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Per non dimenticare Marcinelle
Anche oggi, come ogni anno, ha risuonato 262 volte la campana al Bois du Cazier di Marcinelle, nel bacino carbonifero di Charleroi, in Belgio, durante la commemorazione del 67^ anniversario della tragedia dell’8 agosto 1956: un incendio sviluppatosi in una galleria della miniera, a quasi mille metri di profondità, costò la vita a 262 minatori, 136 dei quali italiani. I nomi dei lavoratori, in gran parte immigrati in Belgio da vari Paesi dell’Europa post bellica, sono scanditi, uno per uno.
Dai teologi un grido di profezia per il Mediterraneo
A metà giugno si è svolto a Molfetta un laboratorio di alcune facoltà teologiche del Mediterraneo, da cui è scaturito un documento in grado di offrire un contributo ‘teologico’ per contribuire a leggere quanto accade con spirito critico e profetico alla luce del Vangelo, in grado di denunciare il naufragio di civiltà che in esso si consuma, aprendo al riconoscimento del desiderio e della promessa di fraternità racchiusi in questo mare, dopo l’ultimo naufragio avvenuto nel mar Egeo:
La Resurrezione nel dramma teatrale di p. Giuseppe Scalella
“Pilato: Non mi parli? (pausa) Non è la prima condanna a morte che esegui, no? Che ti succede? Oltre alla parola hai perso anche il coraggio? E il tuo valore di soldato? E la grandezza di Roma?
Gallio: Quando finirà?…
Pilato: Finirà cosa, Gallio?… Com’è andata l’esecuzione?…
Gallio: Quando la smetteremo di uccidere innocenti?
Pilato: Gallio, la grandezza di Roma… ti sembra una cosa giusta mettersi contro i Giudei? In fondo… sono stati loro a volerlo, no?
Gallio: Tu non hai visto quell’uomo… Non lo hai visto morire… Io non ho mai visto morire uno, così… non l’ho mai visto… Gli altri due imprecavano atterriti dalla morte… lui… ‘Accoglimi’, ha detto…”.
Così inizia il dramma in ‘tre quarti’ per il teatro scritto dall’agostiniano p. Giuseppe Scalella, ‘Perché cercate tra i morti’, in collaborazione con l’attrice Giulia Merelli, che nasce “da una mia domanda che mi porto dentro da anni: delle lunghe ore trascorse a Gerusalemme tra la sera del venerdì (la morte di Cristo) e l’alba del primo giorno dopo il sabato (la resurrezione) nessuno ha mai parlato. Neppure coloro che scrissero i Vangeli”, specifica nella prefazione l’autore.
A lui chiediamo di raccontare come è nato questo testo: “Come scrivo nella prefazione questo lavoro nasce alla fine degli anni ’90. C’era una domanda che mi portavo dentro e che non riusciva mai a trovare una risposta: ma chi ha incontrato e conosciuto Gesù di Nazareth in Palestina duemila anni fa come avrà vissuto i giorni e le ore terribili, dall’arresto nel Getsemani fino al mattino del primo giorno dopo il sabato?
Il Vangelo non ci dice niente, ci racconta i fatti che si sono succeduti tra cui il rinnegamento di Pietro e i due di Emmaus che tornano a casa delusi e tristi. Ma niente di più. Sappiamo dal Vangelo che gli apostoli, dopo l’arresto, sono scappati tutti, eccetto Giovanni e Pietro che forse l’avranno seguito ma senza farsi vedere. Dei due di Emmaus il Vangelo di Luca dice che erano ‘col volto triste’ e quella tristezza mi ha sempre intrigato perché non sarà stato facile capire il senso di quegli eventi, come non è facile per noi, nonostante duemila anni di storia.
Come succede spesso a chi scrive, è facile non essere soddisfatti delle prime stesure e allora si lascia che l’idea decanti. Come il vino. Così è stato per me. Poi sopravvengono gli impegni e poi un periodo di calma in cui si riprende. Mi è capitato poi di incontrare Giulia Merelli, un’attrice di teatro e con lei ho potuto procedere alla stesura definitiva. Adesso forse bisognerà metterlo in scena. Chissà?”
Perché hai raccontato proprio le ore del Venerdì Santo?
“Più che raccontare ho cercato di immaginare il luogo dove possono essersi ritrovati e le cose che si son detti in quelle ore. E anche perché è l’evento più drammatico di tutta la vicenda di Gesù e di quelli che l’hanno seguito. Ho immaginato tre luoghi: il pretorio di Pilato e il dialogo con Gallio, il tribuno che ha eseguito la crocifissione e che si converte dopo aver visto non tanto la morte di Gesù ma il modo con cui Gesù affronta il supplizio e muore;
la casa di Maria, madre di Giacomo dove si sono ritrovati la Maddalena, Lazzaro e le sorelle e la loro disperazione di fronte a quello che è successo; e poi il cenacolo con qualcuno dei dodici e con Maria, la madre di Gesù. Sono i tre quadri del dramma ma forse il più bello è quest’ultimo perché Maria che aveva capito più degli altri il senso di quello che era accaduto, cerca in tutti i modi di prepararli a quello che sarebbe accaduto dopo”.
Cosa muove i protagonisti del dramma?
“Secondo me, quello che muove noi. Perché noi seguiamo Cristo? Perché l’umanità oggi lo cerca? Se lui non c’entrasse niente con la vita non lo cercherebbe più nessuno, neppure noi. Loro si domandavano: il Maestro è morto… e noi? Che ne sarà di noi? Se Cristo ci venisse tolto, sarebbe così anche per noi?”
In quale modo si può credere che la morte è vinta?
“C’è un solo modo: se si incontra un uomo risorto. Quegli uomini e quelle donne avevano bisogno di vedere Gesù risorto. Come noi oggi abbiamo bisogno di vederlo presente. Si può morire in tanti modi nella vita, come per esempio uno che si droga o si dà al gioco e all’alcol, ma anche chi ha perso la speranza, ma vederlo rinascere (e io ne ho visti tanti) è davvero sconvolgente. Ma non basta. Anche gli apostoli hanno visto Gesù risorto ma non è bastato. Ci vuole qualcosa che Dio fa accadere come per loro l’evento dello Spirito a Pentecoste”.
‘Ma adesso chiediamo tutti… chiediamo che la morte non vinca in noi… che lo sconforto e la devastazione siano le occasioni buone per partecipare della sua vittoria… e la sua vittoria in noi verrà… verrà come l’alba… ma verrà…’: con queste parole Maria si rivolge al pubblico nella scena conclusiva che lascia spazio alla speranza. Cosa ci si attende dall’alba della Resurrezione?
“Una cosa soltanto: incontrare la risposta alle domande che la vita pone. La vita è spietata e non dà tregua e continuamente sfida la nostra umanità. E pone domande. Lo vediamo oggi più che mai. Tutti attendiamo una risposta ma non una risposta qualsiasi o teorica. Deve essere una risposta all’altezza di quelle domande. E non può essere mai scontata. Insomma: chi può rendermi davvero felice?”
(Tratto da Aci Stampa)