizzato dalla Cappella Musicale della Cattedrale, diretta dal maestro Cesare Ganganelli. Il momento di preghiera alternerà letture a riflessioni del vescovo Andrea Migliavacca, brani di polifonia, a cappella, o con accompagnamento organistico a cura del maestro Eugenio Maria Fagiani.

Il Giovedì Santo alle ore 10.00 il Vescovo è in Cattedrale per la Messa Crismale (in diretta su Tsd) e alle ore 18.00 per la Messa in Coena Domini (in diretta su Tsd); alle 16 il Presule sarà invece alla Casa Circondariale di Arezzo per la Messa nella Cena del Signore celebrata insieme ai detenuti, il personale carcerario e i volontari che vi prestano servizio.

Il giorno seguente, Venerdì Santo, alle ore 9.00 in Duomo ad Arezzo, ci saranno l’ufficio delle letture e le lodi e alle ore 18.00 la celebrazione dell’azione liturgica della Passione del Signore. Alle ore 21.00 il nostro Vescovo sarà a Cortona, per la “processione dei simulacri” e la commemorazione della Passione del Signore. La partenza è prevista dalla chiesa dello Spirito Santo e dopo aver toccato diverse chiese della cittadina etrusca, si conclude in piazza della Repubblica, alla presenza delle autorità cittadine, con un intervento del Vescovo (l’evento è seguito da Radio Incontri, in FM 88.4 e 92.8 e in Dab, oppure in streaming all’indirizzo www.radioincontri.org).

Cortona ha il privilegio di custodire anche un consistente frammento della Santa Croce. La reliquia, fu donata a frate Elia dall’imperatore di Costantinopoli e da lui portata a Cortona nel 1242. La Passione di Gesù, ebbe così a Cortona una ragione in più per favorire il sorgere di Compagnie laicali a carattere penitenziale. Alcune Compagnie sono scomparse con il tempo, ma sono rimasti gli artistici simulacri che ogni anno, nei giorni del dolore e della gloria del Signore, ripercorrono le vie cittadine, ricomponendo così, per immagini, il racconto della Passione. 

Il Sabato Santo alle ore 9.00 in Cattedrale vengono celebrati ufficio delle letture e lodi, mentre la Veglia Pasquale inizierà alle ore 22.30 (trasmessa in diretta su Tsd). Nel corso della Veglia ci sarà anche il conferimento del sacramento del battesimo per un gruppo di otto adulti. Il giorno di Pasqua le celebrazioni presiedute dal vescovo Andrea sono alle 10.30 in Duomo ad Arezzo per il Pontificale (in diretta su Tsd) e alle ore 18.00 nella Concattedrale di Sansepolcro.

Il Martedì di Pasqua il Presule presiederà alle ore 18.00 presso la Collegiata di Foiano della Chiana la Messa a processione del Cristo Risorto (evento seguito da Radio Incontri).

Dopo 13 anni la Siria ancora in guerra

Il 15 marzo la guerra in Siria è entrata nel suo 14° anno, come ha scritto in una nota la Caritas italiana: “Il conflitto, scoppiato nel marzo 2011 ha gettato oltre 16.700.000 persone in stato di bisogno, il numero più alto di sempre dall’inizio della guerra. 7.500.000 sono minori; 7.200.000 gli sfollati interni, sui quali si è abbattuto anche il violento terremoto del 6 febbraio 2023. Tra il 1° gennaio e il 31 ottobre 2023 sono 454 i civili uccisi, di cui 115 sono bambini. Una guerra che, ‘nel silenzio’ dei mezzi di comunicazione, continua a uccidere”.

La Caritas in Siria opera a favore delle comunità colpite fin dall’inizio del conflitto, con aiuti d’urgenza, riabilitazione socio-economica, ricostruzione. Un impegno costante che riguarda anche la riconciliazione di un popolo che non smette di chiedere pace.

Il comunicato termina con le parole del vescovo mons. Hanna Jallouf, vicario apostolico di Aleppo dei Latini in Siria, in visita a Caritas Italiana a fine gennaio: “Sono passati già 13 anni di guerra e speriamo che un giorno arriveremo ad una pace vera, che permetta ai nostri ammalati di andare a curarsi, ai nostri bambini di andare a studiare e coltivare il loro futuro, e le persone a tornare a reincontrarsi dopo 10-11 anni di lontananza”.

Inoltre secondo un’indagine dell’Unicef sulle famiglie condotta nel nord della Siria, il 34% delle bambine e il 31% dei bambini hanno riportato uno stress psicosociale. Allo stesso modo, le valutazioni condotte nelle aree colpite dal terremoto hanno riportato una percentuale ancora più alta di bambini che mostrano un grave stress psicologico comportamentale (83% degli intervistati), come ha dichiarato la direttrice regionale dell’Unicef per il Medio Oriente e il Nord Africa, Adele Khodr:

“La triste realtà è che oggi e nei prossimi giorni molti bambini in Siria compiranno 13 anni e diventeranno adolescenti, sapendo che la loro intera infanzia è stata segnata da conflitti, sfollamenti e privazioni.

