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Società di San Vincenzo De Paoli: immagini e voci che escono dal carcere

Dare spazio a chi il carcere lo attraversa ogni giorno, da dentro e da fuori affinché il racconto non si fermi alla riflessione e alla suggestione, ma si apra anche al cambiamento e alla speranza. Con questo intento, la Società di San Vincenzo De Paoli, insieme ad altre Associazioni ed Enti che operano stabilmente nella Casa Circondariale ‘Don Bosco’ di Pisa, è stata coinvolta dalla Fondazione ‘Opera Giuseppe Toniolo’, in occasione della Mostra fotografica ‘Prigionieri’ di Valerio Bispuri, dedicata al mondo carcerario italiano e allestita a Palazzo Toniolo dal 12 al 29 aprile 2025.

Volontari, operatori ed ex detenuti, attraverso i Podcast realizzati in collaborazione con Radio Incontro Pisa, hanno condiviso esperienze che parlano di rinascita, ascolto, cambiamento e impegno in ambito educativo, assistenziale, spirituale e culturale nelle carceri.

Cinzia Maccotta, Coordinatrice del Settore Carcere e Devianza della Società di San Vincenzo De Paoli per la regione Toscana, ha raccontato a Radio Incontro Pisa la sua esperienza in carcere come volontaria. Vissuti che le hanno permesso di conoscere una realtà complessa, fatta di un quotidiano in cui affiorano gesti, volti segnati dall’attesa, dalla sofferenza, dalla rabbia, dalla solitudine e dalla speranza:

“Ho iniziato il volontariato in carcere nel 2018 e mi occupo della distribuzione del vestiario. Un sostegno materiale che ci consente di portare avanti un’attività caritativa lontana da preconcetti e giudizi”, ha confidato Cinzia.

ll volontariato penitenziario da sempre occupa un numero significativo di vincenziani su tutto il territorio nazionale. Ascolto, assenza di giudizio, ciò che conta è la persona e non il reato che ha o avrebbe commesso, sostegno morale e materiale nel difficile percorso di reinserimento sociale a fine pena dei detenuti, sono le principali azioni dei volontari quando ogni giorno varcano i cancelli degli Istituti di pena:

“Quando si varcano le mura del carcere avverti un forte senso di timore e di responsabilità”, ha affermato la Coordinatrice Maccotta. Non è facile mostrare vicinanza, infondere speranza a un’umanità affranta dalla consapevolezza del reato compiuto e dall’angoscia di non poter più rimediare.

Ma ci sono delle luci, come quella accesa dal Protocollo d’Intesa tra la Federazione Nazionale Italiana Società di San Vincenzo De Paoli ODV ed il Ministero della Giustizia, che ha permesso la stipula di accordi territoriali come quello del Consiglio Centrale di Pisa che “consentirà ai detenuti del Carcere Don Bosco, ammessi ai lavori di pubblica utilità o in messa alla prova, di prestare attività di supporto ai servizi socio-assistenziali e socio-sanitari della nostra Associazione, come misura alternativa”, ha specificato Cinzia Maccotta.

La Società di San Vincenzo De Paoli, attraverso il Settore Carcere e Devianza, presta particolare attenzione al contesto carcerario offrendo non solo aiuti materiali, beni di prima necessità, ma anche la progettazione e la realizzazione di percorsi formativi orientati all’istruzione, al lavoro e alla promozione della cultura della legalità. Perché educare alla legalità significa educare alla libertà, al rispetto, alla responsabilità.

Il Settore Carcere e Devianza organizza anche il Premio Carlo Castelli, concorso letterario riservato ai ristretti delle carceri italiane e degli Istituti per minori, patrocinato da Camera, Senato, Ministero della Giustizia, e insignito della medaglia del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Il Premio, giunto alla XVIII edizione, rappresenta un’iniziativa unica offrendo ai detenuti la possibilità di esprimere riflessioni e speranze attraverso la scrittura. La mostra fotografica, attraverso 33 scatti in bianco e nero, accompagna il visitatore nei corridoi e nelle celle di alcune carceri italiane come Regina Coeli (Roma), Poggioreale (Napoli), l’Ucciardone (Palermo), il Carcere di Bollate (Milano), San Vittore (Milano), la Giudecca (Venezia), il Carcere di Capanne (Perugia), Rebibbia femminile (Roma) e Colonia Penale di Isili (Sardegna), restituendoci uno sguardo potente e intimo sulla condizione dei detenuti e delle detenute.

Un modo concreto per rompere il silenzio, restituire visibilità a realtà spesso poco conosciute e offrire al pubblico uno sguardo autentico sul carcere come luogo di fragilità, ma anche di incontro, trasformazione e speranza. L’esposizione si inserisce nel calendario diocesano del Giubileo della Speranza e nelle celebrazioni per il 180° anniversario della nascita del beato Giuseppe Toniolo, il cui pensiero sociale trova naturale continuità nei temi proposti: dignità della persona, giustizia, responsabilità collettiva.

Volontariato e solidarietà: la Società di San Vincenzo De Paoli a Venezia

Esserci sempre!’. Sono le parole di Martina Siebezzi, Presidente dell’ODV Società di San Vincenzo De Paoli – Consiglio Centrale di Venezia. Racchiudono e danno il senso di ciò che significhi fare volontariato all’interno dell’Associazione. Una realtà che oggi, solo nel Capoluogo veneto, conta di 5 Conferenze, per un totale di 60 soci, 258 persone supportate e 82 famiglie assistite.

Numeri importanti frutto di un lavoro costante, un impegno certosino distribuito nel tempo che oggi consente anche di affrontare nuove sfide sociali come “La salute mentale dei giovani o le difficoltà collegate a depressione e Alzheimer”, afferma la Presidente dell’ODV Società di San Vincenzo De Paoli – Consiglio Centrale di Venezia e aggiunge: “Questo ci chiama a rinnovare le nostre modalità di contatto rispetto al passato. Proprio per questo a novembre scorso abbiamo organizzato un incontro formativo per i volontari e ne prevediamo un altro a fine marzo”.

Il fine primario è fare tutto ciò che serve per stare accanto all’uomo e rispondere alle sue innumerevoli necessità perché la carità va ben oltre l’aiuto istantaneo e onora solo se, insegnava il Beato Federico Antonio Ozanam: “Unisce al pane che nutre, la visita che consola, il consiglio che illumina, la stretta di mano che ravviva il coraggio abbattuto, quando tratta il povero con rispetto” (da “L’assistenza che umilia e quella che onora”, L’Ere Nouvelle, 1848).

Ascolto, formazione, supporto socio-economico, distribuzione di alimenti e vestiti. Finanziamento di borse di studio e aiuto nel cercare un lavoro. L’Associazione ogni giorno cerca di rispondere alle innumerevoli fragilità della società odierna che “Sono in crescita” – evidenzia Martina Siebezzi e continua -: “L’incremento dei prezzi, oltre a quello delle bollette, ha portato ad un ulteriore impoverimento della popolazione. Dal punto di vista alimentare crescono le richieste di aiuto, anche da parte di famiglie giovani che si trovano in difficoltà non lavorando nell’ambito turistico”. 

