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Il significato della diversità delle religioni

Nel recente viaggio a Singapore il Santo Padre ha rivolto ai giovani le seguenti parole: «Tutte le religioni sono percorsi per raggiungere Dio. Esse sono, per fare un paragone, come differenti linguaggi, differenti dialetti, per arrivare a quell’obiettivo. Ma Dio è Dio per tutti. Se tu incominci a combattere sostenendo ‘la mia religione è più importante della tua, la mia è vera e la tua non lo è, dove ci porterà tutto ciò? C’è un solo Dio, e ognuno di noi possiede un linguaggio per arrivare a Dio. Alcuni sono sikh, musulmani, hindu, cristiani: sono diverse vie che portano a Dio».

Il Papa non entra qui nella questione di chi ha ragione e di chi ha torto; non pone la questione di distinguere la verità dall’errore; non dice che tutte le religioni posseggono ugualmente, parimenti e sufficientemente lo stesso patrimonio o la medesima pienezza delle verità salvifiche e che sono tutte prive di errori; non suppone una concezione relativistica della verità, per cui è vero ciò che a ciascuno pare vero; non afferma che ognuno è libero di credere quello che vuole o preferisce, senza esser vincolato in coscienza da una verità universale ed oggettiva; non confonde la fede con l’opinione soggettiva;

non afferma che esiste una pluralità di fedi come esiste una molteplicità di opinioni; non nega che la verità è una sola e che la fede è una sola, quella cattolica, come la Chiesa e la fede stessa insegnano; non nega il dovere di illuminare o istruire il fratello che non conosce una certa verità religiosa; non nega il dovere di respingere o confutare le falsità in campo religioso; non nega il dovere di correggere il fratello errante in campo religioso. Non nega il dovere di persuadere il fratello a colmare lacune e ad abbracciare la pienezza della verità, che si trova soltanto nella religione cattolica.

Il suo è un richiamo a tutti i gruppi e comunità religiosi, quale che sia la loro religione, a convergere verso Dio. Chiaramente fa appello alle religioni monoteistiche, per cui possiamo pensare a cristiani, ebrei e musulmani e forse anche buddisti ed induisti. Fa appello ad una testimonianza comune nei confronti di atei, panteisti, agnostici, politeisti, idolatri.

Il paragone che il Papa fa della diversità delle religioni con la varietà delle lingue non ha nulla a che vedere con l’indifferentismo e il relativismo, né intende negare – cosa impensabile – che per salvarsi occorre seguire Cristo. Non intende affatto dire che Cristo sia una via verso Dio tra le altre, alla pari di altre, sicchè uno sarebbe libero di scegliere quella che preferisce certo comunque di salvarsi ed arrivare a Dio.

Il Papa, come Vicario di Cristo, sa benissimo e ci insegna che Cristo non è una via, ma la Via. E le altre vie che cosa valgono? Sono anch’esse vie, ma vie semplicemente umane, che quindi partecipano non senza difetti, di quella  via unica divina che è Cristo. Tuttavia, chi, senza conoscere Cristo, in buona fede, segue la propria religione, si salva comunque di fatto sempre in Cristo, ma senza saperlo.

La varietà si riferisce piuttosto alla via personale di ciascuno di noi verso Dio, nonchè alla varietà dei miti, dei simboli, delle espressioni linguistiche, letterarie, storiche, sociologiche, culturali, artistiche e spirituali delle varie religioni. Qui è possibile una molteplicità di tendenze, dove invece non è possibile nel campo della fede, che non è opinione ma verità e la verità è una sola.

Il Papa porta Singapore ad esempio di pratica e di rispetto del diritto alla libertà religiosa. È evidente il richiamo implicito a quei Paesi islamici integristi, dove il rispetto di questo diritto è disatteso o problematico, affinchè imitino i costumi di questo Paese, imitino i fedeli musulmani ivi residenti ed apprezzino come i musulmani di Singapore sanno rispettare i fedeli di altre religioni.

