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Presentati gli appuntamenti giubilari

“L’attesa per l’apertura della Porta Santa, il prossimo 24 dicembre, diventa ormai febbrile. E’ una scadenza che darà inizio a un Anno Santo che porterà a Roma milioni di pellegrini. La città si è preparata per offrire un volto ancora più bello di quanto Roma già lo sia e poco alla volta si vedranno scomparire i cantieri che in questi mesi hanno messo a dura prova la pazienza di tutti”: così ha esordito mons. Rino Fisichella, pro-prefetto del Dicastero per l’Evangelizzazione, Sezione per le Questioni Fondamentali dell’Evangelizzazione nel Mondo, presentando gli eventi culturali, concerti e mostre, in programma a Roma prima dell’apertura ufficiale del Giubileo, il prossimo 24 dicembre, e del Padiglione della Santa Sede a Expo Osaka del prossimo anno.

Ed ha scadenzato gli appuntamenti per l’apertura della Porta Santa: “Alle ore 19.00 del 24 dicembre, papa Francesco presiederà la Santa Eucaristia in Piazza San Pietro e a seguire procederà con il rito per l’apertura della Porta Santa. Oltrepasserà per primo la soglia della Porta e inviterà a seguire il suo esempio a quanti giungeranno nel corso dell’Anno, per esprimere la gioia dell’incontro con ‘Cristo Gesù, nostra speranza’. L’annuncio dell’apertura della celebrazione sarà dato da un breve Concerto di campane a opera della Pontificia Fonderia di Campane Marinelli. Le campane sono il suono più caro al popolo e in questo caso diventano l’espressione dell’annuncio gioioso di un evento atteso da tempo e finalmente giunto”.

Mentre nella festa di santo Stefano, quindi il giorno dopo il Natale, papa Francesco si recherà a Rebibbia per aprirvi la Porta santa: “Papa Francesco per primo intende farsi “Pellegrino di speranza” e, in questo modo, come ha scritto nella Bolla, il 26 dicembre, festa di Santo Stefano, sarà nel carcere romano di Rebibbia per aprire anche in quel luogo, simbolo di tutte le carceri sparse per il mondo, la Porta Santa, segno tangibile dell’annuncio di speranza… A partire da questo orizzonte, nelle scorse settimane, abbiamo firmato un’Intesa con il Ministro di Giustizia della Repubblica italiana, l’On. Carlo Nordio, e il Commissario Governativo, l’On. Roberto Gualtieri, per rendere effettive, durante l’Anno Giubilare, forme di reinserimento per diversi detenuti attraverso il loro impiego in attività di impegno sociale”.

Inoltre ha presentato altre iniziative culturali previste in queste settimane prima dell’apertura della Porta Santa: “L’avvicinarsi dell’apertura dell’Anno Giubilare ci spinge a presentare nuove iniziative che consentiranno di immettersi con maggior efficacia nel cammino dell’Anno Santo. Il primo evento sarà il concerto nella sede dell’Auditorium di via della Conciliazione, la prossima domenica 3 novembre, alle ore 18. Per l’occasione l’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia eseguirà la Quinta Sinfonia del compositore russo Dimitri Shostakovich (1906-1975), diretta dal Maestro Jader Bignamini, attualmente direttore musicale della Detroit Symphony Orchestra. La Sinfonia, realizzata nel 1937, forse è poco conosciuta al grande pubblico, ma colpisce per la sua intensa drammaticità e apre a un orizzonte di speranza. Presenterà in modo più esteso questo evento il dottor Davide Mambriani.

Il 22 dicembre p.v., alle ore 18.00, presso la Chiesa di Sant’Ignazio di Loyola, si potrà assistere al secondo evento musicale. A esibirsi sarà il Coro della Cappella Musicale Pontificia ‘Sistina’ che, sotto la guida del direttore, don Marcos Pavan, eseguirà diverse composizioni polifoniche di Palestrina (1525-1594; di cui il prossimo anno si celebreranno i 500 anni della nascita), Perosi e Bartolucci. Questo momento consentirà di vivere i giorni che precedono l’immediata apertura del Giubileo alla luce di una genuina contemplazione del mistero della fede”.

E dopo la musica anche l’arte: “Mi fa particolarmente piacere annunciare che oltre a questi due momenti musicali ci saranno altri tre eventi espositivi: il prossimo 27 novembre sarà aperta al pubblico, fino al 27 gennaio 2025, la mostra con la ‘White Crucifixion’ di Marc Chagall. Siamo riusciti a ottenere dal The Art Institute di Chicago l’opera così suggestiva e unica, che per la prima volta giunge in Italia, a Roma, e sarà ospitata nel nuovo Museo del Corso – Polo museale, nella sede di Palazzo Cipolla, con ingresso gratuito e libero, tutti i giorni dalle ore 10.00 alle ore 20.00. Sono particolarmente grato al Direttore James Rondeau per la sua piena disponibilità alla mia richiesta fatta nel giugno scorso e sono certo che troverà un grande riscontro di pubblico…

Il secondo evento vede l’esposizione di alcune rare icone di proprietà dei Musei Vaticani che saranno esposte nella magnifica sagrestia del Borromini nella Chiesa di sant’Agnese a Piazza Navona, dal 16 dicembre al 16 febbraio 2025. Perché un’esposizione di icone? Perché l’icona rappresenta non solo un dipinto. Essa diventa un’autentica scrittura dove leggere la storia della salvezza.

Il simbolismo dell’icona riflette la vita della Chiesa; una storia di tradizioni che di generazione in generazione ha saputo trasmettere non solo la fede, ma insieme ad essa la tecnica, i colori, le sembianze… e quanto serviva per rendere l’icona oggetto di preghiera, di culto e di venerazione. L’icona per questo diventa uno strumento di evangelizzazione universale, evocatrice di una santità che rimanda sempre al mistero centrale della fede. Era necessario che il Giubileo accogliesse anche questa esperienza che è il frutto di due anni di lavoro tra gli esperti.

Il terzo evento sarà la ormai tradizionale Mostra dei 100 Presepi in Vaticano. Nel suggestivo Colonnato del Bernini, sall’8 dicembre 2024 al 6 gennaio 2025, troverà spazio l’VIII edizione dell’Esposizione internazionale che ogni anno si arricchisce di nuovi Presepi e sempre più numerosa partecipazione. Come si sa, ogni anno un Paese diverso, a seconda del momento storico, diventa partner di questa Mostra. Quest’anno, Anno del Giubileo, sarà Roma ad essere direttamente coinvolta perché per più di dodici mesi sarà al centro dell’attenzione del mondo”.

Infine ha sottolineato la partecipazione della Santa Sede all’Expò di Osaka, in Giappone nel prossimo anno: “Il tema del Padiglione della Santa Sede sarà: ‘La Bellezza porta Speranza’. rappresenta un messaggio universale che si intende condividere con tutti i visitatori. La bellezza è una forza che trasforma, è capace di toccare il cuore delle persone, di risvegliare il desiderio per un mondo migliore.

Abbiamo utilizzato intenzionalmente il verbo ‘porta’ che possiede in questo caso un duplice significato: da un lato, indica un movimento dinamico, perché trasmette l’accesso alla speranza; dall’altro, intende richiamare la Porta Santa del Giubileo, la ‘porta’ che si apre per accogliere chiunque cerchi la pace e la riconciliazione. Sappiamo che abbiamo giocato con un termine difficilmente traducibile in altre lingue; in ogni caso, almeno in italiano veicola il messaggio che si è voluto esprimere”.