La maggior parte delle Conferenze che si occupano della distribuzione sono associate al Banco alimentare europeo. “Il passaparola e l’aiuto garantito dalle comunità parrocchiali, anche in termini economici, gioca un ruolo fondamentale. Personalmente mi occupo anche di interfacciarmi con Ulss 3 o con il Comune per quelle situazioni particolarmente complesse” ha dichiarato la Siebezzi.

Nasce così un lavoro in rete che consente di riscoprire la bellezza di essere parte attiva e integrante della società. Lo stato di precarietà investe anche molte madri sole, con figli. “Si tratta di donne abbandonate dai propri uomini ma anche immigrate che, seppur siano sposate e, abbiano accanto un marito, devono occuparsi totalmente della famiglia” – dichiara la Presidente.

Si cerca di raggiungere ogni persona. “Sono parte della nostra vita e quindi il bello è esserci, in ogni momento”, specifica Martina Siebezzi mentre un’imbarcazione viene riempita di beni di prima necessità pronti per essere distribuiti. Il vincenziano rappresenta, per chi gli si affida, un punto di riferimento, un confidente, un amico, una guida saggia e non soltanto una persona che eroga servizi. Le famiglie sono seguite attraverso un percorso di crescita personale che diventa anche stimolo a migliorarsi.  

La sollecitudine ardente ha condotto l’Associazione a raggiungere anche il mondo delle carceri. Per contribuire a riempire di senso la vita di chi è privato della libertà, i volontari della Società di San Vincenzo De Paoli lavorano a stretto contatto con il Direttore Enrico Farina e con il nuovo cappellano don Massimo Cadamuro: “Siamo riusciti a fare da ponte tra il carcere e il Convento di San Francesco della Vigna, dove abbiamo un nostro punto di distribuzione: sono stati assunti dai frati tre ristretti in regime di semi-libertà. Uno lavora in cucina, un altro è impiegato nella Guardiania della chiesa del Convento e un ristretto è stato assunto dalla Ditta che cura i vigneti dell’edificio religioso”, continua la Presidente Siebezzi. 

Negli anni è stato realizzato un punto verde nel cortile della Casa circondariale di Santa Maria Maggiore. Rientra nel progetto “Il cortile ri-creato”. “Si tratta di uno spazio che i detenuti curano per riacquisire quel senso di utilità che li aiuta a sentirsi parte del mondo. Inoltre – aggiunge la Presidente – per accompagnare le persone private della libertà a esprimere il proprio io, conoscersi più a fondo attraverso i propri talenti, abbiamo organizzato un corso di arte”.

“Fare arte insieme: imparare a disegnare per riscrivere la nostra quotidianità” è il nome del progetto curato dalla Coordinatrice Anna Gigoli. Un appuntamento settimanale, della durata di due ore. “Sono due anni che me ne occupo con una decina i ragazzi, alcuni dei quali sono in carcere da tanti anni” – racconta la Coordinatrice Anna Gigoli. E attraverso questo corso c’è chi esprimere il suo mondo interiore. Chi rispolvera ricordi, come l’immagine della sua Venezia, e chi ne approfitta per lasciarsi andare a confidenze che manifestano tanta sofferenza e disperazione.

“Il carcerato matura la consapevolezza del reato e l’impossibilità di poter rimediare al danno compiuto. Questo genera un profondo senso di angoscia che sfocia nella disperazione. Infondere un po’ di speranza diventa fondamentale. E, in piccolo, attraverso le nostre iniziative cerchiamo di farlo” – confida la Gigoli- “Auspichiamo per la primavera, o al massimo l’estate, di far realizzare ai ristretti dei murales nello spazio esterno”.

Intanto in vista del prossimo appuntamento con la XVIII Edizione del Premio letterario Carlo Castelli, quest’anno nella Casa circondariale ‘Canton Mombello’ di Brescia, “Due detenuti sono pronti a partecipare con i loro scritti”, conclude Anna Gigoli. Il Premio letterario Carlo Castelli è un concorso riservato ai detenuti di tutte le carceri italiane e di tutti gli Istituti per minori. La partecipazione è aperta a cittadini italiani e stranieri, senza limiti di età, condannati almeno con sentenza di primo grado.

L’evento, organizzato dalla Federazione Nazionale Italiana Società di San Vincenzo De Paoli ODV, Settore Carcere e Devianza, quest’anno rifletterà intorno a un tema potente e attuale: “Mi specchio e (non) mi riconosco: non sono e non sarò il mio reato”.

Rispetto agli altri impegni futuri dell’ODV Società di San Vincenzo De Paoli – Consiglio Centrale di Venezia la Presidente ricorda le cose da consolidare, come l’interazione con il carcere, con l’Ospedale Civile e spera: “Se arriveranno i fondi previsti, di mettere in campo un investimento dedicato ai campi estivi. Un’occasione per riunire bambini di qualsiasi etnia e religione: un’attività inclusiva!”  – sorride e conclude  – mentre la piccola imbarcazione è già pronta ad attraversare nuovamente la laguna carica di beni di primaria necessità. Pronti per essere distribuiti.  

La Società di San Vincenzo De Paoli da 191 anni è accanto agli ultimi, ai vulnerabili, agli invisibili. Ogni giorno la Società di San Vincenzo De Paoli si fa prossima all’umanità ferita grazie al sostegno di oltre 11.300 soci e volontari che, in tutta Italia, supportano 30.000 famiglie – più di 100.000 persone -. I volontari della Società di San Vincenzo De Paoli incontrano i più fragili visitandoli nelle loro case, negli ospedali, nelle residenze per anziani, nelle strade e perfino nelle carceri.

(Foto: Società San Vincenzo de Paoli)

Mons. Savino scrive ai ragazzi in carcere: non siete soli

“Carissimi ragazzi, varcare la soglia di questo luogo mi riempie il cuore di emozioni contrastanti. Da una parte, sento il peso delle vostre storie, spesso intrecciate con il dolore, la solitudine, e talvolta la disperazione. A questo si aggiunge, troppo spesso, il peso dello stigma: un giudizio ingiusto che ferisce e separa, ma che non ha il potere di definire chi siete veramente. Dall’altra, intravedo in ciascuno di voi una luce, anche se talvolta nascosta o offuscata dalle ombre del passato. Parla di forza interiore, di un desiderio ardente di riscatto e di rinascita”: così inizia la lettera che il vescovo di Cassano all’Jonio e vicepresidente Cei, mons. Francesco Savino, ha scritto ai giovani del carcere minorile di Catanzaro.

In modo particolare si è rivolto ai giovani migranti africani con l’invito a non perdere la fiducia, in quanto ogni luogo si può trasformare in ‘terra di resurrezione’: “Penso, in particolare, a chi viene da terre lontane, come l’Africa, ricche di storie e culture che portate con voi, spesso intrise di sfide e sacrifici. Questo bagliore, radicato in esperienze profonde, non si spegne, ma attende di essere alimentato dalla fiducia in un domani colmo di opportunità.

Per molti di voi questa terra, la Calabria, rappresenta una tappa forzata, un approdo non scelto, lontano dalle persone care. Eppure, permettetemi di dirvi che ogni luogo, anche il più inaspettato, può diventare una terra di resurrezione. E’ qui, in questo frangente della vostra vita, che avete l’opportunità di trasformare il dolore in forza, le ferite in cicatrici che raccontano non solo la sofferenza, ma anche la guarigione”.

