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Sport for Peace – Avversari sì, nemici mai a Cittadella della Pace

Oltre sessanta le persone che si sono riunite oggi intorno al tavolo nella Cittadella della Pace di Arezzo, accogliendo l’appello di Rondine“Sport for Peace – Avversari sì, nemici mai”. L’occasione la recente partita di calcio della Nazionale a Udine, per la quale Rondine è stata chiamata a collaborare per preservare lo spirito agonistico positivo dello sport. Da qui l’invito alle Istituzioni a incontrarsi nel borgo di Rondine per costruire iniziative che assicurino lo sport come naturale servizio alla pace.
“Oggi accade qualcosa di speciale: siete voi a essere maestri per questi giovani, testimoniando come gli adulti possono aiutare a dare loro coraggio, a superare il disorientamento e la paura. Siete qui per insegnare loro che si può costruire una cultura della convivenza e del riconoscimento reciproco, perché senza questo la parola “pace” rischia di perdere significato”. Ha affermato Franco Vaccari, presidente di Rondine. “Il nostro motto è ‘avversari sì, nemici mai.’ Ringrazio il mondo dello sport che è qui oggi, con cui speriamo di creare un’alleanza forte, per educare a essere avversari, ma mai nemici”.
Molti e differenti i soggetti locali e nazionali che hanno colto nell’iniziativa lanciata da Rondine l’opportunità per rilanciare il valore del calcio e dello sport come momento di dialogo e di pace tra le persone e tra i popoli. Dalle istituzioni allo sport, fino a esponenti delle diverse comunità religiose ma anche la scuola e l’università unite nel riconoscere il valore educativo dello sport. Da qui l’avvio della stesura di un documento, una dichiarazione d’intenti che ponga le basi per sviluppare azioni concrete, segni tangibili e duraturi per la costruzione di un mondo in cui la comprensione e la convivenza pacifiche prevalgono su ogni forma di conflitto armato.
“Oggi, la pace richiede azioni concrete. Per questo, dico a voi che siete qui con noi: vi prego, non riducete la pace a uno slogan. Vi invito a trasformare il dialogo di oggi in azioni che mantengano la promessa di pace, soprattutto per noi che rischiamo molto solo ad essere qui.
Questo incontro è un’opportunità: un’occasione per cambiare e ripensare il modo in cui lavoriamo per la pace, non solo attraverso politiche, ma anche con mezzi spesso poco usati, come lo sport”, ha detto Adelina, kosovara, a nome degli studenti della World House di Cittadella della Pace.
Comune obiettivo: garantire spazi sicuri dove la diversità possa continuare a coesistere nel riconoscimento dell’esistenza dell’altro, seppur nella divergenza di posizioni e visioni: “Nei tempi di oggi, in cui la guerra è diventata un argomento ancora più divisivo e in cui spazi di incontro e confronto diventano sempre più rari, riconosciamo la difficoltà nell’accettare il nostro invito, tentando di uscire dalla logica della polarizzazione e della delegittimazione”, aggiunge lo studente georgiano, Tornike.
All’incontro non ha potuto prendere parte il ministro dello Sport, Andrea Abodi come annunciato per via di impegni istituzionali inderogabili che ha tuttavia manifestato pieno supporto all’iniziativa. Supporto che è arrivato anche dalla FIGC come ha dichiarato Maurizio Francini, Responsabile Centro Tecnico Coverciano. “Lo sport è concreta testimonianza e utile strumento di dialogo, di pace e di convivenza civile, perché riconosce il rispetto per l’avversario nelle sue regole e nei suoi valori. Abbiamo aderito all’appello di Rondine perché è in sintonia con i principi che ispirano la sensibilità e l’agire della FIGC: avversari sì, nemici mai”.
Presente anche Beniamino Quintieri, presidente dell’Istituto per il Credito Sportivo e Culturale che ha ribadito il sostegno a Rondine. “L’Istituto per il Credito Sportivo e Culturale S.p.A sostiene questo progetto da tempo e intende continuare a farlo. Crediamo fortemente nel valore educativo dello Sport in quanto aggregatore sociale. Lo è a livello delle piccole comunità ma lo può essere anche a livello globale poichè strumento di promozione della pace e del dialogo tra i popoli. Siamo orgogliosi di essere vicini a Rondine, una realtà che attraverso lo Sport promuove i valori della solidarietà, dell’amicizia e del rispetto delle regole”.
“E’ stato emozionante oggi vedere un tavolo così numeroso, pieno di giovani, di istituzioni, di rappresentanti religiosi di fedi diverse. La partita tra Italia e Israele dello scorso 14 ottobre si è svolta, purtroppo, in un contesto di conflitto, creando divisioni”, ha affermato il sindaco di Udine, Alberto Felice De Toni.
“Vedere oggi che quella difficile occasione è stata tramutata in un momento di dialogo e di pace è per noi un grande orgoglio. Noi non dobbiamo lasciarci guidare dalle divisioni, ma cercare sempre la pace in ogni contesto. L’odio porta all’assenza di felicità, alla perdita dei propri cari, al dolore. La guerra porta solo altra guerra. Ecco perchè oggi a Rondine è stata una grande occasione di arricchimento per tutti quanti, un primo passo per iniziare insieme, un percorso concreto per portare il messaggio di pace nelle nostre realtà, partendo proprio dal mondo dello sport”, ha concluso il Sindaco.
Grande supporto anche da Mons. Riccardo Lamba, arcivescovo di Udine: “Per ritrovare la via della pace, dobbiamo riconoscerci e valorizzare la nostra unicità, anche nei contesti difficili come quelli di guerra. L’augurio è che ciò che stiamo vivendo possa essere un esempio che ciascuno di noi porterà con sé, e che possa ispirare anche gli altri. Possiamo ancora stupirci e, attraverso questa meraviglia, ritrovare la pace”.
Non è mancata inoltre la voce di Noemi di Segni, presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane: “La mia preghiera per i giovani qui è quella di avere il coraggio di guardarsi negli occhi, di riconoscere la dignità altrui. Abbiamo il dovere di creare capacità di convivenza nelle nostre comunità. Scegliendo la vita per noi, possiamo trasmetterla anche ai giovani. Voi ragazzi siete il futuro dell’Italia, e la vostra responsabilità è enorme”.
Importante presenza anche della comunità musulmana espressa dall’intervento di Izzedin Elzir per l’Unione delle Comunità Islamiche in Italia: “La situazione di conflitto armato non deve essere la normalità; deve diventare anormale. Dobbiamo creare un ambiente che permetta ai giovani di costruire fiducia e di superare la visione del nemico. Lo sport è uno strumento potente, ma deve essere utilizzato correttamente. Dobbiamo lavorare insieme, con grande sforzo, per realizzare progetti concreti. È fondamentale che chi è qui oggi lavori come una squadra”.