In definitiva, i bambini hanno bisogno di una possibilità. Hanno bisogno di una soluzione pacifica a lungo termine alla crisi, ma non possiamo semplicemente aspettare che ciò accada. Nel frattempo, è fondamentale garantire che i bambini e le famiglie non solo abbiano accesso ai servizi di base, ma anche che siano dotati delle competenze necessarie per costruire il proprio futuro”.

Inoltre l’Unicef ha ricordato che più di 13.000.000 di siriani (circa la metà della popolazione prima del conflitto) sono sfollati all’interno o all’esterno della Siria e non possono tornare alle loro case e più di due terzi della popolazione ha bisogno di assistenza umanitaria, in quanto i finanziamenti umanitari sono scesi ai minimi storici, sia all’interno della Siria stessa che per i siriani nei Paesi limitrofi; mentre quasi la metà dei 5.500.000 bambini in età scolare, circa 2.400.000 bambini di età compresa tra i 5 e i 17 anni, non vanno a scuola:

“Una generazione di bambini in Siria ha già pagato un prezzo insopportabile per questo conflitto. Il sostegno continuativo della comunità internazionale è fondamentale per ripristinare i sistemi di fornitura dei servizi sociali di base, come l’istruzione, l’acqua e i servizi igienici, la salute, la nutrizione, la protezione dell’infanzia e quella sociale, assicurando che nessun bambino in Siria venga lasciato indietro”. Nel 2024, l’UNICEF ha bisogno di € 401.700.000 per fornire un’ancora di salvezza essenziale a 8.500.000 persone, tra cui 5.400.000 bambini.

Anche l’ong ‘Un ponte per…’ ha denunciato che in Siria, donne e bambine pagano il prezzo più alto della guerra: “Sono le prime a perdere l’opportunità di studiare, ad essere esposte a violenze, ad essere discriminate. E le ultime ad essere supportate. Nel Nord Est Siria dopo 13 anni di conflitto ancora 2.000.000 persone sono in stato di necessità.

L’emergenza colpisce le donne e le bambine in maniera diversa e contribuisce ad aumentare violenza di genere, disuguaglianze economiche, matrimoni infantili e lavoro minorile. Difendere i diritti di donne e bambine in Siria è fondamentale per garantire protezione e partecipazione attiva nella vita pubblica del loro paese, come ha raccontato Nada, la madre di Mariam (8 anni), Bissan (11 anni) e Ghazal (13 anni): “Hanno vissuto cose che nemmeno noi adulti avremmo potuto gestire. Quando siamo arrivati a Raqqa non giocavano con i loro compagni di scuola, non avevano nemmeno amici, non si fidavano di nessuno. Erano cupe e timide. Oggi sorridono e riescono a stringere relazioni con i loro coetanei”.

Per questo grazie alla campagna ‘Libere di rompere’ di ‘Un Ponte per…’ 304 donne e ragazze e 283 bambine/i sono state coinvolte in attività psico-sociali negli ‘Spazi Sicuri’ garantendo loro l’opportunità di socializzazione in uno spazio protetto; 16 donne e 24 bambine/i sopravvissuti/e a violenze e abusi hanno ricevuto un’assistenza psicologica e sociale gratuita e continua; 150 donne e bambine/i hanno usufruito del servizio di trasporto sicuro e gratuito per raggiugere gli Spazi Sicuri e riuscire ad avere accesso ai servizi a loro dedicati; 1350 bambini/e e 1000 donne e ragazze sfollate provenienti da Aleppo, Raqqah, Idlib e Jarablous, hanno ricevuto servizi sanitari primari gratuiti e salute materna e infantile presso il Centro Sanitario di base di Membij, l’unica struttura di assistenza primaria operativa esistente nell’area di 70 km.

CEI: ripensare i rapporti con i giovani

Ieri a Roma si sono conclusi i lavori del Consiglio episcopale permanente della CEI, aperti dalla prolusione del Cardinale Matteo Maria Zuppi, in cui è stata sottolineata la necessità di un impegno per la pace a 360°, fatto di preghiera, formazione e gesti concreti:

“Di fronte ad una cultura che sembra essere assuefatta alla guerra, a un aumento incontrollato delle armi e a un sistema economico che beneficia della corsa agli armamenti, occorre riprendere il dialogo tra Chiesa e mondo attraverso cammini educativi che offrano alternative alle logiche ora dominanti. In quest’ottica, l’esperienza dell’obiezione di coscienza e il patrimonio di azioni sperimentate nel passato possono costituire una base da cui ripartire per tornare a educare alla pace e dare prospettive di futuro, specialmente ai giovani”.

