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Un domenicano ha inventato lo spirito olimpico moderno

“La ‘leggenda’ olimpica descrive il domenicano padre Martin Didon, al secolo Henri Louis Rémy Didon (1840-1900), come guida spirituale di Pierre de Coubertin, il ‘padre dell’olimpismo’, e suo sostegno nella fase iniziale del Movimento olimpico”, così inizia il volume ‘Padre Henry Didon. Un domenicano alle radici dell’olimpismo’ della prof.ssa Angela Teja, già docente di Storia dello sport all’università di Cassino, vicepresidente della Società Italiana di Storia dello sport (Siss), già presidente del Collegio dei Fellows dell’European Committee for Sports History (Cesh), presentato durante le Olimpiadi con la promozione della Fondazione ‘Giovanni Paolo II per lo sport’ a le Prè Catelan di Parigi, sede di Casa Italia.

Da liberale moderato e repubblicano convinto il motto olimpico di p. Didon e dei suoi allievi è affrancato a quello della Francia Repubblicana, fa notare in prefazione al saggio mons. Emmanuel Gobiliard, vescovo di Digne Riez e Sisteron delegato per i Giochi di Parigi 2024: “La ricerca della virtù, fortius, ciò che rende forti e quindi liberi (libertè), l’aspirazione all’altius, alla vetta con il diritto allo sport per tutti (egalitè) che è felicità per la Chiesa che con lo sport, di squadra e individuale va più veloce (citius) e diventa scuola di fraternità” .

Partendo da queste sollecitazioni abbiamo chiesto alla prof.ssa Angela Teja di raccontarci questo libro sulle Olimpiadi: “Per la verità ‘Padre Henri Didon. Un Domenicano alle radici dell’olimpismo’, che quest’anno ho pubblicato con l’editrice AVE all’interno della collana ‘Laudato sì, sport’ curata dalla fondazione ‘Giovanni Paolo II per lo sport’,  non è un libro sulle Olimpiadi ma su di un personaggio che si ipotizza sia stato la guida spirituale del loro ‘inventore’, Pierre de Coubertin.

P. Henri Didon è comunque un personaggio molto interessante per la storia dell’olimpismo, e non solo per questa sua illustre amicizia. Egli è un domenicano vissuto nella seconda metà dell’800 che viene solitamente ricordato in occasione dei Giochi olimpici, perché è stato l’inventore del celebre motto olimpico. In realtà è stato soprattutto un intellettuale francese che ha scritto molto, su molti temi, privilegiandone alcuni di tipo spirituale e morale.

Egli infatti è stato un educatore, avendo diretto tra il 1890 e il 1900, anno della sua morte, l’istituto ‘Alberto Magno’ di Arcueil, alla periferia di Parigi. Una scuola che ha praticamente ricostruito. avendola trovata in stato di abbandono. Del resto la Rivoluzione non era passata invano, gli ordini religiosi erano stati aboliti, i loro istituti chiusi.

I Domenicani sono stati i primi a ricostituirsi grazie a grandi personalità come Henri Lacordaire e lo stesso Henri Didon, anche se il processo di laicizzazione in atto non si sarebbe arrestato e in Francia avrebbe portato nel 1905 alla separazione tra Chiesa Stato. L’operato ampio e complesso, direi variegato, multidisciplinare di p. Didon va visto in questo contesto storico, che è poi anche quello della nascita dei Giochi olimpici. In fondo il desiderio di pace e giustizia, libertà e uguaglianza che p. Didon esprime in tutte le sue opere, ben si accordava con l’utopia coubertiniana di un mondo pacificato, senza guerre, in cui si fosse cittadini del mondo”.

Per quale motivo De Coubertin si rivolse a p. Didon?

“Esattamente per quello che dicevamo: Coubertin voleva rivolgersi alle giovani generazioni per formarle in base a principi di uguaglianza, pace e giustizia. Sapeva di dover andare nelle scuole per ottenere dei risultati, ma non in quelle pubbliche, ancora improntate a vecchi metodi in cui veniva privilegiata l’educazione del cogito a discapito della salute fisica, che è anche forza, coraggio patriottico, se non certezza di un futuro migliore con cittadini forti e liberi.

Esattamente quello che Coubertin si augurava per i giovani francesi dopo aver conosciuto e apprezzato i metodi impartiti nei colleges inglesi dove si formavano i quadri dirigenti del futuro Impero britannico. Sarebbero tanti i discorsi da fare, ma fermiamoci all’attenzione che sia Coubertin che p. Didon ebbero per i metodi ‘sportivi’ degli allievi del college di rugby, per nominare quello che ci introduce meglio alla nascita dello sport moderno, anche se entrambi ne conobbero diversi.

Tutti e due erano stati nel Regno Unito e vi avevano conosciuto i giochi all’aperto utilizzati sia come divertimento che come mezzo di educazione e disciplina per gli iscritti nelle public schools. Coubertin cercava dunque a Parigi una scuola dove poter sperimentare quei metodi, e trova in p. Didon un amico che lo aiuterà in pieno per il suo sogno olimpico.

P. Didon conosceva bene quelli dell’antichità, sia per i suoi studi classici, sia perché li aveva ‘praticati’ nel Seminario Minore di Rondeau, molto giovane e già campione negli sport atletici, che qui si rifacevano all’antica agonistica greca. Perchè i Giochi olimpici inventati da Coubertin sono famosi ma non i primi… Del resto già nel Campo di Marte, in piena Rivoluzione, se ne erano disputati nel 1796, esattamente un secolo prima dunque della cosiddetta prima edizione ufficiale ad Atene”.