Grande partecipazione inoltre delle realtà socio-economiche del Friuli che hanno aderito come ha ricordato Piero Petrucco, vicepresidente reggente Confindustria Udine condividendo una proposta: “Sarebbe bello che, come rappresentanti del mondo del lavoro e delle imprese, cogliessimo da questa giornata l’opportunità di costruire un progetto concreto che suggelli una collaborazione con Rondine. Udine e Arezzo, in modo quasi casuale, si sono incrociate qui, e vorrei che questo incontro fosse solo l’inizio di qualcosa di solido e duraturo. Non deve esaurirsi in una giornata piacevole, ma rappresentare un punto di contatto anche per il futuro”.
Tra le varie sigle ed enti che hanno aderito Fondazione Friuli, Confartigianato Udine, CNA FVG, Legacoop FVG; CiGL FVG; CISL FVG; UR UIL FVG; CGIL Udine; CISL UD; PrimaCassa Credito Cooperativo FVG con il presidente Giuseppe Graffi Brunoro; Inoltre preziosa la presenza del Rettore dell’Università di Udine, Roberto Pinton e di Chiara Tempo, in rappresentanza del Liceo Percoto di Udine che già da anni ha avviato nell’Istituto una Sezione Rondine adottando il Metodo della Cittadella della Pace e formare gli studenti alla trasformazione del conflitto.
Infine Rappresentanti della Chiesa Evangelica Metodista di Udine, della Chiesa Serbo Ortodossa, (parrocchia di San Stefano Nuovo a Udine), del Patriarcato ortodosso di Costantinopoli, del COREIS – Comunità Religiosa Islamica Italiana. Presenti inoltre Giovanni Galli, da tempo vicino alla Cittadella e il vescovo Andrea Migliavacca che ha dato il benvenuto nella Diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro.
L’incontro è stata l’occasione per ribadire il valore dello sport e dell’educazione come strumenti di coesione sociale e motori di cambiamento e per progettare insieme azioni concrete per la costruzione di un mondo in cui la comprensione e la convivenza pacifica prevalgano su ogni forma di conflitto armato.
(Foto: Rondine – Cittadella della Pace)
Il significato della diversità delle religioni

Nel recente viaggio a Singapore il Santo Padre ha rivolto ai giovani le seguenti parole: «Tutte le religioni sono percorsi per raggiungere Dio. Esse sono, per fare un paragone, come differenti linguaggi, differenti dialetti, per arrivare a quell’obiettivo. Ma Dio è Dio per tutti. Se tu incominci a combattere sostenendo ‘la mia religione è più importante della tua, la mia è vera e la tua non lo è, dove ci porterà tutto ciò? C’è un solo Dio, e ognuno di noi possiede un linguaggio per arrivare a Dio. Alcuni sono sikh, musulmani, hindu, cristiani: sono diverse vie che portano a Dio».
Il Papa non entra qui nella questione di chi ha ragione e di chi ha torto; non pone la questione di distinguere la verità dall’errore; non dice che tutte le religioni posseggono ugualmente, parimenti e sufficientemente lo stesso patrimonio o la medesima pienezza delle verità salvifiche e che sono tutte prive di errori; non suppone una concezione relativistica della verità, per cui è vero ciò che a ciascuno pare vero; non afferma che ognuno è libero di credere quello che vuole o preferisce, senza esser vincolato in coscienza da una verità universale ed oggettiva; non confonde la fede con l’opinione soggettiva;
non afferma che esiste una pluralità di fedi come esiste una molteplicità di opinioni; non nega che la verità è una sola e che la fede è una sola, quella cattolica, come la Chiesa e la fede stessa insegnano; non nega il dovere di illuminare o istruire il fratello che non conosce una certa verità religiosa; non nega il dovere di respingere o confutare le falsità in campo religioso; non nega il dovere di correggere il fratello errante in campo religioso. Non nega il dovere di persuadere il fratello a colmare lacune e ad abbracciare la pienezza della verità, che si trova soltanto nella religione cattolica.
Il suo è un richiamo a tutti i gruppi e comunità religiosi, quale che sia la loro religione, a convergere verso Dio. Chiaramente fa appello alle religioni monoteistiche, per cui possiamo pensare a cristiani, ebrei e musulmani e forse anche buddisti ed induisti. Fa appello ad una testimonianza comune nei confronti di atei, panteisti, agnostici, politeisti, idolatri.
Il paragone che il Papa fa della diversità delle religioni con la varietà delle lingue non ha nulla a che vedere con l’indifferentismo e il relativismo, né intende negare – cosa impensabile – che per salvarsi occorre seguire Cristo. Non intende affatto dire che Cristo sia una via verso Dio tra le altre, alla pari di altre, sicchè uno sarebbe libero di scegliere quella che preferisce certo comunque di salvarsi ed arrivare a Dio.
Il Papa, come Vicario di Cristo, sa benissimo e ci insegna che Cristo non è una via, ma la Via. E le altre vie che cosa valgono? Sono anch’esse vie, ma vie semplicemente umane, che quindi partecipano non senza difetti, di quella via unica divina che è Cristo. Tuttavia, chi, senza conoscere Cristo, in buona fede, segue la propria religione, si salva comunque di fatto sempre in Cristo, ma senza saperlo.
La varietà si riferisce piuttosto alla via personale di ciascuno di noi verso Dio, nonchè alla varietà dei miti, dei simboli, delle espressioni linguistiche, letterarie, storiche, sociologiche, culturali, artistiche e spirituali delle varie religioni. Qui è possibile una molteplicità di tendenze, dove invece non è possibile nel campo della fede, che non è opinione ma verità e la verità è una sola.
Il Papa porta Singapore ad esempio di pratica e di rispetto del diritto alla libertà religiosa. È evidente il richiamo implicito a quei Paesi islamici integristi, dove il rispetto di questo diritto è disatteso o problematico, affinchè imitino i costumi di questo Paese, imitino i fedeli musulmani ivi residenti ed apprezzino come i musulmani di Singapore sanno rispettare i fedeli di altre religioni.
Il Papa non nega il primato del cristianesimo: sarebbe impensabile una simile eresia in un Papa. Non intende assolutamente negare l’unicità ed universalità della mediazione di Cristo Salvatore dell’umanità e che chi si salva, si salva per i meriti divini di Cristo, lo sappia e non lo sappia, quale che sia la religione alla quale appartiene.
Il Papa semplicemente si riferisce al fatto che la mediazione divina, perfetta ed insuperabile di Cristo, come insegna il Concilio Vaticano II, «non esclude, ma suscita nelle creature una varia cooperazione», cioè le varie religioni, «che è partecipazione dell’unica fonte». Sarebbe assurdo o ridicolo pensare che quanto hanno fatto o detto per la salvezza dell’uomo il Budda, Maometto o i Veda dell’induismo, opere semplicemente umane, si ponga allo stesso livello dell’opera divina di Cristo, o valga tanto quanto ha fatto e detto Cristo e magari anche lo completa.