Per i vescovi occorre lavorare a più livelli per essere costruttori di fraternità, senza dimenticare il Magistero della Chiesa e l’articolo 11 della Costituzione Italiana: “L’impegno per la pace deve prendere avvio all’interno delle comunità cristiane, cercando di ricostruirne il tessuto ecclesiale laddove appare ferito. Il Cammino sinodale sta infatti mostrando l’importanza di fare sintesi tra le diverse sensibilità: anche se non tutti si sentono coinvolti, ormai tutti percepiscono l’importanza di questo tempo ecclesiale, voluto da papa Francesco per la Chiesa universale e dunque anche per le Chiese in Italia”.

Altra questione importante è stata quella dell’iniziazione cristiana, con un focus sulla figura dei padrini e delle madrine: “Nella società attuale, se il riferimento ai Sacramenti appare ancora molto diffuso, talvolta risulta svuotato di significato, un fatto convenzionale riconosciuto come elemento della tradizione, ma che non consente più di dare per scontata la fede”. Secondo i vescovi è urgente un ripensamento dei cammini tradizionali che permetta di intrecciare sempre di più la consegna delle forme pratiche della fede con la trasmissione delle esperienze elementari della vita:

“In tale orizzonte, sarà possibile anche riscoprire e valorizzare il ruolo di padrini e madrine, passando dalla concezione di ‘sponsor’ per un giorno a testimoni autentici nella crescita globale delle persone che ricevono il Sacramento. La loro figura, che deve accompagnare le diverse età, dovrà anche contribuire all’azione generativa ed educativa dei genitori, in sinergia con la comunità ecclesiale”.

Inoltre i vescovi hanno rilevato la necessità di approfondire il tema per costruire una grammatica comune così da evitare l’attuale diversificazione della prassi pastorale delle Chiese locali, che in alcuni casi hanno sospeso la figura dei padrini e delle madrine a causa di un fraintendimento socioculturale.

Per quanto riguarda il mondo giovanile i vescovi hanno proposto di ripensare il rapporto con le nuove generazioni a partire dagli spunti offerti da Paola Bignardi che ha presentato i risultati dell’ ‘Indagine in merito a giovani e fede oggi’, curata dall’Istituto Toniolo: “Nel contesto attuale è in atto una trasformazione molto rilevante nella modalità del credere. I giovani esprimono, anche con la loro protesta silenziosa nei confronti della comunità cristiana, il desiderio di un modo nuovo di comprendere l’umano e una domanda di interpretazione della fede dentro questa condizione umana. E’ in gioco lo stile con cui la Chiesa intende la vita cristiana e la propone”.

Infine l’appello per uno sviluppo unitario, che metta in circolo in modo virtuoso la solidarietà e la sussidiarietà: “Da parte sua la Chiesa in Italia, fedele al Vangelo e nel solco del percorso compiuto finora, continuerà a contribuire all’unità, accompagnando le comunità e non lasciandosi spaventare dalle contingenze del tempo presente. In questo senso, il Cammino sinodale si presenta come una grande occasione anche per ravvivare l’entusiasmo nella Chiesa e la fiducia in essa”.

Ed ecco la novità di un’iniziativa di microcredito per alleviare le povertà in vista del Giubileo: “E’ da leggere in questa prospettiva il mandato affidato alla Caritas Italiana di studiare un progetto di microcredito sociale da realizzare in occasione del Giubileo. L’iniziativa dovrebbe prevedere l’istituzione di un fondo che permetterà di sostenere quanti hanno difficoltà ad accedere al credito ordinario. Il progetto, che ha come elemento innovativo l’accompagnamento della persona, non dovrebbe esaurirsi tuttavia nell’intervento economico a favore dei singoli, ma coinvolgere e impegnare le Chiese locali nella loro pluralità di soggetti, con l’ulteriore obiettivo di far crescere la rete delle Caritas locali e delle Fondazioni antiusura diocesane”.

Inoltre i vescovi hanno concordato sulla necessità di incrementare le cure palliative, regolamentate da un’ottima legge che però non trova ancora la sua piena attuazione, tanto che vi accede meno della metà degli ammalati: “Nonostante esse assicurino dignità, supportino il paziente e i familiari nella malattia, la loro applicazione resta in larga parte disattesa. Dinanzi ad una certa deriva eutanasica e alla fuga in avanti di alcune Regioni desiderose di colmare un vuoto legislativo in tema di fine vita, è fondamentale ribadire che la vita è sacra, sempre e in qualunque condizione, e che su di essa non si può giocare a ribasso”.

Infine, rispondendo ai giornalisti, mons. Giuseppe Baturi, segretario generale della Cei e arcivescovo di Cagliari, è intervenuto sulla vicenda della scuola ‘Iqbal Masih’ di Pioltello, nel rispetto della libertà religiosa: “Il rispetto del fatto religioso e dell’identità delle comunità religiose, da parte dello Stato è un fatto positivo e appartiene alla laicità tipica dello Stato italiano… La laicità all’italiana non sopprime le identità religiose, ma le promuove in un contesto di rispetto vicendevole. Questo, però, deve avvenire dentro un contesto istituzionale di rispetto di norme e di procedure. Non so se nel caso specifico si sia rispettato tutto il percorso amministrativo, ma in generale vale il rispetto per ogni forma di libertà religiosa”.