Ed ad Osaka sarà esposta anche l’unica opera del Caravaggio presente nei Musei Vaticani: “E’ stato direttamente Papa Francesco a desiderare che l’opera rappresentativa dell’Expo fosse l’unica opera del Caravaggio conservata nei Musei Vaticani: La Deposizione del Caravaggio. Paradossalmente si intende veicolare un messaggio di speranza. Davanti al dramma della morte, sappiamo che esiste la fede nella risurrezione, vita vera e reale che viene donata ai credenti in Cristo”.

Mentre il dott. Davide Mambriani, curatore della rassegna culturale ‘Giubileo è cultura’, per i concerti e le mostre, ha illustrato con dovizia di particolari i concerti e le mostre del giubileo, soffermandosi particolarmente sull’opera artistica di Chagall: “Conservata all’Art Institute of Chicago negli States, la pittura del 1938 intitolata ‘Crocifissione Bianca’ rappresenta un punto di svolta fondamentale per Chagall: è infatti la prima di un’importante serie di composizioni che presentano l’immagine di Cristo come martire e richiamano drammaticamente l’attenzione sulla persecuzione e sulla sofferenza del popolo ebraico negli anni ’30”.

Il dipinto è l’emblema della sofferenza degli ebrei e di Gesù: “Vengono rappresentati conflitti violenti, come l’incendio delle sinagoghe. Al centro dell’immagine, Gesù è raffigurato, crocifisso e simbolicamente rappresentato come ebreo, ornato con uno scialle da preghiera. La Crocifissione Bianca rivela importanti influenze dell’arte italiana del XIV secolo e costituisce un elemento dal valore coloristico importantissimo. Questo dipinto ha legami tematici con la pittura religiosa del Rinascimento, in particolare con le opere di Michelangelo, ma porta anche riferimenti all’elezione della Croce di Rembrandt.

Nella ‘Crocifissione Bianca’, Gesù crocifisso è circondato da tre patriarchi biblici e una matriarca, vestiti con abiti tradizionali ebraici. Ai lati della croce, Chagall ha illustrato la devastazione dei pogrom: a sinistra, un villaggio è saccheggiato e bruciato, costringendo i rifugiati a fuggire in barca, mentre le tre figure barbute sotto di loro, una delle quali stringe la Torah, scappano a piedi. A destra, una sinagoga e l’arca della Torah sono in fiamme, mentre in basso una madre conforta il suo bambino”.

Ed ha concluso sottolineando che l’opera dell’artista russo è una delle più alte espressioni della pittura del secolo scorso: “Insieme a Guernica di Pablo Picasso, la Crocifissione bianca è una delle più eloquenti condanne della guerra e dell’odio del XX secolo ed il suo messaggio è ancora drammaticamente attuale. Il profondo significato spirituale dell’opera permette al visitatore di immergersi in un momento di straordinaria meditazione che renderanno la fruizione dell’opera un momento non solo di eccezionale valore artistico ma ancor più di introspezione e riflessione sul mistero della croce che è arbor vitae e portatore di speranza di redenzione, resurrezione dopo le atrocità e vittoria sulla morte”.

(Foto: Vatican Media)

Due opere di Pietro Lorenzetti in mostra a New York e Londra

Due importanti opere di arte sacra sono partite alla volta di New York per essere esposte al Metropolitan Museum of Art all’interno della grande mostra dedicata alla pittura senese del Trecento in programma da ottobre 2024 a gennaio 2025. Successivamente la stessa esposizione verrà riallestita alla National Gallery di Londra, dove sarà possibile visitarla da marzo a giugno 2025. Si tratta delle cinque tavole del Polittico di Pietro Lorenzetti (1280-1348), il capolavoro di proprietà della parrocchia della Pieve di Santa Maria in Arezzo e un particolarissimo Crocifisso sagomato in tempera e oro su tavola, sempre di Pietro Lorenzetti, custodito nel museo diocesano di Cortona sin dal 1945.

Il primo via libera alla complessa operazione venne dato nel 2019 dall’arcivescovo Riccardo Fontana, con i vertici del Metropolitan e della National Gallery ad Arezzo per un tour preparatorio. L’ok è stato confermato poi dal vescovo Andrea Migliavacca, così come già aveva fatto don Alvaro Bardelli, parroco di Santa Maria della Pieve e tutto il progetto, in questi anni, è stato seguito passo passo dall’Ufficio diocesano per l’Arte Sacra, di concerto con le tante Istituzioni coinvolte.

Il Metropolitan Museum of Art e la National Gallery, in cambio del prestito di queste preziose opere della Chiesa locale, finanzieranno il restauro di un’importante tela collocata nella Concattedrale di Santa Maria Assunta in Cortona. Si tratta del Transito di San Giuseppe di Lorenzo Berrettini, cm. 264 x 172, del (1662 – 1672).

Per la riuscita del progetto la diocesi ringrazia tutti gli enti coinvolti, a partire dalla Soprintendenza, guidata dall’architetto Gabriele Nannetti coadiuvato dai suoi funzionari, l’Istituto Centrale di Restauro di Roma, il restauratore Roberto Saccuman, incaricato dalla National Gallery e Met e lo Studio Lauria di Grosseto che ha progettato l’articolato sistema che ha permesso di poter trasportare in sicurezza le opere.

L’origine del Polittico è raccontata da Giorgio Vasari. Nel 1320 Pietro Lorenzetti venne chiamato ad Arezzo dal vescovo Guido Tarlati per affrescare la tribuna e l’abside della pieve di Santa Maria, dipingendo dodici storie della Vergine culminanti nell’Assunzione.

Il Crocifisso sagomato cortonese è databile intorno al 1315-20, nel periodo in cui Lorenzetti stava realizzando molte opere nella cittadina etrusca. Il Cristo viene rappresentato mentre sta esalando l’ultimo respiro. Ai lati sono rappresentati la Vergine e san Giovanni. L’opera è stata probabilmente eseguita su legno sagomato per creare un’immagine che desse l’impressione di una scultura.

L’artista Luigia Pattocchio dona un quadro dedicato a san Luigi Gonzaga a Specchia

L’artista Luigia Pattocchio di Specchia, originaria di Presicce, ha realizzato un dipinto  (olio su tavola 48 x 66 cm.) raffigurante San Luigi Gonzaga, collocato, con la benedizione di Don Antonio Riva, Parroco di Specchia, nel piccolo altare dedicato al Santo, nella cripta della Madonna del Passo di Specchia.

 La cripta della Madonna del Passo, risalente al XVII secolo, si trova alla periferia di Specchia, nei pressi della Strada Provinciale che conduce a Ruffano, originariamente era ‘laura basiliana’ o ‘cripta rupestre’, a circa due metri e cinquanta sotto il livello stradale. All’esterno del luogo sacro sei massicce colonne monolitiche, una lapide al centro riporta un’iscrizione e la data 1851, anno in cui fu costruito il portico che difende la facciata della cripta dall’acqua piovana.

Al di sopra delle due porte d’accesso e della finestra centrale, si aprono cinque grandi nicchie che racchiudono un Calvario ad altorilievo in cartapesta leccese, risalente al 1929, raffigurante i misteri dolorosi del Rosario. All’interno della cripta si trova un altare maggiore, in pietra con il quadro che raffigura la Vergine (Madonna del Passo) che regge sulle gambe il Bambino che benedice.