Osserviamo d’altra parte che può essere di pari valore ciò che fa per la salvezza un cristiano o il fedele di un’altra religione, dato che sono tutti fallibili e limitate creature umane, ed anzi non è escluso che un cristiano possa essere privo della grazia e invece può possederla senza saperlo un non-cristiano onesto e in buona fede. Ma ciò non ha niente a che vedere col confronto fra le religioni in se stesse. Il cristiano non è il cristianesimo, il buddista non è il buddismo e l’islamico non è l’islam e così via.
E San Giovanni Paolo II spiega le parole del Concilio in questo modo: «Se non sono escluse mediazioni partecipate di vario tipo ed ordine», cioè le altre religioni, «esse tuttavia attingono significato e valore unicamente da quella di Cristo e non possono essere intese come parallele e complementari».
Semplicemente Papa Francesco condanna certi atteggianti altezzosi, aggressivi, boriosi e bullistici di superiorità che potrebbero trovarsi anche in certi cattolici, atteggiamenti controproducenti, i quali, umiliando il fratello, sono tali da suscitare una più forte ripugnanza ad avvicinarsi al cristianesimo. Tali atteggiamenti, come fa notare il Papa, ben lungi dall’avvicinare cattolici e non cattolici, dal trasmettere la pace e da creare la pace, suscitano litigi e vane competizioni.
Il Papa non intende escludere dispute e discussioni, condotte secondo le buone regole da osservarsi in questi casi, giacchè il dialogo comporta anche questi aspetti: l’interlocutore deve essere persuaso con carità, garbo, spirito di servizio, prudenza e pazienza, con una sapiente opera di inculturazione proporzionata alle sue capacità di comprensione, senza fretta ma producendo prove e portando esempi adatti, imitabili, attraenti ed efficaci, ragionando con argomenti stringenti e convincenti.
Il modo giusto per far apprezzare all’evangelizzando il primato del cristianesimo è quello di mostrargli la qualità altissima delle virtù da esso predicate e praticate, i primati del cristianesimo nella storia della civiltà, come esso soddisfi le più alte esigenze dell’uomo e delle altre religioni, come sia privo di quei difetti che si riscontrano nelle altre religioni, come il cristianesimo rappresenti per lui il massimo delle sue aspirazioni non solo con le parole, ma adducendo gli esempi dei Santi.
Queste cose la Chiesa le ha sempre insegnate e praticate in forza della fede in Cristo come unico Salvatore dell’umanità e obbedendo al suo comando di annunciare il Vangelo a tutto il mondo, un mandato che, nella misura in cui è stato messo in pratica, ha avuto l’effetto di convertire i popoli a Cristo e di espandere e far crescere numericamente la Chiesa in tutto il mondo. Leggiamo per esempio queste dichiarazioni del Concilio Vaticano II:
«La Chiesa cattolica annuncia ed è tenuta ad annunziare incessantemente Cristo, che è «la via, la verità e la vita» (Gv 14,6), in cui gli uomini trovano la pienezza della vita religiosa e in cui Dio ha riconciliato a Sé tutte le cose» (Nostra aetate,2).
«Solo per mezzo della cattolica Chiesa di Cristo, che è lo strumento generale della salvezza, si può ottenere tutta la pienezza dei mezzi di salvezza. In realtà al solo collegio apostolico con a Capo Pietro crediamo che il Signore ha affidato tutti i beni della Nuova Alleanza, per costituire l’unico corpo di Cristo sulla terra, al quale bisogna che siano pienamente incorporati tutti quelli che già in qualche modo appartengono al Popolo di Dio» (Unitatis redintegratio, 3).
Il che vuol dire che se tale piena appartenenza manca volontariamente e quindi colpevolmente, il non-cattolico, eretico o scismatico non si può salvare. Se invece tale pienezza manca per ignoranza invincibile della sua necessità, allora pensa Dio stesso ad aggregare pienamente il soggetto alla Chiesa affinchè possa salvarsi.
Questi insegnamenti, andando indietro nel tempo, li ritroviamo per esempio nel Concilio di Firenze del 1442: «Sacrosancta Romana Ecclesia firmiter credit, profitetur et praedicat extra Ecclesiam existentes vita aeternae non posse esse participes» (Denz. 1351).
La novità introdotta dal Concilio è quella della distinzione fra appartenenza parziale, propria dei cristiani non cattolici e quella piena, propria dei cattolici. La salvezza dei non cattolici è possibile per coloro che in buona fede non sanno che la salvezza si ottiene per mezzo della Chiesa cattolica.
Costoro si possono implicitamente ma realmente considerare appartenenti alla Chiesa cattolica in forza dell’insegnamento del Beato Pio IX nell’enciclica Quanto conficiamur moerore del 1863, il quale parla di un’appartenenza salvifica implicita ed inconscia ma reale alla Chiesa, di «coloro che patiscono un’ignoranza invincibile della nostra santissima religione» (Denz.2866).
Nessun relativismo. Due proposizioni di fede non possono essere simultaneamente vere se si contraddicono fra di loro.
Se il Filioque è verità di fede, non può essere nello stesso tempo eresia. Se è vero che il Vescovo di Roma ha il primato di giurisdizione su tutte le altre Chiese locali, non può esser vero ad un tempo che il Patriarcato di Costantinopoli o di Mosca sia canonicamente indipendente dal Vescovo di Roma. Se è verità di fede che la Madonna è Immacolata o Assunta in cielo, non può trattarsi simultaneamente di una semplice discutibile opinione teologica.
Se è vero che la ragione armonizza con la fede, non può esser vero che fede e ragione si oppongono a vicenda; se è vero che credere in Dio è ragionevole, il credere in Dio non può essere un’assurdità; se si dimostra con la ragione che Dio esiste, è falso dire che sappiamo che esiste solo per fede; se è vero che la natura umana decaduta è ferita, non può esser vero che è totalmente corrotta; se è vero che è possibile osservare i comandamenti non può esser vero che è impossibile; se è vero che dobbiamo meritare il paradiso, non può essere altrettanto vero che andiamo in paradiso senza meriti; se è vero che il peccato è perdonato a chi si pente, non può esser vero che siamo perdonati anche senza pentirci; se è vero che la Messa è un sacrificio, non può esser vero che la Messa non è un sacrificio; se è vero che Cristo ha espiato e soddisfatto per noi, non può esser vero il contrario.
Se è vero che Cristo è Dio non può essere altrettanto vero che Cristo non è Dio; se è vero che Dio è Trino, non può essere vero che Dio non è Trino; se è vero che Dio dona all’uomo la sua grazia come a figlio di Dio, non può esser vero che non esiste alcuna grazia e alcuna figliolanza divina; se è vero che siamo figli di Dio e fratelli in Cristo, chi nega ciò non può essere nella verità.
Se è vero che l’anima non è Dio, non può essere altrettanto vero che l’anima è Dio; se è vero che il male non viene da Dio, non può esser altrettanto vero che il male viene da Dio; se è vero che Dio ha creato il mondo, non può esser altrettanto vero che il mondo è l’apparire di Dio; se è vero che esiste la risurrezione del corpo, non può esser giusto negare la risurrezione del corpo; se è vero che la reincarnazione non esiste, non può esser giusto affermare la reincarnazione.
