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Fratel Chialà: l’unità dei cristiani riparte dal Concilio di Nicea

“Al centro della Settimana di quest’anno c’è la domanda che Gesù rivolge a Marta nel racconto della resurrezione di Lazzaro: ‘Credi tu questo?’ Riceveremo anche noi, insieme, questa domanda, la stessa per tutti e posta dall’unico Signore, e saremo chiamati insieme a riflettere sulla nostra fede, sulla nostra testimonianza e sul nostro servizio, e a rispondere, ognuno e tutti. Disponiamoci dunque a condividere la gratitudine per la vocazione che abbiamo ricevuto e a rispondere alla domanda di Gesù a Marta, chiedendo allo Spirito di allargare i nostri cuori, di aprire le nostre menti, di orientare i nostri passi e di farci vivere la realtà della fraternità che supera le nostre storie particolari. Che il nostro incontrarci provenendo da strade diverse possa anche essere una testimonianza in tempi sempre più conflittuali”.
E’ l’auspicio che chiude il messaggio che per la prima volta, tutti insieme, i rappresentanti delle Chiese cristiane in Italia rivolgono alle loro comunità per la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani che si celebra fino al 25 gennaio, firmato da mons. Derio Olivero, vescovo di Pinerolo e presidente della Commissione episcopale per l’ecumenismo e il dialogo della Cei, dal pastore Daniele Garrone, presidente della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia, dal metropolita Polycarpos, della Sacra arcidiocesi ortodossa d’Italia, dal vescovo anglicano della diocesi in Europa (Chiesa d’Inghilterra), dai responsabili della Chiesa armena, della Chiesa copta di Roma e di Milano, dell’Esercito della Salvezza, dalla moderatora della Tavola valdese, dall’amministrazione delle parrocchie della Chiesa ortodossa russa (Patriarcato di Mosca) in Italia, dal Decano della Chiesa evangelica luterana in Italia, dal presidente dell’Unione Cristiana evangelica battista d’Italia, dal Coordinatore della Comunione delle Chiese libere, dal vescovo della diocesi ortodossa romena, dal presidente dell’Opera per le Chiese evangeliche metodiste in Italia, dal rappresentante della Chiesa serbo ortodossa e dal vescovo Chiesa evangelica della Riconciliazione.
La settimana di preghiera per l’unità dei cristiani è animata dalla Comunità di Bose, sul tema ‘Credi tu questo?’. Al priore fratel Sabino Chialà, incontrato a Tolentino, nelle Marche, su invito del Sermit odv, chiediamo se questa domanda di Gesù è un interrogativo ‘pesante’:
“Sì! Lo spunto è venuto dal fatto che quest’anno ricorrono 1700 anni dal Concilio di Nicea, che è il primo Concilio ecumenico dove si definisce per la prima volta una ‘formula’ di fede, che poi è accolta da tutti i cristiani. Il comitato che organizza questa settimana di preghiera per l’unità dei cristiani ha chiesto a noi di scrivere i testi. Quindi ci è sembrato bene ‘puntare’ sul tema della fede, iniziando a chiedere quale è l’essenziale di ciò in cui diciamo di credere. La domanda, tratta dal Vangelo secondo Giovanni, in cui Gesù rivolge questa domanda ad una delle sorelle di Lazzaro (‘Credi tu questo?’), cioè credi nel Figlio di Dio, interrogandola sulla qualità della sua fede”.
Per quale motivo Gesù pone questa domanda?
“In questo episodio Marta ha appena rivolto a Gesù la domanda sulla morte di suo fratello Lazzaro, e Gesù le dice se ella crede nella Resurrezione. La risposta: ‘Sì, credo che risorgeremo alla fine’; ma Gesù ribatte: ‘Io sono la resurrezione e la vita: credi tu questo?’. La richiama alla sua fede, non tanto nell’idea della Resurrezione, ma alla fede nel Risorto, cioè nell’uomo Gesù, destinato alla Resurrezione e che in Lui ciascuno di noi otterrà la consapevolezza di poter vivere aldilà della morte”.
Dopo 1700 anni quale significato assume il Concilio di Nicea?
“Questo è un grande problema, perché il Concilio di Nicea nasce in un contesto storico molto particolare ed è stato anche utilizzato dall’imperatore per poter creare un’unità all’interno del mondo politico del tempo; quindi può essere anche interpretato in maniera non proprio evangelica. Per i cristiani è per la prima volta il convergere sul fatto che in Gesù non riconosciamo non solo un profeta particolare, ma il Figlio di Dio, cioè quell’uomo che allo stesso tempo è pienamente uomo e pienamente Dio.
Questo è detto per la prima volta da tutti i cristiani, anche se quel Concilio ha avuto una ricezione difficile, in quanto esso è stato convocato per il fatto che alcuni negavano questa fede, in particolare Ario. Però, alla fine, tutte le Chiese cristiane, attraverso un lento cammino, arrivano ad accogliere questa fede ed a farne la base della loro comune fede in Gesù. Il nostro essere cristiani si basa su questa comune professione di fede”.
Quindi è possibile ‘mangiare e bere dallo stesso calice’?
“Per me sì; però, siccome ci sono alcuni elementi teologici, che le Chiese non condividono, purtroppo ancora oggi non è possibile. Ritengo che si potrebbe fare qualcosa in più da questo punto di vista, in quanto il cammino teologico ha portato a chiarire molti punti di discordia tra le confessioni di fede. E’ vero che ancora ci sono alcune questioni aperte e per alcune Chiese tali questioni sono dirimenti, cioè bisogna che prima si giunga ad una definizione chiara e poi si può partecipare allo stesso calice.
Da questo punto di vista le Chiese ragionano in modo molto diverso: per la Chiesa cattolica e per alcune Chiese protestanti sarebbe possibile, almeno secondo alcune condizioni, accedere ad una celebrazione eucaristica comune in vista di una unità; per le Chiese ortodosse, invece, è proprio la celebrazione eucaristica che sancisce l’unità. Quindi nella loro visione è un controsenso celebrare l’eucarestia, continuando ad essere disuniti. Sono due approcci diversi, entrambi rispettabili. In via ordinaria questo non è possibile, ma ciò non toglie che ci sono anche casi in cui questo accade in maniera profetica”.
(Tratto da Aci Stampa)
Papa Francesco ha il desiderio di recarsi a Nicea

“Siamo vicini, ormai, all’apertura della Porta Santa del Giubileo e abbiamo da poco concluso la XVI Assemblea Ordinaria del Sinodo dei Vescovi. A partire da questi due eventi desidero rivolgervi due pensieri: il primo è rimettere Cristo al centro, il secondo è sviluppare una teologia della sinodalità”: con questi pensieri papa Francesco oggi ha ricevuto i partecipanti all’assemblea plenaria della Commissione Teologica Internazionale, sottolineando la centralità di Gesù.
Anzi parlando del Concilio di Nicea ha espresso il desiderio di un viaggio apostolico: “Il Giubileo ci invita a riscoprire il volto di Cristo e a ricentrarci in Lui. E durante questo Anno Santo, avremo anche l’occasione di celebrare la ricorrenza dei 1700 anni del primo grande Concilio Ecumenico, quello di Nicea. Io penso di recarmi lì. Questo Concilio costituisce una pietra miliare nel cammino della Chiesa e anche dell’intera umanità, perché la fede in Gesù, Figlio di Dio fatto carne per noi e per la nostra salvezza, è stata formulata e professata come luce che illumina il significato della realtà e il destino di tutta la storia”.
Ripetendo l’invito di san Pietro, che invita a rispondere della ragione della propria fede il papa ha ribadito l’essenzialità evidenziata dal concilio niceno: “Questa esortazione, che è rivolta a tutti i cristiani, si può applicare in modo particolare al ministero che i teologi sono chiamati a svolgere come servizio al Popolo di Dio: favorire l’incontro con Cristo, approfondire il significato del suo mistero, affinché possiamo meglio comprendere ‘quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e conoscere l’amore di Cristo che supera ogni conoscenza’.
Il Concilio di Nicea, affermando che il Figlio è della stessa sostanza del Padre, mette in luce qualcosa di essenziale: in Gesù possiamo conoscere il volto di Dio e, allo stesso tempo, anche il volto dell’uomo, scoprendoci figli nel Figlio e fratelli tra di noi”.
Perciò ecco la necessità di un approfondimento di tale Concilio: “E’ importante, allora, che abbiate dedicato gran parte di questa Plenaria a lavorare su un documento che vuole illustrare il significato attuale della fede professata a Nicea. Tale documento potrà essere prezioso, nel corso dell’anno giubilare, per nutrire e approfondire la fede dei credenti e, a partire dalla figura di Gesù, offrire anche spunti e riflessioni utili a un nuovo paradigma culturale e sociale, ispirato proprio all’umanità di Cristo”.
Ecco il significato della centralità di Gesù: “Oggi, infatti, in un mondo complesso e spesso polarizzato, tragicamente segnato da conflitti e violenze, l’amore di Dio che si rivela in Cristo e ci viene donato nello Spirito diventa un appello rivolto a tutti, perché impariamo a camminare nella fraternità e a essere costruttori di giustizia e di pace. Solo in questo modo possiamo spargere semi di speranza là dove viviamo. Rimettere Cristo al centro significa riaccendere questa speranza e la teologia è chiamata a farlo, in un lavoro costante e sapiente, nel dialogo con tutti gli altri saperi”.