Come inventò il motto olimpico?

“Per la verità non è stato p. Didon a inventare il motto olimpico, ma i suoi studenti. Era il 1891 e ad Arcueil si svolgevano per la prima volta gare sportive in una scuola francese, nell’Istituto dove Pierre de Coubertin si era recato a proporle trovando il suo rettore, p. Didon, entusiasta e collaborativo. Il primo step del progetto sarebbe stato la nascita di un’Associazione scolastica di sport atletici per organizzarle.

Il metodo pedagogico di p. Didon, improntato all’autodeterminazione per la formazione di cittadini ‘capaci e degni di libertà’, come riportava la brochure di promozione dei corsi all’Alberto Magno, è alla base del secondo step, che è quello di affidare ai ragazzi la completa organizzazione di tutto: elezione dei dirigenti dell’Associazione, definizione dei regolamenti di gara, inno societario e naturalmente il motto latino, da ricamare sul gonfalone dell’Istituto e sulle bandierine disseminate lungo il percorso delle gare. La prima gara è stata una corsa campestre all’inseguimento di ‘lepri’, gli stessi p. Didon e Coubertin, che lasciarono sul terreno come pista da seguire dei pezzetti di carta.

Un motto deve normalmente racchiudere in sintesi le caratteristiche di chi lo produce e questo motto, non possiamo negarlo, è geniale per il suo significato altamente simbolico (sappiamo che il latino ha queste prerogative di sintesi e chiarezza) con cui riesce a rappresentare gli scopi materiali dello sforzo atletico racchiudendone anche la sua essenza spirituale e morale”.

Ma come arrivano gli studenti dell’Istituto ‘Alberto Magno’ a centrare questi tre aggettivi?

“Ipotizzo che la traduzione in latino fosse un suggerimento di chi ben lo conosceva… e che comunque fosse logico che i ragazzi pensassero a un incitamento ad essere più veloci, più forti e a saltare più in alto (in un primo momento era questo l’ordine degli aggettivi, Citius, fortius, altius), anche se nelle intenzioni interpretative di p. Didon c’era dell’altro, un vero e proprio rispecchiarsi della teologia tomista, base della sua formazione di domenicano e dei suoi insegnamenti ad Arcueil.

In questa ottica citius si sarebbe riferito alla Volontà e al suo muoversi velocemente e liberamente verso il Bene universale; altius avrebbe significato la Prudenza, il cui compito è elevare l’uomo all’altezza della sua dignità unitamente alla Sapienza; fortius avrebbe chiaramente rimandato alla Fortezza, la prima delle virtù morali dalle forti connotazioni patriottiche, perché reprime il Timore e modera l’Audacia.

Il famoso motto sarebbe così diventato una rappresentazione concreta della palestra di virtù che p. Didon voleva ‘allestire’ per i suoi ragazzi a fianco degli impianti sportivi, metafora di un mondo perseguibile, se pur a fatica, e comprensibile ai giovani. Quasi che il celebre motto fosse anche il simbolo dell’iniziazione cristiana dei giovani alla vita”.

Quindi per p. Didon l’attività fisica è una virtù?

“L’attività fisica per lui è una virtù ‘psico-morale’, come si trova a dire nel suo celebre discorso al II Congresso Olimpico di Le Havre nel 1897. Egli ha in mente l’intero corpus tomistico riguardo all’apprendimento delle virtù da parte di un buon cristiano, e a Le Havre inizia a esporlo a piccole dosi, sapendo che non tutti lo avrebbero capito e accettato. Non dimentichiamo al momento di forte secolarizzazione che si stava vivendo in Francia. Se leggiamo i suoi discorsi di fine anno ad Arcueil, quelli che faceva a conclusione del percorso formativo annuale rivolgendosi a studenti, genitori, autorità e a quelli che oggi chiameremmo stakeholders dell’Alberto Magno, testi che troviamo riuniti in una raccolta pubblicata nel 1898 (L’Education présente. Discours à la jeunesse), in essi i riferimenti a san Tommaso d’Aquino sono molteplici.

P. Didon stesso scrive di essersi ispirato alla sua teologia, soprattutto alla ‘Summa Theologiae’ ed alla ‘Summa contra Gentiles’. Da qui l’ipotesi di una interpretazione tomista del motto nella recente pubblicazione su p. Didon per i tipi di AVE, mi sembra che possa essere reale. Anche Norbert Müller, tra i maggiori storici dell’olimpismo, aveva fatto cenno a un’interpretazione spirituale del Motto, anche se poi il Comitato Olimpico Internazionale ha sempre preferito valorizzarne il significato materiale e ‘sportivo’”. 

Quali erano le finalità di p. Didon?

“Quelle di incitare i giovani a sviluppare la qualità più importante, la Volontà a resistere e a sforzarsi nelle difficoltà, non tanto per essere primi ma per «tirar fuori da sé il meglio che sia possibile». In questo suo programma gli sport atletici servivano a far penetrare nella gioventù «il culto intelligente della forza fisica, della lotta vigorosa, della resistenza fisica e di quella morale al male» come scrive nel primo dei suoi discorsi di fine anno, L’a culture de la Volonté’ (1890). Per lui la volontà è una ‘energia divina’, che ‘comanda e difende, stimola e rallenta, sostiene e contrasta a suo modo tutte le nostre azioni’. Egli sa che la volontà ha il compito di aiutare i giovani a raggiungere le altre virtù, così importanti per la loro formazione di persone fatte di corpo, anima e spirito, tutte componenti allenabili dunque attraverso l’esercizio fisico con tutte le sue potenzialità, anche quelle spirituali”.