A tal proposito l’arcivescovo di Milano, mons. Mario Delpini, non entrando nelle irregolarità riscontrate dall’USR preposta, ha affermato che si tratta di un legittimo provvedimento della scuola: “Una delle cose più importanti della vita è la religione. Non so come è il regolamento delle scuole, si sospende anche a Carnevale”, confermando la posizione del responsabile dell’Ufficio diocesano Ecumenismo e dialogo, Roberto Pagani, che si era già espresso nei giorni precedenti:

“Con un numero così significativo di ragazzi che aderiscono alle proprie celebrazioni non è irragionevole usare tali momenti per costruire dei legami, invece che contrapporre mondi e visioni. E’ sempre meglio fare i conti con la realtà, soprattutto considerando che parliamo di educazione e di una scuola, riconoscendo la composizione della nostra società e la presenza dell’altro, mantenendone la diversità con rispetto e non avendone paura. E’ un lavoro prospettico nel quale si può immaginare un futuro di convivenza pacifica e civile, e non solo di tolleranza reciproca”.

Papa Francesco: la prudenza orienta la vita

“A san Giuseppe raccomandiamo anche le popolazioni della martoriata Ucraina e della Terra Santa (la Palestina, Israele), che tanto soffrono l’orrore della guerra. E non dimentichiamo mai: la guerra sempre è una sconfitta. Non si può andare avanti in guerra. Dobbiamo fare tutti gli sforzi per trattare, per negoziare, per finire la guerra”: con perentorietà al termine dell’udienza generale odierna papa Francesco ha lanciato un appello per la pace, mettendo sotto la sua protezione il mondo:

“Abbiamo celebrato ieri la solennità di san Giuseppe, patrono della Chiesa universale. Vorrei insieme a voi affidare al suo patrocinio la Chiesa e il mondo intero, soprattutto tutti i papà che in lui hanno un modello singolare da imitare”.

Mentre ai polacchi, che domenica prossima celebrano la Giornata della vita, il papa ha ricordato il suo valore: “Ogni anno il 24 marzo celebrate in Polonia la Giornata Nazionale della Vita. Pensando alla vostra patria, vorrei riferirvi il mio sogno, che ho espresso qualche anno fa scrivendo sull’Europa. Che la Polonia sia una terra che tuteli la vita in ogni suo istante, da quando sorge nel grembo materno fino alla sua fine naturale. Non dimenticate che nessuno è padrone della vita, né propria né di quella degli altri”.

Mentre, continuando il ciclo di catechesi su ‘I vizi e le virtù’, il papa ha incentrato la riflessione sul tema della virtù della prudenza, la cui lettura è stata ancora affidata a p. Pierluigi Giroli a causa del raffreddore che lo affligge: “Essa, insieme a giustizia, fortezza e temperanza forma le virtù cosiddette cardinali, che non sono prerogativa esclusiva dei cristiani, ma appartengono al patrimonio della sapienza antica, in particolare dei filosofi greci. Perciò uno dei temi più interessanti nell’opera di incontro e di inculturazione fu proprio quello delle virtù”.

La prudenza è parte di un organico delle virtù, che consentono l’orientamento dell’uomo nella vita: Negli scritti medievali, la presentazione delle virtù non è una semplice elencazione di qualità positive dell’anima. Riprendendo gli autori classici alla luce della rivelazione cristiana, i teologi hanno immaginato il settenario delle virtù (le tre teologali e le quattro cardinali) come una sorta di organismo vivente, dove ogni virtù ha uno spazio armonico da occupare. Ci sono virtù essenziali e virtù accessorie, come pilastri, colonne e capitelli. Ecco, forse niente quanto l’architettura di una cattedrale medievale può restituire l’idea dell’armonia che c’è nell’uomo e della sua continua tensione verso il bene”.

Però la prudenza non si addice ad una persona remissiva: “Dunque, partiamo dalla prudenza. Essa non è la virtù della persona timorosa, sempre titubante circa l’azione da intraprendere. No, questa è un’interpretazione sbagliata. Non è nemmeno solo la cautela. Accordare un primato alla prudenza significa che l’azione dell’uomo è nelle mani della sua intelligenza e libertà. La persona prudente è creativa: ragiona, valuta, cerca di comprendere la complessità del reale e non si lascia travolgere dalle emozioni, dalla pigrizia, dalle pressioni dalle illusioni”.