Da qui l’appello a sviluppare una ‘teologia della sinodalità’: “L’Assemblea Ordinaria del Sinodo dei Vescovi ha dedicato un punto del documento finale al compito della teologia, nel contesto dei ‘carismi, vocazioni e ministeri per la missione’… Questa è stata una visione di san Paolo VI alla fine del Concilio, quando ha creato il Segretariato del Sinodo dei Vescovi. In quasi 60 anni si è sviluppata questa teologia sinodale, a poco a poco, e oggi possiamo dire che è matura. Ed oggi non si può pensare una pastorale senza questa dimensione di sinodalità”.
In questo modo si coglie meglio la visione ecclesiologica: “Perciò, insieme alla centralità di Cristo, vorrei invitarvi a tenere presente anche la dimensione ecclesiologica, per sviluppare al meglio la finalità missionaria della sinodalità e la partecipazione di tutto il Popolo di Dio nella sua varietà di culture e tradizioni. Direi che è venuto il momento di compiere un passo coraggioso: sviluppare una teologia della sinodalità, una riflessione teologica che aiuti, incoraggi, accompagni il processo sinodale, per una nuova tappa missionaria, più creativa e audace, che sia ispirata dal kerygma e che coinvolga tutte le componenti della Chiesa”.
Ed ha concluso sollecitando all’umorismo affinché la teologia possa essere feconda: “Rimanendo, per così dire, appoggiata al Cuore del Signore, la vostra teologia attingerà alla fonte e porterà frutti nella Chiesa e nel mondo. E una cosa fondamentale per fare una teologia feconda è non perdere il senso dell’umorismo, per favore! Questo aiuta tanto. Lo Spirito Santo è quello che ci aiuta in questa dimensione di gioia e di umorismo”.
In precedenza aveva ricevuto in udienza i religiosi e le religiose della Famiglia Calasanziana, in occasione del 75° anniversario di fondazione, con l’invito ad essere docili alla Provvidenza, come ha sperimentato san Giuseppe Calasanzio: “Il vostro Fondatore, di famiglia agiata, destinato probabilmente a una ‘carriera ecclesiastica’ (termine che mi ripugna e che andrebbe abolito), venuto a Roma con incarichi di un certo livello, non ha esitato a stravolgere programmi e prospettive della sua vita per dedicarsi ai ragazzi di strada incontrati in città”.
Egli, infatti, è stato attento ai poveri dell’epoca: “Così sono nate le Scuole Pie: non tanto per un piano predefinito e garantito, quanto per il coraggio di un bravo prete che si è lasciato coinvolgere dalle necessità del prossimo, là dove il Signore gliele ha poste davanti. Questo è molto bello, e io vorrei invitare anche voi a mantenere, nelle vostre scelte, la stessa apertura e la stessa prontezza, senza calcolare troppo, vincendo timori e titubanze, specialmente di fronte alle tante nuove povertà dei nostri giorni.
Le nuove povertà. Sarebbe bello che uno di questi giorni, nella vostra riunione, cercaste di descrivere le nuove povertà, quali sono le nuove povertà. Non temete di avventurarvi, per rispondere ai bisogni dei poveri, in sentieri diversi da quelli già battuti nel passato, anche a costo di rivedere schemi e di ridimensionare aspettative. È in questo abbandono fiducioso che affondano le vostre radici, e rimanendo fedeli ad esse manterrete vivo il vostro carisma”.
L’altro aspetto riguarda la cura per la crescita integrale della persona: “La grande novità della Scuole Pie era di insegnare ai giovani poveri, assieme alle verità della fede, anche le materie di istruzione generale, integrando formazione spirituale e intellettuale per preparare adulti maturi e capaci. E’ stata una scelta profetica a quei tempi, pienamente valida anche adesso.
A me piace parlare, in proposito, di fare unità, nella persona, tra le ‘tre intelligenze’: quella della mente, quella del cuore e quella delle mani (le mani sono intelligenti!) e così noi possiamo fare con le mani quello che si sente e si pensa, sentire quello che si pensa e si fa, pensare quello che si sente e si fa. Le tre intelligenze”.
Per questo ha chiesto un aiuto affinché i ragazzi possano fare una ‘sintesi armonica’: Oggi è molto urgente aiutare i ragazzi a fare questo tipo di sintesi, unità armonica delle tre intelligenze, a ‘fare unità’ in sé stessi e con gli altri, in un mondo che li spinge invece sempre più nella direzione della frammentarietà nei sentimenti e nelle cognizioni e dell’individualismo nelle relazioni… Le tre intelligenze. Questo è importante, che i ragazzi facciano questa unità in sé stessi, con gli altri e con il mondo. Lo stile educativo integrale è un “talento carismatico” importantissimo che Dio vi ha affidato, perché lo mettiate a frutto al meglio delle vostre capacità per il bene di tutti”.
(Foto: Santa Sede)
Marco Polo ed i Francescani in missione in Oriente

Nei giorni 18 e 19 ottobre, in occasione del Centenario per i 700 anni della morte di Marco Polo, con la partecipazione dell’Università ‘Ca’ Foscari’ di Venezia, della Pontificia Università ‘Antonianum’ di Roma, del ‘Kyrgyz-Russian Slavic University’ della Repubblica del Kyrghyzstan e dell’Università di Macerata, del ‘Comitato nazionale per le celebrazioni dei 700 anni dalla morte di Marco Polo’, della Provincia Picena ‘San Giacomo della Marca dei Frati Minori’, della Città di Venezia, della Regione Marche, del Comune di Tolentino e della diocesi di Macerata, a Tolentino, nelle Marche si svolgerà il convegno di studi internazionali, ‘Appunti di viaggio: Marco Polo ed i Francescani in Oriente’, organizzato dal ‘Comitato per le celebrazioni in memoria del beato Tommaso da Tolentino’ e da ‘BAP – Biblioteca Archivio Pinacoteca’ (Biblioteca storico-francescana e picena ‘S. Giacomo della Marca’), con il sostegno del dal Sermit odv (Servizio missionario Tolentino), che sostiene i missionari in Brasile, in India ed in Burundi, dell’ASSM (Azienda Specializzata Settore Multiservizi) e delle ‘Terme Santa Lucia’ di Tolentino, a cui parteciperanno i professori Antonio Montefusco, Eugenio Burgio, Raissa de Gruttola, Samuela Simion, Giuseppe Mascherpa, Pier Giorgio Borbone, Maela Carletti, Nadezhda Romanovna Khan, Lorenzo Turchi, Alessio Mecella e Carlo Vurachi.
Il convegno internazionale sarà anticipato, venerdì 18 ottobre, da un incontro con il direttore dell’Agenzia Fides, Gianni Valente, che racconta il Primum Concilium Sinense, svoltosi a Shanghai nel 1924, inframmezzato da brani musicali del tenore fra Alessandro Giacomo Brustenghi, ed i saluti del vescovo della diocesi di Macerata, mons. Nazzareno Marconi, dal ministro provinciale dei Frati Minori della Provincia Picena e dal prefetto apostolico di Ulan Bator (Mongolia), card. Giorgio Marengo. Le finalità del convegno internazionale sono state spiegate dal presidente del ‘Comitato per le Celebrazioni in memoria del Beato Tommaso da Tolentino’, architetto Franco Casadidio:
“L’obiettivo del Convegno è di valorizzare il Centenario approfondendo la figura del personaggio storico di Marco Polo sotto l’aspetto dei viaggi da lui intrapresi che lo collegano ai percorsi di alcune eminenti figure francescane che hanno attraversato l’Asia sino-mongola e le Indie per motivi legati all’evangelizzazione sia per ragioni più strettamente diplomatiche. Questi itinerari rappresentano una inesauribile fonte di notizie a livello religioso, antropologico, geopolitico e storico-culturale e la scelta del titolo vuole evidenziare lo studio della tipologia delle fonti del diario-cronaca, di cui il ‘Milione’ ne è un illustre esempio. Ci sarà una parte dedicata anche ai viaggi di altre figure non francescane, come ad esempio monaci e viaggiatori, o a cronache locali di viaggi e itinerari in quel particolare periodo storico”.
Invece al prof. P. Lorenzo Turchi,docente alla Pontificia Università Antonianum ed all’Istituto Teologico di Assisi, vicepreside dell’Istituto Francescano di Spiritualità, direttore delle ‘Edizioni Antonianum’ e direttore della ‘Biblioteca storico francescana e picena’ di Falconara Marittima e della Pinacoteca internazionale francescana, chiediamo di illustrare il motivo di un convegno su Marco Polo ed i francescani: “Il convegno di studi dal titolo ‘Appunti di viaggio: Marco Polo e i Francescani in Oriente (secc. XIII e XIV)’, che si svolgerà a Tolentino nelle Marche, nei prossimi 18 e 19 ottobre, è stato pensato in occasione del Centenario per i 700 anni della morte di Marco Polo, e vedrà la partecipazione di diverse Università italiane e poli culturali. L’obiettivo del convegno è di valorizzare il Centenario, approfondendo la figura del personaggio storico di Marco Polo sotto l’aspetto dei viaggi da lui intrapresi, che lo collegano ai percorsi di alcune eminenti figure francescane che hanno attraversato l’Asia sino-mongola e le Indie per motivi legati all’evangelizzazione sia per ragioni più strettamente diplomatiche”.