Quale è l’attualità pedagogica dell’olimpismo di p. Didon?

“Sono molti i motivi di somiglianza tra la nostra epoca e quella di p. Didon. Si pensi all’irrompere della modernità (oggi di quella virtuale e artificiale), al progresso vertiginoso delle scienze (oggi delle neuroscienze), al processo di secolarizzazione sempre più accentuato, alla grande confusione in cui ci troviamo spesso a vivere con la difficoltà di distinguere il vero dal falso, una preoccupazione identica a quella di p. Didon che ne aveva parlato anche nell’udienza privata con papa Leone XIII, denunciando la gravità di mancanza di discernimento nei giovani.

In questo libro a più riprese si parla di una ipotizzabile attualità del pensiero di p. Didon, il quale ha sempre vissuto immerso nel suo tempo, ‘curioso di tutto’, come ci ricorda il suo massimo biografo, Yvon Tranvouez, anche se il suo metodo pedagogico andava ben al di là dell’olimpismo, inteso questo come un complesso di organismi, strutture, pensieri, tendenze che vanno nella direzione di una vera e propria filosofia di vita, dove l’eccellenza è il massimo degli scopi da raggiungere. Anche per gli antichi l’areté aveva rappresentato il top della vita, il dare il meglio di sé nella ricerca della perfezione, secondo il modello sotteso all’antica kalokagathìa di cui sono ricchi gli scritti di Platone, la ricerca di essere bello e buono, prestante fisicamente e coraggioso, un concetto che attraverso Aristotele sarebbe stato trasmesso a s. Tommaso d’Aquino. Un cerchio che si chiude dunque, dal pensiero pagano a quello cristiano, e in questo caso p. Didon ha saputo cogliere perfettamente il valore e l’essenza dell’antica agonistica e dello sport moderno.

(Tratto da Aci Stampa)

Più volte mi sono trovata a dire che p. Didon è ‘una miniera’ di insegnamenti per la nostra epoca. I suoi scritti, numerosi, multidisciplinari, con un forte interesse alle scienze e alla modernità e quindi un’apertura piena di curiosità per i grandi nuovi eventi della sua epoca, e lo sport lo era di certo, ebbene i suoi scritti aiutano a dare un senso al ‘perché fare sport’. Egli va aldilà della materialità di questo fenomeno affrontando le sue parti ‘invisibili’, seguendo il carisma domenicano di fare apostolato leggendo e attualizzando il Vangelo alla luce dei tempi in cui si vive.

Per questo credo che p. Didon vada ricordato non solo in ambito sportivo, proprio per l’articolazione del suo pensiero, in particolare di quello pedagogico. Pensiamo a quanto sia importante per i giovani imparare ad autodeterminarsi, e lo sport non può che aiutare in questa direzione sviluppando lo spirito di iniziativa personale e la resistenza.  In questo modo egli ha incoraggiato i giovani verso l’Ideale che trascende i sensi, il non visibile, verso la perfezione che risiede in Dio. In L’homme d’action, un altro dei suoi discorsi di fine anno del 1895, egli sostiene con vigore che i figli non vanno allevati in un nido protetto, ma vanno loro aperte le porte dell’Ideale, ‘sollevandoli dalla terra e dal fango’. Bisogna andare ‘più in alto che si possa’, ‘verso quel mondo ideale che riempie l’infinito di Dio, della sua chiarezza, della sua bontà, della sua grandezza e della sua perfezione!’. 

Con energia e vigore p. Didon mostra dunque come si debba cercare di innalzarsi dalla materialità della vita quotidiana per guardare in Alto, anche attraverso lo sport. Con metodo esperienziale egli ne fa cogliere gli aspetti spirituali, invisibili ma reali nel momento in cui essi procurano la gioia del gioco, a volte incontenibile, l’estasi della vittoria ma anche la consapevolezza, se non si vince, di aver dato il meglio di sé, una grande soddisfazione anche questa. Come dargli torto, soprattutto nella nostra epoca, così fragile e spesso confusa nello stesso ambito sportivo?”

E da qui la nascita anche di un progetto?

“L’attualità del pensiero di p. Henry Didon sarà ricordata in Italia con un progetto di sport nelle carceri, ‘Insieme nello sport’, presentato a ‘Casa Italia’, durante i Giochi di Parigi ed ideato dalla Rete di magistrati ‘Sport e legalità’ in collaborazione con la Fondazione ‘Giovanni Paolo II per lo sport’ ed il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, per incoraggiare chi sta in carcere a resistere all’indubbiamente difficile situazione vissuta con la volontà di ricostruirsi uomini ‘capaci e degni di libertà’, per utilizzare una citazione di p. Didon, anche attraverso lo sport e le sue ‘virtù’, che insegnano la convivenza civile, il rispetto delle regole, il fair play, soprattutto saper lavorare dignitosamente insieme”.

(Tratto da Aci Stampa)

Le nuove olimpiadi. Testo poetico per riflettere sulle paraolimpiadi

Un canto o una poesia? La lodigiana, conscia di quanto possa essere difficile dimostrare i propri talenti se si è malati, soprattutto in questa epoca, ha dedicato alle paralimpiadi 2024 questo testo che non ha a che fare con il woke della Disney e nemmeno con l’inclusività, bensì con l’’arguto pensiero di chi sa cosa vuol dire esserci dentro. I talenti sono tali sia che la persona abbia delle difficoltà oppure no. Nessuno è uguale all’altro per molte ragioni e, quindi, perché anche le olimpiadi non potrebbero essere diverse a seconda di ciascuno?