Alla destra dell’altare maggiore, si trova quello dedicato a San Luigi Gonzaga, più semplice e lineare e quasi identico dell’altare a sinistra, dedicato all’ ‘Ecce Homo’, entrambi realizzati, secondo gli esperti, nello stesso periodo e dallo stesso autore. Come si legge su ‘Chiese e Palazzi di Specchia’ di Antonio Penna (Libellula Edizioni):

“La costruzione è da collocarsi dopo il 1711, data della Santa Visita del (Vicario capitolare) Mons. (Tommaso) De Rossi, ed anche dopo il 1726, anno della canonizzazione di S. Luigi Gonzaga. Il fastigio termina con un ovale, che forse conteneva una scritta, oggi scomparsa. Al centro, in una cornice, fino a poco tempo fa c’era un quadro di S. Luigi dipinto su vetro e rotto in più punti. Certamente non era l’originale, ma uno attaccato malamente in tempi successivi, come si deduce anche dalle dimensioni (cm. 50 x 41,5) diverse da quelle della cornice in pietra, che presenta ancora tracce di pittura”, sostituito recentemente da quello realizzato dalla Pattocchio.

Non è la prima volta che Luigia Pattocchio dona dei quadri da collocare nei luoghi sacri. Nel 2007, in memoria dei defunti genitori, aveva donato un quadro raffigurante la Madonna Addolorata collocata nella Cappella Cimiteriale di Presicce – Acquarica, nel settembre 2009, ha donato alla Parrocchia della Presentazione Beata Vergine Maria di Specchia, due quadri olio su tela, raffiguranti la Beata Eugenia Ravasco e Papa San Giovanni Paolo II.

Nel maggio 2021, in occasione della Festa dedicata a San Nicola di Myra, la Pattocchio ha arricchito la Cappella omonima di Specchia, con quattordici piccole tele, raffiguranti le altrettante stazioni della ‘Via Crucis’ e collocate lungo le pareti del luogo sacro. Nel 2022, nella ricorrenza religiosa di  San Nicola di Myra del 6 Dicembre,  ha donato una tela, raffigurante il Santo e lo stemma civico di Specchia, della misura cm 80 x 120, anch’essa esposta alle pareti del luogo sacro.

Luigia Pattocchio, nata a Gallipoli (Le) l’11 febbraio 1957, vive ed opera a Specchia (Le). Di formazione autodidatta, perviene alla pittura sospinta da una grande passione per l’arte e per il disegno. Apprezzata e stimata come donna e come artista non soltanto nel suo paese, con la sua pennellata precisa ed inconfondibile riesce ad ipnotizzare i cultori dell’arte pittorica. Sulla sua attività artistica hanno scritto giornalisti, critici e studiosi d’arte tra i quali: Giuseppe Afrune, Maurizio Antonazzo, Luigi De Giovanni, Antonio Penna, Federica Murgia, Laura Petracca e Addolorata Scupola.

Da circa trent’anni è molto attiva artisticamente, ha partecipato a numerosi concorsi, conseguendo premi e trofei. Ha preso parte ad innumerevoli manifestazioni d’arte esponendo sia in mostre collettive che personali in tutta Italia. Tra le quali occorre citare: nel febbraio 2000 la Pattocchio risulta tra le artiste segnalate in occasione del ‘IV Premio d’Arte Contemporanea Ass.I.S.Art.Italia’ a La Spezia, a Specchia ha collaborato alla realizzazione delle scene della rappresentazione teatrale “La Locandiera”. Ha vinto il II Premio nell’estemporanea di pittura ‘Scorci Del Borgo Antico’ svoltosi in occasione di ‘Specchiarte 2001’ – VI Rassegna di Arte ed Artigianato nel Borgo Antico, evento artistico al quale la Pattocchio ha partecipato dalla prima edizione.

Tra le poche artiste dell’Italia meridionale presenti al 20° Concorso Nazionale di pittura contemporanea ‘Premio Comune di Trivero’ (Biella). Nel 2006 ha partecipato al 13° Festival Internazionale dell’Arte Contemporanea, organizzato dal Centro d’Arte e Cultura La Tavolozza di Sanremo Arte 2000, esponendo nella Villa Ormond presso la località ligure. Nel 2007 ha esposto alla Collettiva di Pittura ‘Le donne sono colorate’ a cura di Vittoria Bellomo, presso il ‘Centauro’ Kantiere d’arte multimediale di Bari ed ha partecipato al I^ Concorso di Murales ‘Corti Nosce’ svoltosi a Montesano Salentino (Le), ricevendo una segnalazione per l’opera realizzata, nello stesso anno gli è stato conferito il Premio Anthony Van Dyck.

Nel 2012, con i suoi quadri ha partecipato a ‘I Colori del Salento – Forme e emozioni’, collettiva di pittura insieme agli artisti: Laura Petracca e Luigi Scarcia. Ha partecipato a tutte le ultime edizioni di ‘Specchia in arte’ e della ‘Notte Bianca’, raccogliendo sempre i pareri positivi dei cultori dell’arte e degli operatori culturali. Tra il Dicembre 2017 e il Gennaio 2018 è stata tra i sedici artisti partecipanti alla collettiva ‘Specchiarti’, svoltasi a Palazzo Risolo a Specchia, sempre nello stesso luogo, tra il Dicembre 2023 e il Gennaio 2024  con il Gruppo ‘Pro Arti’ dal 7 dicembre 2023 al 7 gennaio 2024 ha partecipato alla Collettiva d’arte: ‘Arti, Emozioni e Colori’.

Ubaldo Casotto: William Congdon e l’essenziale visibile agli occhi

“Cos’è essenziale per essere umani, per rimanere umani, per diventare sempre più umani di fronte alle atrocità che si presentano sulla scena globale, di fonte alle sfide del cambiamento climatico, di fronte agli sviluppi tecnologici nella scienza, nella medicina, nella vita quotidiana, di fronte ad un mondo sempre più invaso dai dati e dall’informazione e tuttavia sempre meno capace di decifrarli?”: partiamo da questa proposta di fondo che guida il tema del Meeting dell’Amicizia fra i Popoli, giunto alla 45^ edizione, in programma alla Fiera di Rimini fino al 25 agosto con il titolo ‘Se non siamo alla ricerca dell’essenziale, allora cosa cerchiamo?’, caratterizzata da tavole rotonde, mostre, spettacoli, iniziative culturali, sportive e per ragazzi e trasmessa in diretta su più canali digitali e in più lingue per incontrare il dott. Ubaldo Casotto, curatore della mostra ‘L’essenziale è visibile agli occhi. Il giro del mondo di William Congdon’, in collaborazione con ‘The William G. Congdon Foundation’:

“Quest’anno sarò al Meeting da volontario come curatore e guida della mostra su uno dei più grandi pittori del ‘900, William Congdon. E’ la sesta mostra che curo per il Meeting, tanti anni fa mi sono divertito anche facendo la prima edizione del Quotidiano Meeting. Ho letto recentemente un libro su De Gasperi intitolato ‘Il costruttore’, mi sembra che sintetizzi perfettamente il ruolo del Meeting, un luogo che costruisce rapporti, conoscenza, amicizie”.

Allora, ci spieghi da dove nasce questa mostra su uno dei pittori più geniali del secolo scorso?

“L’occasione è stata duplice: il venticinquesimo della sua morte (1988-2023) che mi è tornato in mente quando, mettendo ordine alla libreria di casa, ho ritrovato le cassette di due interviste che gli feci nel 1992 nella sua casa/studio della Cascinazza a Buccinasco (Milano). Una, breve, andò in onda su Rai2, l’altra, molto lunga, fu la base per due video trasmessi in occasione di una sua mostra al Palazzo Reale di Milano. Rivederla e proporla come percorso per una mostra al Meeting di Rimini è stato un tutt’uno. La Fondazione Congdon ha messo a disposizione 14 quadri (tra cui un inedito, un ‘Santorini’ mai visto in pubblico affidatogli da un collezionista privato) e una statua (pochi sanno di Congdon scultore) prestata dal Comune di Buccinasco”.

Perché l’essenziale è visibile agli occhi?