Ecco il motivo per cui il papa consiglia la riflessione sulla prudenza: “San Tommaso, sulla scia di Aristotele, la chiamava ‘recta ratio agibilium’. E’ la capacità di governare le azioni per indirizzarle verso il bene; per questo motivo essa è soprannominata il ‘cocchiere delle virtù’. Prudente è colui o colei che è capace di scegliere: finché resta nei libri, la vita è sempre facile, ma in mezzo ai venti e alle onde del quotidiano è tutt’altra cosa, spesso siamo incerti e non sappiamo da che parte andare”.

Per questo il prudente si fa consigliare, in quanto sa di sbagliare: “Chi è prudente non sceglie a caso: anzitutto sa che cosa vuole, quindi pondera le situazioni, si fa consigliare e, con visione ampia e libertà interiore, sceglie quale sentiero imboccare. Non è detto che non possa sbagliare, in fondo restiamo sempre umani, ma almeno eviterà grosse sbandate”.

Chi fa uso della prudenza sa ‘armonizzare’ diversi punti di vista: “Purtroppo, in ogni ambiente c’è chi tende a liquidare i problemi con battute superficiali o a sollevare sempre polemiche. La prudenza invece è la qualità di chi è chiamato a governare: sa che amministrare è difficile, che i punti di vista sono tanti e bisogna cercare di armonizzarli, che si deve fare non il bene di qualcuno ma di tutti”.

Il prudente non è in cerca dell’ottimo, ma del bene: “Il troppo zelo, infatti, in qualche situazione può combinare disastri: può rovinare una costruzione che avrebbe richiesto gradualità; può generare conflitti e incomprensioni; può addirittura scatenare la violenza”.

Quindi il prudente è anche previdente: “La persona prudente sa custodire la memoria del passato, non perché ha paura del futuro, ma perché sa che la tradizione è un patrimonio di saggezza. La vita è fatta di un continuo sovrapporsi di cose antiche e cose nuove, e non fa bene pensare sempre che il mondo cominci da noi, che i problemi dobbiamo affrontarli partendo da zero. E la persona prudente è anche previdente. Una volta decisa la meta a cui tendere, bisogna procurarsi tutti i mezzi per raggiungerla”.

Concludendo la catechesi il papa ha indicato tre passi evangelici, in cui si mette in luce la virtù della prudenza, capace di coniugare ‘semplicità e scaltrezza’: “Ad esempio: è prudente chi costruisce la sua casa sulla roccia e imprudente chi la costruisce sulla sabbia. Sagge sono le damigelle che portano con sé l’olio per le loro lampade e stolte quelle che non lo fanno. La vita cristiana è un connubio di semplicità e di scaltrezza. Preparando i suoi discepoli per la missione, Gesù raccomanda: ‘Ecco: io vi mando come pecore in mezzo a lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe’. Come dire che Dio non ci vuole solo santi, ci vuole santi intelligenti, perché senza la prudenza è un attimo sbagliare strada!”

(Foto: Santa Sede)

I vescovi lombardi invitano a guardare l’Europa

A Caravaggio il 13 e 14 marzo i Vescovi della Lombardia si sono incontrati per la loro sessione di lavori in previsione del prossimo Consiglio permanente della Cei. Con loro hanno partecipato a una sessione di lavoro anche i 34 Incaricati regionali e Assistenti dei vari settori della pastorale della regione. Si sono condivisi i risultati della recente Visita ad Limina e la gioiosa esperienza dell’incontro con papa Francesco, che ha stimolato a una pastorale capace di dire il volto bello di una Chiesa che accoglie tutti. Infine, in previsione dei prossimi appuntamenti elettorali, i Vescovi vogliono condividere con tutti le seguenti loro riflessioni per guardare insieme al bene comune delle nostre città e dell’Europa.

Il primo invito è quello ad un’assunzione di responsabilità: “L’assunzione di responsabilità da parte dei cristiani e delle persone serie, capaci, oneste in politica è particolarmente urgente in questo tempo. L’interessamento e l’impegno diretto in politica è una doverosa espressione della cura per il bene comune. L’indifferenza che induce all’astensionismo, il giudizio sommario che scredita uomini e donne impegnati in politica sono atteggiamenti che devono essere estranei alla comunità cristiana”.

I vescovi lombardi hanno invitato con chiarezza ad una scelta contro la guerra: “Sono chiamati a farsi avanti uomini e donne che siano voce coraggiosa e sapiente, profetica e realistica per dire: no alla guerra assurda e disastrosa, noi cerchiamo la pace giusta e possibile; no alla follia delle armi che guadagna nel distruggere, noi chiediamo che ci siano risorse per costruire e curare; no alla diseguaglianza scandalosa che con sperperi irresponsabili rovina i popoli, ignora i poveri e distrugge il pianeta, noi siamo assetati di giustizia e dedicati alla solidarietà;

no all’ambigua tolleranza che apre le porte al denaro sporco che si moltiplica sfruttando le debolezze umane, incrementando dipendenze, approfittando del sovraindebitamento, noi pratichiamo e insegniamo la legalità; no alla cultura individualistica e libertaria che legittima l’aborto come diritto e non rispetta la vita di persone fragili, noi chiediamo che la legge difenda i più deboli; no a una gestione delle risorse della comunità che trascuri i bisogni primari della casa, del lavoro, della formazione, noi proponiamo alleanze per condizioni di vita dignitose per tutti”.