Il Papa non nega il primato del cristianesimo: sarebbe impensabile una simile eresia in un Papa. Non intende assolutamente negare l’unicità ed universalità della mediazione di Cristo Salvatore dell’umanità e che chi si salva, si salva per i meriti divini di Cristo, lo sappia e non lo sappia, quale che sia la religione alla quale appartiene.

Il Papa semplicemente si riferisce al fatto che la mediazione divina, perfetta ed insuperabile di Cristo, come insegna il Concilio Vaticano II, «non esclude, ma suscita nelle creature una varia cooperazione», cioè le varie religioni, «che è partecipazione dell’unica fonte». Sarebbe assurdo o ridicolo pensare che quanto hanno fatto o detto per la salvezza dell’uomo il Budda, Maometto o i Veda dell’induismo, opere semplicemente umane, si ponga allo stesso livello dell’opera divina di Cristo, o valga tanto quanto ha fatto e detto Cristo e magari anche lo completa.

Osserviamo d’altra parte che può essere di pari valore ciò che fa per la salvezza un cristiano o il fedele di un’altra religione, dato che sono tutti fallibili e limitate creature umane, ed anzi non è escluso che un cristiano  possa essere privo della grazia e invece può possederla senza saperlo un non-cristiano onesto e in buona fede. Ma ciò non ha niente a che vedere col confronto fra le religioni in se stesse. Il cristiano non è il cristianesimo, il buddista non è il buddismo e l’islamico non è l’islam e così via.

E San Giovanni Paolo II spiega le parole del Concilio in questo modo: «Se non sono escluse mediazioni partecipate di vario tipo ed ordine», cioè le altre religioni, «esse tuttavia attingono significato e valore unicamente da quella di Cristo e non possono essere intese come parallele e complementari».

Semplicemente Papa Francesco condanna certi atteggianti altezzosi, aggressivi, boriosi e bullistici di superiorità che potrebbero trovarsi anche in certi cattolici, atteggiamenti controproducenti, i quali, umiliando il fratello, sono tali da suscitare una più forte ripugnanza ad avvicinarsi al cristianesimo. Tali atteggiamenti, come fa notare il Papa, ben lungi dall’avvicinare cattolici e non cattolici, dal trasmettere la pace e da creare la pace, suscitano litigi e vane competizioni.

Il Papa non intende escludere dispute e discussioni, condotte secondo le buone regole da osservarsi in questi casi, giacchè il dialogo comporta anche questi aspetti: l’interlocutore deve essere persuaso con carità, garbo, spirito di servizio, prudenza e pazienza, con una sapiente opera di inculturazione proporzionata alle sue capacità di comprensione, senza fretta ma producendo prove e portando esempi adatti, imitabili, attraenti ed efficaci, ragionando con argomenti stringenti e convincenti.

Il modo giusto per far apprezzare all’evangelizzando il primato del cristianesimo è quello di mostrargli la qualità altissima delle virtù da esso predicate e  praticate, i primati del cristianesimo nella storia della civiltà, come esso soddisfi le più alte esigenze dell’uomo e delle altre religioni, come sia privo di quei difetti che si riscontrano nelle altre religioni, come il cristianesimo rappresenti per lui il massimo delle sue aspirazioni non solo con le parole, ma adducendo gli esempi dei Santi.

Queste cose la Chiesa le ha sempre insegnate e praticate in forza della fede in Cristo come unico Salvatore dell’umanità e obbedendo al suo comando di annunciare il Vangelo a tutto il mondo, un mandato che, nella misura in cui è stato messo in pratica, ha avuto l’effetto di convertire i popoli a Cristo e di espandere e  far crescere numericamente la Chiesa in tutto il mondo. Leggiamo per esempio queste dichiarazioni del Concilio Vaticano II:

 «La Chiesa cattolica annuncia ed è tenuta ad annunziare incessantemente Cristo, che è «la via, la verità e la vita» (Gv 14,6), in cui gli uomini trovano la pienezza della vita religiosa e in cui Dio ha riconciliato a Sé tutte le cose» (Nostra aetate,2).