Nel dialogo interreligioso ci si impone sì il rispetto delle diversità, e su ciò il Papa insiste molto, quello che è stato chiamato il principio dell’«et-et», espressione pratica della nozione metafisica dell’analogia dell’essere.
Il dialogo interreligioso però non può limitarsi ad un semplice scambio di idee, a un confronto di opinioni o ad un apprezzamento delle diversità con un arricchimento reciproco, ma ha in fin dei conti lo scopo di appurare chi ha ragione e chi sbaglia, per correggere l’errore e far trionfare la verità.
Ma ci si impone anche e innanzitutto il rispetto del principio del terzo escluso, il cosiddetto principio dell’«aut-aut», «o sì o no», come lo chiama Cristo (Mt 5,37), basato a sua volta sul principio di non-contraddizione, che è la legge fondamentale della verità, della sensatezza e della lealtà del pensiero. Il principio di non-contraddizione poi a sua volta è il riflesso nel pensiero e nel giudizio della percezione dell’essere reale, che costituisce il principio di identità, per il quale ogni ente è ciò che è e non altro da sé.
Per questo è pura stoltezza e insensatezza e autoconfutazione, come alcuni improvvidi o furbi fanno, rifiutare l’aut-aut in nome dell’et-et, col pretesto che altrimenti non si avrebbe il rispetto dell’altro o del pluralismo. Succede invece che si apre la porta alla doppiezza, all’opportunismo e all’ipocrisia.
Per le ragioni suddette il dialogo interreligioso ha il compito iniziale di evidenziare le convinzioni religiose di ragione, comuni a tutta la umanità, circa l’esistenza di Dio, ente supremo, causa prima dell’universo e dell’uomo, principio della legge morale secondo la quale l’uomo deve render conto a Dio del proprio operato.
E certamente è importante mettere in luce le legittime diversità, che costituiscono un arricchimento ed aiuto reciproco, sorgente di concordia e di collaborazione reciproca. Ma una volta creato l’accordo su questa base, occorre affrontare assieme a fondo con franchezza e fiducia, in un clima di reciproca carità, la questione dottrinale, ossia quella della verità.
È lo stesso dovere dell’umiltà davanti a Cristo Verità che obbliga noi cattolici, che, senz’alcun merito, abbiamo ricevuto in Cristo e nella Chiesa la pienezza della verità, a proporre ai fedeli delle altre religioni quella universale e piena verità salvifica, che a tutti deve stare a cuore, perchè non esistono patti di pace basati sull’equivoco o sulla menzogna.
Abbiamo pertanto, come autentici discepoli di Cristo, il dovere, alla luce di quella verità, che non è la nostra, ma quella del Vangelo, di riconoscere le verità delle quali i fedeli delle altre religioni sono già in possesso, e alla luce di questa verità liberare questi fratelli da ogni traccia di tenebra affinchè con noi camminino verso la Luce di Cristo.
(Tratto da padrecavalcoli.blogspot.com)
Dalle Olimpiadi parigine per un segnale inclusivo

“In occasione dei Giochi di Parigi, il progetto Holy Games ha mobilitato per quasi tre anni un gran numero di cattolici per condividere il fervore sportivo e popolare che circonda i Giochi di Parigi, questo magnifico evento organizzato dal nostro Paese. La scorsa settimana abbiamo avuto il piacere di organizzare la messa di apertura della Tregua Olimpica, alla presenza di numerose personalità religiose, politiche e sportive”.
Così inizia il comunicato dei vescovi francesi dopo l’inaugurazione a Parigi delle Olimpiadi con l’affermazione che lo sport contribuisce ad accrescere la fraternità: “Crediamo che i valori e i principi espressi e diffusi dallo sport e dall’olimpismo contribuiscano al bisogno di unità e fratellanza di cui il nostro mondo ha disperatamente bisogno, nel rispetto delle convinzioni di tutti, intorno allo sport che ci unisce e promuove la pace tra le nazioni e i cuori”.
Ed allora i vescovi chiedono le motivazioni per cui durante la manifestazione inaugurale si è manifestata l’intenzione di denigrare attraverso lo scherno la fede cattolica: “La cerimonia di apertura di ieri sera, organizzata dalla COJOP2024, ha offerto al mondo intero alcuni meravigliosi momenti di bellezza e gioia, ricchi di emozioni e universalmente acclamati. Purtroppo, la cerimonia ha incluso scene di scherno e derisione del cristianesimo, che deploriamo profondamente”.
Infatti i vescovi francesi hanno condannato irrevocabilmente la parodia del quadro dell’Ultima Cena di Leonardo da Vinci: “La cerimonia di apertura proposta dal Comitato organizzativo dei Giochi olimpici purtroppo prevedeva scene di derisione e di scherno del cristianesimo, che deploriamo profondamente. Pensiamo a tutti i cristiani di tutti i Continenti che sono rimasti feriti dall’eccesso e dalla provocazione di certe scene. Vogliamo che capiscano che la celebrazione olimpica va ben oltre i pregiudizi ideologici di alcuni artisti”.
Questo scherno è stato rilevato con condanna anche da membri di altre confessioni religiose, che hanno manifestato il disagio dinnanzi a tale manifestazione di apertura davanti a tanti capi di Stato, che è stata ‘ideologica’: “Ringraziamo i membri di altre confessioni religiose che ci hanno espresso la loro solidarietà. Questa mattina pensiamo a tutti i cristiani di ogni continente che sono stati feriti dall’oltraggio e dalla provocazione di certe scene.
Vogliamo che capiscano che la celebrazione olimpica va ben oltre i pregiudizi ideologici di alcuni artisti. Lo sport è una meravigliosa attività umana che delizia profondamente i cuori degli atleti e degli spettatori. L’olimpismo è un movimento al servizio di questa realtà di unità e fraternità umana. E’ ora di scendere in campo, che questo possa portare verità, consolazione e gioia a tutti!”
Ed a due giorni dalla performance inaugurale è intervenuto l’account ufficiale dei Giochi Olimpici di Parigi, che, scusandosi per l’equivoco, ha chiarito il significato della scena: “L’interpretazione del dio greco Dioniso ci fa capire l’assurdità della violenza tra esseri umani…
L’idea era quella di creare un grande banchetto pagano legato agli dei dell’Olimpo. Non troverete mai in me o nel mio lavoro il desiderio di deridere o denigrare qualcuno. Volevamo fare una cerimonia che riparasse e riconciliasse”.
Mentre Anne Descamps, direttrice esecutiva delle comunicazioni di Parigi 2024, ha detto che “non c’è mai stata l’intenzione di mostrare mancanza di rispetto verso alcun gruppo religioso e se le persone si sono offese in qualche modo, siamo, ovviamente, davvero, molto dispiaciuti.