Per questo possono trovare aiuto nelle persone, che offrono percorsi per la crescita personale, in modo da non farli sentire soli: “Non siete soli. La vostra presenza qui è accompagnata da mani pronte ad aiutare, da sguardi attenti e pieni di empatia, anche se talvolta il linguaggio della cura può sembrarvi lontano.

Mi riferisco al personale che, nelle sue diverse e variegate articolazioni, ogni giorno, si impegna con dedizione per offrirvi non solo regole e confini, ma anche opportunità di crescita, percorsi educativi, e soprattutto una speranza. A loro va il mio ringraziamento più sincero: il loro compito è arduo, spesso ingrato, ma è indispensabile per coltivare nuove prospettive e restituire dignità dove sembra non essercene affatto”.

Per questo mons. Savino invita a ricostruire la vita chiedendo di realizzare il loro sogno: “Non lasciate che il passato oscuri la luce del vostro futuro. Ogni uomo è più grande delle sue cadute, voi non siete i vostri errori, i vostri reati, e Dio vi guarda con l’amore di un padre che vede sempre in voi un figlio amato.

Questo è il momento di ricostruire, un passo alla volta, una vita nuova. Dentro di voi c’è una forza che forse non conoscete ancora, capace di guidarvi oltre ogni ostacolo. Avete mai pensato a quale segno volete lasciare nel mondo? Qual è il sogno che non avete ancora avuto il coraggio di inseguire?”

E’ anche un invito a riscoprire il valore di una ‘nuova’ famiglia e della fede: “Permettetemi di dirvi che, anche se sentite il peso dell’assenza o della distanza, qui non siete soli. Questo luogo può diventare una famiglia diversa, dove trovare nuovi punti di riferimento e sguardi che vi incoraggiano a credere in voi stessi e nel futuro.

E nella fede, se lo desiderate, troverete un Padre che non abbandona mai, che cammina accanto a voi anche nelle notti più buie. E’ Colui che accende stelle nel cielo delle vostre inquietudini e che, con mani amorevoli, trasforma il vostro dolore in forza e i vostri timori in nuove possibilità. La Sua luce vi guida, come un faro che illumina il cammino anche nei momenti più incerti”.

La lettera è anche un invito a costruire un futuro ‘diverso’: “La vostra presenza qui è una parentesi, non un punto finale. Ogni giorno è una nuova pagina da scrivere, un capitolo che potete riempire con scelte di speranza e cambiamento. Il passato, per quanto difficile o ingiusto, non ha il potere di definire per sempre chi siete o chi potrete diventare.

Ciò che conta è come decidete di affrontare il presente e costruire il futuro. La vostra vita ha un senso profondo, un potenziale che aspetta solo di emergere. E’ come un campo in attesa di essere coltivato: con impegno e coraggio, potete trasformare ogni sfida quotidiana in un passo verso una meta nuova e luminosa”.

Poi si rivolge anche alle loro famiglie, chiedendo di non lasciarli soli: “Un pensiero speciale va anche alle vostre famiglie, vicine o lontane, e a coloro che, per molteplici ragioni, hanno finito per allontanarsi da voi o lasciarvi soli. A loro voglio rivolgere un appello carico di speranza e fiducia: non smettete di credere in questi ragazzi, che sono sempre i vostri figli.

Anche nei momenti più difficili, il vostro affetto, la vostra preghiera e la vostra fiducia possono fare la differenza. Siate per loro un porto sicuro, una fonte di ispirazione che li incoraggi a credere in sé stessi e nelle loro capacità di rinascere. Non sottovalutate il potere di una presenza, anche silenziosa, che possa ridare forza e dignità ai loro cuori”.

Oltre ai ragazzi ed alle famiglie la lettera si rivolge agli educatori del carcere, chiedendo di aiutare questi giovani nel ‘rifarsi’ una vita: “Ed a voi, operatori, educatori, responsabili di questo istituto, voglio dire: non perdete la fiducia, non vi abbandoni la speranza. So che il vostro lavoro è spesso faticoso, carico di ostacoli e, talvolta, di delusioni. Ma ricordate: ogni gesto, anche il più piccolo, può lasciare un segno profondo nella vita di questi ragazzi.

Il vostro compito non è solo quello di mantenere ordine o di educare, ma di saper credere in un cambiamento anche quando tutto sembra remare contro. Vi siete mai chiesti quale segno lasciate nella vita di questi ragazzi? Ogni parola, anche sussurrata, può essere una scintilla che accende il loro futuro. Non accontentatevi mai di essere solo osservatori: siate protagonisti di una storia di rinascita. Coraggio!”

Infine anche alle Istituzioni ha chiesto di ‘investire’ nei progetti di recupero per il reinserimento nella società civile: “Ed a voi, uomini e donne delle Istituzioni, rivolgo un appello accorato: investite con coraggio e lungimiranza nelle persone, rafforzando le risorse umane e migliorando le infrastrutture carcerarie. Promuovete politiche che vadano oltre la gestione dell’emergenza, attivando percorsi di de-sovraffollamento e garantendo che le persone più fragili trovino risposte adeguate alle loro necessità”.

Un’accortezza particolare è chiesta per chi ha motivi di salute: “Tossicodipendenti, malati psichiatrici e affetti da AIDS meritano progetti di recupero in comunità terapeutiche e strutture specializzate, dove possano essere sostenuti con dignità e cura. Allo stesso modo, non dimenticate di investire nella formazione e nella riabilitazione, strumenti essenziali per restituire speranza e opportunità a chi ha vissuto l’ombra dell’esclusione sociale. Solo così potremo costruire un sistema che non si limiti a punire, ma che sappia anche rieducare, includere e far rinascere”.

Insomma è un invito ad essere ‘costruttori di orizzonti’: “Siate costruttori di orizzonti: insieme possiamo abbattere i muri della diffidenza, del pregiudizio e del dolore. Ricordate che ogni alba porta una nuova opportunità, come il sole che illumina anche il giorno più buio. Abbracciate il domani con coraggio, perché ogni passo in avanti è una vittoria contro il passato. Dio cammina accanto a voi come un padre premuroso che non abbandona mai i suoi figli”.

‘Includiamoci – Giustizia con Misericordia’: incontro ad Ugento

La Diocesi Ugento – S. Maria di Leuca attraverso la Caritas diocesana, comunica che oggi alle ore 18.30, presso la Cattedrale di Ugento, si svolgerà l’incontro pubblico: ‘PROGETTO IncludiAMOci – GIUSTIZIA CON MISERICORDIA’.

L’evento si inserisce in preparazione della festa di San Vincenzo, il 22 gennaio, patrono della Diocesi, considerato il più insigne dei martiri spagnoli, martirizzato durante la persecuzione di Diocleziano, tra il 304 e il 306. Vincenzo, subì il duro carcere e il martirio, nella città di Valencia, nelle parole del poeta, Aurelio Prudenzio Clemente, canta della presenza del Signore nel duro carcere ……  ”Il carcere .si illumina; strani profumi sostituiscono i fetidi vapori; il suolo si ricopre di fiori; si spezzano i ceppi e le catene; si ode il battito di ali angeliche e il martire riceve le liete ambasciate dei beati”. (dal Peristephanon )

Papa Francesco nella bolla “Spes non confundit” di annuncio del Giubileo ha espresso la volontà di aprire la Porta Santa in un carcere, come è poi avvenuto (è stata la seconda) nel carcere di Rebibbia a Roma: “Come segno di speranza per recuperare fiducia in sé stessi e ritrovare la stima e la solidarietà della società”.