Arriva qui il secondo motivo della mostra, il titolo del Meeting di quest’anno, la frase di Cormac McCarthy: ‘Se non siamo alla ricerca dell’essenziale, allora cosa cerchiamo?’ C’è una famosa frase di Antoine de Saint Exupéry ne ‘Il piccolo principe’ che dice: ‘Non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi’. Riascoltando Congdon e rimettendomi davanti ai suoi quadri, mi sono sentita di rovesciarla. Per due motivi.

Il primo: perché tutta la vita e l’opera artistica di Congdon sono state la ricerca e il tentativo di rappresentare in modo visibile di questo essenziale. Il secondo: perché l’essenziale, misteriosamente celato dentro il visibile, a un certo punto ha deciso di rendersi visibile, anche nella vita personale di Congdon. Insomma, l’essenziale è visibile in quanto mistero presente che fa ciò che vediamo, che gli dà consistenza. Invito i visitatori della mostra a soffermarsi davanti al quadro intitolato ‘Giallo con sole’, e capiranno quello che sto dicendo”.


In quale modo Congdon scopre che la pittura è vocazione per la sua vita?

“Lo dico con le sue parole: ‘Io ho un’idea, l’ho sempre sospettato, che sono nato col dono. La prima espressione del dono era la mia sofferenza nell’ambiente di casa, di famiglia, e precisamente si può dire di mio padre: non è che lui non aveva l’amore per me, ma non l’aveva nel mio modo di volerlo già a tre, quattro o cinque anni, perché io ero già condizionato dal dono in me, ed esigevo una certa corrispondenza che non veniva. Questo non è un giudizio oggettivo su di lui, perché lui ovviamente mi amava come poteva, secondo la sua realtà. Quindi, per me, il mio dono già operava da tutta la mia vita’. Più avanti aggiunge: ‘Il mio occhio è munito da un dono particolare che Dio ha messo dentro di me, è un occhio trasfigurato da Dio per essere trasfigurante e trasfigurare le cose. Dio mi trasfigura l’occhio, cioè mette dentro di me il suo occhio, che io chiamo la trasfigurazione del mio occhio, in modo che io posso vedere, trasfigurare, le cose e dipingere il trasfigurato’. Il tema del dono è una costante nel suo conversare, come si potrà apprendere leggendo lo scritto del giornalista Pigi Colognesi che costituisce la seconda parte del libro edito in occasione di questa mostra”.


Per quale motivo si converte alla Chiesa cattolica?

“Congdon era un solitario, e in qualche modo lo è rimasto sino alla fine della sua vita (come dice lui stesso nell’intervista che mi ha concesso) per questo era anche difficilmente classificabile artisticamente, pure i panni dell’Action Painting a un certo punto gli stettero stretti. Come altri pittori della scuola newyorkese ebbe la tentazione del suicidio, il suo continuo viaggiare è stato la modalità di ricerca di un senso per fuggire al gesto insensato. E non pochi studiosi hanno sottolineato come la sua stessa conversione potesse apparire, in un certo modo, quasi una sorta di suicidio simbolico, di drastica rinuncia all’esistenza sin lì condotta. Il senso che cercava lo trovò, passando per Venezia e poi per Assisi (città decisive per lui) ed infine incontrando Cristo nella Chiesa cattolica attraverso la Pro Civitate Christiana di don Giovanni Rossi e alla compagnia del grande amico della sua vita, Paolo Mangini, insieme al quale poi conobbe l’esperienza di Gioventù Studentesca”.

Quale è stata l’influenza di mons. Giussani nell’ultima parte della sua vita?

“C’è stata certamente un’incidenza a livello personale e di fede nella quale non oso addentrami. Mi limito a ripetere quanto Congdon stesso dice negli ultimi anni della sua vita, rispetto al suo essere un solitario: ‘Sono solitario per non essere affatto solitario. Dove è la mia compagnia non è secondo quello che il mondo chiama compagnia. Solitario? Certo che sono solitario: uno che vive come me qui come un monaco è solitario per non essere solitario, per essere compagnia in Cristo’. Per lui non era facile accettare quella che dall’insegnamento di don Giussani aveva cominciato a chiamare la ‘dimensione comunitaria’ del cristianesimo.

Ma vi è un aspetto della sua coscienza artistica in cui questa ‘influenza’ è chiarissima. Dopo anni in cui la sua produzione artistica si è concentrata sul cosiddetto ‘soggetto religioso’, verso la fine degli anni Sessanta Congdon entra in una fase crisi creativa: ‘Nel mondo dell’arte americano, scrive il critico Rodolfo Balzarotti, si comincia a guardare alla sua pittura come a un episodio concluso negli anni Cinquanta. D’altro canto, il ripudio del soggetto religioso lo rende sempre più restio a esporre nell’ambito di quelle istituzioni religiose dove ancora avrebbe potuto trovare un proprio pubblico’.

‘Sembrava, dice Congdon, che la mia nuova famiglia, la Chiesa, avesse sepolto il mio io di artista. E’ stato un periodo buio. Ma, grazie a Dio e alla compagnia cristiana del movimento di don Giussani, non è stato un periodo inutile. Anzi, la strettoia in cui mi sono trovato a passare ha favorito una nuova nascita, anche artistica’. Basti un esempio: in ‘Sahara 12’ (uno dei quadri in mostra) c’è l’impronta del suo piede che calpesta la piccola oasi, tutt’intorno, il deserto infinito. Strano gesto quello di mettere il piede in un quadro.

Nei suoi taccuini scriveva: ‘E’ il passo sconosciuto verso il mistero della vita. E’ il passo nudo del ricominciare. E’ il passo della preghiera, della rinascita dell’innocenza’. L’edizione in arabo de ‘Il senso religioso’di don Luigi Giussani ha in copertina proprio questo quadro. Quando l’ha visto Congdon ha detto: ‘Sono stato contento, perché certamente di fronte al deserto uno si trova proprio nudo, bisognoso, carico di domande di fronte al Mistero e cerca, ecco il piede nel quadro, di entrarci nel Misero, di conoscerlo’. E’ proprio ciò di cui parla il libro di Giussani”.

(Tratto da Aci Stampa)

Alessandra Vitez presenta le mostre del Meeting: l’arte è sempre alla ricerca dell’essenziale

Ormai aperto il Meeting dell’Amicizia fra i Popoli, giunto alla 45^ edizione, in programma fino a domenica 25 agosto con il titolo ‘Se non siamo alla ricerca dell’essenziale, allora cosa cerchiamo?’, caratterizzata da tavole rotonde, mostre, spettacoli, iniziative culturali, sportive e per ragazzi e trasmessa in diretta su più canali digitali e in più lingue, presentato dal presidente della Fondazione del Meeting, Bernhard Scholz:

“Essenziale è ciò che genera una vita piena, libera e responsabile e una vita sociale feconda e solidale… Contro i veleni dell’odio e del disprezzo, dei complottismi e delle estreme polarizzazioni, gli antidoti essenziali sono l’incontro, il dialogo e il confronto. A maggior ragione vogliamo realizzare di nuovo un Meeting che mette a tema le grandi sfide di questo momento storico in un clima di rispetto reciproco, attraverso uno scambio e una condivisione di esperienze e di conoscenze”.

Durante la presentazione degli avvenimenti il presidente della Fondazione ha sottolineato l’importanza culturale delle mostre nella ‘struttura’ del meeting: “Le mostre di questo Meeting sono un invito a riscoprire ciò che è essenziale, a prendere maggiore consapevolezza di ciò che rende la nostra vita più vera e più creativa, ciò che sostiene la nostra esistenza, soprattutto in questo momento di crescente conflittualità e di tante sfide decisive per il nostro futuro”.