Esiste una connessione tra Marco Polo ed i francescani?
“Un aspetto che sicuramente accomuna Marco Polo ed i francescani è il tema del viaggio. Sono viaggiatori che annotano le loro esperienze. Gli itinerari descritti rappresentano un’inesauribile fonte di notizie a livello religioso, antropologico e storico-culturale e la scelta del titolo vuole evidenziare lo studio della tipologia delle fonti del diario-cronaca, di cui il ‘Milione’ ne è un illustre esempio. Difatti i francescani che si recarono in Asia ci hanno lasciato, in alcuni casi, resoconti preziosi di terre lontane, percepite come luoghi pieni di meraviglie e novità, proprio come il mercante di Venezia.
Per quanto riguarda il testo del viaggio di Marco Polo, saranno i domenicani di san Giovanni e Paolo a Venezia a curare alcune delle riscritture che il ‘Milione’ ha avuto nel corso del tempo. Inoltre, al convegno ci sarà una parte dedicata anche ai viaggi di altre figure non francescane, come ad esempio monaci e viaggiatori”.
Per quale motivo i francescani scelsero la strada dell’Oriente verso la Cina?
“I francescani, nel corso del tempo, scelsero la via dell’Asia sino-mongola e le Indie per vari motivi, legati sia all’evangelizzazione, che in alcuni casi portò anche al martirio, sia a ragioni più strettamente diplomatiche: ad esempio, Giovanni da Pian del Carpine partirà da Lione il 16 aprile del 1245 e incontrerà il Gran Khan nel luglio del 1246, consegnando la Bolla papale ‘Cum non solum homines’, che esortava alla pace e a stipulare un’alleanza con i Mongoli, inviato da papa Innocenzo IV con l’intento di far cessare le devastazioni e le aggressioni in Europa.
Allo stesso tempo frate Giovanni doveva raccogliere il maggior numero di notizie sui costumi, la cultura, la struttura di governo dei Tartari. Sappiamo tutto questo grazie all’Historia Mongalorum, un prezioso resoconto, giunto fino a noi, di questo impressionante ad avventuroso viaggio di Giovanni da Pian del Carpine, se pensiamo che questi dura un anno e 4 mesi, con circa 10.000 Km complessivi percorsi. Mentre Il francescano fiammingo Guglielmo di Rubruk, che aveva accompagnato Luigi IX alla crociata, non fu inviato da un papa ma dal Re francese all’imperatore Mongke, quarto Gran Khan dell’Impero Mongolo (1251-1259), nel 1253.
Frate Guglielmo, che era animato da uno spirito missionario e dal desiderio di aiutare i cristiani caduti come prigionieri in mano ai Mongoli, ritornerà da Karakorum due anni dopo, nel 1255, portando con sé una lettera del Gran Khan per il re Luigi IX. Guglielmo fu un ottimo osservatore e un attento narratore: gli appunti del suo taccuino di viaggio su notizie etnografiche, insieme ad annotazioni di carattere scientifico, saranno utilizzate perfino da Ruggero Bacone! Al suo ritorno Guglielmo fece una relazione scritta, in forma di lettera, da inviare al sovrano, ed è così che nasce l’Itinerarium, oggi tradotto e curato da Paolo Chiesa, per i tipi Lorenzo Valla, dal titolo Viaggio in Mongolia.
Molto interessante un passo del suo racconto, in cui il Frate fiammingo dice che avrebbe avuto molte occasioni di ‘spargere buono seme’ se il suo traduttore fosse stato più preparato. Non va dimenticato che il beato Gabriele Allegra nel 1928 all’Antonianum a Roma, ascoltò una conferenza su Giovanni da Montecorvino, francescano, missionario in Cina e primo arcivescovo di Pechino, in occasione del Sesto centenario della sua morte. Nelle sue ‘Memorie’ racconterà che quella conferenza fu ‘come una miccia accesa contro una polveriera’, e lo convinse di essere chiamato a fare il missionario in Cina. Quando seppe che in Cina non esisteva una traduzione cattolica dell’intera Bibbia, decise di recarsi lì per tradurre le Sacre Scritture nella lingua di Confucio.
Inoltre come scrive il prof. p. Pietro Messa anche Matteo Ricci fu influenzato nella sua scelta di recarsi in Cina dalle vicende dei beati francescani e proprio da Tommaso da Tolentino. Uno dei migliori amici d’infanzia di padre Matteo Ricci fu il suo concittadino nonché confratello gesuita Gerolamo Costa. Questo permise che nell’epistolario tra i due appaiano anche notizie circa le rispettive famiglie. Così nella lettera scritta dalla Cina il 14 agosto 1599 al padre Gerolamo, rettore del noviziato dei gesuiti a Roma afferma:
‘Mio carissimo Livio, permettimi di chiamarti con il nome di nascita che ti fu dato dai tuoi genitori che ricordo sempre come i miei. Ho ricevuto ieri via mare la tua graditissima lettera, con le notizie sullo stato di salute di mia madre Giovanna e sulle attività di mio padre Giambattista, che forse con i suoi tanti impegni professionali e pubblici cerca di non pensare alla mia scelta di vita che, probabilmente, non ha mai condiviso. Mio padre non ha mai creduto che io fin da bambino sognavo di venire qua in Cina, il misterioso Katai di cui avevo letto nella nostra biblioteca scolastica su quel famoso libro ‘Il Milione’ di Marco Polo e poi anche nelle ‘Memorie di viaggio’ del francescano Odorico da Pordenone, memoria nelle quali avevo trovato il racconto, tra l’altro, del ritrovamento nel 1326 vicino a Bombay, del corpo incorrotto del beato Tommaso da Tolentino, martirizzato… l’11 aprile 1321’.
La notizia dell’influsso nella scelta missionaria di padre Matteo Ricci della vicenda dei beati francescani Tommaso da Tolentino e Odorico da Pordenone è significativa in quanto collega la presenza dei frati Minori in terra di Cina tra XIII e XIV secolo con quella successiva del venerabile maceratese. E tra quei pionieri francescani una particolare menzione merita il minorita Giovanni da Montecorvino, arcivescovo dell’attuale Pechino dal 1307 al 1328. Il settimo centenario della morte di Marco Polo nel 2024 sarà un’occasione propizia per conoscere meglio frati e mercanti che si incamminarono verso la Cina e alla cui posterità attinse anche il gesuita p. Matteo Ricci”.
Perché è stata costituita una biblioteca francescana nelle Marche?
“La biblioteca storico-francescana e picena ‘San Giacomo della Marca’ è un’istituzione ecclesiastica di Falconara Marittima, comprendente anche l’Archivio storico della provincia picena e la Pinacoteca Internazionale ‘In nome di San Francesco’. Sorta sull’eredità di un’altra biblioteca, allestita a Matelica, per volere e impegno di padre Candido Mariotti, sul finire del XIX secolo, essa ha continuato costantemente ad accrescere il proprio patrimonio librario, diventando nel tempo un punto di riferimento per gli studi sul francescanesimo e sulla storia marchigiana.
Il 4 ottobre 1897, la Costituzione Apostolica di papa Leone XIII, ‘Felicitate quadam’, decretò l’unione di quattro famiglie minoritiche francescane in un unico Ordine, da una parte ricomponendo una divisione percepita ormai come anacronistica, dall’altra, però, ignorando le specificità che ogni compagine aveva maturato nel corso dei secoli. Per la regione Marche, questo significò l’aggregazione della provincia Lauretana degli Osservanti a quella di San Pacifico dei Riformati, con l’acquisizione del nome che tutt’oggi le è affidato, e cioè quello di provincia Picena.
In tale contesto, Candido Mariotti ricevette l’incarico di padre provinciale della nuova circoscrizione e maturò l’idea di costituire una Biblioteca francescana che potesse attestarsi come organo bibliografico di riferimento per tutti i confratelli della provincia e per gli studiosi dell’ordine. Il progetto cominciò a delinearsi più chiaramente all’inizio del XX secolo, con l’allestimento di un fondo librario presso il convento di San Francesco di Matelica; tale nucleo fu creato su una selezione dei volumi precedentemente conservati dai frati di Marciano, Montefiorentino e Montemaggio e sfuggiti, per vari motivi, all’attenzione del giovane Stato Italiano che, all’indomani dell’unità, aveva provveduto alla requisizione dei beni ecclesiastici.
Nel tempo essa accrebbe la propria importanza sul territorio, riuscendo non soltanto a qualificarsi come organo centrale della Provincia, ma anche ad assumere l’incarico di conservare l’Archivio provinciale, ad organizzare importanti convegni su San Giacomo della Marca e a patrocinare l’edizione della rivista ‘Picenum Seraphicum’. Fu questo il momento in cui, considerando l’orizzonte che la Biblioteca stava conquistando anche in termini di utenti ‘esterni’, si decise di ampliare l’offerta documentale prevedendo un fondo dedicato allo studio della storia marchigiana; una scelta che, per tappe, comportò anche il progressivo raffinamento del nome della Biblioteca, che nel 1995 venne mutato in quello che ancora oggi la contraddistingue”.
Quale è l’importanza di una biblioteca francescana per la diffusione della conoscenza?