Se non bastasse la presenza del dio del vino Bacco (per i greci appunto Dionisio), a richiamare il soggetto mitologico e pagano secondo la tradizione rinascimentale e barocca, non proprio (o non solo quantomeno) l’iconografia cattolica dell’Ultima Cena di Gesù con gli apostoli, bisogna notare almeno un altro dettaglio: nell’Ultima Cena gli apostoli sono ovviamente 12, mentre qui le figure che compongono la scena sono 16”.
Infatti la sequenza potrebbe essere stata ispirata dal dipinto ‘Le Festin des dieux’, di Jan Harmensz van Bijlert, artista del Seicento, che raffigura un banchetto degli dei sull’Olimpo, in occasione del matrimonio di Teti e Peleo, come ha spiegato Thomas Jolly, ideatore della cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Parigi: “Non volevo essere sovversivo, né choccare nessuno. Semplicemente, in Francia abbiamo il diritto di amarci, come vogliamo e con chi vogliamo…
Abbiamo il diritto di credere o di non credere. Abbiamo messo in scena semplicemente le idee repubblicane, di benevolenza e di inclusione… Non era l’Ultima Cena la mia ispirazione. Credo fosse abbastanza chiaro che si trattava di Dioniso che arriva a tavola, è il dio della Festa, del vino e padre di Sequana, la dea legata al fiume”.
Di fronte a tali equivoci non resta che chiudere con le parole del messaggio di papa Francesco all’arcivescovo di Parigi, mons. Laurent Ulrich: “Auspico dunque che le Olimpiadi di Parigi siano per tutti coloro che verranno da tutti i Paesi del mondo un’occasione da non perdere per scoprirsi e apprezzarsi, per abbattere i pregiudizi, per far nascere la stima là dove ci sono il disprezzo e la diffidenza, l’amicizia là dove c’è l’odio. I Giochi Olimpici sono, per natura, portatori di pace e non di guerra”.
Papa Francesco alle congregazioni: la diversità è armonia

Stamattina papa Francesco ha incontrato i partecipanti ai capitoli generali dei Figli della Carità ‘Canossiani’ e dei ‘Fratelli di San Gabriele’, ricordando che sono eventi ‘fondamentali’ per ogni congregazione religiosa, perché sono ‘momenti di grazia’, come è espresso nella costituzione pastorale ‘Gaudium et Spes’:
“Soprattutto ad essi è affidata la tutela del patrimonio di intenzioni e di progetti che lo Spirito ha ispirato ai vostri Fondatori, e di tutto il bene che ne è scaturito. Si tratta dunque di momenti di grazia (un Capitolo è un momento di grazia), da vivere prima di tutto nella docilità all’azione dello Spirito Santo, facendo memoria grata del passato, ponendo attenzione al presente (nell’ascolto reciproco e nella lettura dei segni dei tempi) e guardando con cuore aperto e fiducioso al futuro, per una verifica e un rinnovamento personale e comunitario. Passato, presente e futuro entrano in un Capitolo, per ricordare, per valutare e per andare avanti nello sviluppo della Congregazione”.
Ai canossiani ha ricordato lo ‘spirito’ fondante della congregazione, grazie all’intuizione di una donna: “Cari amici Canossiani, è molto bello vedervi qui, uomini impegnati a seguire Cristo più da vicino sulle orme di una donna, Maddalena di Canossa, di cui ricorrono i duecentocinquant’anni dalla nascita. Questa Santa coraggiosa, in un mondo non meno difficile del nostro, si propose di ‘far conoscere e amare Gesù, che non è amato perché non è conosciuto’.
E voi, che volete continuare la sua opera missionaria, avete scelto come tema per i vostri lavori questa frase: “Chi non arde non incendia’. A me dà tristezza quando vedo religiosi che sembrano più vigili del fuoco che uomini e donne con ardore per incendiare”.
E’ un invito alla testimonianza: “E lo fate in una famiglia che, in oltre due secoli di storia, si è arricchita di tanti doni: presente in sette Paesi e composta da membri di dieci diverse nazionalità, sorretta dalla comunione e dalla collaborazione con le sorelle Canossiane e con una realtà laicale sempre più attiva e coinvolta”.
Inoltre ha sottolineato l’importanza dei laici per affrontare le ‘sfide’ nel mondo: “E’ importante questo, avere i laici coinvolti nella spiritualità di un istituto e che collaborano nel suo lavoro apostolico. Certo, si tratta di un’eredità che porta con sé anche delle sfide, ma santa Maddalena vi ha mostrato come si superano le difficoltà: con gli occhi rivolti al Crocifisso e le braccia aperte verso gli ultimi, i piccoli, i poveri e gli ammalati, per curare, educare e servire i fratelli con gioia e semplicità.
Quando il cammino si fa difficile, allora, fate come lei: guardate Gesù Crocifisso e guardate gli occhi e le piaghe dei poveri, e vedrete che lentamente le risposte si faranno strada nei vostri cuori con sempre maggiore chiarezza”.
Mentre alla congregazione dei ‘Fratelli di san Gabriele’ ha ricordato il particolare carisma dato dai fondatori: “Come ci hanno insegnato anche san Luigi Maria Grignion de Montfort e padre Gabriele Deshayes, alla cui opera si deve la fondazione dei Fratelli di San Gabriele, voi pure, cari fratelli, siete impegnati in questi giorni a discernere la volontà di Dio per il vostro cammino, in prossimità di un importante anniversario: trecentocinquant’anni dalla nascita di San Luigi Maria.
La vostra famiglia, nata da un piccolo gruppo di collaboratori laici del grande predicatore, oggi conta più di mille religiosi, impegnati nell’assistenza pastorale, nella promozione umana e sociale e nell’educazione, specialmente in favore dei ciechi e dei sordomuti, in trentaquattro Paesi diversi”.
Ed ha sottolineato il particolare tema del capitolo di questa congregazione sull’ascolto e sull’azione: “Per mantenere viva la vostra presenza, che è una presenza profetica, avete scelto di riflettere sul tema ‘Ascoltare e agire con coraggio’. ‘Coraggio’: quella parresia apostolica, il coraggio che noi leggiamo, per esempio, nel Libro degli Atti degli Apostoli. Quel coraggio. E’ lo Spirito a darci quel coraggio, e noi dobbiamo chiederlo”.
Infine il papa ha sottolineato la ricchezza di consacrati provenienti da molte nazioni: “Anche a voi, poi, la Provvidenza ha donato la ricchezza di una variegata internazionalità: essa farà tanto bene alla vostra crescita e al vostro apostolato, se la saprete vivere accogliendo e condividendo costruttivamente, tra voi e con tutti, le diversità.