I temi delle mostre saranno la storia dei giubilei in vista del Giubileo del 2025, l’opera del fotografo statunitense Curran Hatleberg, con 65 scatti originali, l’opera del pittore americano vissuto in Italia William Congdon (con un importante inedito) e l’opera letteraria dello scrittore svedese Pär Lagerkvist (premio Nobel 1951 per la Letteratura). Altre mostre presenteranno l’attualità di Alcide De Gasperi, la storia dei coniugi austriaci Franz e Franziska Jägerstätter (Franz, martire del nazismo, proclamato beato nel 2007 da papa Benedetto, oggetto anche del film ‘The Hidden Life’ di Terrence Malick) e la tregua di Natale sul fronte occidentale nel Natale del 1914 (raccontata nel 2005 dal film ‘Joyeux Noël’ di Christian Carion).

Un’altra mostra presenterà iniziative sociali nella società civile russa di oggi; di tema sociale anche altre due mostre, una sulla rinascita dei borghi italiani ed una sulla Fondazione Progetto Arca di Milano. Un’esposizione sarà dedicata alla vita del Servo di Dio Enzo Piccinini, medico modenese molto caro al pubblico del Meeting.

La mostra scientifica, a cura dell’Associazione Euresis, avrà a tema le speciali condizioni emerse nell’evoluzione dell’Universo che rendono possibile la vita sul nostro pianeta. La Terra Santa infine sarà al centro di un’esposizione sulle due basiliche della Trasfigurazione sul monte Tabor e del Getsemani, mentre la mostra sulla ‘Fuga in Egitto’ presenterà i luoghi dove è passata la Sacra Famiglia e che sono oggetto di una devozione che unisce cristiani e musulmani.

Per approfondire i temi di alcune mostre abbiamo intervistato la dott.ssa Alessandra Vitez, responsabile dell’ufficio Mostre del meeting, chiedendo il motivo per cui il Meeting pone tale domanda: “E’ una domanda provocatoria di cui abbiamo bisogno perchè ci costringe a non rifugiarci nella rassegnazione e indifferenza, nelle considerazioni ideologiche che ci rendono la vita priva di gusto.

Il Meeting pone questa domanda perchè desideriamo fare esperienza di una vita vissuta nello scoprire e riscoprire quella essenzialità che ci permette di affrontare la realtà così come si presenta. Non significa ridurre tutto ad una sintesi minima ma vivere una vita piena, feconda, e ricca della diversità di chi si incontra come un bene prezioso al proprio cammino umano”.

Per quale motivo per Congdon l’essenziale è visibile agli occhi?

“Rovesciare la famosa frase tratta del Piccolo Principe di Antoine de SaintExupéry (‘l’essenziale è invisibile agli occhi’) non è un gioco, è l’essenza della pittura di William Congdon, esponente dell’action painting di New York, uno dei più grandi artisti del ‘900. Dopo un lungo viaggiare e dipingere si stabilisce in Italia, prima a Venezia, poi ad Assisi ed infine a Gudo Gambaredo nella Bassa milanese, dove muore nel 1998. Per lui dipingere è una ‘avventura dello sguardo’ che arriva a cogliere l’essenza di ciò che si vede. Guai a dargli di pittore astratto; infatti egli dice di sé: Sono sempre partito da un oggetto concreto che colpisce il mio occhio… io dipingo quel che vedo e non come vedo”.

Invece, cosa offre ai visitatori la mostra sui Giubilei?

“Il Giubileo è un tempo che non ci spinge implacabile verso il futuro ma si piega sul nostro bisogno e proclama di voler risanare le ferite nascoste. Ci stringe in un abbraccio di perdono e di misericordia accogliente per spalancarci ad una promessa di bene che è un destino di speranza per tutti. Con la mostra siamo invitati a varcare la Porta che segna l’ingresso in una possibilità di vita cambiata, risollevata dal peso delle sue fragilità, dei suoi limiti, dalle ombre del male che ci infliggiamo a vicenda.

E’ una possibilità straordinaria di salvezza che arriva fino a toccare il cuore dell’esistere quotidiano nel mondo, è una grazia fuori dal comune, introdotta dal realismo umano della fede cristiana nella storia degli ultimi sette secoli: una grazia da mendicare, di cui rendersi degni con i gesti, i passi concreti, aderendo a dei segni visibili capaci di diventare un ponte di collegamento tra la terra e il cielo. Ci attende di nuovo al varco nel prossimo 2025”.

Ed allora in quale modo l’arte si confronta con i Giubilei?

“Le opere pittoriche svolgono la funzione di accompagnare il pellegrino che si avvicina al Giubileo perché le immagini veicolano gli sguardi, illuminano traiettorie, muovono domande. L’artista capta le vibrazioni che animano la sua epoca, si fa profetico interprete del mondo che lo circonda, senza mai smettere di ‘cercare’. Il ‘desiderio’, talvolta, diventa inquietudine e rovello. E possiamo cogliere un segno che rende evidente la meravigliosa capacità dell’uomo di trasformare l’esperienza in cultura, cultura che risponde alla grande domanda su che cosa voglia dire diventare vivi per davvero”.

Infine, per quale motivo il Meeting ha scelto le fotografie di Curran Hatleberg?

“Il mondo della fotografia ci interessa particolarmente e siamo sempre alla ricerca di una prospettiva originale da cui guardare attraverso l’obiettivo. E’ stato il nostro amico Luca Fiore, critico d’arte e giornalista, ad introdurci alla conoscenza di Hatleberg, che sarà con noi per tutta la settimana del Meeting.

Hatleberg ha frequentato la Florida per un paio d’anni, tornando a visitare le stesse famiglie incontrate casualmente per trascorrere del tempo con loro. Questo rapporto di prossimità gli ha permesso di entrare nel mondo di queste persone, di accedere ai loro momenti di intimità e di vulnerabilità.

Di loro non conosceva nulla, ma era curioso di entrare nella vita quotidiana; è incredibile come capiti che in situazioni davvero dure, dal punto di vista sociale e personale, dentro l’inquadratura appare qualcosa che apre ad una possibilità. La fotografia può diventare un’ottima scusa per far incontrare persone che appartengono a mondi diversi e dar loro l’opportunità di condividere qualcosa”.

(Tratto da Aci Stampa)

Simone Varisco e Paolo Alliata: raccontare il Vangelo con l’arte e la letteratura

“Cosa unisce la vigna di van Gogh al filobus di Rodari? Oppure il disperato di Courbet all’idiota di Dostoevskij? E’ il punto di vista, lo sguardo su di noi e sugli altri, che accomuna arte, letteratura e parabole. Ad esempio, è il collocarci fra gli ultimi arrivati, e non fra i primi operai della vigna, a rendere il racconto di Gesù un felice paradosso e non un’incomprensibile ingiustizia. Lo stesso accade se svestiamo i panni del fratello maggiore per calarci in quelli del figlio prodigo, che più ci appartengono.

Perché neppure il più virtuoso o il più lavoratore fra gli uomini e le donne può vantare un credito verso Dio, come ci insegnano le parabole del fariseo e del pubblicano o quella del padrone e del servo. Siamo pecore smarrite  fra grano e zizzania, chiamati ad essere samaritani, ‘prossimi’ tanto dell’uno quanto dell’altra. Germogli soffocati fra le spine, corriamo il rischio di uccidere e gettare fuori dalla vigna della nostra vita il Figlio”.