Il secondo invito riguarda la responsabilità verso l’Europa: “Le elezioni europee ed amministrative sono un esercizio doveroso di democrazia e di responsabilità civile che coinvolge tutti i cittadini e sollecita anche il manifestarsi di disponibilità al servizio delle istituzioni. La comunità ecclesiale guarda con stima a coloro che, anche sacrificando tempo ed energie personali e familiari, scelgono di dedicarsi al bene comune”.

Ed anche i cristiani impegnati in politica devono trovare un contesto nella Chiesa: “I cristiani che ricoprono responsabilità in ambito politico e amministrativo devono trovare nella comunità cristiana il contesto propizio per alimentare la loro fede nell’ascolto della Parola di Dio, per motivare il loro servizio al bene comune, per trovare negli insegnamenti della Chiesa e nel confronto fraterno il contesto propizio per un saggio discernimento.

Compito dei pastori è formare le coscienze, motivare l’impegno, incoraggiare le responsabilità, astenersi dal prendere posizioni nel confronto tra i partiti e le persone che si presentano per raccogliere il consenso dell’elettorato”.

Nell’ultimo punto anche i vescovi lombardi ribadiscono che le parrocchie non possono essere coinvolte nella campagna elettorale: “Le strutture delle parrocchie e degli altri soggetti ecclesiali non possono essere utilizzate per la campagna elettorale. La comunità cristiana, associazioni e movimenti devono sentirsi incoraggiati a promuovere di propria iniziativa opportuni confronti su temi sociali e iniziative di formazione per suggerire criteri di discernimento in ogni ambito della vita, anche in quello politico e amministrativo.

Si deve valutare l’opportunità che i candidati nelle elezioni amministrative e politiche sospendano incarichi pastorali per evitare di essere motivo di divisione nelle comunità cristiane e per favorire la libertà di tutti sia nel proporsi sia nel votare”.

Nella conclusione i vescovi lombardi chiedono di scegliere la pace: “Verranno giorni di pace? Sarà possibile una società più giusta? Sapremo costruire una città, un paese, un’Europa dove sia desiderabile abitare insieme? Noi che andiamo a votare diciamo alla gente di oggi e alle generazioni future: sì, sarà possibile, perché ciascuno di noi, secondo le sue responsabilità, competenze e ruoli mette mano adesso all’impresa di aggiustare il mondo!”

La Fiaccola della Pace e del Perdono accesa a Enna, città gemellata 2024

“In questo tempo in cui sembriamo abituarci alle guerre, smarrendo la speranza nel buio della violenza, la luce della Fiaccola di Santa Rita ci desta per ricordarci che oggi la pace ha tanti nomi, quelli di chi non accetta di vivere nell’odio, e nel quotidiano fa sì che essa sia la norma e non l’eccezione. Che da Enna questo fuoco sacro raggiunga nella preghiera ogni popolo in conflitto, a partire da Ucraina e Terra Santa, per smuovere le coscienze di chi può porre subito fine alle ostilità e per riscaldare i cuori di quanti ne sono vittime”.

Così suor Maria Rosa Bernardinis, Madre Priora del Monastero Santa Rita da Cascia commenta dall’Umbria l’accensione della Fiaccola della Pace e del Perdono, simbolo dei festeggiamenti di maggio della patrona dei casi impossibili, avvenuta questa sera a Enna, nel Duomo Maria Santissima della Visitazione, gremito di fedeli. La città siciliana è stata scelta per il Gemellaggio di Fede e Pace, che ogni anno Cascia stringe con una località, per amplificare il messaggio e i valori della santa, attuali, universali e preziosi.

La Fiaccola, che la notte del 21 maggio tornerà a Cascia per dare vita alla Festa di Santa Rita, ha suggellato l’unione con Enna, dove la delegazione casciana è in visita. Ieri è rientrata dopo la Messa, celebrata da don Davide Travagli, parroco di Cascia, in rappresentanza dell’Arcivescovo di Spoleto-Norcia, nella Chiesa di Sant’Anna. Inoltre è stata consegnata la Reliquia ex ossibus di Santa Rita, portata, a nome del Monastero, dall’oblata Alessandra Paoloni, anche segretaria generale della Pia Unione Primaria Santa Rita, realtà molto attiva a Enna nel rendere concreti i valori ritiani.

“La Fiaccola ci dice che Santa Rita opera per la riconciliazione in tante comunità, che accolgono ogni anno la sua luce e nel cuore il suo esempio, per essere con lei e con Dio impronte di pace”: lo ha evidenziato il Rettore della Basilica di Santa Rita da Cascia, p. Mario De Santis, ad Enna per la famiglia agostiniana.