Se si è d’accordo su questo, perché allora invece di paralimpiadi, non si dice nuove olimpiadi? Certo che per dignità e diritti siamo tutti uguali, ma l’essere persone non significa ‘essere fatti con lo stampino’, dunque da qui la prima frase del pezzo che presenteremo a breve. Non siamo diversi, noi siamo uguali, inteso come persone degne di rispetto come chi non ha delle ‘difficoltà’. Ora, prima di procedere con le spiegazioni dell”autrice, ecco il brano completo.

Il testo: ‘Le nuove olimpiadi’

Non siamo diversi, noi siamo uguali

Non siamo eroi, siamo normali

C’è chi scrive di destro e chi di sinistro

C’è chi è biondo e chi moro

Chi ha il capello nero oppure rosso

Al mondo c’è il buono e anche il cattivo

Dunque, tra tutte queste varianti

Che ti importa se gioco seduto oppure eretto?

Il vero eroe non è il malato, ma chi ha davvero amato

E nelle Olimpiadi da vero sportivo ha giocato!

Si vince e si perde, questa è la vita

Ma ci sarà sempre una nuova partita

Il gioco più bello, ormai l’ho Imparato,

È davvero averci provato!

Se non ho truccato e bene ho giocato,

La mia partita è comunque vinta!

E se al terzo posto arriverò

Con un gran sorriso il premio accetterò.

Non siamo diversi, siamo uguali

Non siamo eroi, siamo normali

Per questo io chiamo le paralimpiadi

Semplicemente Olimpiadi oppure…

Nuove olimpiadi.

“Non siamo eroi per il semplice fatto  che l’eroe è chi sa anche amare. Questa è la differenza. Non si tratta solo di affrontare il dolore ogni giorno, si parla di essere ancora in grado di dare opportunità a chi, tutti i giorni, ti sputa in faccia perché non sei come dovresti essere o come ti vuole la società. Le Olimpiadi che dovrebbero essere tanto seguite e commentate, sono queste perché è qui che si vede davvero chi  non si arrende e segue il suo sogno nonostante tutto, cattiverie della gente incluse. Vi invito, dunque, a guardare questa nuova edizione delle Olimpiadi.

Per favore, non chiamatele Paralimpiadi. Nessuno è uguale e tutti hanno diritto di fare ciò che possono. E’ come se si chiedesse a un bambino di fare un lavoro da adulto e viceversa. Ovvio che tutto sarà diverso in quanto un bambino non è adulto e, spesso, l’adulto si dimentica cosa vuol dire essere bambino.

Così anche le paralimpiadi sono diverse, ma non perché ci sono persone con problematiche, bensì perché chi gareggia fa le cose in modo diverso. Spero di avere chiarito meglio il senso del brano augurale. Che sia di buon auspicio per gli atleti, ma anche per tutti quelli che, finalmente, guarderanno questa edizione con occhi diversi. La parola nuove sta ad indicare che c’è un’altra edizione delle Olimpiadi. E’ come quando c’è una serie TV e si annuncia la nuova stagione. E’ questo il significato”, dice la lodigiana.

Foto da:https://www.facebook.com/share/p/Nj4shRn1dtcSAqDa/

Il presidente di Athletica Vaticana: le Olimpiadi per costruire ponti di pace

Aperti i Giochi Olimpici che si svolgono a Parigi fino a domenica 11 agosto, papa Francesco ha scritto un messaggio all’arcivescovo di Parigi, mons. Laurent Ulrich, invitando le comunità cristiane all’accoglienza: “So, infatti, che le comunità cristiane si preparano ad aprire ampiamente le porte delle loro chiese, delle loro scuole, delle loro case. Soprattutto aprano le porte del loro cuore, testimoniando, con la gratuità e la generosità dell’accoglienza verso tutti, il Cristo che li abita e che comunica loro la sua gioia”.

Nel messaggio la speranza di superare le contrapposizioni attraverso lo sport: “I Giochi Olimpici, se restano davvero ‘giochi’, possono quindi essere un luogo eccezionale di incontro tra le persone, anche le più ostili. I cinque anelli intrecciati rappresentano questo spirito di fraternità che deve caratterizzare l’evento olimpico e la competizione sportiva in generale”.

Infine il papa aveva sottolineato la necessità di una tregua olimpica: “E’ con questo spirito che l’Antichità stabilì saggiamente una tregua durante i Giochi e che l’età moderna tenta regolarmente di riprendere questa felice tradizione. In questo periodo travagliato in cui la pace nel mondo è seriamente minacciata, auspico vivamente che tutti siano desiderosi di rispettare questa tregua nella speranza di una risoluzione dei conflitti e di un ritorno all’armonia”.

Per comprendere veramente lo spirito olimpico abbiamo chiesto al presidente di Athletica Vaticana, dott. Giampaolo Mattei, di illustrarci l’anima delle Olimpiadi e delle Paralimpiadi, che inizieranno lunedì 12 agosto: “Ai Giochi di Tokyo, nel 2021, il Comitato olimpico internazionale ha aggiunto la parola ‘Communiter’ (‘Insieme’) al celebre motto olimpico (‘Più veloce, più in alto, più forte’), coniato per Pierre de Coubertin dal domenicano francese Henri Didon. Oggi più che mai l’anima delle Olimpiadi e delle Paralimpiadi è proprio l’esperienza di fare sport ‘communiter’.

Del resto, scrive papa Francesco nella prefazione del libro ‘Giochi di pace’, pubblicato su iniziativa di Athletica Vaticana, ‘la Carta olimpica indica il principio della centralità della persona nella sua dignità e si impegna a contribuire alla costruzione di un mondo migliore, senza guerre, educando i giovani attraverso lo sport praticato senza discriminazioni, in uno spirito di amicizia e solidarietà.