“L’aggettivo ‘francescana’, che si applica alla biblioteca, si caratterizza non solo come un ente, ma soprattutto per lo stile con cui viene vissuto il servizio. La presenza di religiosi insieme ai laici, che costituiscono lo staff della biblioteca, non fa che arricchire l’ambiente culturale con un clima che si contraddistingue per accoglienza e familiarità, aspetti tipici della spiritualità francescana; uniti a quello della professionalità e alle capacità organizzative, specifiche fondamentali per una proposta seria che sta riscuotendo un’attenzione non solo regionale, ma anche internazionale in questi ultimi anni. Uno studioso, un ricercatore, o un semplice appassionato, che ha sperimentato la fatica della ricerca di testi e fonti, spesso disseminati in ambienti lontani e non facilmente accessibili, può trovare nella biblioteca francescana un gruppo pronto ad accoglierlo con piena disponibilità e ‘semplicità’. Forse anche questi aspetti sarebbero descritti come meraviglie da Marco Polo se fosse qui oggi”.
(Tratto da Aci Stampa)
Papa Francesco: lo Spirito Santo indica la missione della Chiesa

Seguendo il tema delle catechesi del mercoledì papa Francesco oggi ha meditato sullo Spirito Santo che scende nelle genti, come raccontato negli Atti degli Apostoli: “Il racconto della discesa dello Spirito Santo a Pentecoste inizia con la descrizione di alcuni segni preparatori (il vento fragoroso e le lingue di fuoco), ma trova la sua conclusione nell’affermazione: E tutti furono colmati di Spirito Santo”.
Ed ha evidenziato che è lo Spirito Santo l’unità della Chiesa: “San Luca, che ha scritto gli Atti degli Apostoli, mette in luce che lo Spirito Santo è Colui che assicura l’universalità e l’unità della Chiesa. L’effetto immediato dell’essere ‘colmati di Spirito Santo’ è che gli Apostoli ‘cominciarono a parlare in altre lingue’ e uscirono dal Cenacolo per annunciare Gesù Cristo alla folla”.
Questa è la missione della Chiesa: “Così facendo, Luca ha voluto mettere in risalto la missione universale della Chiesa, come segno di una nuova unità tra tutti i popoli. In due modi vediamo che lo Spirito lavora per l’unità. Da un lato, spinge la Chiesa verso l’esterno, perché possa accogliere un numero sempre maggiore di persone e di popoli; dall’altro lato, la raccoglie al suo interno per consolidare l’unità raggiunta. Le insegna a estendersi in universalità e a raccogliersi in unità. Universale e una: questo è il mistero della Chiesa”.
Ed ha indicato due episodi degli Atti degli Apostoli in cui lo Spirito Santo è in azione: “Il primo dei due movimenti (l’universalità) lo vediamo in atto nel capitolo 10 degli Atti, nell’episodio della conversione di Cornelio. Il giorno di Pentecoste gli Apostoli avevano annunciato Cristo a tutti i giudei e gli osservanti della legge mosaica, a qualsiasi popolo appartenessero. Ci vuole un’altra ‘pentecoste’, molto simile alla prima, quella in casa del centurione Cornelio, per indurre gli Apostoli ad allargare l’orizzonte e far cadere l’ultima barriera, quella tra giudei e pagani”.
Da lì il Cristianesimo si espande nel mondo, finora conosciuto: “A questa espansione etnica si aggiunge quella geografica. Paolo (si legge sempre negli Atti degli Apostoli) voleva annunciare il Vangelo in una nuova regione dell’Asia Minore; ma, è scritto, ‘lo Spirito Santo glielo aveva impedito’; voleva passare in Bitinia ‘ma lo Spirito di Gesù non lo permise’. Si scopre subito il perché di questi sorprendenti divieti dello Spirito: la notte seguente l’Apostolo riceve in sogno l’ordine di passare in Macedonia. Il Vangelo usciva così dalla nativa Asia ed entrava in Europa”.
L’altro episodio riguarda il Concilio di Gerusalemme: “Il secondo movimento dello Spirito Santo (quello che crea l’unità) lo vediamo in atto nel capitolo 15 degli Atti, nello svolgimento del cosiddetto concilio di Gerusalemme. Il problema è come far sì che l’universalità raggiunta non comprometta l’unità della Chiesa. Lo Spirito Santo non opera sempre l’unità in maniera repentina, con interventi miracolosi e risolutivi, come a Pentecoste”.
Ciò avviene attraverso un ‘lavoro sinodale’: “Lo fa anche (e nella maggioranza dei casi) con un lavorio discreto, rispettoso dei tempi e delle divergenze umane, passando attraverso persone e istituzioni, preghiera e confronto. In maniera, diremmo oggi, sinodale. Così infatti avvenne, nel concilio di Gerusalemme, per la questione degli obblighi della Legge mosaica da imporre ai convertiti dal paganesimo”.
Concludendo con una citazione di sant’Agostino papa Francesco ha precisato che lo Spirito Santo crea unità: “Sant’Agostino spiega l’unità operata dallo Spirito Santo con una immagine, divenuta classica: ‘Ciò che è l’anima per il corpo umano, lo Spirito Santo lo è per il corpo di Cristo che è la Chiesa’. L’immagine ci aiuta a capire una cosa importante. Lo Spirito Santo non opera l’unità della Chiesa dall’esterno; non si limita a comandare di essere uniti. E’ Lui stesso il ‘vincolo di unità’. E’ Lui che fa l’unità della Chiesa”.
E l’unità si realizza nella vita: “Come sempre, concludiamo con un pensiero che ci aiuta a passare dall’insieme della Chiesa a ciascuno di noi. L’unità della Chiesa è l’unità tra persone e non si realizza a tavolino, ma nella vita. Si realizza nella vita. Tutti vogliamo l’unità, tutti la desideriamo dal profondo del cuore; eppure essa è tanto difficile da ottenere che, anche all’interno del matrimonio e della famiglia, l’unione e la concordia sono tra le cose più difficili da raggiungere e più ancora da mantenere”.
Al termine dell’udienza generale papa Francesco ha chiesto di recitare il rosario, affidando alla Madre di Dio chi soffre a causa della guerra: “Vi esorto tutti a recitare il Rosario ogni giorno, abbandonandovi fiduciosi nelle mani di Maria. A Lei, madre premurosa, affidiamo le sofferenze e il desiderio di pace delle popolazioni che subiscono la pazzia della guerra, in particolare la martoriata Ucraina, la Palestina, Israele, il Myanmar, il Sudan”.
(Foto: Santa Sede)
Papa Francesco invita alla Pasqua unitaria

Giornata intensa per papa Francesco, che ha ricevuto in udienza i membri del Centro di Alta Formazione ‘Laudato sì’, incoraggiandoli sul lavoro da svolgere e ricordando il percorso del Centro: “Per rendere visibile e concreta la volontà di promuovere la conversione ecologica, ho pensato di realizzare un modello tangibile di pensiero, di struttura e di azione, che ho denominato Borgo ‘Laudato sì’. E ho ritenuto che le attinenze e le dipendenze delle Ville di Castel Gandolfo fossero lo spazio adatto ad ospitare questa sorta di “laboratorio”, dove sperimentare i contenuti formativi.
A tale scopo, all’inizio del 2023 ho costituito il Centro di Alta Formazione ‘Laudato sì’, quale organismo scientifico, educativo e di attività sociale. Esso è dotato di propria autonomia patrimoniale, tecnica, amministrativa e contabile, e opera per la formazione integrale della persona nell’ambito dell’economia sostenibile e secondo i principi dell’Enciclica Laudato sì”.
Ed ha elogiato il progetto del ‘Borgo’: “Dopo mesi di lavoro intenso, il Direttivo del Centro di Alta Formazione mi ha presentato il risultato: si tratta di un progetto complesso e poliedrico, che interessa vari aspetti dell’ecologia integrale. Uno degli elementi essenziali è senza dubbio l’agricoltura, che nel Borgo ‘Laudato sì’ vuole distinguersi per sostenibilità e diversificazione, investendo in infrastrutture, sistemi di irrigazione e sviluppo di tecniche agricole rispettosi dell’ecosistema e della biodiversità”.
Tale progetto è una sintesi tra tradizione ed innovazione: “Nel progetto agricolo del Borgo ha trovato posto lo sviluppo di una nuova vigna per la produzione di vino. Essa vuole porsi come una sintesi di tradizione e innovazione, come si dice un “marchio di fabbrica” del Borgo. Anche in questo, il Centro di Alta Formazione si è avvalso della consulenza di alcuni tra i maggiori esperti, perché l’intenzione è quella di puntare all’eccellenza. E’ molto importante non rimanere nella ‘media’, perché dalla media si va alla mediocrità. Sempre puntare all’eccellenza”.
Poi ha incontrato i delegati del gruppo ‘Pasqua Together 2025’, a cui ha ricordato l’anniversario del Concilio di Nicea: “L’anno prossimo infatti (che per la Chiesa Cattolica sarà Giubileo ordinario), la celebrazione della Pasqua, a motivo della coincidenza dei calendari, sarà comune per tutti i cristiani. È un segno importante, a cui si aggiunge la ricorrenza dei 1700 anni dalla celebrazione del primo Concilio Ecumenico, quello di Nicea, che, oltre a promulgare il Simbolo della fede, trattò anche il tema della data della Pasqua, a causa delle differenti tradizioni esistenti già a quel tempo”.