Insieme anche Padre Giustino Casciano, Priore Provinciale degli Agostiniani d’Italia, che ha sottolineato: “In questo mondo lacerato dalle guerre, Santa Rita è un punto di riferimento, perché la sua capacità di perdono e di pace è una grande luce per tutta la società. Ringraziamo i rappresentanti religiosi e le autorità civili di Enna che hanno accolto Rita come messaggera di pace, dialogo e perdono”.

“Attraverso il gemellaggio con Enna – ha detto il sindaco di Cascia Mario De Carolis, in Sicilia con l’amministrazione, il Comitato Cascia per Santa Rita e alcuni cittadini – viene rinnovato un messaggio molto importante e purtroppo attuale, che porta in sé l’accensione della Fiaccola della Pace e del Perdono. Un messaggio che dal 1958 si ripete in tante parti del mondo, fino ad arrivare a Enna, dove c’è forte devozione verso Santa Rita, anche grazie al legame con la Pia Unione”.

A presiedere la celebrazione dell’accensione della Fiaccola, mons. Antonino Rivoli, vicario generale della diocesi di Piazza Armerina: “Nella Parola del Signore, che stasera abbiamo ascoltato nel Vangelo di Giovanni, il popolo è diviso nel giudizio su Gesù. Oggi, che le fratture sono mondiali, Cristo ci chiama a scegliere da che parte stare. E, questa sera, insieme, abbiamo levato sulla Terra e al Cielo la nostra risposta: siamo col Signore per la pace, guidati da Santa Rita da Cascia. Una scelta da confermare e onorare ogni giorno”.

Ad accendere la Fiaccola, il sindaco di Enna, Maurizio Dipietro, che ha dichiarato: “La scelta del gemellaggio con il nostro Comune si basa sulla fortissima devozione della città di Enna a Santa Rita. Facciamo voti affinché la luce e il calore della Fiaccola della Pace e del Perdono, che celebra questo legame ed è simbolo della vittoria sulle tenebre che Santa Rita è capace di portare in ogni cuore, raggiungano anche l’Ucraina e la Palestina e siano foriere di dialogo, speranza e pace per queste terre martoriate dalla guerra e per tutto il mondo”.

Mons. Martinelli invita gli arabi a vivere la propria vocazione

Nello scorso settembre il vicario apostolico per l’Arabia Meridionale (Emirati Arabi Uniti, Oman e Yemen), mons. Paolo Martinelli, ha pubblicato la sua prima lettera pastorale, che prende spunto dal passo evangelico di san Giovanni, ‘Vieni e vedi (Giovanni 1:39), la vita è una vocazione’, indirizzata ai fedeli con l’invito a riflettere sul tema della propria vita come vocazione, richiamando l’attenzione sugli aspetti fondamentali della vita cristiana:

“Nel primo capitolo, dopo il maestoso prologo, che descrive il mistero di Dio e l’incarnazione del Figlio che ci rivela la vita divina (Gv 1,1-18), troviamo una storia molto semplice che ci ricorda l’essenza del cristianesimo. All’inizio del cristianesimo c’è la grazia dell’incontro. Giovanni Battista vede Gesù venire verso di lui; lo riconosce: è l’agnello di Dio, colui che toglie i peccati del mondo. Due suoi discepoli, probabilmente Andrea e Giovanni, lo stesso autore del Vangelo, cominciano a seguirlo. Ad un certo punto, Gesù si accorge di essere seguito; si volta e chiede: Che cosa cerchi?”

Perché la vita è una vocazione?

La vita è vocazione perché’ siamo ‘chiamati’ alla vita. Nessuno si può dare la vita da solo. Esistiamo perchè siamo voluti ed amati da Dio personalmente. Ricordare che la vita è vocazione è necessario per avere consapevolezza del valore della propria vita e del proprio compito nel mondo. Inoltre, la vita è vocazione perchè in ogni istante siamo in rapporto con Dio attraverso quello che accade ogni giorno. Dio si è fatto carne in Gesù Cristo. Per questo Dio ci raggiunge sempre attraverso una ‘carne’, un incontro, un evento in cui ci chiama ad accogliere la sua parola, a seguirlo e a metterci a servizio del Regno”.

Quale è l’aspetto fondamentale della vita cristiana?

“L’essenza del Cristianesimo non è innanzitutto una nuova morale o una nuova teoria, ma un incontro con la persona di Gesù che può cambiare radicalmente la nostra esistenza aprendo un nuovo orizzonte esistenziale (come hanno ribadito papa Benedetto XVI e papa Francesco). L’aspetto fondamentale della vita cristiana è la sequela di Cristo, che si realizza nel vivere la vita della Chiesa e testimoniare a tutti la gioia del Vangelo”.