Questo è un messaggio importante, specialmente nel nostro mondo, spesso diviso da egoismi e particolarismi: le diversità sono doni da condividere, le diversità sono doni preziosi! Siate profeti di questo, con la vostra vita. E Colui che fa l’armonia fra le diversità è lo Spirito Santo, che è il maestro dell’armonia. L’uniformità in un istituto religioso, in una diocesi, in un gruppo laicale, uccide! La diversità in armonia fa crescere. Non dimenticatevi di questo. Diversità in armonia”.
Sempre in mattinata la Santa Sede ha comunicato il programma ufficiale di quella che il Papa svolgerà a Verona sabato 18 maggio con partenza in elicottero dal Vaticano alle ore 6,30 per atterrare a Verona alle ore 8.00. Il primo impegno mezz’ora dopo nella Basilica di San Zeno il papa incontrerà sacerdoti e consacrati. E di seguito in piazza San Zeno saluterà bambini e giovani veronesi.
Poi all’Arena il papa presiederà l’incontro ‘Arena di Pace – Giustizia e Pace si baceranno’ e risponderà ad alcune domande; alle ore 11,45 presso il Carcere di Montorio papa Francesco rivolgerà un discorso a detenuti, volontari ed agenti penitenziari. La visita sarà conclusa alle ore 15 dalla celebrazione eucaristica allo stadio Bentegodi.
(Foto: Santa Sede)
Papa Benedetto XVI e Papa Francesco nel racconto di una biblista

Molto diversi tra loro per stili e modi di comunicazione eppure con numerosi punti di contatto; così li descrive la biblista Rosanna Virgili, docente di Esegesi all’Istituto Teologico Marchigiano e di Spiritualità dei Salmi al Monastero di Santa Cecilia a Roma, nel libro ‘Benedetto e Francesco. Due papi diversi, ma mai divisi’, tratteggiando le linee fondamentali dei papi Benedetto e Francesco, cercando di cogliere le peculiarità e le differenze che li caratterizzano, ma anche di riconoscere i diversi elementi di continuità e comunione da cui sono legati, come ha scritto nell’introduzione;
“La ragione di questo piccolo libro sta in un ringraziamento per gli ultimi due Papi, l’uno ora in cielo e l’altro qui. Sono rimasti insieme per dieci anni ed è stata un’esperienza inedita su cui la Chiesa deve ancora riflettere… Qualcuno ha detto che, a differenza di Giovanni Paolo II, sia Benedetto che Francesco sono stati dei Papi divisivi. Credo che la prima ragione sia da individuare nel fatto che essi vengono dopo ventisette anni di un Pontificato dai colori affatto sfumati…
Di questi due volti, in apparenza antitetici, di Giovanni Paolo II, si può dire, istintivamente, che Ratzinger assume il primo, Bergoglio il secondo. Per questo i due risultano ancora per molti, cattolici e non cattolici, divisivi. Ed in effetti lo sono stati: divisivi, non però divisi, estranei l’uno all’altro, contrapposti, se non allo sguardo dei superficiali o di chi sia tentato dalla malafede”.
A lei chiediamo di spiegarci quali sono le diversità tra papa Francesco e papa Benedetto XVI: “Con un titolo, direi che l’uno è teologo e l’altro pastore. La prima caratteristica di papa Ratzinger non poteva non essere che quella di un papa teologo e nessuno potrebbe davvero mettere in dubbio l’immensità della sua cultura, in questo campo, unita alla sistematicità del suo pensiero e alle rare doti di chiarezza ed efficacia nell’esercizio della docenza.
Grande ricercatore della Verità e dottore della dottrina della Chiesa, i temi del suo pontificato sono, innanzitutto, teologici. Papa Francesco usa, invece, sin dal primo momento della sua elezione (il famoso: ‘buonasera’) un linguaggio popolare, sapienziale di rara efficacia comunicativa. Non rinuncia a questo modo di esprimersi neppure quando stila i suoi scritti dogmatici come le esortazioni apostoliche e le encicliche mostrando un primario interesse pastorale nel suo magistero”.
Per quale motivo sono stati messi in contrapposizione?
“Credo proprio per questa diversità di linguaggio. In secondo luogo credo che il fatto che in maniera del tutto inusuale nella storia della Chiesa Cattolica un papa si fosse dimesso e continuasse, pertanto, a vivere accanto al nuovo, ha creato un certo disorientamento tra gente abituata a pensare al papa come vicario di Cristo e, quindi, come una persona unica che poteva avere solo un successore ma non un ‘doppio’.
Non è stato facile capire la differenza tra papa regnante e papa emerito e l’enorme distanza culturale tra i due, l’uno europeo e tedesco, l’altro latinoamericano, l’uno ‘dottore’ della Chiesa, occupato in questioni dottrinali (era stato prefetto della Congregazione per la dottrina della fede per decenni), l’altro gesuita, pastore e vescovo di una megalopoli sudamericana dove le differenze e le ingiustizie sociali ed economiche sono foriere di una povertà estremamente diffusa e scandalosa”.
Quali sono stati i punti ‘teologici’ di contatto tra i due papi?
“Tutti quelli posti dal Concilio Vaticano II. Chi avesse visto in papa Benedetto XVI un papa pre-conciliare od, addirittura, tridentino, dovrebbe convincersi di aver davvero travisato la sua storia e il suo pensiero. Capita, infatti, che spesso si memorizzino cose mai sentite o che si esprimano giudizi in modo distratto. Quanto a papa Francesco già con l’esortazione apostolica ‘Evangelii Gaudium’ mostra di porsi nell’orizzonte di un’evangelizzazione aperta al mondo e missionaria tipica del Concilio. La fedeltà alla Chiesa, il ‘sensus ecclesiae’, l’attenzione e la cura per l’unità della stessa appartengono in maniera speciale ad ambedue i papi”.
Come hanno affrontato la piaga degli abusi nella Chiesa?
“Il papa Ratzinger ha iniziato ancora prima della sua elezione a pontefice ad affrontare la piaga della pedofilia; famosa è la sua frase sul Vaticano: ‘c’è molta sporcizia’, forse alludendo anche all’omosessualità. Una volta papa ha condannato la pedofilia anche in grandi occasioni pubbliche come nella GMG di Sydney o nella visita di tributo al ‘Ground Zero’ di New York.
Papa Francesco, in alcuni documenti e discorsi, ha visto e denunciato una connessione tra pedofilia e clericalismo, invitando tutta la chiesa a combattere contro questa duplice piaga. Papa Francesco ha fatto gesti concreti contro l’insabbiamento degli abusi e gesti simbolici come quello di riunire a Roma abusatori e vittime, ha riunito una intera Conferenza episcopale (quella cilena) particolarmente toccata dagli abusi per discutere di questa terribile piaga”.
Quale ruolo della donna nella Chiesa nella visione dei due papi?
“Chi ha posto molta attenzione alla donna nella Chiesa è stato Francesco che, già nell’esortazione apostolica ‘Evangelii Gaudium’, ha parlato della necessità di aprire spazi alle donne nei luoghi dove si prendono le decisioni, vale a dire nei ruoli di governo. Ruoli che, poi, egli stesso ha dato a diverse donne che nelle istituzioni del Vaticano rivestono oggi anche dei ruoli apicali. Su invito del mondo religioso femminile papa Francesco ha poi dato vita a una Commissione che studia la possibilità di conferire il diaconato alle donne.