Ed ha prospettato la necessità di una celebrazione pasquale unitaria: “In più di un’occasione mi è stato rivolto l’appello a cercare una soluzione a tale questione, affinché la celebrazione comune del giorno della Risurrezione non sia più un’eccezione, ma diventi la normalità. Incoraggio pertanto chi si sta impegnando in questo cammino a perseverare, e a fare ogni sforzo nella ricerca di una comunione possibile, evitando tutto ciò che può invece portare a ulteriori divisioni tra i fratelli”.
La Pasqua, infatti, non dipende da ‘noi’: “Soprattutto, però, mi preme affidare a tutti un pensiero, che ci rimanda al cuore della tematica: la Pasqua non accade per nostra iniziativa o per un calendario o un altro: l’evento Pasquale è avvenuto perché Dio ‘ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna’. Non dimentichiamo il primato di Dio, il suo primerear, il suo aver fatto il primo passo.
Non chiudiamoci nei nostri schemi, nei nostri progetti, nei nostri calendari, nella ‘nostra’ Pasqua. La Pasqua è di Cristo! E a noi fa bene chiedere la grazia di essere sempre più suoi discepoli, lasciando che sia Lui a indicarci il cammino da seguire e accettando con umiltà l’invito, fatto un giorno già a Pietro, a metterci sulle sue orme, e a non pensare secondo gli uomini, ma secondo Dio”.
Ed infine ha ricevuto ha ricevuto la congregazione dei Sacri Cuori di Gesù e Maria e le Suore del Divino Salvatore, suggerendo tre consigli mariani (parlare poco, ascoltare molto, custodire nel cuore): Ce lo insegna Maria, ‘stella polare’ della missione, che nel Vangelo parla poco, ascolta molto e custodisce nel cuore. Sono atteggiamenti validi anche per noi: parlare poco, confrontarsi, aprirsi, ma non perdersi in chiacchiere inutili (il chiacchiericcio è una peste!), ascoltare molto, nella preghiera, nel silenzio, nell’attenzione agli altri. A
volte non sappiamo ascoltare: l’altro parla e a metà del discorso rispondiamo. No, ascolta tutto, fino alla fine. Ascolta anche il Signore! Ascoltare e custodire nel cuore, per essere apostoli della speranza, nel mondo che oggi ne ha tanto bisogno. E in proposito vorrei concludere ricordando un tratto caratteristico della Madonna: lei non mostra mai sé stessa (è interessante questo) ma sempre Gesù… Sempre indica Gesù. Dobbiamo imparare questo: mostrare agli altri Gesù, non noi stessi, perché per tutti, oggi e sempre, la nostra speranza è nel Signore, è in Lui”.
(Foto: Santa Sede)
Monsignor Pighin: il cardinale Costantini antesignano del dialogo tra Santa Sede e Cina

“Di fronte specialmente ai Cinesi, ho creduto opportuno di non dover accreditare in alcun modo il sospetto che la religione cattolica apparisca come messa sotto tutela e, peggio ancora, come strumento politico al servizio delle nazioni europee”: così, nei suoi memoriali, il card. Celso Costantini ricordava un tratto qualificante della sua missione di primo delegato apostolico in Cina dal 1922 al 1933.
Negli ultimi decenni la memoria di questa figura geniale e profetica della Chiesa cattolica del secolo scorso è stata valorizzata da mons. Bruno Fabio Pighin, professore ordinario nella Facoltà di Diritto Canonico S. Pio X di Venezia e delegato episcopale per la causa di canonizzazione del cardinale. Ed un volume curato dal prof. Pighin, intitolato ‘Il Cardinale Celso Costantini e la Cina. Costruttore di un ‘ponte’ tra Oriente e Occidente’, esplora aspetti poco conosciuti del cardinale friulano.
Il segretario di stato vaticano, card. Pietro Parolin, nella prefazione al volume, aggiunge dettagli preziosi: “Quel percorso ha tracciato una direzione, sulla quale la Chiesa prosegue tutt’oggi, come avvenuto con l’Accordo provvisorio tra Santa Sede e Repubblica popolare cinese riconfermato nel 2022. Tale Accordo, già auspicato da papa Benedetto nel 2007 e firmato sotto il pontificato di papa Francesco nel 2018, riguarda la nomina dei vescovi in Cina, in continuità ideale coi sei primi Vescovi cinesi, consacrati a Roma da Pio XI e dallo stesso Costantini nel 1926”.
Da mons. Pighin ci facciamo spiegare da dove nasce l’idea di pubblicare quest’opera: “L’iniziativa è stata voluta dall’associazione ‘Amici del Cardinale Celso Costantini’, promotrice dell’esposizione permanente dedicata a ‘Celso Costantini e la Cina’, inaugurata nel 2023 nel Museo diocesano di arte sacra di Pordenone, che intende custodire, valorizzare e rendere fruibili, anche per i posteri, i tesori culturali inestimabili legati all’insigne porporato pordenonese, molti dei quali provenienti dalla terra di Confucio”.
Quali sono i contenuti di questa pubblicazione?
“Il testo presenta un originale mosaico letterario, nel quale si evidenziano tre polarità che interagiscono tra loro. Anzitutto emerge la figura geniale di Celso Costantini, oggi riscoperta nei suoi vari profili di vescovo e poi cardinale, di scrittore, scultore, protagonista nell’arte sacra del secolo scorso, di diplomatico e di artefice di carità e di pace. Il secondo filone, intrecciato con il primo, illustra le gesta da lui compiute in Cina, dove rifondò la comunità cattolica con propri vescovi, valorizzò la grande civiltà cinese nella liturgia e nell’arte cristiana e sviluppò il dialogo con le autorità del più grande Stato dell’Asia. La terza dimensione attraversa l’intera pubblicazione con 150 fotografie di valore storico-artistico. In esse viene documentato il patrimonio culturale da lui lasciato e ora esposto permanentemente nel Museo diocesano di Pordenone”.
Per quale motivo il card. Celso Costantini è stato un costruttore di ‘ponte’ tra Oriente ed Occidente?
“Celso Costantini, primo delegato apostolico in Cina, ha creato una svolta ai rapporti della Chiesa cattolica con la terra di Confucio e poi, da segretario di Propaganda Fide, più in generale con l’Estremo Oriente. Ha inaugurato la ‘decolonizzazione’ religiosa trattando la Cina con tutta la dignità che meritava, su un piano di uguaglianza, riconoscendone la sua grande cultura e civiltà con la quale si mise in dialogo. Il suo impegno potrebbe essere definito oggi di carattere ‘transculturale’, nella consapevolezza che il Vangelo si ‘coniuga’ con ogni cultura e funge da veicolo anche per i rapporti socio-culturali a livello mondiale”.
Quale contributo offrì il card. Costantini al Concilio sinense?
“Il Primo Concilio Cinese tenutosi a Shanghai nel 1924 sarebbe stato semplicemente impensabile senza l’opera svolta per esso dal card. Celso Costantini. Anzitutto egli fece compiere una svolta di 180 gradi alla preparazione dell’assise, ponendo le basi della futura opera di evangelizzazione in Cina, mentre in precedenza l’impegno mirava a comporre un compendio delle disposizioni emanate negli ultimi tre secoli. Nella fase della celebrazione conciliare egli fu il grande protagonista nel condurlo a buon fine. Gli atti prodotti sono splendidi, grandiosi e originali nella loro forma e nel loro contenuto, considerati ovviamente nel loro contesto di un secolo fa. Infine il card. Costantini fu l’artefice principale della loro pronta attuazione, prima ancora che i decreti conciliari fossero revisionati dalla Santa Sede e poi pubblicati nel 1929”.
Per il card. Costantini cosa significava ‘evangelizzare’?
“Per il card. Celso Costantini ‘evangelizzare’ voleva dire l’opposto di ‘conquistare’, perché significava far risuonare la bellissima notizia portata da Gesù Cristo all’umanità. Il punto centrale stava nel favorire una relazione diretta delle persone con il Risorto, al fine di sperimentare il suo amore salvifico per ogni essere umano, chiamato alla dignità di diventare figlio di Dio”.
Il dialogo tra Santa Sede e Repubblica Popolare Cinese ha portato all’accordo per la nomina dei vescovi cinesi: si può dire che il card. Costantini fu antesignano di questo dialogo?
“Il card. Celso Costantini fu più di un ‘antesignano’ di questo dialogo. Infatti, i rapporti tra la Repubblica Cinese e la Santa Sede non sono iniziati oggi, ma si collocano in un tracciato storico. Le piene relazioni diplomatiche tra lo Stato più grande dell’Asia e la Sede Apostolica, stabilite nel 1946, ebbero nel card. Costantini il principale protagonista. Esse furono poi congelate con l’avvento della rivoluzione maoista. Oggi si sta verificando un disgelo fra i due soggetti di diritto internazionale, il quale impone di affrontare problemi simili a quelli risolti con l’apporto determinante del card. Costantini. Si noti poi che l’accordo in vigore tra le due parti sovrane sulla nomina dei vescovi cinesi riguarda i presuli con i successori di quelli portati alla dignità episcopale dallo stesso card. Costantini”.
Cosa è stato il ‘metodo’ Costantini?