L’incontro, moderato da Don Lucio CIARDO – Direttore della Caritas diocesana,  è l’ occasione per  illustrare i risultati raggiunti nell’attuazione del progetto, sostenuto da Caritas Italiana e Intesa San Paolo per il Sociale, inizia con  il saluto istituzionale di Salvatore CHIGA, Sindaco di Ugento, proseguirà con gli interventi di Rocco PEZZULLO, Caritas Italiana, Paolo BONASSI, Intesa Sanpaolo Chief Social Impact Officer, Antonella ATTANASIO, Referente ambito Giustizia Caritas Ugento – S. Maria di Leuca – “Sportello VI Opera”, Giuseppe SANTORO, Dirigente Penitenziario UDEPE, Padre Angelo DE PADOVA, Cappellano Casa Circondariale Borgo San Nicola a Lecce, Luogotente Alessandro BORGIA, Comandante Stazione Carabinieri Ugento e con le conclusioni di Mons. Vito ANGIULI, Vescovo di Ugento – S. Maria di Leuca.

Dal 2020, la Caritas Diocesana ha stilato una Convenzione con il Tribunale di Lecce, alla luce del protocollo tra Caritas Italiana e Ministero di Grazia e Giustizia, per l’accoglienza di persone coinvolte in misure di esecuzione penale esterna. Negli anni alcune parrocchie della Diocesi, hanno accolto queste persone senza un coordinamento che tenesse traccia delle accoglienze e dei risultati raggiunti alla fine di ogni percorso e, soprattutto, senza interazioni tra i vari attori. Grazie al progetto, è stato avviato lo “sportello VI Opera” che sta svolgendo la funzione di creare un coordinamento funzionale alle prese in carico, dando vita a percorsi di accompagnamento educativo rivolti alle persone più vulnerabili, come quelle colpite da procedimenti penali, ad uscire dalla loro situazione, anche attraverso l’attenzione alle loro famiglie.

Inoltre è stato realizzato un programma con l’obiettivo di formare dei volontari, in grado di supportare le comunità in queste azioni di accoglienza ed inclusività. Lo sportello è diventato un importante riferimento degli Uffici dell’UDEPE e degli avvocati, ma soprattutto dei beneficiari; ciò ha portato ad un aumento non previsto delle richieste, infatti si è passati dall’accoglienza di 15 Affidati in Prova e di 12 LPU all’attuale numero: 49 Volontari in Affidamento in Prova e 28 LPU, in più sta supportando una comunità parrocchiale nell’accoglienza di un ragazzo agli arresti domiciliari. Inoltre, le varie azioni sono state portate avanti insieme agli enti gestori di Caritas diocesana: l’Associazione Form.Ami APS-ETS e la Cooperativa Sociale I.P.A.D. Mediterranean.

Nonostante l’assenza di un Istituto penitenziario all’interno della nostra Diocesi, l’attenzione alle persone che hanno avuto o che hanno problemi con la giustizia è cresciuta nell’ultimo periodo e grazie a questo progetto la nostra Caritas ha fatto emergere il valore pedagogico di percorsi che sono sì delle condanne, ma che possono essere per le persone occasioni di redenzione e riscatto. Si è consapevoli che la dignità è il più alto valore di ogni persona, che deve essere rispettata nonostante gli errori. Promuovere relazioni positive e responsabilizzare la comunità è l’impegno da assumersi come atto d’amore verso tutti coloro che soffrono. “Non vogliamo perdere nessuno” è il motto che abbiamo scelto e che ci accompagna in ogni agire.

L’evento potrà essere seguito in diretta streaming su: www.radiodelcapo.it.

Da Pesaro in cammino per cambiare il mondo in tre azioni: perdono, remissione, pace

Perdono, debito e disarmo: queste sono state le tre tappe che hanno orientato quasi 2.000 persone arrivate a Pesaro l’ultimo giorno dello scorso anno per partecipare alla 57ª edizione della Marcia nazionale per la pace, voluto nella capitale della cultura italiana dall’arcivescovo di Pesaro e di Urbino-Urbania-Sant’Angelo in Vado, mons. Sandro Salvucci, insieme alla Cei, Pax Christi, Agesci, Caritas Italiana, Movimento dei Focolari, Azione Cattolica Italiana, Acli e Libera, alla presenza delle autorità civili e dei rappresentanti delle altre confessioni che hanno contribuito a questo momento ecumenico, aperto dalla fiaccola del pellegrinaggio Macerata-Loreto e da quella giunta da Betlemme. Ed a conclusione della Marcia della pace l’annuncio della prossima località ospitante la marcia: Catania.

Fra canti e meditazioni i partecipanti hanno raggiunto la cattedrale della città per la celebrazione eucaristica, presieduta da mons. Salvucci e concelebrata dai vescovi e sacerdoti presenti: “Nell’anno del Giubileo vorrei farvi una proposta: scambiamoci gli auguri di un buon anno benedicendoci a vicenda; annunceremo così il sogno di fraternità e pace del Signore. La pace è una responsabilità di tutti soprattutto in questo tempo in cui sembra che la parola guerra abbia riacquistato l’esclusiva; noi non vogliamo rassegnarci ma essere costruttori di pace”.

La marcia della pace si è articolata in tre momenti, di cui il primo ha riguardato il perdono con la testimonianza di Giorgio Pieri, responsabile del ‘Progetto Cec’ (Comunità educanti con i carcerati) dell’associazione ‘Papa Giovanni XXIII’, che ha iniziato con una frase di papa san Giovanni Paolo II (‘Non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono’): “Abbiamo capito che bisogna lavorare sulla ferita e che la ferita nasce soprattutto in ambito familiare. Non tutti quelli che hanno problemi familiari vanno a finire in carcere, ma la maggioranza di quelli che sono in carcere hanno avuto problemi familiari. Quindi se si vuole costruire la pace, si deve custodire la famiglia.

Sul perdono abbiamo capito che prima di chiedere perdono alla società, le persone devono imparare a perdonare se stesse e che, come il male fisico può essere curato, così anche il male morale può essere curato. Questa è la bella notizia. Ed allora ci vogliono luoghi, comunità, che sono come ospedali da campo, come diceva il papa, dove il medico è il Signore”.

Poi è seguita la testimonianza di Antonio, un ex carcerato: “Io faccio parte delle persone che sono andate in carcere e hanno sbagliato. Ogni uomo ha una storia e molte volte il reato è solo la punta di un iceberg, perché al di sotto c’è un malessere, una ferita. Questo non giustifica il male che uno fa, ma qual è la differenza tra il carcere e la Casa in cui mi trovo?

Che nella nostra Casa si accende la fiaccola della speranza. Sant’Agostino diceva che la speranza ha due vie: l’indignazione e il coraggio. L’indignazione è capire quello che non va, il coraggio è cambiarlo. Ma per cambiare occorre la comunità; io da solo non posso farlo. Io posso alzare la mano per chiedere aiuto, ma occorre qualcuno che mi aiuti a sorreggere quella mano”.