E’ nell’anima dell’attività sportiva unire e non dividere e i cinque anelli intrecciati, simbolo e bandiera dei Giochi olimpici, stanno proprio a rappresentare lo spirito di fratellanza che deve caratterizzare la manifestazione olimpica e la competizione sportiva in generale’”.

 Veramente le Olimpiadi sono giochi di pace?

“Lo sport è, senza dubbio, l’espressione culturale più popolare e diffusa nel mondo. Nella sua essenza è esperienza di fraternità e di pace. I Giochi però sono legati a sangue (Monaco 1972) ed a boicottaggi che hanno impedito la partecipazione di tutti. Con questa consapevolezza, è opportuno rilanciare la proposta di vivere le Olimpiadi e le Paralimpiadi con lo stile ‘communiter’. E così la parola-chiave per lo sport, oggi più che mai, è ‘vicinanza’. Nella prefazione di ‘Giochi di pace’ il papa scrive che ‘vicinanza’ è ‘il primo suggerimento che, come allenatore del cuore’, propongo sempre ad Athletica Vaticana per delineare l’essenza della sua presenza di condivisione: correndo o pedalando o giocando insieme con tutti gli sportivi’”.

‘Ripensando al valore della tregua olimpica, la mia speranza è che lo sport possa concretamente costruire ponti, abbattere barriere, favorire relazioni di pace’: ha scritto papa Francesco. Lo sport può veramente costruire ponti?

“Non c’è dubbio che lo sport olimpico e paralimpico (con le sue appassionanti storie umane di riscatto e di fraternità, di sacrificio e di lealtà, di spirito di gruppo e di inclusione) possa essere anche un originale canale diplomatico per saltare ostacoli apparentemente insormontabili, ‘mettendo insieme talenti diversi anche per costruire una società migliore, più giusta’ rilancia Francesco: ‘Quando si fa sport insieme non importa la provenienza, la lingua o la cultura o la religione di una persona. Questo è anche un insegnamento per la nostra vita e ci richiama alla fraternità tra le persone, aldilà delle loro abilità fisiche, economiche o sociali’. E questa è una proposta di pace, proprio attraverso l’esperienza sportiva che ha nelle Olimpiadi e nelle Paralimpiadi la sua massima espressione”.

Anche quest’anno alle Olimpiadi c’è una squadra di rifugiati: quale è il significato per il mondo?

“La partecipazione (per la terza edizioni dei Giochi) di un Team olimpico e paralimpico composto da rifugiati è un progetto di pace ed un’esperienza di inclusione, non solo simbolica. Ed è anche motivo di speranza per tutte le persone rifugiate, sfollate. E’ un po’ ‘la squadra di tutti’. Le storie delle atlete e degli atleti che ne fanno parte sono impressionanti: molti vivono nei campi profughi e lo sport è motivo di riscatto non solo personale: dalla nuotatrice olimpionica siriana che spinge il gommone in mare aperto fino all’isola di Lesbo mettendo in salvo 18 persone, al nuotatore afghano nato senza braccia che diventa campione paralimpico”.

Dal 1960 dopo le Olimpiadi si svolgono sempre le Paralimpiadi: con quale visibilità?

“L’obiettivo del movimento paralimpico non è soltanto celebrare un grande evento, ma dimostrare quello che persone, pur fortemente ferite nella vita, riescono a raggiungere quando sono messe nelle condizioni di poterlo fare. E se vale per lo sport, tanto più deve valere per la vita. Con una significativa nota: all’inizio del secolo scorso le prime gare sportive con la partecipazione di atleti con disabilità si sono svolte in Vaticano, davanti a papa Pio X. L’Osservatore Romano ha documentato fin nei dettagli quelle straordinarie esperienze di inclusione, con atleti non vedenti e amputati, mezzo secolo prima delle Paralimpiadi a Roma”.

Per quale motivo una squadra di atleti vaticani? 

“Athletica Vaticana è l’associazione polisportiva ufficiale della Santa Sede. Ha detto papa Francesco, lo scorso 13 gennaio, ricevendo la ‘sua’ squadra: ‘Con uno stile improntato alla semplicità, Athletica Vaticana si impegna a promuovere la fraternità, l’inclusione e la solidarietà, testimoniando la fede cristiana tra le donne e gli uomini di sport, amatori e professionisti’. Non si tratta, quindi, di ‘fare sport e basta’ ma di costruire insieme un’esperienza di comunità tra persone negli stadi, nei campi, nelle piste e nelle palestre”.

(Tratto da Aci Stampa)

Dalle Olimpiadi parigine per un segnale inclusivo

“In occasione dei Giochi di Parigi, il progetto Holy Games ha mobilitato per quasi tre anni un gran numero di cattolici per condividere il fervore sportivo e popolare che circonda i Giochi di Parigi, questo magnifico evento organizzato dal nostro Paese. La scorsa settimana abbiamo avuto il piacere di organizzare la messa di apertura della Tregua Olimpica, alla presenza di numerose personalità religiose, politiche e sportive”.

Così inizia il comunicato dei vescovi francesi dopo l’inaugurazione a Parigi delle Olimpiadi con l’affermazione che lo sport contribuisce ad accrescere la fraternità: “Crediamo che i valori e i principi espressi e diffusi dallo sport e dall’olimpismo contribuiscano al bisogno di unità e fratellanza di cui il nostro mondo ha disperatamente bisogno, nel rispetto delle convinzioni di tutti, intorno allo sport che ci unisce e promuove la pace tra le nazioni e i cuori”.

