Le opinioni

Per Bergoglio come per Raztinger trovare Gesù fuori dalla Chiesa non è possibile

Chissà come saranno in affanno coloro che dopo la elezione di Papa Francesco pensavano che le “idee ratzingeriane” sarebbero state spazzate via. Chissà che hanno pensato quando per tre quattro volte di seguito Bergoglio ha ripetuto che “ Trovare Gesù fuori della Chiesa non è possibile”, o che la tentazione è “ di cercare altre porte o altre finestre per entrare nel regno di Dio”, dove invece “si entra soltanto da quella porta che si chiama Gesù”, da quella porta che ci conduce su “una strada che si chiama Gesù e ci porta alla vita che si chiama Gesù. Tutti coloro che fanno un’altra cosa — dice il Signore — che salgono per entrare dalla finestra, sono “ladri e briganti”. Sono i principi della Dichiarazione Dominus Iesus “Circa l’unicità e la universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa” che nel 2000 suscitò feroci critiche al Papa e all’allora Prefetto della dottrina della Fede Joseph Ratzinger che l’aveva firmata. Nelle omelie del mattino che ogni giorno conquistano spazio nei giornali Papa Francesco parla da parroco. Questo significa che molte delle letture “politiche” dei pensieri del Papa sono piuttosto forzate. In effetti nelle omelie che Bergoglio con parole semplici ed immagini popolari c’è soprattutto catechismo. Quello quotidiano che serve per formare le coscienze, piuttosto che indicare azioni di “governo”. Uno degli insegnamenti più belli è proprio quello sulla Chiesa e su Gesù.

Le omelie feriali del Papa: non solo slogan d’effetto

Al di là delle frasette ad effetto che piacciono tanto ai giornali, le omelie che Papa Francesco offre ogni mattina a coloro che riescono ad essere presenti la messa della 7.00 seguono una linea guida molto forte e basata su una delle tre figure della Santissima Trinità: lo Spirito Santo. Un tema che non si tratta spesso, a dire il vero, e che il Papa mette sempre al centro delle semplici parole che pronuncia nel suo italiano un po’ particolare che ricorda i nostri avi, l’italiano imparato in casa, quello che ricordavano i suoi nonni italiani, come spesso dice proprio Papa Francesco. Allora proviamo a cercare sotto la parte “pop” la teologia e la ecclesiologia di Bergoglio, gesuita e Papa. Cominciamo dal “confessare” il nome di Gesù, come fa Pietro in diversi episodi degli atti degli Apostoli. Papa Francesco spiega che “Pietro rivela una verità quando dice: “lo abbiamo fatto nel nome di Gesù”” perché egli risponde ispirato dallo Spirito Santo. Infatti noi, ha proseguito, “non possiamo confessare Gesù, non possiamo parlare di Gesù, non possiamo dire qualcosa di Gesù senza lo Spirito Santo”. È proprio lo Spirito Santo che “ci spinge a confessare Gesù o a parlare di Gesù o ad avere fiducia in Gesù”.

Papa Francesco e Roma: sarà vero amore?

Fare il Papa non è un mestiere facile. Non solo perchè non è un mestiere ma un ministero, quello Petrino appunto, ma anche perchè si deve imparare a fare i conti con il passato, che nella Chiesa si chiama Tradizione, e delineare il futuro, che in termini ecclesiali significa essere profetici. Ecco perchè il primo mese di esercizio del Ministero Petrino è il più analizzato nella storia di un pontificato. Per siglare i suoi primi 30 giorni Papa Francesco ha deciso di nominare un gruppo di “saggi” che gli diano una mano nel governo della Chiesa e mettano a punto un idea di riforma della Curia Romana. Nomi che non vengono dalla Curia, ma dalle Chiese locali e dallo Stato della Città del Vaticano: otto cardinali, Card. Giuseppe Bertello, Presidente del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano; Card. Francisco Javier Errázuriz Ossa, Arcivescovo emerito di Santiago de Chile (Cile); Card. Oswald Gracias, Arcivescovo di Bombay (India); Card. Reinhard Marx, Arcivescovo di München und Freising (Germania); Card. Laurent Monsengwo Pasinya, Arcivescovo di Kinshasa (Repubblica Democratica del Congo); Card. Sean Patrick O’Malley, O.F.M. Cap., Arcivescovo di Boston (U.S.A.); Card. George Pell, Arcivescovo di Sydney (Australia); Card. Oscar Andrés Rodríguez Maradiaga, S.D.B., Arcivescovo di Tegucigalpa (Honduras), con funzione di coordinatore; e un vescovo S.E. Mons. Marcello Semeraro, Vescovo di Albano, con funzione di segretario.