Quindi il perdono è un bene non solo per chi lo chiede, ma anche per chi lo concede, come ha raccontato la sorella di Antonio, Evelina: “Perdono non vuol dire dimenticare. Quello che è stato fatto, però, è il passato e magari può continuare a procurare ancora delle ferite, ma il perdono è guardare l’altro ed amarlo così come è.

Per perdonare, bisogna sentirsi perdonati e io mi sono sentita perdonata da Dio, perché anche io mi chiedevo che cosa avessi fatto di male per portare mio fratello a compiere un reato e mi sentivo bisognosa di perdono. Perdonare se stessi è molto più difficile che perdonare l’altro. E’ un cammino. Ma la pace solo così può essere costruita, perché la pace è un ‘per – dono’ è un dono che faccio a me, a lui e agli altri”.

Nella seconda tappa della Marcia è stato affrontato il tema del debito, tema centrale del messaggio del papa per la Giornata della pace con la testimonianza del prof. Gabriele Guzzi, docente di economia all’Università di Cassino: “L’attuale sistema economico capitalistico è il più anticristiano possibile; non punta alla remissione del debito, ma alla sua espansione.

Questo tipo di economia è volto ad accumulare cose, accumulare denaro, che sono surrogati di quel rapporto di fede, di fiducia profonda tra le persone, che non può essere solo un’esperienza spirituale, ma deve governare anche l’economia… Dobbiamo cambiare la logica che sta dietro questa economia, dobbiamo cambiare mentalità, altrimenti rimarremo alla superficie, non riusciremo a colmare il vuoto che si è creato”.

E’ stato un invito a cambiare mentalità ‘economica’, capace di condurre alla pace: “Noi dobbiamo cambiare la gerarchia di valori di questa società. Il denaro non è un elemento aggregante, ma è un elemento individualizzante ontologicamente. Disgrega tutti gli altri valori: il valore del bene, del bello, della giustizia… Io credo che si debba cambiare radicalmente il sistema monetario internazionale… L’economia non deve essere la continuazione della guerra con altri mezzi”.

Ed ecco la testimonianza di John Mpaliza, attivista congolese di ‘Peace Walking Man Foundation’: “Il Congo è il paese da cui provengono quasi tutte le materie prime di cui il mondo ha bisogno e che vengono estratte in condizioni di lavoro disumane. Io, cittadino italiano ed europeo, mi vergogno di questa situazione in cui ho perso anche familiari e che ha fatto 10.000.000 di vittime in 13 anni…

Il papa nell’enciclica ‘Laudato sì’ ha parlato del debito che abbiamo nei confronti della Madre Terra e delle nuove generazioni e dice che bisogna pagare il debito verso i paesi poveri: e quando si parla di Paesi poveri si pensa subito all’Africa. La stessa cosa l’ha detta Giovanni Paolo II nel 2000 e temo che dopo questo giubileo si continuerà a dire la stessa cosa”.

Infine nella terza tappa il tema ha riguardato il disarmo con la testimonianza di don Fabio Corazzina, aderente a ‘Pax Christi’, che ha raccontato le ‘occasioni’ di pace sorte a Brescia, città ‘armata’: “E’ nato l’OPAL (Osservatorio sulla produzione di armi leggere), che cerca di capire come si producono gli alti profitti che la Beretta sta ottenendo in questo periodo. Negli anni ’80 è stata approvata la legge 185 che chiedeva un controllo sulla produzione, su dove venivano vendute queste armi e sui sistemi bancari di pagamento. Ma questa legge è stata pian piano disattesa”.

Ed ecco, al termine di questa marcia della pace, la risonanza della frase di mons. Tonino Bello come incoraggiamento al popolo della pace: “Don Tonino Bello diceva: se vuoi cambiare il mondo, devi saper coniugare tre verbi: denunciare, annunciare, sacrificare”.

(Tratto da Aci Stampa)

Papa Francesco apre la porta santa nelle carceri: la speranza è un’àncora

“Ho voluto spalancare la Porta, oggi, qui. La prima l’ho aperta a San Pietro, la seconda è vostra. E’ un bel gesto quello di spalancare, aprire: aprire le porte. Ma più importante è quello che significa: è aprire il cuore. Cuori aperti. E questo fa la fratellanza. I cuori chiusi, quelli duri, non aiutano a vivere.  Per questo, la grazia di un Giubileo è spalancare, aprire e, soprattutto, aprire i cuori alla speranza. La speranza non delude, mai! Pensate bene a questo. Anche io lo penso, perché nei momenti brutti uno pensa che tutto è finito, che non si risolve niente. Ma la speranza non delude mai”.

Dopo la basilica di san Pietro, il papa ha compiuto il rito per il Giubileo nella chiesa del ‘Padre Nostro’ nel penitenziario romano di Rebibbia, accompagnato da mons. Ambarus, da detenuti e agenti, perché anche nel carcere può nascere la speranza: “A me piace pensare alla speranza come all’àncora che è sulla riva e noi con la corda stiamo lì, sicuri, perché la nostra speranza è come l’àncora sulla terraferma. Non perdere la speranza. E’ questo il messaggio che voglio darvi; a tutti, a tutti noi. Io il primo. Tutti. Non perdere la speranza. La speranza mai delude. Mai. Delle volte la corda è dura e ci fa male alle mani … ma con la corda, sempre con la corda in mano, guardando la riva, l’àncora ci porta avanti. Sempre c’è qualcosa di buono, sempre c’è qualcosa che ci fa andare avanti”.

E’ stato un invito a spalancare le porte: “La corda in mano e, secondo, le finestre spalancate, le porte spalancate. Soprattutto la porta del cuore. Quando il cuore è chiuso diventa duro come una pietra; si dimentica della tenerezza. Anche nelle situazioni più difficili (ognuno di noi ha la propria, più facile, più difficile, penso a voi) sempre il cuore aperto; il cuore, che è proprio quello che ci fa fratelli. Spalancate le porte del cuore. Ognuno sa come farlo. Ognuno sa dove la porta è chiusa o semichiusa. Ognuno sa”.

E’ stato un augurio per vivere il giubileo anche nelle carceri: “Due cose vi dico. Primo: la corda in mano, con l’àncora della speranza. Secondo: spalancate le porte del cuore. Abbiamo spalancato questa, ma questo è un simbolo della porta del nostro cuore. Vi auguro un grande Giubileo. Vi auguro molta pace, molta pace. E tutti i giorni prego per voi. Davvero. Non è un modo di dire. Penso a voi e prego per voi. E voi pregate per me”.

Mentre al termine della recita dell’Angelus papa Francesco ha ricordato l’apertura della porta giubilare a Rebibbia: “Stamattina ho aperto una Porta Santa, dopo quella di san Pietro, nel carcere romano di Rebibbia. E’ stata come, per così dire, la cattedrale del dolore e della speranza”.

Ha anche ricordato ch giubileo consiste anche nella remissione del debito: “Una delle azioni che caratterizzano i Giubilei è la remissione dei debiti. Incoraggio pertanto tutti a sostenere la campagna di Caritas Internationalis intitolata ‘Trasformare il debito in speranza’, per sollevare i Paesi oppressi da debiti insostenibili e promuovere lo sviluppo”.