“Alcuni storici contemporanei hanno individuato nell’opera di Celso Costantini un metodo nuovo e originale a livello politico e diplomatico della Santa Sede. Detto metodo si basa sull’opportunità di muoversi verso una metà ben chiara tramite percorsi parziali ma sanificativi, ampliando gradualmente le aree condivise e utilizzando canali di dialogo non solo diplomatici, ma anche sociali e culturali. Questo è congeniale alla Santa Sede perché, a differenza degli altri soggetti di diritto internazionale territorialmente delimitati, essa gode di dimensioni planetarie nel governo della Chiesa cattolica che è universale”.
(Tratto da Aci Stampa)
Nicea 1700 anni dopo

È in uscita un nuovo numero di Studia patavina (2/2024), la rivista della Facoltà teologica del Triveneto, con un focus dal titolo Nicea andata e ritorno. Traiettorie di un Concilio, a cura di Chiara Curzel (Istituto superiore di Scienze religiose “Romano Guardini” di Trento) e Maurizio Girolami (Facoltà teologica del Triveneto), scaricabile gratuitamente dal sito www.fttr.it al link https://www.fttr.it/wp-content/uploads/2024/07/Studia-Patavina-2-2024-FOCUS-NICEA.pdf
Nel 2025 ricorreranno i 1700 anni dal concilio di Nicea (325 d.C.), il primo evento ecumenico nella storia della cristianità, da cui scaturì una professione di fede condivisa che tuttora rappresenta per i cristiani un elemento in cui identificarsi e trovare unità. La Facoltà teologica del Triveneto ha già organizzato un convegno sul tema (14 ottobre 2024), da cui nascono gli approfondimenti proposti in questo fascicolo.
Il percorso affronta innanzitutto questioni storiche, teologiche, linguistiche, scritturistiche e guarda poi alla recezione di Nicea nel territorio del Nord Est italiano. In apertura, Emanuela Prinzivalli (Sapienza Università di Roma, Istituto Patristico Augustinianum) delinea un ampio quadro storico-teologico generale delle questioni: studia i prodromi di Nicea, le poche fonti disponibili sul suo andamento, l’innovazione costituita dal Credo niceno.
L’evento, la ricezione e la comunicazione di Nicea sono sviscerati da alcuni docenti dell’area patristica della Facoltà, che hanno anche curato la parte scientifica del convegno: Chiara Curzel (Trento), Cristina Simonelli e Zeno Carra (Verona), Davide Fiocco (Belluno).
La chiesa di Aquileia, madre delle chiese del Nord Est, ebbe un ruolo importante nella vicenda: polmone tra Roma e l’Oriente, fu un territorio sul quale visioni di chiese diverse trovarono tensioni e scontri, ma fu anche ponte di dialogo nella catena di trasmissione della fede. Alcuni affondi su autori e territori di area aquileiese sono proposti da altri docenti della Facoltà: Giuseppe Laiti (Verona), Alessio Persic (Udine), Tatiana Radaelli (Treviso), Paolo Cordioli (Verona), Massimo Frigo (Vicenza), Maurizio Girolami (Padova).
Millesettecento anni fa venne posto come soggetto il “noi”, cioè la comunità diversificata per luoghi e culture ma accomunata dalla fede condivisa e, da quel momento in poi, da un condiviso modo di esprimerla e di trasmetterla. «Il cammino sinodale che stiamo compiendo oggi – scrivono nell’editoriale Curzel e Girolami – ci riconsegna l’importanza di ripartire da questo assunto fondamentale: la fede è un dono dato a una comunità di discepoli e questi insieme credono, insieme celebrano, insieme testimoniano la loro appartenenza a Cristo».
Per l’oggi della fede sono di grande attualità due temi derivanti da Nicea: quello del generare e quello dell’uso del linguaggio. «La cultura contemporanea sembra non riconoscere più il valore della generazione – proseguono i curatori –. Generare significa riconoscere che ogni generazione ha il suo posto nel piano dell’umanità e che ciascuna sa dare il proprio contributo nel dialogo con chi viene prima e pensando a chi viene dopo.
Il dialogo tra generazioni, al quale tante volte richiama papa Francesco, è una vocazione di umanità che attende da tutti attenzione e cura, perché anche così si prende coscienza dell’essere generati e della potenzialità di essere generatori di futuro». L’altro grande contributo di Nicea è la riflessione sul linguaggio, cioè il richiamo al necessario compito di cercare in ogni epoca e contesto le parole più proprie per esprimere la fede. «L’impegno a trovare parole per dire “Gesù è Signore” in questo nostro tempo è la sfida che ci raggiunge da Nicea» concludono i curatori.
Oltre al Focus, la rivista pubblica l’articolo di Antonio Ricupero Ministeri laicali e carismi in Luigi Sartori, proposto nell’anniversario del primo centenario della nascita del teologo padovano. Completa il fascicolo una ricca sezione di recensioni e segnalazioni bibliografiche.
Il focus del fascicolo 2/2024 è scaricabile gratuitamente dal sito della Facoltà teologica del Triveneto www.fttr.it al link https://www.fttr.it/wp-content/uploads/2024/07/Studia-Patavina-2-2024-FOCUS-NICEA.pdf. L’intero fascicolo 2/2024 può essere richiesto (al costo di € 17,00) a studiapatavina.abbonamenti@fttr.it ed è in vendita su Libreriadelsanto.it
Da Milano un ‘grido’ contro il peccato e la guerra

“Sinceramente dimoriamo nello stupore e pratichiamo la riconoscenza: viviamo, infatti, di una vita ricevuta. Ogni risveglio è il tempo per lodare il Signore, come ci insegna la Chiesa che propone le Lodi come preghiera del mattino. Veramente il criterio del nostro agire è la docilità al Signore che dona il suo Santo Spirito perché tutto cooperi al bene di coloro che amano Dio e in ogni situazione aiuta a riconoscere l’occasione per amare. L’atteggiamento spirituale della docilità allo Spirito di Dio (Spirito di verità, di sapienza, di fortezza) convince a vivere le celebrazioni liturgiche e la preghiera in modo che siano principio di conformazione a Gesù, costante risposta alla vocazione, deciso proposito di conversione”.
Inizia in questo modo la proposta pastorale del prossimo anno che l’arcivescovo di Milano, mons. Mario Delpini, propone per resistere al male continuando con tenacia e sapienza a educare e operare per la pace, richiamando la Lettera di san Paolo ai Corinzi e gli scritti di santa Teresa d’Avila e sant’Ignazio di Loyola, in quanto “lo smantellamento della nostra superbia apre uno spazio in cui si fa percepibile in modo limpido che tutto è frutto del dono del Signore, potenza sua che si manifesta proprio nella nostra debolezza… Questo ci dona anche la chiarezza e il coraggio di dire ‘basta’ a quanto fa dimenticare il dono del Signore o a quanto lo contrasta esplicitamente”.
Ed ha ricordato anche l’importanza del Concilio di Nicea, in cui è ribadito che Gesù è Figlio di Dio: “Questa drammatica vicenda ha condotto alla professione di fede del Concilio di Nicea, nell’anno 325, che è parte fondamentale del simbolo niceno-costantinopolitano proclamato nelle nostre assemblee durante le celebrazioni domenicali e festive. Si compiono nel 2025 i 1700 anni dal Concilio di Nicea: è provvidenziale ricordare e celebrare quell’evento e approfondire la parola difficile e irrinunciabile che i padri di Nicea hanno formulato per dire la loro fede: il Figlio è della stessa sostanza del Padre.
Come possiamo dire questa verità perché non sia solo una formula da ripetere? Come può l’affermazione della verità della relazione del Figlio con il Padre essere fonte di vita e di pensiero per il nostro tempo e per la proclamazione della verità cristiana a coloro che ci domandano ragione della nostra fede?”
E’ un richiamo a vivere la canonizzazione di Carlo Acutis: “L’anno liturgico ci fa celebrare anche la ricchezza e la fecondità della grazia nella vita dei santi. A questo proposito condividiamo la gioia per la notizia tanto attesa della canonizzazione del beato Carlo Acutis. Nella vita di Carlo si realizza la parola di Paolo che ho voluto richiamare all’inizio di questa mia lettera.
In Carlo Acutis adolescente vedo l’espressione di questa debolezza umana, che è nostro tratto caratteristico: una fragilità (come affermiamo comunemente) che non smentisce la grazia di Dio ma, al contrario, diventa la condizione fondamentale per poterla accogliere e ospitare. In Carlo Acutis adolescente vedo la sincera sensibilità e attenzione verso i più poveri: non ha fatto delle fragilità altrui l’occasione di un giudizio, ma le ha vissute come una vocazione. In Carlo Acutis adolescente vedo i segni di una malattia improvvisa e spietata, vissuta come occasione per decidersi nell’amicizia di Gesù”.
Però il prossimo anno sarà caratterizzato, soprattutto, dal Giubileo della Chiesa universale con un richiamo alla tradizione biblica della sospensione dello sfruttamento intensivo della terra, a cui dedica un capitolo intitolato ‘Lasciate riposare la terra’: “La tradizione operosa che caratterizza le nostre comunità e l’inclinazione spontanea degli operatori pastorali sono esposte alla tentazione di diventare un protagonismo frenetico. Ritengo pertanto doveroso richiamare a riconoscere il primato della grazia e quindi l’irrinunciabile dimorare nella dimensione contemplativa della vita, nell’ascolto della Parola e nella centralità della Pasqua di Gesù che si celebra nell’Eucaristia”.