«Solo per mezzo della cattolica Chiesa di Cristo, che è lo strumento generale della salvezza, si può ottenere tutta la pienezza dei mezzi di salvezza. In realtà al solo collegio apostolico con a Capo  Pietro crediamo che il Signore ha affidato tutti i beni della Nuova Alleanza, per costituire l’unico corpo di Cristo sulla terra, al quale bisogna che siano pienamente incorporati tutti quelli  che già in qualche modo appartengono al Popolo di Dio» (Unitatis redintegratio, 3).

Il che vuol dire che se tale piena appartenenza manca volontariamente e quindi colpevolmente, il non-cattolico, eretico o scismatico non si può salvare. Se invece tale pienezza manca per ignoranza invincibile della sua necessità, allora pensa Dio stesso ad aggregare pienamente il soggetto alla Chiesa affinchè possa salvarsi.

Questi insegnamenti, andando indietro nel tempo, li ritroviamo per esempio nel Concilio di Firenze del 1442: «Sacrosancta Romana Ecclesia firmiter credit, profitetur et praedicat extra Ecclesiam existentes vita aeternae non posse esse participes» (Denz. 1351).

La novità introdotta dal Concilio è quella della distinzione fra appartenenza parziale, propria dei cristiani non cattolici e quella piena, propria dei cattolici. La salvezza dei non cattolici è possibile per coloro che in buona fede non sanno che la salvezza si ottiene per mezzo della Chiesa cattolica.

Costoro si possono implicitamente ma realmente considerare appartenenti alla Chiesa cattolica in forza dell’insegnamento del Beato Pio IX nell’enciclica Quanto conficiamur moerore del 1863, il quale parla di un’appartenenza salvifica implicita ed inconscia ma reale alla Chiesa, di «coloro che patiscono un’ignoranza invincibile della nostra santissima religione» (Denz.2866).

Nessun relativismo. Due proposizioni di fede non possono essere simultaneamente vere se si contraddicono fra di loro.

Se il Filioque è verità di fede, non può essere nello stesso tempo eresia. Se è vero che il Vescovo di Roma ha il primato di giurisdizione su tutte le altre Chiese locali, non può esser vero ad un tempo che il Patriarcato di Costantinopoli o di Mosca sia canonicamente indipendente dal Vescovo di Roma. Se è verità di fede che la Madonna è Immacolata o Assunta in cielo, non può trattarsi simultaneamente di una semplice discutibile opinione teologica.

Se è vero che la ragione armonizza con la fede, non può esser vero che fede e ragione si oppongono a  vicenda; se è vero che credere in Dio è ragionevole, il credere in Dio non può essere un’assurdità; se si dimostra con la ragione che Dio esiste, è falso dire che sappiamo che esiste solo per fede; se è vero che la natura umana decaduta è ferita, non può esser vero che è totalmente corrotta; se è vero che è possibile osservare i comandamenti non può esser vero che è impossibile; se è vero che dobbiamo meritare il paradiso, non può essere altrettanto vero che andiamo in paradiso senza meriti; se è vero che il peccato è perdonato a chi si pente, non può esser vero  che siamo perdonati anche senza pentirci; se è vero che la Messa è un sacrificio, non può esser vero  che la Messa non è un sacrificio; se è vero che Cristo ha espiato e soddisfatto per noi, non può esser vero il contrario.

Se è vero che Cristo è Dio non può essere altrettanto vero che Cristo non è Dio; se è vero che Dio è Trino, non può essere vero che Dio non è Trino; se è vero che Dio dona all’uomo la sua grazia come a figlio di Dio, non può esser vero che non esiste alcuna grazia e alcuna figliolanza divina; se è vero che siamo figli di Dio e fratelli  in Cristo, chi nega ciò non può essere nella verità.