A 25 anni dalla Mulieris dignitatem la donna secondo Wojtyla

Nell’ Antico Testamento è Isaia forse il primo a raccontare agli uomini l’aspetto materno di Dio ma, si potrebbe dire che solo Giovanni Paolo II ne ha fatto una precisa linea di Magistero sulle orme del Concilio Vaticano II . Ha recuperato un linguaggio che ci riporta ai Padri, all’ immagine femminile della Chiesa antica, alla espressività femminile. Tutti conosciamo i due testi ufficiali che hanno fatto parlare il mondo e discutere la Chiesa , le Chiese. La Mulieris Dignitatem porta la data mariana del 15 agosto nell’ Anno Santo dedicato a Maria il 1988 e la Lettera alle Donne scritta nel 95 in occasione dell’ anno destinato dalle Nazioni Unite alla Donna: una dichiarazione di lavoro per la Conferenza di Pechino, una traccia ideologica e filosofica per Karol Wojtyla fatta di incontri e di riferimenti, di riflessioni. E’ certo che l’ amore di Wojtyla per le donne il rispetto per la loro dignità nasce in Maria con una specialissima devozione mariana dell’ uomo prima ancora che del Papa, anche questa una speciale attenzione alla femminilità. “Quanto grande sia la dignità della donna, dice Giovanni Paolo II all’ Angelus del 25 giugno del 1995, è possibile intuirlo già solo dal fatto che l’ eterno Figlio di Dio ha voluto nascere nel tempo da una donna, laVergine di Nazareth, specchio e misura di vera femminilità”. E la attenzione del papa alla dignità della Vita non è forse in primo luogo attenzione alla dignità del ruolo della donna? E quale il posto nella Chiesa oltre che nella società civile?

Le sante ! Non solo suore , fondatrici , missionarie, patrone, ma madri, spose, da Gianna Berretta Molla a Mamma Rosa, Giovanni Paolo II sceglie tra donne per affiancare tre uomini come Copatrone d’Europa: Caterina, Brigida, Edith. I due anni della donna per dire così per Giovanni Paolo II sono l ’88 e il 1995 . Al rapporto donna-mondo il Papa dedica un ciclo intero di meditazioni. L’ONU dichiara l’ anno della donna e il papa presenta il genio femminile e lo fa con una preghiera che esalta il ruolo di una donna, della donna per eccellenza, il racconto di una scelta femminile che ha permesso ad un uomo, a Dio , di redimere gli uomini: la preghiere dell’ Angelus Far maturare una cultura dell’ eguaglianza. Con questo tema il papa presenta la posizione della Santa Sede a Pechino, ma anche la necessità di rivedere la centralità del ruolo della donna nelle Chiesa. E’ un impegno non certo nuovo, giacché trae ispirazione dall’esempio di Cristo stesso, che, se scelse tra gli uomini i suoi apostoli – scelta che resta normativa anche per i loro successori -, non mancò tuttavia di valorizzare anche le donne per la causa del suo Regno, e le volle anzi prime testimoni e annunciatrici della sua Risurrezione. Chi può immaginare quali grandi vantaggi verranno alla pastorale, quale nuova bellezza assumerà il volto della Chiesa, quando il genio femminile sarà pienamente riversato nei vari ambiti della sua vita?

Wojtyla rivaluta il ruolo della donna rilegge anche il matrimonio e rilegge il ruolo sociale del genio femminile. Ci vorranno anni perche’ la società possa ascoltare le affermazioni coraggiose di Giovanni Paolo II a margine della Conferenza di Pechino, contro tutto e tutti contro l ‘ idea di una “salute riproduttiva” che rende la donna schiava della societa’ che proclama la sua liberazione e la rende spesso solo condizionata da più moderne regole maschili. “In ogni caso- diceva nel 1995 Giovanni Paolo II-le donne stanno dimostrando di saper dare un apporto non meno qualificato di quello degli uomini, apporto che si prospetta anzi particolarmente significativo, soprattutto su quei versanti della politica che toccano gli ambiti umani fondamentali.