E’ il percorso proposto nel libro, ‘Le parabole fra pittura e letteratura’, scritto da Simone Varisco, storico e saggista, e da don Paolo Alliata, responsabile del Servizio per l’Apostolato Biblico della diocesi di Milano, che raccoglie, rielabora ed amplia le meditazioni sui Vangeli offerte ogni settimana sul blog di cultura, attualità e fede Caffestoria.it, unendo ad esse il ‘respiro largo’ dell’arte, accompagnate da un brano letterario, già autori dei precedenti volumi ‘La Pasqua fra pittura e letteratura’ ed ‘Il Natale fra pittura e letteratura’.

A Simone Varisco chiediamo il motivo per cui c’è bisogno di raccontare le parabole attraverso la pittura e la letteratura: “Prima ancora che un genere letterario, le parabole sono un eccezionale stile di comunicazione, e l’arte (che sia pittura, letteratura od altro) costituisce un ulteriore esempio di linguaggio efficace. Al di là delle evidenti differenze, parabole e arte hanno in comune l’immediatezza, la potenza espressiva, l’eloquenza, la capacità di ‘incarnare’ un messaggio e di farlo sopravvivere alla prova del tempo. Dopo aver percorso insieme alla pittura e alla letteratura le strade del Natale e della Pasqua, nei due libri precedenti, ci è parso naturale incamminarci lungo la via delle parabole in compagnia di queste due forme di arte”.

Con quale criterio sono state scelte le parabole?

“Come già per gli altri libri scritti insieme in passato, anche ‘Le parabole fra pittura e letteratura’ ha origine nell’amicizia e nelle passioni che condividiamo, don Paolo Alliata e io. Le parabole sono state scelte insieme, per lo più fra quelle commentate durante l’anno liturgico da don Paolo nella rubrica ‘La Parola, la Chiesa, il mondo’ del mio blog Caffestoria.it. Si tratta di un excursus che comprende alcune delle parabole evangeliche più celebri, come quella dei talenti o della pecora smarrita, ma anche racconti sui quali soffermarci con rinnovata attenzione. Penso, ad esempio, ai vignaioli omicidi od al campo in cui si mescolano grano e zizzania: di straordinaria attualità in un mondo che ha imboccato la via dell’autodistruzione, non solo con la guerra, e in cui sembra prevalere il male, nell’apparente indifferenza di Dio”.

Allora, in quale modo la Parola diventa lievito?

“Poche immagini sono in grado di rendere l’idea di quali dinamiche appartengano al Regno di Dio e ai suoi testimoni come il lievito e il sale. Uno può fermentare in noi e negli altri, se gli diamo l’occasione per farlo; l’altro dà sapore, anche se è pressoché invisibile. Si tratta di un processo delicato, serve prestare attenzione alle dosi, per così dire, ma l’esito è inevitabile, nelle giuste condizioni. La Parola ‘fermenta’ in noi, perché appartiene al quotidiano di ognuno: anche se spesso lo dimentichiamo, nessuno escluso, siamo pecore smarrite, germogli che stentano a crescere fra sassi e spine, corriamo costantemente il rischio di uccidere e di gettare fuori dalla vigna della nostra vita il Figlio.

Ogni giorno ci muoviamo in un campo dove convivono grano e zizzania, spesso anche per nostra responsabilità, e nondimeno (anzi, forse proprio per questo) siamo chiamati ad essere samaritani, a farci ‘prossimi’ tanto dell’uno quanto dell’altra”.

Per quale motivo artisti ed autori hanno sentito l’esigenza di confrontarsi con il Vangelo?

“Il Vangelo ha segnato (e continua a segnare, anche se è impopolare affermarlo) la storia di molta parte del mondo, e naturalmente anche la storia dell’arte. Vale la pena sottolineare che gli orizzonti evangelici appartengono in gran parte alla tradizione ebraica, come è particolarmente evidente proprio nelle parabole. Sublimati in seguito dal cristianesimo, non sono estranei neppure al mondo islamico. Va da sé, ci sono anche ragioni più prosaiche nel rapporto che lega artisti e parabole: la Chiesa è sempre stata una straordinaria committente d’arte”.

Perché nel libro nessuna opera d’arte ‘sacra’?

“Cosa c’è di ‘sacro’ in una moneta caduta da qualche parte in casa, in una lampada a corto di olio oppure in una rete piena di pesci? Eppure sono queste le immagini con cui Gesù ha scelto di raccontarci i misteri più insondabili della nostra esistenza. E le ha scelte, possiamo supporre, perché appartengono al nostro quotidiano. E’ la dimostrazione di un Dio incredibilmente elegante nel suo stile. Nulla, in nessun tempo, gli è estraneo, né può esserlo. Ogni dipinto, ogni barra rap, ogni piega che l’artista potrà mai imprimere nel marmo o nel legno raccontano dell’uomo ed, inevitabilmente di Dio. Anche quando l’intento è altro, o addirittura contrario”.

Con quale linguaggio è possibile oggi narrare ai giovani le parabole?

“Anche se gli orizzonti di vita sono molto cambiati da quelli delle società rurali di un tempo, e del tempo di Cristo, il significato delle parabole è ancora comprensibile oggi. Non hanno perso nulla della loro attualità: le parabole sono più ricche di significato di ogni analisi geopolitica o sociologica. Ed i giovani, cui dovremmo riconoscere più fiducia, ne sono consapevoli: meglio di altri intuiscono che il messaggio delle parabole li riguarda. Invece che interrogarci su una presunta ‘vecchiaia’ del Vangelo, perciò, dovremmo chiederci perché troviamo difficile coinvolgerli. Più che un problema di linguaggio, che sia un problema di testimonianza, e di credibilità dei testimoni?”

Da Trieste un invito a stare nelle città secondo la lettera ‘A  Diogneto’

In attesa della visita di papa Francesco a Trieste per la chiusura della 50^ Settimana Sociale,  oggi i delegati hanno riflettuto sul testo di ‘A Diogneto’, grazie all’intervento della prof.ssa  Arianna Rotondo, docente di Storia del cristianesimo all’Università degli Studi di Catania, che ha sottolineato che è un documento che “rappresenta la novità rivoluzionaria della fede in Cristo sul piano etico, spirituale e sociale… Appare una nuova mentalità, una verità paradossale. La fede in Cristo porta non già a estraniarsi dal mondo, ma a condividerne appieno le sorti”.

Infatti il testo, datato tra il II ed il III secolo dopo Cristo, descrive molto chiaramente la vita dei cristiani nella città: “I cristiani non si differenziano dagli altri uomini né per territorio, né per il modo di parlare, né per la foggia dei loro vestiti. Infatti non abitano in città particolari, non usano qualche strano linguaggio, e non adottano uno speciale modo di vivere… Risiedono in città sia greche che barbare… Abitano ognuno nella propria patria, ma come fossero stranieri… Osservano le leggi stabilite ma, con il loro modo di vivere, sono al di sopra delle leggi. Amano tutti, e da tutti vengono perseguitati… I cristiani rappresentano nel mondo ciò che l’anima è nel corpo”.

E papa Francesco, ha richiamato la docente, ha rivolto molte volte l’invito ad una partecipazione civica dei cristiani: “Dio li ha posti in un luogo tanto elevato, che non è loro permesso di abbandonarlo. Quindi il posto dei cristiani nel mondo è in prima linea, perché assegnato direttamente da Dio… La cittadinanza celeste non contempla la diserzione da quella terrestre, anzi richiede di essere fecondi proprio nelle vicende del mondo. L’adesione al cristianesimo impegna tutto l’essere umano, tutta la vita, in grado di trovare il terreno per la propria testimonianza secondo il Vangelo”.

Per questo è necessaria una presenza nuova dei cristiani nelle città: “Tutto questo comporta oggi nuove forme di presenza cristiana, linguaggi adeguati, una coscienza consapevole della propria fede per poter essere coscienza nel mondo”.