Quindi ha avanzato alcune proposte: “Nell’anno giubilare è opportuno che ci sia un tempo, per esempio il mese di gennaio, non tanto per ulteriori riunioni e discussioni, ma per sospendere, per quanto è possibile, le attività ordinarie e vivere un ‘tempo sabbatico’, dedicato non a fare qualche cosa, ma a raccogliersi in una preghiera più distesa, in conversazioni più gratuite, in serate familiari più tranquille”.
Perciò dalla dimensione personale e comunitaria del peccato, la riflessione si sposta poi su quella sociale, con riferimento in particolare ai conflitti in corso: “Noi figli e figlie di Dio, discepoli di Gesù e tutti gli uomini e le donne di buona volontà e di buon senso, dobbiamo essere uniti nel gridare: basta con la guerra! La fiducia nell’umanità, nelle istituzioni, nella cultura, nelle religioni è messa a dura prova. Ci sembra di essere inascoltati da politici impotenti e forse inclini piuttosto a incrementare gli armamenti che a costruire la pace”.
Il documento è completato da una seconda parte (‘Annuncio, missione, sinodalità: ricordati del cammino percorso’) in cui mons. Delpini ripercorre i passi compiuti dalla Chiesa ambrosiana “con l’intenzione di mettere al centro la missione, così da farne memoria riconoscente, per rilanciare il suo cammino, in obbediente ascolto a quanto il Sinodo dei Vescovi e il cammino sinodale delle Chiese in Italia ci stanno proponendo”.
Infine sono ricordate tappe fondamentali come la creazione delle Comunità pastorali (sotto l’episcopato del card. Tettamanzi), la celebrazione del Sinodo minore “Chiesa dalle genti” e più recentemente la creazione delle Assemblee sinodali decanali e il rinnovo dei Consigli pastorali di Parrocchie e Comunità pastorali, che è un incoraggiamento a non abbandonare l’impegno civile: “Ci sentiamo incoraggiati dallo Spirito del Signore (continuamente lo invochiamo) che mantiene viva la fiducia, motiva moltissime persone all’impegno generoso e lieto e fa emergere risorse e disponibilità inattese.
In questa terra, terra di santi e di futuro, la comunità cristiana si confronta con una società innovativa, operosa, aperta e insieme incerta, spaventata, disperata (di cui si sente parte) e, come il Concilio Vaticano II testimonia, prova simpatia per gli uomini e le donne di questo tempo e di questo luogo in cui convergono persone da ogni parte del mondo. Insieme con tutta la Chiesa italiana la comunità cristiana ambrosiana vive la fecondità del seme, del sale, del lievito perché si conferma e si riconosce come il tralcio unito alla vite che solo così può portare molto frutto, secondo la promessa e lo stile di Gesù”.
(Foto: Diocesi di Milano)
Papa Francesco pensa ad un viaggio a Nicea

“Proprio nel 2025 ricorrerà anche il 1700° anniversario del Primo Concilio Ecumenico di Nicea. Auspico che la memoria di questo importantissimo evento possa far crescere in tutti i credenti in Cristo Signore la volontà di testimoniare insieme la fede e l’anelito a una maggiore comunione. In particolare, mi rallegro che il Patriarcato Ecumenico e il Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani abbiano cominciato a riflettere su come commemorare insieme questo anniversario; e ringrazio Sua Santità Bartolomeo per avermi invitato a celebrarlo nei pressi del luogo dove il Concilio si riunì. E’ un viaggio che desidero fare, di cuore”.
Al termine dell’udienza con una delegazione del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli in occasione della festa dei Santi Pietro e Paolo, che ricorre domani, papa Francesco ha espresso il desiderio di recarsi a Nicea nel prossimo anno su invito del patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo I, con un ringraziamento della presenza a Roma:
“La vostra venuta in questa ricorrenza, così come l’invio al Fanar di una mia delegazione in occasione della festa dell’Apostolo Andrea, fratello di Pietro, offrono l’opportunità di sperimentare la gioia dell’incontro fraterno e testimoniano i profondi legami che uniscono le Chiese sorelle di Roma e di Costantinopoli, con la ferma di decisione di procedere insieme verso il ristabilimento dell’unità alla quale soltanto lo Spirito Santo può guidarci, quella della comunione nella legittima diversità”.
Tale ‘riavvicinamento’ era iniziato con papa Paolo VI ed il patriarca Atenagora: “Dopo secoli di reciproco estraniamento, quell’incontro è stato un segno di grande speranza, che non cessa di ispirare i cuori e le menti di tanti uomini e donne che oggi bramano di giungere, con l’aiuto di Dio, al giorno in cui potremo partecipare insieme al banchetto eucaristico”.
Proseguito nel tempo con il patriarca Bartolomeo: “Dieci anni fa, nel maggio 2014, il Patriarca Ecumenico Sua Santità Bartolomeo ed io ci siamo recati pellegrini a Gerusalemme, per commemorare il 50° anniversario di quello storico evento. Proprio là, dove il nostro Signore Gesù Cristo è morto, risorto e asceso al cielo, e dove lo Spirito Santo è stato effuso per la prima volta sui discepoli, abbiamo ribadito il nostro impegno a continuare a camminare insieme verso l’unità per la quale Cristo Signore ha pregato il Padre, ‘perché tutti siano una sola cosa’ (Gv 17,21)”.
Quindi il papa ha incoraggiato i componenti della Commissione internazionale per studiare alcune questioni teologiche per aumentare il dialogo tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa: “Auspico che i pastori e i teologi coinvolti in questo processo vadano oltre le dispute puramente accademiche e si dispongano in docile ascolto di ciò che lo Spirito Santo dice alla vita della Chiesa, come pure che quanto è già stato oggetto di studio e di accordo trovi piena recezione nelle nostre comunità e luoghi di formazione. Sempre ci sarà resistenza a questo, dappertutto, ma dobbiamo andare avanti con coraggio”.
Ricordando l’incontro di 10 anni fa ha invocato la pace in Terra Santa ed in Ucraina: “A distanza di dieci anni, la storia attuale ci mostra in modo tragico la necessità e l’urgenza di pregare insieme per la pace, perché questa guerra finisca, i Capi delle Nazioni e le parti in conflitto possano ritrovare la via della concordia e tutti si riconoscano fratelli. Naturalmente, questa invocazione di pace si estende a tutti i conflitti in corso, in particolare alla guerra che si combatte nella martoriata Ucraina”.
Ed infine ha invitato gli ortodossi a vivere insieme il Giubileo del prossimo anno: “Vi sarò grato se voi e la Chiesa che rappresentate vorrete accompagnare e sostenere con la vostra preghiera questo anno di grazia, perché non manchino abbondanti frutti spirituali. Anche con la vostra presenza, sarà molto bello”.
Mentre ai i membri della Società del Verbo Divino, (Padri Verbiti), riuniti in capitolo sul tema ‘Risplenda la vostra luce davanti agli uomini’, il papa ha chiesto di essere fedeli discepoli: “Tutti i battezzati sono chiamati a essere discepoli missionari, e la fedeltà a questa vocazione è il nostro impegno, sempre con la grazia di Dio. Il discepolo fedele si vede dalla gioia del Vangelo che traspare dal suo volto, dal suo stile di vita, con cui trasmette agli altri l’Amore che lui per primo ha ricevuto e riceve ogni giorno. Sperimentare l’Amore trinitario e alimentare la fiamma dello Spirito è il valore centrale per crescere come discepoli e religiosi missionari”.
Ed anche missionari creativi: “Da dove viene la creatività vostra? Quella buona, sana, non quella apparente, che sempre è autoreferenziale e mondana. Invece, la missionarietà sana viene dalla Parola e dallo Spirito, cioè da Cristo vivo in voi, che vi rende partecipi della sua missione. E’ Lui che attira i cuori, non siamo noi! È lo Spirito il protagonista, e la nostra ‘arte’ è quella di lavorare con tutte le forze, spendendo tutti i nostri talenti, nella certezza che è sempre Lui che opera, è Lui che crea e il nostro agire è docilità, è strumento, è ‘canale’, riflesso, trasparenza”.
Da qui il mandato ad essere costruttori di pace: “Il mondo è ferito da conflitti, guerre, distruzioni, anche distruzione dell’ambiente, violenze contro la vita e la dignità umana, ideologie fondamentaliste e altre piaghe, tante. La pace è il grido della gente: ascoltiamo questo grido e diventiamo costruttori di pace!.. Portiamo a tutti la pace di Cristo, specialmente ai poveri, ai migranti (soffrono tanto!), alle donne discriminate, ai bambini, agli esclusi. Dio ha ascoltato il grido del popolo schiavo; non chiudiamo le orecchie al grido degli schiavi di oggi, e siamo creativi nel costruire la pace”.
Inoltre li ha invitati ad essere speranza per ogni cultura: “Voi dovete essere speranza per ogni cultura. Alla vigilia dell’anno giubilare, in un mondo ferito, le nostre comunità devono diventare segni di speranza. E questa è una profezia. Questo significa, prima ancora che dare speranza, essere speranza, esercitando il carattere che ci viene dal Battesimo, di essere speranza. Per voi, la consacrazione secondo il carisma originario viene a confermare e rafforzare il dono battesimale e diventa impegno di testimonianza, nei diversi contesti sociali e culturali in cui vi trovate”.