Il nome: Benedetto e Francesco

“Nacque il tuo nome da ciò che fissavi”: con queste parole il poeta Karol Wojtyla immortalava l’istante in cui la donna si aprì un varco nella folla e raggiunse Gesù, il condannato e il salvatore, e ne impresse i tratti dolorosi sulla tela con cui asciugò il suo viso. Veronica, vera icona. Da allora quello fu il suo nome. Come Francesco e Benedetto. Un nome, un programma Entrambi hanno preso il nome di due riformatori, di due uomini che hanno cambiato il volto della Chiesa perché il loro progetto era solo guardare Cristo. Per questo non ci sono contrapposizioni, ma una profonda continuità. Il programma di entrambi – nella diversità di temperamento, di formazione, di esercizio del ministero – è portare Cristo all’uomo e l’uomo a Cristo. Francesco lo ha ripetuto praticamente con le stesse parole di Benedetto XVI: “portare Gesù Cristo all’uomo e condurre l’uomo all’incontro con Gesù Cristo”, questa è la missione di sempre.

Francesco, tra la gente per la Chiesa universale

Francesco, come il Santo d’ Assisi, ma anche come il santo gesuita patrono delle missioni, Francesco Saverio. Il nuovo Papa, argentino di origine italiana, si chiama Francesco. Jorge Maria Bergoglio unisce la umanità semplice del pastore alla dottrina ferma e alla capacità di gestire una diocesi impegnativa come Buenos Aires. Dal 1992 ad oggi Padre Bergoglio come lo chiamano tutti nella sua città ha amato la sua gente andando nei barrios più lontani e poveri. Nella crisi economica è stato lui il punti di riferimento per molti. Nelle grandi feste celebrava la messa e predicava come un parroco, domande e risposte: «Vi faccio una domanda: la Chiesa è un posto aperto solo per i buoni?»; e tutti in coro: «Nooo!». Il cardinale, di rimando: «C’è posto per i cattivi, anche?»; e gli altri, ancora tutti insieme: «Sìììì!!!». «Qui si caccia via qualcuno perché è cattivo? No, al contrario, lo si accoglie con più affetto. E chi ce l’ha insegnato? Ce lo ha insegnato Gesù. Immaginate, dunque, come è paziente il cuore di Dio con ognuno di noi». Misericordia e coraggio apostolico.

C’è un santuario, quello della Virgen de Caacupé in un quartiere periferico di Buenos Aires che è diventato il centro della pastorale della città. I ragazzi vanno in giro per la capitale a “piantare tende” con l’immagine della Virgen de Luján, la Madonna venerata nel santuario nazionale. Una “missione cittadina” cui spesso partecipa il cardinale, padre Bergolio. Celebra la messa, saluta la gente che si ferma nelle strade della metropoli. Omelie semplici: «Chiediamo a Gesù tutto quello di cui abbiamo bisogno. Chiediamolo al Padre in nome di Lui, chiediamolo a Lui perché lo chieda la Padre. Come i poveri che chiedevano tutto a Lui, quando passava per le strade e loro gli andavano intorno. Gesù ci tiene molto a stare con noi altri, con tutti noi altri, con tutti quelli che passano per la strada.” Un modo missionario di stare tra le gente di una nazione cattolica, si, ma anche assalita dalle sette e dalla massoneria. Un annuncio del Vangelo a tutti, proprio tutti. «La mia gente è povera e io sono uno di loro», ha detto per spiegare la scelta di abitare in un appartamento e di prepararsi la cena da solo e viaggiare in metro e bus. Ai suoi preti ha sempre raccomandato misericordia, coraggio apostolico e porte aperte a tutti. Si dice che nel conclave del 2005 anche Joseph Ratzinger voleva Bergoglio come Papa. La sera della sua elezione Papa Francesco ha voluto pregare per il suo predecessore, lo ha fatto con la semplicità di una emozione intensa e come fratello. Si dice subito “vescovo di Roma” e chiede al popolo di pregare per lui e parla di “evangelizzazione di questa città tanto bella!”.