Ed incontrando i giornalisti per un consuntivo della settimana, il vescovo di Trieste, mons. Enrico Trevisi ha raccontato l’attesa della città per il papa in un luogo dove 32 anni fa venne accolto san Giovanni Paolo II: “C’è gioia perché, dopo 32 anni da quando era venuto Giovanni Paolo II, ritorna a Trieste un Pontefice a celebrare nello stesso luogo, piazza Unità d’Italia; una piazza che è un simbolo, macchiata della storia, ma che invece vuole diventare una piazza di fraternità, che abbraccia tutti. E che domani sarà idealmente aperta a tutti. In realtà, purtroppo, alcune persone hanno fatto la richiesta ma essendo già tutta piena non potranno entrare perché non ci sono più posti”.  

Mentre il presidente della Cei, card. Matteo Zuppi, ha ringraziato i giornalisti per la narrazione di queste giornate: “Far conoscere tanta vita vera, tanta gente vera, tante esperienze concrete in cui la dottrina sociale della Chiesa è esperienza di tanti ragazzi, uomini e donne, tante donne come abbiamo visto..Vera partecipazione, il cui tema è stata la persona: sono convinto che produrrà anche tanta consapevolezza e tanta vita… In un momento di tanta disaffezione, di disillusione, non abbiamo fatto la predica: abbiamo raccolto e fatto parlare tutte le nostre comunità”.

Infatti il presidente della Cei ha ricordato che al centro dei lavori c’è stata sempre la dottrina sociale della Chiesa, ma ‘non come giustificazione o come pretesto per qualche altra operazione’, come dimostra la presenza delle 1.200 persone, di cui 368 donne, 310 giovani e altre 80 uomini; mentre sono state circa 70 le ‘buone pratiche’ che hanno animato gli omonimi villaggi in tutta la città.

Ed a proposito delle ‘buone pratiche’ è stata molto interessante la testimonianza di Carla Barbanti, responsabile della Cooperativa Sociale di Comunità ‘Trame di Quartiere’ di Catania: “Il nostro lavoro inizia proprio a partire dall’abitare il quartiere, conoscere chi lo abita e costruire relazioni, tessere ‘Trame di un quartiere’.

Nel 2011 abbiamo avviato una mappatura di comunità dando voce a chi vi abitava e a chi era stato costretto ad andare via, recuperando il patrimonio culturale materiale e immateriale e raccontando il quartiere e le sue molteplici voci tramite diverse iniziative. Vivere questa quotidianità ci porta a capire che è necessario offrire dei servizi, creare opportunità lavorative e, al contempo, creare un punto di riferimento per coloro che restano abbandonati dalle politiche pubbliche. Oggi San Berillo racchiude una serie di vulnerabilità: un quartiere come tanti altri nelle città italiane, dove è facile esaltare il degrado ma molto più difficile ritrovare opportunità”.

Inoltre anche a Matera è sorta un’altra buona ‘pratica’, come ha raccontato Simone Ferraiuolo, responsabile della cooperativa sociale ‘Oltre l’Arte’, che trae origine da una frase di mons. Mario Operti: “La cooperativa, che oggi mi onoro di rappresentare in questo contesto, è qui a testimoniare che è possibile investire nel cuore e nell’intelligenza delle persone, facendo in modo che giovani desiderosi di creare da sé stessi un’opportunità di lavoro, possano dare vita ad una impresa sociale capace di sviluppare una progettualità di fruizione del patrimonio culturale su misura di tutti i visitatori perché il diritto alla cultura non abbia limiti”.

Al Festival La Versiliana Promo-Terr paladina della cultura

L’Associazione, nel suo spazio Green House-Forme d’Arte, alla kermesse di Marina di Pietrasanta, propone numerose iniziative dedicate ad ogni forma culturale. Non parole, ma fatti: o meglio, parole importanti e autorevoli di approfondimento in conferenze, dibattiti, presentazioni e momenti divertenti su temi riguardanti pittura, libri, poesia, musica e altro ancora.

E’ il vasto e avvincente programma alla Versiliana, dal 15 giugno al 31 agosto, dell’Associazione Promo-Terr di Viareggio, che, senza fini di lucro, è impegnata dal 2014 a promuovere non solo Versilia e dintorni, ma soprattutto la cultura nelle sue molteplici sfaccettature.

Il curriculum del gruppo è ampio e di tutto rispetto e vanta exibition d’arte di alto livello, appuntamenti storico-filosofici, di critica d’arte, work- shop con dibattiti su problematiche sociali, come la violenza di genere, e spettacoli d’intrattenimento, tra cui recital lirici. Promo-Terr ha dunque tutte le carte in regola per inserirsi nella 45^ edizione del Festival ‘La Versiliana’ come promoter culturale.

Nello spazio Green House-Forme d’Arte, all’interno del Festival di Marina di Pietrasanta, l’associazione produrrà ogni giorno eventi legati al sapere, ma anche al piacere. Così gli incontri, con valenti relatori, esperti d’arte, scrittori, poeti, saranno affiancati da esibizioni musicali e degustazioni, in particolare di vini della fascia costiera. Perché, come sostengono gli organizzatori, ‘L’arte è emozione’!

Si inizia sabato 15 giugno, dalle ore 17,00, con l’inaugurazione ufficiale, alla presenza delle autorità, dello spazio e della collettiva ‘Contemporanea’, in cartellone fino al 10 luglio, in cui espongono artisti dell’associazione con altri selezionati da AG Art Gallery. Questa collaborazione è importante in quanto vede l’unione di una Galleria d’Arte con un’associazione culturale allo scopo di promuovere e valorizzare gli artisti, inserendoli nel mondo dell’arte e dei collezionisti.. Il sottofondo musicale sarà affidato alla chitarra e fisarmonica di Roberto Gambini.

Per il 16 giugno, Promo-Terr  invita all’appuntamento, alle ore 18.00,  con ‘Riflessi di Parole’, condotto dal pittore/poeta viareggino Renato Gerard, coadiuvato dal giornalista e critico Antonio Giovanni Mellone, già art-director del quotidiano milanese Il Giorno.

La coppia di esperti, il 23 giugno, alle ore 17,30, terrà la conferenza ‘Van Gogh: genio o follia?’, dove Mellone, sulla traccia di recenti studi, cercherà di delineare la vera ‘natura’ del grande artista, mentre Gerard si impegnerà sul versante poetico con versi dedicati al genio olandese.

Il calendario dell’Associazione prevede corsi d’arte, visite guidate (cultural-ambientali), presentazioni di libri, performance artistiche e musicali, aperitivi (tutte le sere, nell’angolo riservato) e altre esposizioni, in collaborazione con due prestigiose gallerie d’arte della zona. Dal 12 luglio al 4 agosto, Green House ospiterà ‘Trittico’, mostra di pittura, scultura e arte cinetica. Invece ‘Agostiniana’, dal 6 al 31 agosto, consisterà in una collettiva con ristretto numero di partecipanti.

Nel fitto programma, troviamo un omaggio a Collodi, il 7 luglio alle ore 18,30, ‘Buon Compleanno Pinocchio!’, celebrato da una estemporanea di pittura ispirata al famoso burattino. Per completare, una band si esibirà con pezzi di Edoardo Bennato, tra cui l’immancabile ‘Il Gatto e La Volpe’.

Pensando alle Olimpiadi, l’Associazione presenterà un libro sugli olimpionici della Versilia, alla presenza di alcuni di essi. Inoltre, in data da stabilire, Promo-Terr ha in serbo ‘Alimente’, disquisizione, tra il serio e il giocoso, su test, cibi e divertenti esercizi per irrobustire il ‘muscolo’ cervello. Non poteva mancare un pensiero alla solidarietà: in calendario un’asta di beneficenza a favore di enti dediti al disagio giovanile.