Prima della conclusione il papa ha levato la sua voce contro il mercato delle armi: “La questione del debito è legata a quella della pace e del ‘mercato nero’ degli armamenti. Basta colonizzare i popoli con le armi! Lavoriamo per il disarmo, lavoriamo contro la fame, contro le malattie, contro il lavoro minorile. E preghiamo, per favore, per la pace nel mondo intero! La pace nella martoriata Ucraina, in Gaza, Israele, Myanmar, Nord Kivu e in tanti Paesi che sono in guerra”.

Mentre prima della recita dell’Angelus ha sottolineato la testimonianza di santo Stefano: “Oggi, subito dopo il Natale, la liturgia celebra Santo Stefano, il primo martire. Il racconto della sua lapidazione si trova negli Atti degli Apostoli e ce lo presenta mentre, morendo, prega per i suoi uccisori. E questo ci fa riflettere: infatti, anche se a prima vista Stefano sembra subire impotente una violenza, in realtà, da uomo veramente libero, continua ad amare anche i suoi uccisori e ad offrire la sua vita per loro, come Gesù; offre la vita perché si pentano e, perdonati, possano avere in dono la vita eterna”.

Santo Stefano è un testimone del perdono di Dio: “Stefano è testimone di quel Padre – il nostro Padre – che vuole il bene e solo il bene per ciascuno dei suoi figli, e sempre; il Padre che non esclude nessuno, il Padre che non si stanca mai di cercarli, e di riaccoglierli quando, dopo essersi allontanati, ritornano pentiti a Lui ed il Padre che non si stanca di perdonare. Ricordate questo: Dio perdona sempre e Dio perdona tutto”.

Infine ha ricordato i martiri cristiani: “Torniamo a Stefano. Purtroppo anche oggi ci sono, in varie parti del mondo, molti uomini e donne perseguitati, a volte fino alla morte, a causa del Vangelo. Anche per loro vale quello che abbiamo detto di Stefano. Non si lasciano uccidere per debolezza, né per difendere un’ideologia, ma per rendere tutti partecipi del dono di salvezza. E lo fanno in primo luogo per il bene dei loro uccisori: per i loro uccisori … e pregano per loro. Ce ne ha lasciato un esempio bellissimo il Beato Christian de Chergé, che chiamava il suo uccisore amico dell’ultimo minuto”.

(Foto: Santa Sede)

A Brescia il premio letterario ‘Carlo Castelli’

La casa circondariale ‘Canton Mombello’ di Brescia si prepara ad accogliere la nuova edizione del Premio Letterario ‘Carlo Castelli’, un concorso unico, dedicato ai detenuti degli Istituti penitenziari italiani, inclusi i minorili. La partecipazione è aperta a cittadini italiani e stranieri, senza limiti di età, condannati almeno con sentenza di primo grado.

L’evento, organizzato dalla Federazione Nazionale Italiana Società di San Vincenzo De Paoli ODV, Settore Carcere e Devianza, ruota intorno a un tema potente e attuale: ‘Mi specchio e (non) mi riconosco: non sono e non sarò il mio reato’. Una riflessione che invita a distinguere la persona detenuta dal reato commesso, aprendo alla speranza di cambiamento e reintegrazione.

Un tema, quello della speranza, che occupa un posto centrale nel carisma della Società di San Vincenzo De Paoli e ritroviamo anche nel motto riportato sotto il logo: ‘Serviens in spe’, al servizio nella speranza.

Ma la speranza è anche la protagonista del Giubileo 2025. Papa Francesco, con la sua bolla ‘Spes non confundit’, sottolinea la forza della speranza nel pensiero cristiano. Una virtù che il Pontefice vuole stendere sulle ferite di un’umanità debole, fra i quali cita per primi proprio i ristretti, per ‘vivere e non sopravvivere’, per ‘recuperare la fiducia in sé stessi’.

E verso un orizzonte di speranza è orientato l’operato del Settore Carcere e Devianza della Federazione Nazionale Società di San Vincenzo De Paoli ODV che indirizzerà il lavoro da un lato ad azioni concrete all’interno delle carceri, dall’altro a stimolare l’autoriflessione dei reclusi attraverso il Premio Letterario Castelli.

Nell’edizione 2025 si parlerà di coscienza, miglioramento, umanità. Temi che apriranno un percorso indirizzato ad aiutare il ristretto a riconoscere l’errore ma anche a capire che ogni persona merita un futuro, dentro o fuori dal carcere.

Il Premio ‘Carlo Castelli’ si articolerà nelle sezioni narrativa (saggio breve, racconto, lettera, riflessione), scrittura autobiografica (testo autoriflessivo e introspettivo), poesia, opere multimediali (CD-rom/DVD) realizzate in carcere.

Il concorso letterario offre ai detenuti l’opportunità di raccontarsi, riflettere e sperare attraverso la scrittura, ma anche di fare del bene. I primi tre classificati saranno considerati a parimerito e riceveranno tre premi di uguale importo. Oltre ai premi in denaro per i primi tre vincitori, una seconda somma sarà destinata a progetti di reinserimento sociale. L’obiettivo è contribuire a costruire una nuova strada per chi desidera ripartire.

Il concorso, dedicato alla memoria di Carlo Castelli, figura di spicco del volontariato vincenziano e promotore della Legge Gozzini, diventa un mezzo per costruire un futuro condiviso, sottolineando l’importanza del sostegno reciproco, anche in contesti difficili come il carcere.

Il Premio ‘Carlo Castelli’ ha ottenuto il patrocinio di Camera, Senato e Ministero della Giustizia, ed è stato insignito della medaglia del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. I media partner includono il Pontificio Dicastero per la Comunicazione, TV2000, Radio InBlu, e UCSI.

I racconti premiati, insieme ad altri dieci segnalati dalla Giuria, saranno raccolti in un’antologia che verrà distribuita a tutti i presenti nel corso degli eventi e allegata alla rivista della Federazione Nazionale, ‘Le Conferenze di Ozanam’, pubblicazione che raggiunge oltre 13.600 tra soci e volontari in tutta Italia.

Il Settore Carcere e Devianza, quest’anno sotto la guida della nuova responsabile, Antonella Caldart, è da sempre impegnato nella formazione dei volontari penitenziari e alla realizzazione di attività rivolte ai detenuti e alle loro famiglie, anche collaborando con altre associazioni presenti sul territorio.

A Verona il concorso letterario ‘Carlo Castelli’

Si è tenuta venerdì 4 ottobre, a Verona presso la Casa Circondariale di Montorio, la cerimonia di premiazione della XVII Edizione del Premio ‘Carlo Castelli’, un prestigioso concorso letterario dedicato ai detenuti delle carceri italiane, evento organizzato e promosso dal Settore Carcere e Devianza della Federazione Nazionale Italiana Società di San Vincenzo De Paoli ODV, con il patrocinio di Camera, Senato, Ministero della Giustizia e con il riconoscimento della medaglia del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

L’appuntamento coinvolge detenuti provenienti da penitenziari di tutta Italia, offrendo loro un’opportunità unica di esprimersi attraverso la scrittura. Ogni anno, un carcere o un Istituto Penitenziario Minorile (IPM) viene scelto come sede della cerimonia, durante la quale sono letti e premiati i racconti selezionati da un’apposita giuria.