Magari pensa alle “tende” piantate a Buenos Aires. Nella sua storia personale c’è la vita di parrocchia e quella di università, i libri di spiritualità e la fede semplice. Papà Mario José è un funzionario delle ferrovie e mamma Regina fa la casalinga, e alleva cinque figli, una normale famiglia di emigranti come ce ne sono tante in Argentina. Jorge nasce il 17 dicembre del 1936, studia chimica, si fidanza, poi lascia tutto e sceglie di diventare gesuita. Nel 1969 è ordinato sacerdote e il 22 aprile 1973 emette la professione perpetua nei gesuiti. Poi è maestro di novizi, professore presso la facoltà di teologia, consultore della provincia della Compagnia di Gesù e anche rettore del Collegio. Il 31 luglio 1973 viene eletto provinciale dei gesuiti dell’Argentina, incarico che svolge per sei anni. Il 20 maggio 1992 Giovanni Paolo II lo nomina ausiliare di Buenos Aires. Il motto Miserando atque eligendo, un brano di una omelia di San Beda il Venerabile, indica la misericordia di Dio per chi ne ha bisogno. Nello stemma c’è il simbolo della Compagnia di Gesù, la stella di Maria e un fiore di nardo su sfondo azzurro. Nel Concistoro del 21 febbraio 2001, Giovanni Paolo II lo crea cardinale, assegnandogli il titolo di san Roberto Bellarmino. Bergoglio dice ai fedeli di non recarsi a Roma per festeggiare la porpora e a destinare ai poveri i soldi del viaggio. Sobrio, ascetico, nel 2002 declina la nomina a presidente della Conferenza episcopale argentina, ma tre anni dopo viene eletto e poi riconfermato per un altro triennio nel 2008. Intanto, nell’aprile 2005, partecipa al conclave in cui è eletto Benedetto XVI. La dedizione a Maria, espressa con la prima visita nella mattina dopo l’elezione. Una spiritualità che condivide con Giovanni Paolo II.

Ricordandolo nel 2005 dopo la morte del Papa beato, raccontò che 1985 una sera andò a recitare il Rosario che guidava il Papa. “Lui- racconta Bergoglio in una intervista a 30Giorni- stava davanti a tutti, in ginocchio. Il gruppo era numeroso; vedevo il Santo Padre di spalle e, a poco a poco, mi immersi nella preghiera. Non ero solo: pregavo in mezzo al popolo di Dio al quale appartenevamo io e tutti coloro che erano lì, guidati dal nostro Pastore. Nel mezzo della preghiera mi distrassi, guardando alla figura del Papa: la sua pietà, la sua devozione erano una testimonianza. E il tempo sfumò, e cominciai a immaginarmi il giovane sacerdote, il seminarista, il poeta, l’operaio, il bambino di Wadowice… nella stessa posizione in cui si trovava in quel momento, pregando Ave Maria dopo Ave Maria. La sua testimonianza mi colpì. Sentii che quell’uomo, scelto per guidare la Chiesa, ripercorreva un cammino fino alla sua Madre del cielo, un cammino iniziato fin dalla sua infanzia. E mi resi conto della densità che avevano le parole della Madre di Guadalupe a san Juan Diego: «Non temere, non sono forse tua madre?». Compresi la presenza di Maria nella vita del Papa. La testimonianza non si è persa in un istante. Da quella volta recito ogni giorno i quindici misteri del Rosario.” Padre Bergoglio, il cardinale che va in bicicletta nei barrios più poveri di Buenos Aires sa bene qual è il pericolo più grande per la Chiesa: la mondanità, mettere al centro se stessi. Ora da Papa potrebbe esportare il modello di evengelizzazione “di strada” in tutto il mondo.