Ed allora i vescovi chiedono le motivazioni per cui durante la manifestazione inaugurale si è manifestata l’intenzione di denigrare attraverso lo scherno la fede cattolica: “La cerimonia di apertura di ieri sera, organizzata dalla COJOP2024, ha offerto al mondo intero alcuni meravigliosi momenti di bellezza e gioia, ricchi di emozioni e universalmente acclamati. Purtroppo, la cerimonia ha incluso scene di scherno e derisione del cristianesimo, che deploriamo profondamente”.

Infatti i vescovi francesi hanno condannato irrevocabilmente la parodia del quadro dell’Ultima Cena di Leonardo da Vinci: “La cerimonia di apertura proposta dal Comitato organizzativo dei Giochi olimpici purtroppo prevedeva scene di derisione e di scherno del cristianesimo, che deploriamo profondamente. Pensiamo a tutti i cristiani di tutti i Continenti che sono rimasti feriti dall’eccesso e dalla provocazione di certe scene. Vogliamo che capiscano che la celebrazione olimpica va ben oltre i pregiudizi ideologici di alcuni artisti”.

Questo scherno è stato rilevato con condanna anche da membri di altre confessioni religiose, che hanno manifestato il disagio dinnanzi a tale manifestazione di apertura davanti a tanti capi di Stato, che è stata ‘ideologica’: “Ringraziamo i membri di altre confessioni religiose che ci hanno espresso la loro solidarietà. Questa mattina pensiamo a tutti i cristiani di ogni continente che sono stati feriti dall’oltraggio e dalla provocazione di certe scene.

Vogliamo che capiscano che la celebrazione olimpica va ben oltre i pregiudizi ideologici di alcuni artisti. Lo sport è una meravigliosa attività umana che delizia profondamente i cuori degli atleti e degli spettatori. L’olimpismo è un movimento al servizio di questa realtà di unità e fraternità umana. E’ ora di scendere in campo, che questo possa portare verità, consolazione e gioia a tutti!”

Ed a due giorni dalla performance inaugurale è intervenuto l’account ufficiale dei Giochi Olimpici di Parigi, che, scusandosi per l’equivoco, ha chiarito  il significato della scena: “L’interpretazione del dio greco Dioniso ci fa capire l’assurdità della violenza tra esseri umani…

L’idea era quella di creare un grande banchetto pagano legato agli dei dell’Olimpo. Non troverete mai in me o nel mio lavoro il desiderio di deridere o denigrare qualcuno. Volevamo fare una cerimonia che riparasse e riconciliasse”.

Mentre Anne Descamps, direttrice esecutiva delle comunicazioni di Parigi 2024, ha detto che “non c’è mai stata l’intenzione di mostrare mancanza di rispetto verso alcun gruppo religioso e se le persone si sono offese in qualche modo, siamo, ovviamente, davvero, molto dispiaciuti.

Se non bastasse la presenza del dio del vino Bacco (per i greci appunto Dionisio), a richiamare il soggetto mitologico e pagano secondo la tradizione rinascimentale e barocca, non proprio (o non solo quantomeno) l’iconografia cattolica dell’Ultima Cena di Gesù con gli apostoli, bisogna notare almeno un altro dettaglio: nell’Ultima Cena gli apostoli sono ovviamente 12, mentre qui le figure che compongono la scena sono 16”.

Infatti la sequenza potrebbe essere stata ispirata dal dipinto ‘Le Festin des dieux’, di Jan Harmensz van Bijlert, artista del Seicento, che raffigura un banchetto degli dei sull’Olimpo, in occasione del matrimonio di Teti e Peleo, come ha  spiegato Thomas Jolly, ideatore della cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Parigi: “Non volevo essere sovversivo, né choccare nessuno. Semplicemente, in Francia abbiamo il diritto di amarci, come vogliamo e con chi vogliamo…

Abbiamo il diritto di credere o di non credere. Abbiamo messo in scena semplicemente le idee repubblicane, di benevolenza e di inclusione… Non era l’Ultima Cena la mia ispirazione. Credo fosse abbastanza chiaro che si trattava di Dioniso che arriva a tavola, è il dio della Festa, del vino e padre di Sequana, la dea legata al fiume”.

Di fronte a tali equivoci non resta che chiudere con le parole del messaggio di papa Francesco all’arcivescovo di Parigi, mons. Laurent Ulrich: “Auspico dunque che le Olimpiadi di Parigi siano per tutti coloro che verranno da tutti i Paesi del mondo un’occasione da non perdere per scoprirsi e apprezzarsi, per abbattere i pregiudizi, per far nascere la stima là dove ci sono il disprezzo e la diffidenza, l’amicizia là dove c’è l’odio. I Giochi Olimpici sono, per natura, portatori di pace e non di guerra”.

Papa Francesco sollecita la pace olimpica

“Mi unisco alle intenzioni della Messa che lei celebra, Eccellenza, poiché presto nella sua Città si svolgeranno i Giochi Olimpici. Chiedo al Signore di colmare dei suoi doni tutti coloro che in un modo o nell’altro vi parteciperanno (siano essi atleti o spettatori), e anche di sostenere e benedire coloro che li accoglieranno, in particolare i fedeli di Parigi e di altrove”.