Il tema di quest’anno, intitolato ‘Perché? – Ti scrivo perché ho scoperto che c’è ancora un domani’ invita a riflettere sul valore della speranza e sul riscatto possibile, come ha affermato Paola Da Ros, presidente della federazione nazionale ‘Società di San Vincenzo De Paoli’: “La speranza è un bene prezioso, una luce che accompagna e sostiene, soprattutto nei momenti più difficili. E in questo luogo, dove la libertà è limitata, il nostro desiderio è che nessuno perda mai questa luce…

Il Premio Carlo Castelli non si limita a offrire uno spazio di riflessione e espressione per i detenuti, ma prosegue nel tempo, grazie ai progetti di reinserimento sociale sviluppati in collaborazione con le istituzioni. Con il contributo in denaro che eroghiamo per ciascuno dei tre premi oltre alla somma che spetta al vincitore, ogni anno realizziamo tre progetti.

Il primo premio di questa edizione finanzierà un importante progetto di reinserimento nel mondo del lavoro per i ristretti del carcere di Brescia che hanno finito di scontare la loro pena; il secondo aiuterà i giovani dell’Istituto per Minori di Catania, il terzo premio andrà a favore delle attività dell’Ufficio Distrettuale di Esecuzione Penale Esterna di Pisa”.

Al termine dell’incontro tre detenuti hanno testimoniato il cambiamento avuto nel tempo di reclusione grazie al sostegno dei volontari e alle attività rieducative organizzate nel carcere di Verona Montorio. Tra di loro c’è anche chi ha composto dei brani e, chitarra in mano, ha deliziato i presenti. Non sono mancati momenti di commozione e di gioia anche per chi rende possibile il funzionamento di questa complessa struttura. Un particolare ringraziamento va alla direttrice, dott.ssa Francesca Gioieni, agli educatori, al corpo della polizia penitenziaria e a tutto il personale. 

I racconti vincitori della XVI Edizione del Premio Carlo Castelli sono stati:

Primo Classificato: ‘Sì, c’è ancora un domani’ racconta il grido di una coscienza che, nel lento trascorrere del tempo, si interroga, medita, riflette, soffre, al cuore bussa la colpa per quanto compiuto, si eleva e guarda alla propria e altrui vita con occhi nuovi. Occhi di speranza perché “Tutti hanno il diritto di avere una seconda possibilità”. Occhi privi di ogni forma di giudizio e condanna, perché, come afferma l’autore “Anche il più specchiato e morigerato potrebbe incappare in un errore fatale”. Occhi volti al bene, capaci di vedere dietro i gesti quotidiani del personale di sorveglianza “Uomini che fanno il loro lavoro con dedizione, con impegno e professionalità lasciando ampio spazio anche a doti di innata umanità”.

Secondo Classificato: ‘Acque tempestose’ descrive la rinascita di chi, grazie alle acque turbolente vissute nella cella di un penitenziario, ha riconquistato lentamente la propria umanità soffocata per anni da una terribile avidità. Un male che lo ha condotto sino in carcere: “Mi sono macchiato di un reato finanziario. Sono stato soverchiato dai miei demoni. Demoni interiori che mi hanno reso avido di potere, che mi hanno reso diverso, cinico, che mi hanno tolto il meglio di me stesso”, scrive l’autore. Oggi Giovanni, forte delle sue nuove consapevolezze, può ricominciare a guardare al futuro con speranza, a “fare programmi e quando oggi mi si chiede “come ti vedi fra cinque anni?” so bene cosa rispondere”.

Terzo Classificato: ‘Cecità’ è la storia di chi vuole aprire gli occhi a una nuova vita dopo il lungo periodo trascorso in carcere. È la storia di chi vuole continuare a crederci, “Non è mai troppo tardi per essere un uomo migliore e credere nel Domani che verrà”, scrive l’autore. È il racconto di chi vuole tornare a onorare un padre che non c’è più e che, dal buio della sua cecità fisica, ha sempre saputo infondergli amore cogliendo ogni sfumatura del suo cuore. È la storia di chi vuole iniziare a camminare, riappropriandosi dei valori ricevuti sin da piccolo. È la storia di chi vuole “tornare a vederci davvero” ponendosi sotto la potente protezione di Santa Lucia.

La XVII Edizione del Premio letterario Carlo Castelli ha riaffermato il potere della scrittura come uno strumento fondamentale per i detenuti, un ponte tra il loro mondo interno e l’esterno. Sabato 5 ottobre nel Teatro Nuovo di San Michele a Verona si è concluso l’incontro: ‘Dialogo in punta di cuore’ con toccanti testimonianze di alcuni ristretti. Sì è affrontato il tema della Giustizia riparativa e del reinserimento dei detenuti nel mondo del lavoro, con il coinvolgimento della società civile.

La Dott.ssa Stefania Zambelli, assistente sociale e responsabile ‘Area Misure e Sanzioni di Comunità UDEPE’ di Verona, ha illustrato i nuovi percorsi di Giustizia Riparativa sottolineando l’importanza di mettere in contatto le vittime con i colpevoli accompagnandoli con percorsi di avvicinamento.

Tra gli ospiti della mattina, il professor Sergio Premoli, psicanalista e formatore, che ha invitato a non confondere mai l’uomo con il reato commesso.  Un’attenzione particolare è stata dedicata ai sentimenti delle vittime e dei loro famigliari, e si è ragionato su come aiutarli a gestire il dolore e ad avvicinarsi, dove possibile, ad una dimensione di perdono.

Don Paolo dal Fior ha portato il suo vissuto di cappellano del Carcere di Verona Montorio e ha raccontato episodi di straordinaria umanità registrati nella casa circondariale. Alto il coinvolgimento del pubblico che ha gremito il teatro ed ha partecipato attivamente con interventi e domande da cui è emersa la forte la consapevolezza che l’aiuto non deve limitarsi ad un sostegno materiale, ma deve arrivare dritto dal cuore. Come di consueto al termine della manifestazione è avvenuto il passaggio del testimone: l’edizione numero XVIII si celebrerà nella Casa Circondariale di Brescia – Canton Mombello nell’ ottobre 2025.

(Foto: Società San Vincenzo de’ Paoli)

A Verona la XVII edizione del Premio Letterario ‘Carlo Castelli’

Verona si prepara ad accogliere, venerdì 4 e sabato 5 ottobre, la nuova edizione del Premio Letterario ‘Carlo Castelli’, un concorso unico, dedicato ai detenuti degli istituti penitenziari italiani, inclusi i minorili. L’evento, organizzato dalla Federazione Nazionale Italiana Società di San Vincenzo De Paoli ODV, Settore Carcere e Devianza, ruota intorno a un tema potente e attuale: “Perché? – Ti scrivo perché ho scoperto che c’è ancora un domani”. Un titolo che invita a riflettere sul valore della speranza e sul riscatto possibile.