Bergoglio é il nuovo Papa: Francesco

Il nuovo Papa è una vecchia scelta ritrovata nel cappello del Conclave del 2005. Gesuita, argentino, arcivescovo di Buenos Aires, vicino ai poveri come ha dice il nome scelto. Francesco. Un bravo sacerdote.  Di lui si è parlato molto nel 2005, sembrava avesse rifiutato l’elezione ed è visto come “antagonista” di Ratzinger. Grande esperienza tra i poveri. Non giovane, anzi. Una scelta che sembra strana e di passaggio. Si affaccia alle 20.22 alla loggia della Basilica Vaticana, senza mozzetta e senza stola, accoglie l’applauso della folla. Poi parla: “Fratelli e sorelle buona sera, voi sapete che il dovere del conclave era di dare un vescovo a Roma sembra che i mie fratelli cardinali sono andati a prenderlo quasi alla fine del mondo, ma siamo qui. Grazie per l’accoglienza la comunità dicoesana di Roma  ha un vescovo. E chiedo una preghiera per il nostro vescovo emerito Benedetto XVI.” Poi prega il Padre Nostro e l’Ave Maria poi prsegue. Iniziamo uun cammino vescovo e popolo un cammino di fiducia, preghiamo l’uno per l’altro, perché ci sia una grande fratellanza. Preghiamo che sia fruttuoso per questa bella città. Ora la benedizione. Ma primo chiedo che il Popolo preghi per il suo vescovo. La preghiera del Popolo per la benedizione del suo vescovo. Facciamo questa preghiera in silenzio. Un preghiera per me.” Tutto nuovo insolito e francescano nello stile.  Poi Francesco mette la stola e da la sua benedizione da Papa.

Dopo la benedizione saluta ancora, dice di voler andare a pregare la Madonna e poi conclude: buona notte e buon riposo.

La Chiesa Cattolica dopo 13 giorni di Sede vacante, e a 41 giorni dalla rinuncia di Benedetto XVI, ha un Papa, il numero 266. Il nuovo Pontefice è stato eletto nel corso del pomeriggio di mercoledì  secondo giorno del Conclave, quinto scrutinio, con la partecipazione di 115 cardinali elettori, dopo due fumate nere (martedì12 pomeriggio alle 19.41 e oggi, mercoledì 13, alle 11.38 del mattin0.

Una delle caratteristiche più note del nuovo Papa è la attenta e amorevole preoccupazione che sempre ha avuto verso i candidati al sacerdozio. Nei suoi numerosi incontri con i seminaristi, abituali e profondi, spesso diceva: “Il buon pastore deve avere l’odore delle sue pecore”. In questa frase si condensa gran parte del profilo sacerdotale del Successore di Benedetto XVI che, tra l’altro, poco fa dalla Loggia centrale della Basilica di San Pietro, ha evidenziato subito un’altra sua nuova caratteristica: la fiducia totale e piena nella preghiera alla quale è sua abitudine invitare sempre tutti, offrendo agli altri la sua. In America Latina gode di un grande prestigio non solo all’interno della Chiesa ma anche fra la gente, fra i fedeli, che a Buenos Aires erano abituati ad incontrarlo sull’autobus o sulla metropolitana o addirittura nel mercato rionale dove andava a fare le spesa per le attività assistenziali della arcidiocesi.

La rivoluzione necessaria per un Conclave non precotto

Molti non si conoscono tra loro, tanto che alcuni cardinali (anche in Curia) hanno chiesto profili biografici e foto dei “colleghi” per poter avere uno scambio proficuo. Ma altri, evidentemente legati a vecchi schemi o spaventati da un vero dibattito sui temi che il futuro Papa deve affrontare, hanno già pensato di “indicare” una strada da seguire. Così circola ad arte la notizia che si vorrebbe un cardinale anziano che in un paio di anni riforma la Curia e mette tutto a posto. Quasi un tentativo di cancellare gli otto anni di pontificato di Benedetto XVI che magari qualcuno ha visto come un “errore”. Ma a che serve un anziano se un Papa si è appena dimesso perchè anziano? Servirebbe a riportare il potere alla Curia. Quel potere che Ratzinger ha voluto invece ridare al Collegio dei cardinali e al nuovo Papa. Collegialità e comunione. Due punti al centro del dibattito ecclesiale fin dal Concilio e non ancora bene digerito da chi il Concilio non l’ha vissuto. Per il 4 marzo le relazioni principali sono già decise. Ce ne dovrebbero essere quattro e affidate al prefetto di Propaganda Fide, al prefetto della Congregazione delle Chiese Orientali, entrambi cardinali. Poi ci dovrebbe essere il prefetto della Dottrina della Fede, ma Mueller non è cardinale, e infine una relazione dalla Segreteria di Stato. Ci sarà anche spazio per i “giovani”? La tendenza sembra contraria.