Se è vero che l’anima non è Dio, non può essere altrettanto vero che l’anima è Dio; se è vero che il male non viene da Dio, non può esser altrettanto vero che il male viene da Dio; se è vero che Dio ha creato il mondo, non può esser altrettanto vero che il mondo è l’apparire di Dio; se è vero che esiste la risurrezione del corpo, non può esser giusto negare la risurrezione del corpo; se è vero che la reincarnazione non esiste, non può esser giusto affermare la reincarnazione.

Nel dialogo interreligioso ci si impone sì il rispetto delle diversità, e su ciò il Papa insiste molto, quello che è stato chiamato il principio dell’«et-et», espressione pratica della nozione metafisica dell’analogia dell’essere.

Il dialogo interreligioso però non può limitarsi ad un semplice scambio di idee, a un confronto di opinioni o ad un apprezzamento delle diversità con un arricchimento reciproco, ma ha in fin dei conti lo scopo di appurare chi ha ragione e chi sbaglia, per correggere l’errore e far trionfare la verità.

Ma ci si impone anche e innanzitutto il rispetto del principio del terzo escluso, il cosiddetto principio dell’«aut-aut», «o sì o no», come lo chiama Cristo (Mt 5,37), basato a sua volta sul principio di non-contraddizione, che è la legge fondamentale della verità, della sensatezza e della lealtà del pensiero. Il principio di non-contraddizione poi a sua volta è il riflesso nel pensiero e nel giudizio della percezione dell’essere reale, che costituisce il principio di identità, per il quale ogni ente è ciò che è e non altro da sé.

Per questo è pura stoltezza e insensatezza e autoconfutazione, come alcuni improvvidi o furbi fanno, rifiutare l’aut-aut in nome dell’et-et, col pretesto che altrimenti non si avrebbe il rispetto dell’altro o del pluralismo. Succede invece che si apre la porta alla doppiezza, all’opportunismo e all’ipocrisia.

Per le ragioni suddette il dialogo interreligioso ha il compito iniziale di evidenziare le convinzioni religiose di ragione, comuni a tutta la umanità, circa l’esistenza di Dio, ente supremo, causa prima dell’universo e dell’uomo, principio della legge morale secondo la quale l’uomo deve render conto a Dio del proprio operato.

E certamente è importante mettere in luce le legittime diversità, che costituiscono un arricchimento ed aiuto reciproco, sorgente di concordia e di collaborazione reciproca. Ma una volta creato l’accordo su questa base, occorre affrontare assieme a fondo con franchezza e fiducia, in un clima di reciproca carità, la questione dottrinale, ossia quella della verità.

È lo stesso dovere dell’umiltà davanti a Cristo Verità che obbliga noi cattolici, che, senz’alcun merito, abbiamo ricevuto in Cristo e nella Chiesa la pienezza della verità, a proporre ai fedeli delle altre religioni quella universale e piena verità salvifica, che a tutti deve stare a cuore, perchè non esistono patti di pace basati sull’equivoco o sulla menzogna.

Abbiamo pertanto, come autentici discepoli di Cristo, il dovere, alla luce di quella verità, che non è la nostra, ma quella del Vangelo, di riconoscere le verità delle quali i fedeli delle altre religioni sono già in possesso, e alla luce di questa verità liberare questi fratelli da ogni traccia di tenebra affinchè con noi camminino verso la Luce di Cristo.

(Tratto da padrecavalcoli.blogspot.com)


 

 

 

 

 

Mons. Martinelli invita gli arabi a vivere la propria vocazione

Nello scorso settembre il vicario apostolico per l’Arabia Meridionale (Emirati Arabi Uniti, Oman e Yemen), mons. Paolo Martinelli, ha pubblicato la sua prima lettera pastorale, che prende spunto dal passo evangelico di san Giovanni, ‘Vieni e vedi (Giovanni 1:39), la vita è una vocazione’, indirizzata ai fedeli con l’invito a riflettere sul tema della propria vita come vocazione, richiamando l’attenzione sugli aspetti fondamentali della vita cristiana:

