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Mons. Trevisi: a Trieste per vivere la ‘profezia’ della democrazia

“La Settimana Sociale vuole essere un crocevia di persone e progetti diversi, un luogo per condividere il presente e immaginare insieme il futuro, ricercando sempre nuove vie per costruire il bene comune. Per andare ‘al cuore della democrazia’ attiveremo percorsi vivi ed inclusivi al fine di connettere storie e comunità, laboratori creativi per sperimentare metodologie innovative e coinvolgenti. Costruiremo insieme processi di ascolto e di progettazione che partono dalle comunità locali e ritornano nei territori”: dal documento preparatorio alla 50^ edizione della Settimana Sociale, intitolata ‘Al cuore della democrazia’ in svolgimento a Trieste fino a domenica 7 luglio, abbiamo chiesto al vescovo di Trieste, mons. Enrico Trevisi di raccontare come si sta preparando la città all’accoglienza del Papa ed alla Settimana Sociale:

“La venuta del Papa ha destato ancora più interesse. Ci si è chiesti con maggiore attenzione il significato della Settimana sociale dei cattolici. Le Istituzioni si sono subito mostrate disponibili a collaborare per l’evento; un gruppo di insegnanti ha animato un percorso in numerose classi (dalle elementari alle superiori) sulla partecipazione con un’iniziativa davvero fantasiosa; e poi alcuni eventi a livello diocesano, parrocchiale e poi di associazioni e movimenti. Emozionanti, potremmo dire gesti di tenerezza che sono iniziati spontaneamente, sono le numerose lettere e disegni che anziani e bambini hanno fatto per papa Francesco”.

‘Trieste è città di confine, proiettata verso l’Europa e aperta verso Est, con una presenza storica di tante Confessioni cristiane e religioni diverse; terra segnata da divisioni politiche che ne hanno attraversato la storia, con luoghi simbolo che ci ricordano dove porta la negazione della democrazia, dalla Risiera di San Sabba alle Foibe. Trieste città multietnica e con diverse presenze linguistiche, laboratorio dove si è osato ripensare la salute mentale e la dignità del malato, crocevia di ingegni e di culture, di letteratura e di arti’: la città come vive la democrazia?

“Siamo terra di frontiera e con una storia di sofferenza. Il confine nel secolo scorso, per colpa di nazionalismi estremi e di guerre fratricide, è diventato una triste separazione tra genti che prima avevano vissuto lungamente fianco a fianco. Oggi si cerca di rielaborare la memoria di quel dolore così atroce, che in qualche modo ha visto tutti come vittime, ma poi anche con svariate forme di complicità dettate dal risentimento, dalle ideologie, dalla paura.

Oggi Trieste ha la responsabilità di vivere nel reciproco rispetto e nell’inventare continuamente forme in cui ciascuno possa sapersi in una terra amata e insieme ad altre comunità linguistiche, culturali e religiose, ma accomunati da una storia comune. E questo sia per evitare che i giovani restino nella gabbia delle colpe delle generazioni precedenti, sia come testimonianza a quei popoli che ora si stanno combattendo: pensiamo per esempio alla guerra fratricida tra russi e ucraini”.

Trieste è anche città di ‘passaggio’ per i profughi provenienti dalla ‘rotta balcanica’: in quale modo la città vive la ‘profezia’ dell’accoglienza e dell’ospitalità?

“Siamo sulla rotta balcanica. Nei giorni scorsi sono stati trasferiti i giovani (per lo più afgani, pakistani, curdi, siriani…) che erano accampati al ‘Silos’, una struttura fatiscente in cui tanti giovani vivevano in situazione indegna, come in una favela senza servizi igienici, luce e acqua. Io ritengo che, dopo una stagione in cui troppo si è aspettato nel dare un’accoglienza umana, questo sia solo l’inizio di un processo che deve vedere tutti a collaborare, perché coloro che arrivano (quotidianamente) siano presi in carico in modo degno e appena possibile trasferiti in altre città.