Di grande rilievo è ancora l’istituzione di ministeri laicali come quello del catechista aperto anche alle donne e dell’accolitato e il lettorato. Un vero grande passo a favore delle donne è stato fatto, infine, con la loro partecipazione al Sinodo dove le donne hanno potuto prendere tutte la parola. Riuniti attorno ai tavoli rotondi, nel numero dei dodici, in nessuno di essi mancava la presenza femminile. Quanto al Papa Ratzinger è importante ricordare la sua prossimità a papa Giovanni Paolo II, quando scriveva la lettera apostolica ‘Mulieris Dignitatem’”.
(Tratto da Aci Stampa)
Papa Francesco alla comunità nigeriana di Roma: la fede è ricchezza nella diversità

All’indomani della celebrazione della Domenica delle Palme, oggi papa Francesco ha ricevuto in udienza la comunità cattolica nigeriana di Roma, che ha compiuto 25 anni di presenza a Roma, che coincide con la solennità dell’Annunciazione:
“La data odierna, 25 marzo, coincide con una ricorrenza liturgica molto importante, cioè la Solennità dell’Annunciazione; quest’anno, però, a causa della Settimana Santa, l’Annunciazione viene spostata in un altro giorno. Queste due realtà, la prima che ci ricorda l’Incarnazione del Signore e l’altra che ci introduce nei misteri pasquali della salvezza, ci mostrano che il Verbo, che si è fatto carne e ha abitato in mezzo a noi, ha vissuto, è morto ed è risorto per realizzare la riconciliazione e la pace tra Dio e l’umanità. Egli ci ha donato la sua vita!”
Durante l’udienza il papa ha sottolineato tre parole, di cui la prima esprime la sua gratitudine: “Vi ringrazio per tutto ciò che avete fatto e continuate a fare testimoniando il gioioso messaggio del Vangelo. Mi unisco a voi anche nel ringraziare Dio Onnipotente per i numerosi giovani nigeriani che hanno ascoltato la chiamata del Signore al sacerdozio e alla vita consacrata e hanno risposto con generosità, umiltà e perseveranza.
Ce ne sono alcuni qui tra di voi, giovani sacerdoti e giovani suore. A ciascun seguace di Gesù, infatti, secondo la sua particolare vocazione, è affidata la responsabilità di servire Dio e il prossimo nell’amore, rendendo Cristo presente nella vita dei fratelli. Possiate essere sempre discepoli missionari, grati che il Signore vi abbia scelti per seguirlo e vi abbia inviato a proclamare con zelo la nostra fede e a contribuire alla costruzione di un mondo più giusto e umano”.
La seconda parola ha riguardato la ‘diversità’, che produce ricchezza culturale: “Su questo, vorrei dire che la diversità di etnie, tradizioni culturali e lingue nella vostra Nazione non costituisce un problema, ma è un dono che arricchisce il tessuto della Chiesa come quello dell’intera società, e consente di promuovere i valori della comprensione reciproca e della convivenza”.
Una ricchezza culturale che è accogliente: “Spero che la vostra comunità qui a Roma, nell’accogliere e accompagnare i fedeli nigeriani e gli altri credenti, assomigli sempre a una grande famiglia inclusiva, dove tutti possano mettere a frutto i propri talenti diversi, che sono frutti dello Spirito Santo, per sostenervi e rafforzarvi a vicenda nei momenti di gioia e di dolore, di successo e di difficoltà. In questo modo, sarete in grado di seminare i semi dell’amicizia sociale e della concordia per le generazioni presenti e future”.
E’ stato un invito ad evitare il pericolo della chiusura: “E state attenti a un pericolo, il pericolo della chiusura: non essere universali ma chiudersi in un isolamento, mi permetto la parola, tribale. No. Le vostre radici si chiudono, si isolano in questo atteggiamento tribale e non universale, non comunitario. Comunità sì, tribù no. Questo è molto importante. E vale per tutti noi, per tutti, ognuno secondo la sua posizione. L’universalità è non chiudersi nella propria cultura. E’ vero, la propria cultura è un dono, ma non per chiuderlo: per darlo, per offrirlo. Universale, universalità”.
Ed infine la necessità del dialogo: “Purtroppo, molte regioni del mondo stanno attraversando conflitti e sofferenze e anche la Nigeria sta vivendo un periodo di difficoltà. Nell’assicurarvi la mia preghiera per la sicurezza, l’unità e il progresso spirituale ed economico della vostra Nazione, invito tutti a favorire il dialogo e ad ascoltarsi a vicenda con cuore aperto, senza escludere nessuno a livello politico, sociale e religioso”.
Il dialogo nasce se si conosce la propria identità: “Integrare, dialogare, universalizzare, sempre a partire dalla propria identità. Allo stesso tempo, vi incoraggio ad essere annunciatori della grande misericordia del Signore, operando per la riconciliazione tra tutti i vostri fratelli e sorelle, contribuendo ad alleviare il peso dei poveri e dei più bisognosi e facendo vostro lo stile di Dio. E qual è lo stile di Dio? Vicinanza, compassione e tenerezza. Non dimenticatevi questo. Lo stile di Dio è vicinanza, compassione e tenerezza. In questo modo tutti i nigeriani potranno continuare a camminare insieme nella solidarietà fraterna e nell’armonia”.
Inoltre il papa ha inviato ai giovani ha inviato un messaggio nel quinto anniversario dell’esortazione apostolica post-sinodale ‘Christus vivit’, ricordando i 40 anni del primo raduno dei giovani in piazza san Pietro: “Il prossimo 14 aprile ricorderemo i 40 anni dal primo grande raduno dei giovani che, nel contesto dell’Anno Santo della Redenzione, fu il germoglio delle future Giornate Mondiali della Gioventù.
Alla fine di quell’anno giubilare, nel 1984, san Giovanni Paolo II consegnò la Croce ai giovani con la missione di portarla in tutto il mondo come segno e ricordo che solo in Gesù morto e risorto c’è salvezza e redenzione… E voi Gesù contemplatelo così: vivo e traboccante di gioia, vincitore della morte, amico che vi ama e vuole vivere in voi”.
Per il papa tale esortazione è stata frutto di una Chiesa sinodale: “L’Esortazione ‘Christus vivit’ è frutto di una Chiesa che vuole camminare insieme e che perciò si mette in ascolto, in dialogo e in costante discernimento della volontà del Signore. Per questo, più di cinque anni fa, in vista del Sinodo sui giovani, a tanti di voi, di varie parti del mondo, è stato chiesto di condividere le proprie attese e i propri desideri…. E’ stato un vero ‘esperimento sinodale’, che ha portato molti frutti e che ha preparato la strada anche per un nuovo Sinodo, quello che stiamo vivendo adesso, in questi anni, proprio sulla sinodalità”.