“Nel primo capitolo, dopo il maestoso prologo, che descrive il mistero di Dio e l’incarnazione del Figlio che ci rivela la vita divina (Gv 1,1-18), troviamo una storia molto semplice che ci ricorda l’essenza del cristianesimo. All’inizio del cristianesimo c’è la grazia dell’incontro. Giovanni Battista vede Gesù venire verso di lui; lo riconosce: è l’agnello di Dio, colui che toglie i peccati del mondo. Due suoi discepoli, probabilmente Andrea e Giovanni, lo stesso autore del Vangelo, cominciano a seguirlo. Ad un certo punto, Gesù si accorge di essere seguito; si volta e chiede: Che cosa cerchi?”

Perché la vita è una vocazione?

La vita è vocazione perché’ siamo ‘chiamati’ alla vita. Nessuno si può dare la vita da solo. Esistiamo perchè siamo voluti ed amati da Dio personalmente. Ricordare che la vita è vocazione è necessario per avere consapevolezza del valore della propria vita e del proprio compito nel mondo. Inoltre, la vita è vocazione perchè in ogni istante siamo in rapporto con Dio attraverso quello che accade ogni giorno. Dio si è fatto carne in Gesù Cristo. Per questo Dio ci raggiunge sempre attraverso una ‘carne’, un incontro, un evento in cui ci chiama ad accogliere la sua parola, a seguirlo e a metterci a servizio del Regno”.

Quale è l’aspetto fondamentale della vita cristiana?

“L’essenza del Cristianesimo non è innanzitutto una nuova morale o una nuova teoria, ma un incontro con la persona di Gesù che può cambiare radicalmente la nostra esistenza aprendo un nuovo orizzonte esistenziale (come hanno ribadito papa Benedetto XVI e papa Francesco). L’aspetto fondamentale della vita cristiana è la sequela di Cristo, che si realizza nel vivere la vita della Chiesa e testimoniare a tutti la gioia del Vangelo”.

Nella lettera pastorale si narra la storia della Chiesa nella penisola arabica: ‘Questa città fu sede di una delle più grandi comunità cristiane dei primi secoli. Najrān si trovava nell’antico Yemen, attualmente si trova in Arabia Saudita. Ricordando la loro testimonianza, ci rendiamo conto che, fin dall’antichità, i cristiani hanno abitato la terra in cui ora viviamo. E noi facciamo parte di questa bellissima storia, la storia della Chiesa nella penisola arabica’. In quale modo è avvenuto l’incontro con il cristianesimo nella penisola arabica?

“Il cristianesimo in Arabia ha una storia complessa. La documentazione non è facile. Già gli Atti degli Apostoli ci ricordano che san Paolo si recò in Arabia. I santi martiri Arethas e compagni ci testimoniano una presenza molto significativa del cristianesimo in epoca preislamica. Recenti scoperte archeologiche testimoniano una presenza di monasteri cristiani che hanno continuato a sussistere anche nei primi tempi dopo la nascita dell’Islam, mostrando la possibilità di una serena convivenza. In epoca più recente, a partire dal XIX secolo inizia a strutturarsi il vicariato Apostolico nella regione araba. Negli ultimi decenni la presenza cristiana in Arabia è molto aumentata grazie alle massicce migrazioni. Oggi si contano circa 3.000.000 di cattolici presenti nella penisola araba”.

“Quest’anno celebriamo il giubileo, insieme al Vicariato Apostolico dell’Arabia Settentrionale, commemorando il 1500° anniversario del martirio di sant’Areta e dei suoi compagni a Najrān”: cosa significa celebrare il giubileo del martirio di sant’Areta?

Ricordare i martiri è ringraziare Dio per la loro fedeltà a Cristo e al Vangelo ed è richiamo alla testimonianza che spetta a tutti noi, innanzitutto con la nostra vita: mostrare Cristo attraverso la vita buona che nasce dalla fede. Inoltre, ricordare sant’Arethas e compagni martiri ricorda a tutti i cristiani che vivono nel Golfo, che anche se come migranti si proviene da tante parti del mondo e da Chiese diverse, qui si diventa parte di una lunga storia, di una Chiesa che affonda le sue radici nei cristiani che hanno santificato questa terra con il dono della propria vita”.