A pochi giorni dall’apertura Giochi Olimpici che si terranno a Parigi dal 26 luglio all’11 agosto, papa Francesco ha scritto un messaggio all’arcivescovo di Parigi, mons. Laurent Ulrich, invitando le comunità cristiane all’accoglienza: “So, infatti, che le comunità cristiane si preparano ad aprire ampiamente le porte delle loro chiese, delle loro scuole, delle loro case. Soprattutto aprano le porte del loro cuore, testimoniando, con la gratuità e la generosità dell’accoglienza verso tutti, il Cristo che li abita e che comunica loro la sua gioia”.

Un particolare apprezzamento è dedicato all’arcivescovo per l’accoglienza alle persone vulnerabili: “Apprezzo molto che tu non abbia dimenticato le persone più vulnerabili, in particolare coloro che si trovano in situazioni molto precarie, e che l’accesso al partito sia loro facilitato. Più in generale, auspico che l’organizzazione di questi Giochi costituisca per tutto il popolo francese una grande occasione di concordia fraterna che consenta, al di là delle differenze e delle contrapposizioni, di rafforzare l’unità della Nazione”.

Nel messaggio la speranza di superare le contrapposizioni attraverso lo sport: “Lo sport è un linguaggio universale che trascende confini, lingue, razze, nazionalità e religioni; ha la capacità di unire le persone, di promuovere il dialogo e l’accoglienza reciproca; stimola l’automiglioramento, allena lo spirito di sacrificio, promuove la lealtà nei rapporti interpersonali; ci invita a riconoscere i nostri limiti e il valore degli altri. I Giochi Olimpici, se restano davvero ‘giochi’, possono quindi essere un luogo eccezionale di incontro tra le persone, anche le più ostili. I cinque anelli intrecciati rappresentano questo spirito di fraternità che deve caratterizzare l’evento olimpico e la competizione sportiva in generale”.

E’ questo l’augurio del papa: “Mi auguro quindi che le Olimpiadi di Parigi siano per tutti coloro che provengono da tutti i Paesi del mondo un’occasione imperdibile per scoprire e apprezzare se stessi, per abbattere pregiudizi, per creare stima dove trovano disprezzo e diffidenza, amicizia dove trovano posto disprezzo e sfiducia è l’odio. I Giochi Olimpici portano, per loro natura, la pace e non la guerra”.

Infine il papa ha sottolineato la necessità di una tregua olimpica: “E’ con questo spirito che l’Antichità stabilì saggiamente una tregua durante i Giochi e che l’età moderna tenta regolarmente di riprendere questa felice tradizione. In questo periodo travagliato in cui la pace nel mondo è seriamente minacciata, auspico vivamente che tutti siano desiderosi di rispettare questa tregua nella speranza di una risoluzione dei conflitti e di un ritorno all’armonia”.

Mettere la vita in gioco: convegno sulla spiritualità nello sport

Lunedì scorso si è svolta la presentazione del convegno internazionale su sport e spiritualità (‘Mettere la vita in gioco’) in programma dal 16 al 18 maggio per iniziativa del Dicastero per la cultura e l’educazione e l’Ambasciata di Francia presso la Santa Sede con interventi dell’ambasciatrice di Francia presso la Santa Sede, Florence Mangin; Emanuele Isidori, professore di Filosofia dello Sport all’università di Roma Foro Italico) e l’atleta atleta paralimpico Antonio Mariani; e del card. José Tolentino de Mendonça, prefetto del Dicastero per la Cultura e l’Educazione, il quale ha osservato che l’organizzazione di un convegno che parla di sport da parte della Chiesa può sembrare ‘strano’, ma in fondo non lo è, come è stato affermato in un’intervista alla Gazzetta dello Sport da papa Francesco:

“Ma partendo dalle parole di Papa Francesco, quando paragona lo sport alla santità, ci rendiamo conto dei tanti punti di connessione che esistono tra sport e spiritualità. Papa Francesco ce lo dice in un’intervista rilasciata nel 2021 a due giornalisti della Gazzetta dello Sport… L’organizzazione di questo Convegno si propone di fare proprio questo: osservare lo sport oggi. Capire perché è così popolare. Identificare i suoi rischi. Valutare la sua rilevanza per la costruzione di una società più fraterna, tollerante ed equa. Discernere come Dio si manifesta in questa manifestazione culturale”.

Anzi tra storia dello sport e storia della Chiesa ci sono molti contatti, ricordando le parole di san Giovanni Paolo II nel 2000 durante il Giubileo degli sportivi: “Se guardiamo alla storia dello sport in parallelo con la storia della Chiesa, ci sono stati molti momenti in cui lo sport è stato un’ispirazione e una metafora per la vita dei cristiani, oppure il cristianesimo stesso ha arricchito lo sport con la sua visione umanistica”.

Ed ha citato il motto olimpico, introdotto alle Olimpiadi del 1924 svoltesi a Parigi su proposta di un religioso: “Ecco un breve esempio a proposito: quest’anno si celebra il centenario dell’introduzione del motto olimpico ‘citius, altius, fortius’ (più veloce, più alto, più forte) ai Giochi Olimpici di Parigi del 1924. Un motto che era stato ideato da un ecclesiastico, il frate domenicano Henri Didon, e proposto a Pierre de Coubertin, il fondatore dei Giochi Olimpici moderni (Atene – 1896).

L’esempio di Fra Henri Didon esprime così il desiderio della Chiesa nei confronti dello sport: la Chiesa non vuole controllare lo sport o creare uno sport alternativo, ma umanizzarlo attraverso una visione cristiana dello sport”.