Papa Francesco a Venezia: l’arte educhi lo sguardo

“Anche da qui, come ogni domenica, vogliamo invocare l’intercessione della Vergine Maria per le tante situazioni di sofferenza nel mondo. Penso ad Haiti, dove è in vigore lo stato di emergenza e la popolazione è disperata per il collasso del sistema sanitario, la scarsità di cibo e le violenze che spingono alla fuga. Affidiamo al Signore i lavori e le decisioni del nuovo Consiglio Presidenziale di Transizione, insediatosi giovedì scorso a Port-au-Prince, affinché, con il rinnovato sostegno della Comunità internazionale, possa condurre il Paese a raggiungere la pace e la stabilità di cui tanto ha bisogno. Penso alla martoriata Ucraina, alla Palestina e a Israele, ai Rohingya e a tante popolazioni che soffrono a causa di guerre e violenze. Il Dio della pace illumini i cuori perché cresca in tutti la volontà di dialogo e di riconciliazione”.

Con la recita del Regina Coeli per la pace nelle zone di conflitto si è conclusa la visita di papa Francesco a Venezia, dove ha visitato il padiglione della Santa Sede alla 60^ Biennale di arte, allestito nel carcere femminile della Giudecca, in cui è possibile  entrare senza cellulari, incontrando le detenute:

“E’ il Signore che ci vuole insieme in questo momento, arrivati per vie diverse, alcune molto dolorose, anche a causa di errori di cui, in vari modi, ogni persona porta ferite e cicatrici, ogni persona porta delle cicatrici. E Dio ci vuole insieme perché sa che ognuno di noi, qui, oggi, ha qualcosa di unico da dare e da ricevere, e che tutti ne abbiamo bisogno. Ognuno di noi ha la propria singolarità, ha un dono e questo è per offrirlo, per condividerlo”.

Il papa ha sottolineato che il carcere è una realtà ‘dura’, ma anche un posto per rinascere: “Allora, paradossalmente, la permanenza in una casa di reclusione può segnare l’inizio di qualcosa di nuovo, attraverso la riscoperta di bellezze insospettate in noi e negli altri, come simboleggia l’evento artistico che state ospitando e al cui progetto contribuite attivamente; può diventare come un cantiere di ricostruzione, in cui guardare e valutare con coraggio la propria vita, rimuoverne ciò che non serve, che è di ingombro, dannoso o pericoloso, elaborare un progetto, e poi ripartire scavando fondamenta e tornando, alla luce delle esperienze fatte, a mettere mattone su mattone, insieme, con determinazione”.

Il carcere deve offrire strumenti capaci di crescita: “Per questo è fondamentale che anche il sistema carcerario offra ai detenuti e alle detenute strumenti e spazi di crescita umana, di crescita spirituale, culturale e professionale, creando le premesse per un loro sano reinserimento. Per favore, non ‘isolare la dignità’, non isolare la dignità ma dare nuove possibilità! Non dimentichiamo che tutti abbiamo errori di cui farci perdonare e ferite da curare, io anche, e che tutti possiamo diventare guariti che portano guarigione, perdonati che portano perdono, rinati che portano rinascita”.

E visitando il padiglione della Santa Sede ha incontrato gli artisti che espongono al padiglione della Santa Sede sul tema ‘Con i miei occhi’: “Abbiamo tutti bisogno di essere guardati e di osare guardare noi stessi. In questo, Gesù è il Maestro perenne: Egli guarda tutti con l’intensità di un amore che non giudica, ma sa essere vicino e incoraggiare. E direi che l’arte ci educa a questo tipo di sguardo, non possessivo, non oggettivante, ma nemmeno indifferente, superficiale; ci educa a uno sguardo contemplativo”.

E’ stato un invito affinchè l’arte contemporanea aiuti ad aprire lo sguardo sulle sofferenze del mondo: “Oggi abbiamo scelto di ritrovarci tutti insieme qui, nel carcere femminile della Giudecca. E’ vero che nessuno ha il monopolio del dolore umano. Ma ci sono una gioia e una sofferenza che si uniscono nel femminile in una forma unica e di cui dobbiamo metterci in ascolto, perché hanno qualcosa di importante da insegnarci. Penso ad artiste come Frida Khalo, Corita Kent o Louise Bourgeois e tante altre. Mi auguro con tutto il cuore che l’arte contemporanea possa aprire il nostro sguardo, aiutandoci a valorizzare adeguatamente il contributo delle donne, come coprotagoniste dell’avventura umana”.

Per questo Dio sorprende ha ripetuto ai giovani, invitandoli ad alzarsi: “Alzarsi da terra, perché siamo fatti per il Cielo. Alzarsi dalle tristezze per levare lo sguardo in alto. Alzarsi per stare in piedi di fronte alla vita, non seduti sul divano. Avete pensato, immaginato, cos’è un giovane per tutta la vita seduto sul divano? L’avete immaginato questo? Immaginate questo; e ci sono divani diversi che ci prendono e non ci lasciano alzare. Alzarsi per dire ‘eccomi!’ al Signore, che crede in noi. Alzarsi per accogliere il dono che siamo, per riconoscere, prima di ogni altra cosa, che siamo preziosi e insostituibili”.

Nel dialogo papa Francesco li ha invitati ad essere creatori di bellezza: “E quando voi sarete sposati ed avrete un figlio, una figlia, avrete fatto una cosa che prima non c’era! E questa è la bellezza della gioventù, quando diventa maternità o paternità: fare una cosa che prima non c’era. E’ bello questo. Pensate dentro di voi ai figli che avrete, e questo deve spingerci in avanti, non siate professionisti del digitare compulsivo, ma creatori di novità! Una preghiera fatta col cuore, una pagina che scrivi, un sogno che realizzi, un gesto d’amore per qualcuno che non può ricambiare: questo è creare, imitare lo stile di Dio che crea.

E’ lo stile della gratuità, che fa uscire dalla logica nichilista del ‘faccio per avere’ e ‘lavoro per guadagnare’. Questo si deve fare (faccio per avere e lavoro per guadagnare), ma non dev’essere il centro della tua vita. Il centro è la gratuità: date vita a una sinfonia di gratuità in un mondo che cerca l’utile! Allora sarete rivoluzionari. Andate, donatevi senza paura!”

Mentre nella celebrazione eucaristica conclusiva papa Francesco ha invitato i fedeli ad essere frutto: “Il frutto dei tralci in cui scorre la linfa è l’uva, e dall’uva proviene il vino, che è un segno messianico per eccellenza. Gesù, infatti, il Messia inviato dal Padre, porta il vino dell’amore di Dio nel cuore dell’uomo e lo riempie di gioia, lo riempie di speranza. Cari fratelli e sorelle, questo è il frutto che siamo chiamati a portare nella nostra vita, nelle nostre relazioni, nei luoghi che frequentiamo ogni giorno, nella nostra società, nel nostro lavoro”.

La conclusione del papa è stato un invito ad essere uniti alla ‘vite’ di Gesù: “Restando uniti a Cristo potremo portare i frutti del Vangelo dentro la realtà che abitiamo: frutti di giustizia e di pace, frutti di solidarietà e di cura vicendevole; scelte di attenzione per la salvaguardia del patrimonio ambientale ma anche di quello umano: non dimentichiamo il patrimonio umano, la grande umanità nostra, quella che ha preso Dio per camminare con noi; abbiamo bisogno che le nostre comunità cristiane, i nostri quartieri, le città, diventino luoghi ospitali, accoglienti, inclusivi”.

(Foto: Santa Sede)

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