I nostri dormitori cittadini sono sempre saturi; come Caritas abbiamo aperto un’altra struttura (un dormitorio notturno) per i transitanti che decidono di continuare il loro viaggio e ci stiamo accollando tutte le spese. A dire il vero speriamo di diventare profezia di accoglienza: nonostante i tanti gesti e segni positivi che si sono inventati, spesso il sistema di accoglienza si è inceppato: ed il ‘Silos’ è stato l’emblema di questa difficoltà. E tuttavia mi viene da lodare la generosità di tante persone, gruppi, associazioni che si sono spesi e si stanno spendendo in un’accoglienza che davvero sa di ‘profezia’”.

Però, per quale motivo i cattolici si interrogano sulla democrazia?

“La crisi culturale dei nostri Paesi, spesso smarriti e disorientati, con un’aggressività ed un individualismo pervasivi, che vedono le persone sempre più sole e irritate (pensiamo alle violenze ma anche all’inverno demografico; ad un consumismo sfrenato che porta a stili di vita sempre più nelle briglie di un mercato che detta ogni regola) ci dicono che i cattolici devono contribuire con la loro originalità di valori e testimonianza a costruire la società e la democrazia in cui vivono. La Dottrina sociale della Chiesa ha fatto l’opzione per la democrazia, ma l’ha ancorata a quei valori e stili di vita che scaturiscono dal Vangelo ma che possono essere fecondi per tutti, che possono rigenerare speranza anche per l’intero Paese”.

Quanto è importante per la Chiesa la partecipazione dei cattolici alla vita civile?

“La Chiesa non impone la sua dottrina, ma i laici cattolici sono chiamati a testimoniare e tradurre il Vangelo dentro i linguaggi e le istituzioni del mondo. Di fronte all’efferatezza delle guerre, alla crisi dei legami familiari, alla fragilità che vede tante persone sofferenti, all’ambiente spesso reso una discarica che snatura il progetto di Dio… è evidente che i cattolici hanno tanto da testimoniare ed hanno valori importanti attorno a cui cercare di aggregare tante persone. I cattolici sanno di non poter restare alla finestra e neppure di potersi accontentare a moltiplicare le denunce e le condanne. Da qui la necessità di reinventare forme di partecipazione che possano ancora dire la perenne novità della fede in Cristo anche per realizzare il bene comune e la giustizia”.

(Foto: Settimana Sociale)

Vivere ai confini

Da poco di ritorno da una commossa commemorazione a Tarvisio di eventi del ’44 ai confini tra Italia e Slovenia, mi si è accesa la memoria di quella terra. Ricordando con la stessa emozione ‘la signora Wanda’, conosciuta a Londra. Così desiderava essere chiamata, semplicemente. Come semplice era lei: sguardo azzurro, volto dolcemente segnato dall’età, capigliatura innevata come la sua regione d’inverno, il Carso. Abitava in una casetta tranquilla di un popolare sobborgo di Londra. Sola. Ma la solitudine ‘è una tempesta silenziosa, che spezza tutti i nostri rami morti’, ricorda Kalil Gibran.

Papa Francesco: confini diventino finestre

Snapshots From The Borders è un progetto triennale cofinanziato dall’Unione Europea (linea di budget DEAR EuropeAid), gestito da 35 partner, autorità locali di confine e organizzazioni della società civile, che mira a sviluppare una comprensione critica dei decisori politici europei, nazionali e locali e dell’opinione pubblica sulle interdipendenze globali che determinano i flussi migratori verso i confini europei. Nello specifico il progetto intende rafforzare una nuova rete orizzontale ed attiva tra le città che affrontano direttamente i flussi migratori ai confini dell’UE, come mezzo per promuovere una più efficace coerenza delle politiche a tutti i livelli (europeo, nazionale, locale).

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