“Ognuno di noi è unico e irripetibile, e ognuno di noi è al mondo perché ha una missione speciale da compiere. Per questo è importante discernere insieme la vostra vocazione. Come diceva questo grande giovane, il beato Carlo Acutis: tutti nasciamo originali perché ciascuno di noi è stato voluto e progettato da Dio per cose grandi”. Per quale motivo, nella lettera, ha proposto ai giovani arabi il beato Carlo Acutis?

“L’ho proposto a tutti i giovani del vicariato, di qualsiasi provenienza. La figura di Carlo Acutis mi sembra in grado di parlare al cuore dei giovani. Soprattutto il suo richiamo ad essere originali e non fotocopie impressiona sempre la gioventù che è in ricerca di modelli autentici da seguire. Colpisce molto anche il suo straordinario amore per l’Eucaristia (‘la mia autostrada per il cielo’) e la sua capacità di utilizzare le nuove tecnologie e i new media per diffondere il vangelo, senza rimanerne intrappolato”.

Allora cosa significa essere Chiesa di migranti?

“La nostra Chiesa è composta da persone che provengono da paesi diversi e da tradizioni spirituali differenti, con riti diversi. Contiamo circa cento nazionalità tra i nostri fedeli. Le nostre assemblee liturgiche hanno questo carattere interculturale che le caratterizza in modo unico. Questa è una straordinaria occasione per mostrare come il battesimo ci renda membri di una unica Chiesa pur essendo cosi diversi. I nostri fedeli sono chiamati non solo a mantenere le proprie tradizioni ma anche a condividerle e a conoscere quelle degli altri. Questo permette un arricchimento vicendevole.

Inoltre, essere chiese di migranti vuol dire essere consapevoli della transitorietà della propria condizione di vita. Qui nessuno diventa cittadino. La gente è qui per lavorare. Al termine ritorna nei propri Paesi di origine. Come Chiesa impariamo attraverso questa condizione particolare ad essere pellegrini, ad abitare il tempo e la terra con impegno e dedizione, sapendo che siamo destinati ad una pienezza che va oltre il tempo presente. Siamo destinati alla vita eterna in Cristo”.

Sono trascorsi 5 anni dalla firma del documento di Abu Dhabi: quali effetti può avere sul dialogo tra le fedi la crisi mediorientale?

“Il conflitto attualmente in atto in Medio Oriente ha aspetti e proporzioni sicuramente inediti rispetto al passato; si vede dalle difficoltà riscontrate nei tentativi di trovare una via di uscita. In questo senso penso che il contributo fondamentale della ‘Abrahamic family house’ sia il fatto stesso di esistere. E’ un invito costante a non darsi per vinti, a non rassegnarsi alla guerra. Questo centro rappresenta una realtà di convivenza che può ispirare e rilanciare cammini di pace”.

Padre Mauro Armarino racconta la vita in Niger dopo il golpe

“Se scoppia la guerra, il Niger sarà distrutto. I proiettili non risparmieranno la popolazione, che sarà la più colpita. Sappiamo quando una guerra inizia, ma mai quando finisce. Guardate la Libia. Questa guerra distruggerà la coesione sociale e il Niger diventerà ingestibile, chiunque lo governi”: così dichiarava l’arcivescovo di Niamey, mons. Laurent Lompo, a pochi giorni dall’avvenuto golpe di Stato nel Niger nella scorsa estate.

Nessuno può uccidere indisturbato, qualsiasi motivo lo animi: niente giustifica l’odio fratricida

La vita è un dono di Dio. E’ una verità che non può essere compresa dai terroristi, perché offuscati dalla ‘non verità’ rigida, schematica e perentoria, mai pronta al confronto. Assistiamo nuovamente allo sterminio di vite innocenti nei luoghi in cui è nato e vissuto Gesù, in cui Egli ha predicato l’Amore. Una nuova strage di vite innocenti. La storia si ripete?