Nella lettera pastorale si narra la storia della Chiesa nella penisola arabica: ‘Questa città fu sede di una delle più grandi comunità cristiane dei primi secoli. Najrān si trovava nell’antico Yemen, attualmente si trova in Arabia Saudita. Ricordando la loro testimonianza, ci rendiamo conto che, fin dall’antichità, i cristiani hanno abitato la terra in cui ora viviamo. E noi facciamo parte di questa bellissima storia, la storia della Chiesa nella penisola arabica’. In quale modo è avvenuto l’incontro con il cristianesimo nella penisola arabica?

“Il cristianesimo in Arabia ha una storia complessa. La documentazione non è facile. Già gli Atti degli Apostoli ci ricordano che san Paolo si recò in Arabia. I santi martiri Arethas e compagni ci testimoniano una presenza molto significativa del cristianesimo in epoca preislamica. Recenti scoperte archeologiche testimoniano una presenza di monasteri cristiani che hanno continuato a sussistere anche nei primi tempi dopo la nascita dell’Islam, mostrando la possibilità di una serena convivenza. In epoca più recente, a partire dal XIX secolo inizia a strutturarsi il vicariato Apostolico nella regione araba. Negli ultimi decenni la presenza cristiana in Arabia è molto aumentata grazie alle massicce migrazioni. Oggi si contano circa 3.000.000 di cattolici presenti nella penisola araba”.

“Quest’anno celebriamo il giubileo, insieme al Vicariato Apostolico dell’Arabia Settentrionale, commemorando il 1500° anniversario del martirio di sant’Areta e dei suoi compagni a Najrān”: cosa significa celebrare il giubileo del martirio di sant’Areta?

Ricordare i martiri è ringraziare Dio per la loro fedeltà a Cristo e al Vangelo ed è richiamo alla testimonianza che spetta a tutti noi, innanzitutto con la nostra vita: mostrare Cristo attraverso la vita buona che nasce dalla fede. Inoltre, ricordare sant’Arethas e compagni martiri ricorda a tutti i cristiani che vivono nel Golfo, che anche se come migranti si proviene da tante parti del mondo e da Chiese diverse, qui si diventa parte di una lunga storia, di una Chiesa che affonda le sue radici nei cristiani che hanno santificato questa terra con il dono della propria vita”.

“Ognuno di noi è unico e irripetibile, e ognuno di noi è al mondo perché ha una missione speciale da compiere. Per questo è importante discernere insieme la vostra vocazione. Come diceva questo grande giovane, il beato Carlo Acutis: tutti nasciamo originali perché ciascuno di noi è stato voluto e progettato da Dio per cose grandi”. Per quale motivo, nella lettera, ha proposto ai giovani arabi il beato Carlo Acutis?

“L’ho proposto a tutti i giovani del vicariato, di qualsiasi provenienza. La figura di Carlo Acutis mi sembra in grado di parlare al cuore dei giovani. Soprattutto il suo richiamo ad essere originali e non fotocopie impressiona sempre la gioventù che è in ricerca di modelli autentici da seguire. Colpisce molto anche il suo straordinario amore per l’Eucaristia (‘la mia autostrada per il cielo’) e la sua capacità di utilizzare le nuove tecnologie e i new media per diffondere il vangelo, senza rimanerne intrappolato”.

Allora cosa significa essere Chiesa di migranti?

“La nostra Chiesa è composta da persone che provengono da paesi diversi e da tradizioni spirituali differenti, con riti diversi. Contiamo circa cento nazionalità tra i nostri fedeli. Le nostre assemblee liturgiche hanno questo carattere interculturale che le caratterizza in modo unico. Questa è una straordinaria occasione per mostrare come il battesimo ci renda membri di una unica Chiesa pur essendo cosi diversi. I nostri fedeli sono chiamati non solo a mantenere le proprie tradizioni ma anche a condividerle e a conoscere quelle degli altri. Questo permette un arricchimento vicendevole.

Inoltre, essere chiese di migranti vuol dire essere consapevoli della transitorietà della propria condizione di vita. Qui nessuno diventa cittadino. La gente è qui per lavorare. Al termine ritorna nei propri Paesi di origine. Come Chiesa impariamo attraverso questa condizione particolare ad essere pellegrini, ad abitare il tempo e la terra con impegno e dedizione, sapendo che siamo destinati ad una pienezza che va oltre il tempo presente. Siamo destinati alla vita eterna in Cristo”.

Sono trascorsi 5 anni dalla firma del documento di Abu Dhabi: quali effetti può avere sul dialogo tra le fedi la crisi mediorientale?

“Il conflitto attualmente in atto in Medio Oriente ha aspetti e proporzioni sicuramente inediti rispetto al passato; si vede dalle difficoltà riscontrate nei tentativi di trovare una via di uscita. In questo senso penso che il contributo fondamentale della ‘Abrahamic family house’ sia il fatto stesso di esistere. E’ un invito costante a non darsi per vinti, a non rassegnarsi alla guerra. Questo centro rappresenta una realtà di convivenza che può ispirare e rilanciare cammini di pace”.

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