Insomma, tra lo sport e la Chiesa intercorre la ‘sinodalità sportiva’: “E’ vero, la figura di Gesù, nel suo messaggio e nei suoi gesti, ha molto da offrire allo sport. Allo stesso modo, la Chiesa ha molto da imparare dal fenomeno sportivo. Questo è essenzialmente ciò che vogliamo ottenere con questo Convegno internazionale, portando qui non solo voci dall’interno della Chiesa, ma anche voci esterne alla Chiesa che ci aiuteranno con le loro riflessioni. Si tratta di un bellissimo esercizio di ‘sinodalità sportiva’. E così si rischia una cultura dell’incontro, come sottolinea papa Francesco”.

Mentre l’ambasciatrice francese, mademoiselle Mangin, ha sottolineato che “i Giochi di Parigi del 1924 si aprirono, al pari dei precedenti, con una messa olimpica celebrata nella Cattedrale Notre-Dame. Nel 2024, la Chiesa dei Giochi sarà quella della Madeleine a Parigi, dove si celebrerà a partire dal 19 luglio la messa di apertura della Tregua Olimpica, mentre il 4 agosto un evento interreligioso si svolgerà sul sagrato della Cattedrale Notre-Dame, ancora chiusa”.

Inoltre ha richiamato al preambolo della Carta olimpica (‘L’Olimpismo è una filosofia di vita, che esalta e unisce in un insieme equilibrato le qualità del corpo, della volontà e della mente. Mescolando lo sport con la cultura e l’educazione, l’Olimpismo vuole essere creatore di uno stile di vita basato sulla gioia nello sforzo, sul valore educativo del buon esempio, sulla responsabilità sociale e sul rispetto dei principi etici fondamentali universali’) che si coniuga con l’enciclica di papa Francesco, ‘Fratelli tutti’:

“I Giochi di Parigi 2024 riprenderanno questi grandi orientamenti, ponendo l’accento sulla sobrietà delle installazioni, sull’inclusività, con una sola squadra di Francia che riunisce gli atleti olimpici e paralimpici e con un’attenzione particolare ai più poveri. S’impegneranno ad essere anche durevoli, con la promozione dello sport nella vita quotidiana dei giovani e come mezzo di inclusione sociale. Infine, saranno completamente paritari riguardo agli atleti olimpici, con tanti atleti uomini quante atlete donne”.

Infine il prof. Isidori ha presentato la struttura dell’incontro: “Il convegno che abbiamo organizzato mira a riflettere su questo fenomeno da un punto di vista telescopico e microscopico, in altre parole: vedere lo sport oltre lo sport. Più precisamente, per comprenderne le radici culturali, individuarne i rischi, apprezzarne l’importanza nella costruzione di una società più fraterna, valutarne il potenziale pedagogico e, soprattutto, approfondirne la rilevanza spirituale”.

Questo il programma delle giornate: “La prima giornata (16 maggio) affronterà il rapporto tra ‘Chiesa e Sport’, attraverso la condivisione della testimonianza di atleti di alto livello e di alcune esperienze pastorali concrete che mettono lo sport al servizio del Vangelo e il Vangelo al servizio dello sport…

La seconda giornata (17 maggio) si concentrerà sul rapporto tra ‘Uomo e Sport’, attraverso la riflessione di un gruppo di relatori altamente qualificati provenienti da università italiane e francesi, che discuteranno dello sport in termini di rilevanza pedagogica, filosofica, sociologica e teologica…

La terza giornata (18 maggio) avrà una dimensione più pratica, e vedrà l’organizzazione di un evento sportivo di solidarietà (la staffetta della fraternità) per mostrare alla società civile la rilevanza sociale dello sport stesso”.

(Foto: Vatican Media)

Papa Francesco agli atleti vaticani: lo sport favorisca la pace

Nell’anno delle Olimpiadi papa Francesco ha incontrato gli atleti di Athletica Vaticana, accompagnati dalle famiglie, sottolineando l’importanza dello sport come espressione culturale: “Esprimo la mia gioia per la presenza di Athletica Vaticana sulle strade, nelle piste e nei campi da gioco, e per la vostra testimonianza cristiana nel grande mondo dello sport, che oggi rappresenta la più diffusa espressione culturale, a patto che si mantenga sempre quella amatorialità che custodisce lo sport. Il mio saluto riconoscente va anche alle Autorità sportive internazionali e italiane che, con la loro presenza, testimoniano la vivacità del dialogo e della collaborazione con la Santa Sede”.

Gli auguri perché in Cina ci siano pace e rispetto

“Dopodomani, 1° febbraio, in tutto l’Estremo Oriente, nonché in varie parti del mondo, si celebrerà il Capodanno Lunare. In questa circostanza, rivolgo il mio cordiale saluto ed esprimo l’augurio che nel Nuovo Anno tutti possano godere la pace, la salute e una vita serena e sicura. Com’è bello quando le famiglie trovano occasioni per radunarsi e vivere insieme momenti di amore e di gioia!”

Papa Francesco: la Comunione dei santi fa sentire Chiesa

Al termine dell’udienza generale odierna papa Francesco ha ricordato le violenze che si stanno perpetrando in Myanmar ed ha auspicato che i Giochi olimpici che si apriranno in Cina siano occasione di pace:

Alle Olimpiadi per raccontare la bellezza

Le Olimpiadi, dopo la cerimonia inaugurale, sono entrate nel vivo delle gare e l’Italia è salita già sul podio; in queste Olimpiadi gareggia anche una squadra di atleti rifugiati, selezionati “prima di tutto in base alle prestazioni sportive di ciascun atleta e al loro status di rifugiato, come richiesto dall’UNHCR, l’Alto commissariato Onu per i rifugiati”, ha detto al sito tedesco DW la portavoce del Cio Anne-Sophie Thilo.

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