La pace è possibile, YouTopic Fest quattro giorni 2.000 persone a Rondine

Domenica scorsa si è conclusa la settima edizione di YouTopic Fest, il Festival internazionale del Conflitto di Rondine, che quest’anno ha fatto registrare in questi ‘quattro giorni disarmanti’ la presenza di circa 2.000 persone, tra giovani, studenti, famiglie che hanno preso parte ai 40 eventi culturali e artistici, workshop e panel, esplorando e percorrendo i passi possibili della via di riconciliazione, come ha chiosato Franco Vaccari, presidente e fondatore di Rondine Cittadella della Pace:

Rabat: una cattedrale del mondo

Rabat, moderna capitale del Marocco, nel suo biancore si affaccia curiosa sul blu intenso dell’Oceano Atlantico. Una curiosità questa (un’apertura al mondo) che viene da lontano. Città culturale, si mostra ad ogni passo ricca di storia e di tracce del suo passaggio. Vi approdano, infatti, cartaginesi, romani, dinastie merinide e almohade, moriscos, andalus, siciliani e francesi.

Da Cipro un invito a non disperdere la Chiesa nel Medio Oriente

Fino al 23 Aprile si è svolto a Nicosia, nell’isola di Cipro, il simposio per il decimo anno dalla promulgazione dell’esortazione apostolica sinodale ‘Ecclesia in Medio Oriente’ dal titolo ‘Radicati nella speranza’, avviato su iniziativa delle agenzie componenti della ROACO, Riunione Opere Aiuto alle Chiese Orientali, con l’organizzazione della AOCTS, Assemblea degli ordinari cattolici di Terra Santa, coordinati dal loro presidente Sua Beatitudine Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme dei latini, che nella prolusione ha ricordato i punti principali dell’esortazione postsinodale ‘Ecclesia in Medio Oriente’ di papa Benedetto XVI:

Papa Francesco: le Università contribuiscono all’educazione del dialogo

Nella mattinata di oggi papa Francesco ha incontrato i partecipanti al convegno promosso dalla’Organizaciòn de Universidades Catòlicas de América Latina y El Caribe’, accompagnati dal card. José Tolentino de Mendonça, prefetto del Dicastero per la Cultura e l’Educazione, e dal presidente di ODUCAL, ing. Rodolfo Gallo Cornejo, con i vicepresidenti delle Sub Regioni Andina, Messico, Centro America e Caraibi e il Cono Sud, per il 70^ anniversario della sua creazione:

Il Papa in Ungheria: un ponte tra cristianesimo e immigrazione

Papa Francesco in Ungheria

Dal 28 al 30 aprile 2023, Papa Francesco intraprenderà il suo 34° viaggio apostolico a Budapest, in Ungheria. Questa visita sarà un evento significativo per il dialogo ecumenico e interreligioso e per affrontare le sfide che l’Europa sta vivendo in questi tempi di crisi e cambiamento.

Papa Francesco lancia il suo appello a favore della Pace, espresso con l’inaugurazione della Casa Abramitica

La Casa della Famiglia Abramitica è stata inaugurata ad Abu Dhabi il 16 febbraio 2023. Essa racchiude, in un unico sito, una Moschea, una Chiesa e una Sinagoga, edificate per vivere accanto, nel rispetto reciproco delle proprie differenze religiose. Costituisce il primo frutto del Documento ‘Sulla Fratellanza Umana per la Pace Mondiale e la Convivenza Comune’, sottoscritto da Sua Santità Papa Francesco e dal Grande Imam di Al-Azhar Ahmad Al-Tayyeb, il 4 febbraio 2019, ad Abu Dhabi.