“Nel cuore di ogni persona si nasconde una storia, un intreccio di esperienze e sentimenti che, nella scrittura, trova il suo più profondo strumento di espressione”, afferma la Presidente della Federazione Nazionale Italiana Società di San Vincenzo De Paoli ODV Paola Da Ros, introducendo il volume che raccoglie i racconti dei finalisti, che saranno premiati nella Casa Circondariale di Montorio(Verona). Un momento carico di emozione, alla presenza di detenuti, istituzioni e volontari provenienti da tutta Italia.

L’attenzione della Società di San Vincenzo De Paoli al mondo del carcere non è passata inosservata. Papa Francesco, durante una recente visita al carcere di Verona, ha incontrato i volontari vincenziani e, colpito dal loro impegno, ha inviato una lettera di ringraziamento: “Vi sono grato per quanto fate. Continuate con gioia e generosità questo prezioso servizio. Non stancatevi di essere testimoni di fede, speranza e carità. La Grazia di Dio vi sostenga e vi rafforzi. Vi abbraccio e di cuore benedico voi e tutti i carcerati. Che la Santa Vergine vi custodisca sotto il suo manto materno” (Lettera autografa di Papa Francesco 4 giugno 2024).

Giunto alla sua diciassettesima edizione, il Premio Carlo Castelli offre ai detenuti l’opportunità di raccontarsi, riflettere e sperare attraverso la scrittura, ma anche di fare del bene: oltre ai premi in denaro per i primi tre classificati, una seconda somma è destinata a progetti di reinserimento sociale. Il primo premio finanzierà un’iniziativa in un carcere per adulti, il secondo in un istituto minorile e il terzo nel settore UEPE (Ufficio Esecuzione Penale Esterna), contribuendo così a costruire una nuova strada per chi desidera ripartire.

Il concorso, dedicato alla memoria di Carlo Castelli, figura di spicco del volontariato vincenziano e promotore della Legge Gozzini, diventa un mezzo per costruire un futuro condiviso, sottolineando l’importanza del sostegno reciproco, anche in contesti difficili come il carcere.

Il Premio Carlo Castelli ha ottenuto il patrocinio di Camera, Senato e Ministero della Giustizia, ed è insignito della medaglia del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. I media partner includono il Pontificio Dicastero per la Comunicazione, TV2000, Radio In Blu e l’UCSI.

La manifestazione prevede anche un altro momento significativo: sabato 5 ottobre alle ore 10, al Teatro Nuovo di San Michele, si terrà un dialogo dal titolo “Dialogo in punta di cuore: nuove speranze dopo il reato”. Un’occasione per riflettere sul valore della giustizia riparativa e sui percorsi rieducativi che aiutano a sanare le ferite, riaccendendo la speranza e allontanando il rischio di recidiva.

Durante un incontro con la Presidente Paola Da Ros, il Viceministro alla Giustizia Francesco Paolo Sisto ha sottolineato come il tasso di recidiva crolli dal 70% al 2% per i detenuti coinvolti in attività formative e di reinserimento professionale.

I racconti premiati, insieme ad altri dieci segnalati dalla Giuria, saranno raccolti in un’antologia che verrà distribuita a tutti i presenti nel corso degli eventi e allegata, per la prima volta, alla rivista della Federazione Nazionale, ‘Le Conferenze di Ozanam’, pubblicazione che raggiunge oltre 13.600 tra soci e volontari in tutta Italia.

A condurre gli eventi sarà Alessandro Ginotta, Caporedattore della Rivista e Capo Ufficio Stampa della Federazione Nazionale Italiana Società di San Vincenzo De Paoli ODV. L’incontro del 5 ottobre è aperto al pubblico. L’ingresso è libero, ma è possibile prenotare chiamando il numero 06 6796989.

Le frontiere migranti di Abdou Boubacar

Quelle esistenti tra il Niger dei colonnelli e il Benin di Patrice Talon, re del cotone indiscusso e presidente del Paese, sono vergognosamente chiuse. A causa delle sanzioni applicate in risposta al golpe militare di fine luglio dell’anno scorso,centinaia di  camion e container sono bloccati dall’altra parte del ponte.  Adesso è pure l’innocua piroga, che permetteva ai passeggeri di attraversare il fiume Niger, ad aver ricevuto l’ordine di arresto.

Ciò significa che, come in un lontano passato, le frontiere tra i due Paesi confinanti sono completamente chiuse o quasi. In effetti c’è il disputato oleodotto che trasporta petrolio ‘cinese’ dal Niger alla costa atlantica del Benin che mantiene ‘in vita’ una frontiera che altrimenti sarebbe del tutto invalicabile. Il libero movimento di persone e beni nello spazio dei Paesi dell’Africa Occidentale, in breve la tanto contestata CEDEAO, si allontana dalla realtà una volta di più.

Non affatto è il caso di Abdou Boubacar, uscito dall’ultima frontiera che lo ha imprigionato per quattordici mesi a causa di un reato mai commesso nella città di Dosso, non lontano dalla capitale Niamey. Dice di essere nato in Costa d’Avorio ma nel foglio di uscita del carcere c’è scritto Monrovia, la capitale della Liberia. Dice di aver studiato in Liberia dove si parla inglese ma il suo francese è quasi perfetto.

Afferma che, essendo sua madre ivoriana, passava le vacanze da lei e questo spiegherebbe tutto. Adolescente segue ii fratello maggiore fino in Mauritania per poi tornare in una patria a scelta del momento e delle circostanze. Abdou, secondo il foglio di rilascio, è nato nel 2003 circa e avrebbe dunque la bellezza di 23 anni e lo stesso numero di frontiere sedotte, se non di più. Decide di attraversare il mare e per questo parte dalla Liberia, passa la Guinea, il Mali e, navigato il deserto del Sahara, approda in Algeria.

Lavora per qualche mese ad Algeri nei cantieri edili come piastrellista, manovale e imbianchino. Il tempo necessario di andare in Libia e tentare finalmente il sogno del Mediterraneo per raggiungere l’Italia. Dopo un breve soggiorno a Tripoli paga 1700 E al ‘passeur’ per l’ultimo posto disponibile nel battello. Assicura che c’erano 113 passeggeri di tutte le nazionalità dell’Africa e altrove, comprese donne e bambini. Partiti all’imbrunire sono stati fermati dalla guardia costiera libica ad appena un centinaio di metri dalla costa.

Messo a lavorare per qualche mese gratuitamente da qualche capo, torna in Algeria dove, stavolta, le guardie e i militari lo arrestano e deportano sino al confine col Niger. Passa, con altri come lui, la frontiera invisibile tra i due Paesi la notte per raggiungere una cittadina abitata soprattutto da migranti espulsi chiamata Assamaka. Dopo un breve soggiorno, coi soldi nascosti nelle parte intime del suo corpo, raggiunge Arlit, Agadez e, nella cittadina di Dosso, passa la porta della prigione civile.  

Esibisce il foglio di uscita del carcere come l’unico trofeo guadagnato in questi anni di trasgressioni delle frontiere. Quattordici mesi inutili di carcere per un giovane di poco più di vent’anni non sono pochi. Abdou si sorprende, affamato e sperduto, a contare il numero di frontiere che l’hanno attraversato da quando è nato non si sa dove, quando e perché. Forse tornerà dove era partito per tentare ancora la pazienza del deserto e l’incertezza del mare. Abdou chiederà la meta del suo viaggio alle frontiere che, finora, non l’hanno mai tradito.

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