(Foto: Santa Sede)
Papa Francesco: la diversità è una ricchezza per la pace

Pur se ancora afono, papa Francesco ha ricevuto in udienza i partecipanti all’incontro promosso dalle Pontificie Accademie delle Scienze e delle Scienze Sociali sul tema ‘Indigenous Peoples Knowledge and the Sciences. Combining knowledge and science on vulnerabilities and solutions for resilience’ con particolare attenzione alle popolazioni indigene dell’America Latina, lanciando la proposta del dialogo con le conoscenze dei popoli indigeni come una via per una risoluzione non violenta dei conflitti, ma anche come contrasto alle nuove forme di schiavitù e alla povertà:
“Ricordo che anche l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (la FAO), tre anni fa, ha organizzato giornate di studio sui sistemi alimentari indigeni. Ne è nata una Piattaforma che riunisce scienziati indigeni e non indigeni, studiosi ed esperti, per stabilire un dialogo volto a garantire la salvaguardia dei sistemi alimentari delle popolazioni originarie.
Anche in continuità con quell’esperienza, accolgo con apprezzamento la vostra iniziativa che porta avanti tale ricerca. Direi anzitutto che questa è un’opportunità per crescere nell’ascolto reciproco: ascoltare le popolazioni indigene, per imparare dalla loro sapienza e dal loro stile di vita, e nello stesso tempo ascoltare gli scienziati, per imparare dai loro studi”.
E’ un’occasione per riconoscere che le ‘diversità’ sono una ricchezza: “Inoltre, questo seminario di studio lancia un messaggio ai governi e alle organizzazioni internazionali, perché riconoscano e rispettino la ricchezza della diversità all’interno della grande famiglia umana. Nel tessuto dell’umanità ci sono culture, tradizioni, spiritualità, lingue differenti che hanno bisogno di essere protette, perché la loro perdita costituirebbe per tutti noi un impoverimento della conoscenza, dell’identità, della memoria.
Per questo è necessario che i progetti di ricerca scientifica, e dunque gli investimenti, siano orientati sempre più decisamente alla promozione della fratellanza umana, della giustizia e della pace, così che le risorse possano essere destinate in modo coordinato a rispondere alle sfide urgenti che interessano la casa comune e la famiglia dei popoli”.
Però occorre una visione ‘alternativa’: “Ci rendiamo conto che, per realizzare tale obiettivo, si richiede una conversione, una visione alternativa a quella che oggi spinge il mondo sulla via di una crescente conflittualità. Incontri come il vostro vanno in questa direzione: infatti, il dialogo aperto tra i saperi originari e le scienze, tra le comunità di saggezza nativa e quelle scientifiche può contribuire ad affrontare in modo nuovo, più integrale e anche più efficace questioni cruciali come, ad esempio, quelle dell’acqua, del cambiamento climatico, della fame, della biodiversità. Questioni che, come ben sappiamo, sono tutte tra loro connesse”.
Questa visione di fraternità, proposta dal papa, è un antidoto alla guerra: “Grazie a Dio non mancano segnali positivi in tal senso, come l’inclusione da parte delle Nazioni Unite dei saperi indigeni quale componente centrale del Decennio Internazionale delle Scienze per lo Sviluppo Sostenibile. Un segno da promuovere e da sostenere, unendo insieme le forze.
Per questo, nel dialogo tra saperi indigeni e scienza, dobbiamo avere ben chiaro e tenere sempre presente che tutto questo patrimonio di conoscenze va utilizzato per imparare a superare i conflitti in modo non violento e a contrastare la povertà e le nuove forme di schiavitù. Dio, Creatore e Padre di tutti gli esseri umani e di tutto ciò che esiste, ci chiama oggi a vivere e a testimoniare la nostra vocazione alla fraternità universale, alla libertà, alla giustizia, al dialogo, all’incontro reciproco, all’amore e alla pace, evitando di alimentare l’odio, i rancori, le divisioni, la violenza e la guerra”.
In questo senso papa Francesco ha ribadito che l’umanità è custode e non padrona del creato, attraverso una conversione ecologica: “Dio ci ha fatto custodi e non padroni del pianeta: siamo chiamati tutti a una conversione ecologica, impegnati a salvare la nostra casa comune e a vivere una solidarietà intergenerazionale per salvaguardare la vita delle generazioni future, invece che dissipare le risorse e aumentare le disuguaglianze, lo sfruttamento e la distruzione… La Chiesa è con voi, alleata dei popoli indigeni e del loro sapere, e alleata della scienza per far crescere nel mondo la fraternità e l’amicizia sociale”.
Mentre ieri i vescovi italiani hanno ringraziato papa Francesco per gli 11 anni di pontificato: “Riforma è la conversione missionaria cui siamo tutti chiamati. Chiesa è la comunità dei discepoli missionari che vivono il Vangelo. Beatissimo Padre, ogni anniversario è occasione preziosa per testimoniare l’affetto verso le persone care, ma anche il momento in cui esprimere la propria gratitudine per i doni ricevuti nel tempo. Nel fare memoria di quel 13 marzo 2013 rinnoviamo dunque l’impegno ad annunciare il Vangelo in questa nostra storia. Siamo convinti che questo sia il regalo più bello che possiamo donarLe: ‘Evangelii gaudium’, la gioia del Vangelo”.
(Foto: Santa Sede)
Papa Francesco: l’ira è un vizio ‘tenebroso’

“Domani, in Italia, si celebra la Giornata Nazionale Vittime Civili di Guerra. Al ricordo orante per quanti sono deceduti nei due conflitti mondiali, associamo anche i tanti, troppi, civili, vittime inermi delle guerre che purtroppo insanguinano ancora il nostro pianeta, come accade in Medio Oriente e in Ucraina. Il loro grido di dolore possa toccare i cuori dei responsabili delle Nazioni e suscitare progetti di pace. Quando si leggono storie di questi giorni, nella guerra, c’è tanta crudeltà, tanta! Chiediamo al Signore la pace, che è sempre mite, non è crudele”.
Da Marsiglia storie di accoglienza

Dando il saluto a papa Francesco nella sessione conclusiva dei ‘Rencontres Méditeranneés’ l’arcivescovo di Marsiglia, card. Jean Marc Aveline aveva salutato papa Francesco ed il presidente della Repubblica francese, che insieme ai vescovi ed ai giovani provenienti dai Paesi del mar Mediterraneo partecipano all’incontro:
Cammino sinodale: la Chiesa diventa compagna di viaggio

‘C’è più di un modo di essere Chiesa’: così ha detto mons. Timothy John Costelloe, arcivescovo di Perth e presidente della Conferenza episcopale australiana, intervenuto alla conferenza stampa a conclusione della tappa continentale del Sinodo: “Stiamo sperimentando una profonda unità, che non è basata sull’uniformità ma ci invita ad abbandonare ogni ricerca di una rigida uniformità”.