Come al Concilio. Si arriva a giochi fatti e si approva o no, fine. Nella Congregazioni Generali del 2005 guidate dal cardinale Ratzinger una delle caratteristiche fu proprio l’invito a parlare e discutere ai cardinali di paesi non europei. Insomma non i soliti noti che propongono “ticket” o soluzioni preconfezionate, ma un vero “concilio” appunto. Ma Ratzinger il Concilio lo aveva vissuto davvero, e sapeva che fare. In questo pre conclave 2013 alcuni sembrano spaesati e timorosi. Altri parlano un po’ troppo e altri infine restano in attesa. A chi cerca di capire quali siano i “movimenti” viene da rispondere con una frase che il cardinale Giuseppe Siri disse molti anni fa al decano dei vaticanisti Benny Lai : “ il Papa nasce in conclave!”. Lui ne sapeva qualcosa. Ecco allora che l’eco del racconto di Benedetto XVI sull’inizio del Concilio suona come un incoraggiante invito e un monito: rifiutare le liste già fatte “non era un atto rivoluzionario, ma un atto di coscienza, di responsabilità da parte dei Padri conciliari.”

Della Chiesa raccontiamo i fatti

E poi c’è la Chiesa da raccontare. Quella che vive in questi giorni pregando e lavorando come sempre. Il Popolo di Dio che ogni giorno svolge la propria parte di Ministero Petrino, che legge e ascolta le parole di Benedetto XVI che si è ripreso la libertà di parlare come all’inizio del Pontificato. Ora il Papa è in esercizi con la Curia. Benedetto XVI ogni giorno ascolta le meditazioni e dedica solo pochissimo tempo al governo della Chiesa. Ma intanto vuole lasciare la “casa in ordine” per il suo successore. Così vanno letti gli atti di questo scorcio di Pontificato. Senza immaginare chissà che manovre. Del resto qualunque decisione di oggi tra un mese il nuovo Papa può cambiarla. E allora pensiamo davvero che le nomine in Curia siano una prova di forza di qualcuno? Certo oggi lo stile informativa è molto diverso rispetto a 8 anni fa. Qualche ipotesi, illazione sui papabili si è sempre fatta, è ovvio. Ma ci si basava sui profili dei cardinali, sulla loro storia e il loro operato. Non sulle loro aspirazioni.

Un giornalismo più libero quello che raccontò il conclave del 2005. Oggi stretti tra la morsa della fretta e del guadagno, della politica (italiana per lo più) e del politically correct si perde il senso vero dell’evento. Allora riconquistiamo il nostro tempo, la nostra capacità di riflessione, la nostra voglia di informazione e formazione. Per conoscere i cardinali si possono leggere le schede ufficiali, per sapere cosa succede durante la Sede Vacante si potrebbe leggere la Universi Dominici Gregis, per sapere le novità si possono seguire i briefing in Sala Stampa di cui Korazym offre ampia informazione  E poi ovviamente leggete i nostri articoli, le testimonianze, le riflessioni e, perchè no, anche le nostre emozioni. Ricordando che la qualità non è necessariamente legata alla quantità.

Benedetto XVI, la profezia dell’umiltà e del pudore

Ci vuole un grande coraggio a riscoprire il senso del limite. E ci vuole umiltà. La notizia che lunedì 11 febbraio 2013 si è diffusa con la velocità del fulmine, le dimissioni del Papa, è sembrata a molti uno scherzo. Telefoni che squillano, e mail, sms, chat impazzite. Benedetto XVI si dimette dal 28 febbraio alle 20.00. Pazzesco, inaudito. Eppure no, era molto più prevedibile di quanto si potesse immaginare. Non abbiamo saputo leggere i segni, a cominciare da quando, ancora Prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede, aveva detto che Papa Giovanni Paolo II avrebbe fatto bene a dimettersi negli ultimi mesi della sua vita. Lo avevamo dimenticato. Poi a novembre del 2010 esce un libro intervista di Benedetto XVI “ Luce del Mondo”. Ci sono tanti temi, compreso quello delle dimissioni. Ma in modo chiarissimo. Non per paura, o davanti alle difficoltà , “davanti ai lupi” come aveva detto all’inizio del Pontificato. “Quando il pericolo è grande non si può scappare. Ecco perchè questo sicuramente non è il momento di dimettersi” diceva il Papa nell’estate del 2010.

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