Infine un’esortazione ad essere missionari della sinodalità: “La Chiesa che ‘esce’ è aperta agli altri. E’ una comunità accogliente e avvolgente dove il Signore vive e lo Spirito è attivo. La Chiesa che esce è estroversa, invece una Chiesa settaria è introversa. Sempre aperti, con il cuore in mano! Oggi questa Chiesa deve crescere con un approccio sinodale, ascoltando tutti, dialogando con tutti e discernendo nello Spirito Santo quale sia la missione… Pertanto, vi incoraggio a promuovere la sinodalità in ogni aspetto della vostra vita: lasciate che ogni comunità cresca e goda di uno stile sinodale in cui tutti si sentano ascoltati e accolti. Infine, fate ciò che lo Spirito dice, ma è importante il processo in cui lo Spirito si muove in modo delicato, tra i popoli semplici e nei luoghi più lontani”.
(Foto: Santa Sede)
Il vescovo di Roma è al servizio dell’unità

Giovedì 13 giugno è stato presentato il documento di studio del Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, ‘Il Vescovo di Roma. Primato e sinodalità nei dialoghi ecumenici e nelle risposte all’enciclica Ut unum sint’, pubblicato con l’approvazione di papa Francesco, che sintetizza le riposte all’enciclica ‘Ut unum sint’ ed i dialoghi ecumenici sulla questione del primato e della sinodalità, a cui hanno preso parte sua eminenza Khajag Barsamian, rappresentante della Chiesa Apostolica Armena presso la Santa Sede – Catholicossato di Etchmiadzin (in collegamento da remoto); Sua Grazia l’arcivescovo Ian Ernest, direttore del Centro anglicano di Roma e Rappresentante personale dell’Arcivescovo di Canterbury presso la Santa Sede (in collegamento da remoto); card. Mario Grech, segretario generale della Segreteria Generale del Sinodo; e card. Kurt Koch, prefetto del Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, che ha tracciato le origini del documento;
“Dal 1995 sono state formulate numerose risposte a questo invito, riflessioni e suggerimenti diversi scaturiti dai dialoghi teologici. Nel 2020, in occasione del 25^ anniversario dell’enciclica ‘Ut unum sint’, il dicastero per la promozione dell’unità dei cristiani ha visto l’opportunità di sintetizzare queste riflessioni e raccoglierne i principali frutti. Lo stesso papa Francesco ci ha invitato a farlo, rilevando nella ‘Evangelii gaudium’ che ‘abbiamo fatto pochi progressi in questo senso’. Inoltre, la convocazione del Sinodo sulla sinodalità ha confermato l’attualità di questo progetto del nostro Dicastero come contributo alla dimensione ecumenica del processo sinodale”.
Tale documento è frutto di un lungo percorso ecumenico e sinodale: “Il documento è il frutto di un lavoro veramente ecumenico e sinodale durato quasi tre anni. Riassume circa 30 risposte all’ ‘Ut unum sint’ e 50 documenti di dialogo ecumenico sull’argomento. Ha coinvolto non solo il personale, ma anche tutti i membri e i consultori del Dicastero che ne hanno parlato nel corso di due riunioni plenarie. Sono stati consultati anche i migliori esperti cattolici in materia, oltre a numerosi esperti ortodossi e protestanti, in collaborazione con l’Istituto di studi ecumenici dell’Angelicum. Infine, il testo è stato inviato a diversi dicasteri della Curia Romana e al Sinodo dei Vescovi. In totale sono stati presi in considerazione più di cinquanta pareri e contributi scritti”.
Il documento mostra una conclusione in cui si evidenzia che il ministero petrino non può prescindere dalla sinodalità: “A differenza delle controversie del passato, la questione del primato non è più considerata solo come un problema ma anche come un’opportunità di riflessione comune sulla natura della Chiesa e sulla sua missione nel mondo. Un’idea particolarmente interessante è che il ministero petrino del Vescovo di Roma è intrinseco alla dinamica sinodale, così come l’aspetto comunitario che comprende tutto il Popolo di Dio e la dimensione collegiale del ministero episcopale”.
Infine il documento principi importanti per ‘fondare’ un principio di comunione: “Riguardo ai principi e alle proposte per un rinnovato esercizio del primato, il documento sviluppa alcuni suggerimenti avanzati dai dialoghi, in particolare una “rilettura” o un commento ufficiale del Vaticano I, una distinzione più chiara tra le diverse responsabilità del Papa, un rafforzamento della la sinodalità della Chiesa cattolica ad intra e ad extra, in particolare in vista della commemorazione del 1700° anniversario del Concilio di Nicea, il primo Concilio ecumenico, nel 2025”.
Il card. Mario Grech ha ripreso la tesi principale dell’enciclica di san Giovanni Paolo II, ‘Ut unum sint’: “Sono passati trent’anni da quelle parole e molte cose sono cambiate nella Chiesa, ma l’urgenza dell’unità della Chiesa non è venuta meno e la richiesta di trovare una modalità di esercizio del ministero petrino che sia condivisa dalle Chiese emerge con forza dai dialoghi ecumenici…
Il Papa si esprimeva in questi termini nel discorso pronunciato in occasione del cinquantesimo anniversario dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi, il 17 ottobre 2015, che costituisce una sorta di manifesto della sinodalità e della Chiesa costitutivamente sinodale”.
Il processo sinodale aiuta ad approfondire il ministero petrino: “L’esercizio del ministero petrino non si riduce a questo atto iniziale, per tornare alla fine del processo sinodale per ricevere i risultati ed eventualmente confermarli con una esortazione post-sinodale. La sua funzione di presidenza è visibile nell’Assemblea del Sinodo dei Vescovi: è lui che presiede i lavori dell’aula, personalmente o tramite suoi delegati. La sua è stata una presenza discreta, anche in Assemblea, dove i suoi interventi si sono limitati all’incoraggiamento dei partecipanti o alla precisazione di alcuni punti che richiedevano il suo giudizio. Ma proprio questa modalità di presenza ha favorito il lavoro in aula”.
Sua Eminenza Khajag Barsamian ha sottolineato il valore della sinodalità: “E’ convinzione della famiglia delle Chiese ortodosse orientali che queste forme di comunione debbano rimanere paradigmatiche mentre riflettiamo sulla natura e sulla missione della Chiesa nel terzo millennio. Vorrei anche menzionare il dialogo teologico con la Chiesa ortodossa orientale, che ha dedicato tre interi documenti al tema del primato e della sinodalità, in particolare il documento più recente concordato ad Alessandria nel 2023”.
La sinodalità è molto importante: “Allo stesso modo, le varie proposte del documento per rafforzare la sinodalità ‘ad extra’ mi sembrano promettenti, perché una certa sinodalità può essere praticata tra le nostre Chiese anche se non siamo ancora in piena comunione. A questo proposito, le iniziative di papa Francesco, come l’incontro di Bari sul Medio Oriente nel 2018 o, più di recente, la veglia ecumenica ‘Insieme’ alla vigilia del Sinodo del 2023, dovrebbero incoraggiarci a organizzare altri incontri di questo tipo”.
Per questo ha sottolineato l’importanza del titolo di ‘Patriarca d’Occidente’: “In questo senso, è importante il recente ripristino del titolo di ‘Patriarca d’Occidente’ tra i titoli storici del Papa, poiché questo titolo, ereditato dal primo millennio, testimonia la sua fratellanza con gli altri Patriarchi. Senza dubbio, è essenziale anche l’insistenza di papa Francesco sul suo ministero di Vescovo di Roma, perché è come Vescovo di Roma, Chiesa ‘che presiede alla carità’, come dice Ignazio di Antiochia nella sua lettera ai Romani, che il papa è chiamato a servire la comunione delle Chiese”.
Ed ha auspicato che l’anniversario del Concilio di Nicea possa essere occasione di ulteriore approfondimento: “Infine, vorrei esprimere l’auspicio che questo documento venga condiviso con le varie Chiese cristiane, affinché possiamo continuare la nostra riflessione. L’anniversario del Concilio di Nicea, il prossimo anno, sarà certamente una buona occasione per farlo”.
Per l’arcivescovo Ian Ernest ha sottolineato la necessità di una ‘riformulazione’ del Concilio Vaticano I: “Tra le proposte espresse nei dialoghi, vorrei sottolineare l’importanza di una ‘riformulazione’ o di un commento ufficiale all’insegnamento del Vaticano I, che rimane un grande ostacolo tra le nostre Chiese, soprattutto perché è difficile da comprendere oggigiorno e si presta a interpretazioni errate. È quindi ancora necessario presentare l’insegnamento del Vaticano I alla luce di un’ecclesiologia di comunione, chiarendo la terminologia utilizzata”.
Ed ha ricordato i molti incontri tra papa Francesco e l’arcivescovo Welby nel Sud Sudan: “Ecco perché vorrei accogliere con favore la proposta di sinodalità ad extra. A questo proposito, il ritiro spirituale per i leader del Sud Sudan organizzato da papa Francesco e dall’arcivescovo Justin Welby nel 2019, il pellegrinaggio ecumenico per la pace in Sud Sudan organizzato da papa Francesco, dall’arcivescovo Justin Welby e dal reverendo Iain Greenshields nel 2023 e la veglia di preghiera ecumenica ‘Insieme. Raduno del popolo di Dio’ in piazza San Pietro nel 2023, alla vigilia della XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi, sono esempi di questo ‘camminare insieme’ od ecumenismo sinodale a cui papa Francesco ci invita”.