La Moschea è stata inaugurata venerdì 17 febbraio 2023, la Sinagoga e la Chiesa di San Francesco domenica 19 febbraio 2023. Il Documento ‘Sulla Fratellanza Umana per la Pace Mondiale e la Convivenza Comune’ sancisce che tre religioni diverse, pur mantenendo il loro credo religioso e, pertanto, la propria identità, possono coesistere su un unico spazio, ossia su un unico territorio, facendo del dialogo il fulcro della loro coesistenza pacifica.

La Casa Abramitica rappresenta un simbolo di pace, che Papa Francesco ha voluto mostrare al mondo intero quale esempio di coesistenza delle differenze, le quali hanno la possibilità di  interagire, in modo costruttivo,  attraverso il dialogo.

La Casa Abramitica può essere un modello di coesistenza pacifica delle diversità, che può dimostrare a Putin e a Zelensky come le differenze non devono essere considerate motivo di  inutili e dannosi conflitti, ma fonte di relazioni proficue, di accrescimento reciproco, garanzia di pace, se a sorreggerle sarà il dialogo.

Anche la Russia e l’Ucraina possono convivere  l’una accanto all’altra, mantenendo la propria identità, divenendo, come ‘La Casa della Famiglia Abramitica’ insegna, territori le cui differenze saranno  valorizzate e valorizzabili mediante il dialogo incessante, che apre orizzonti  insospettabili per il miglioramento della condizione umana, sociale e politica di entrambi i popoli, in quanto pervasi dalla pace e dall’armonia.

Il popolo russo e il popolo ucraino possono istituire un dialogo non solo religioso, ma anche economico e sociale che potrà accrescere il benessere di entrambi. Nessuno dei due popoli perderà nulla di ciò che gli appartiene, anzi trarrà infiniti benefici da tale dialogo, che darà numerosi frutti, perché sorretto dalla Pace.

Entrambi i popoli, quello russo e quello ucraino, trarranno vantaggio dal dialogo e non certamente dalla guerra,  arricchendosi vicendevolmente di scambi culturali, economici e religiosi, per poi irradiare i loro valori nell’intero universo. Potrà essere un nuovo modello economico, politico e sociale quello a cui daranno vita, fondato sulla Pace e sul Dialogo, dal quale spontaneamente potrà sorgere quel tanto agognato  miglioramento dell’esistenza umana.

Dal dialogo potrà scaturire la volontà di allargare gli spazi dello sviluppo e del progresso che miglioreranno l’economia mondiale, ormai molto fragile e bisognosa di nuovi apporti, nonché bisognosa di creare un nuovo modello di economia che ponga al centro l’essere umano, che potrà essere definita ‘Economia dal Volto Umano’, la quale genererà quell’inclusione di ogni essere umano in un contesto che guarda al futuro con occhio amorevole e dia finalmente avvio al tanto agognato processo di civilizzazione della vita umana, in cui tutti siano cittadini, in quanto sarà salvaguardata  la dignità umana di ogni persona.

La Russia conosce bene la filosofia di quei pensatori che volevano l’eguaglianza e la parità di tutti gli esseri umani. Si era accinta, nel secolo scorso, a dare avvio ad un processo paritario del genere umano, senza tuttavia riuscirvi, proprio in quanto il grande assente era il dialogo. Si, il grande assente era proprio il dialogo! Ed ora -siamo certi- vi riuscirà , ma solo se farà vivere il dialogo e la pace. E vi riuscirà senz’altro se terrà conto dell’appello del Documento ‘Sulla Fratellanza Umana per la Pace Mondiale e la Convivenza Comune’.

Anche l’Ucraina, ponendosi al fianco della Russia, senza perdere la propria identità e la propria autonomia, potrà concorrere a costruire un mondo migliore se vorrà accogliere l’appello pacifico e costruttivo di benessere e civiltà del Documento medesimo, foriero di quella Pace che tutto il mondo desidera fortemente veder realizzata tra Russia e Ucraina.

* Responsabile dell’ Ufficio Stampa Comunicazione della nostra Associazione Bambino Gesù del Cairo Onlus

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