L’informalità come sistema

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 08.01.2024 – Andrea Gagliarducci] – Confusione dopo confusione. Il Dicastero per la Dottrina della Fede il 4 gennaio ha diffuso un Comunicato stampa [QUI], per spiegare Fiducia supplicans [QUI] – la Dichiarazione dell’organismo curiale, che fu il dipartimento papale stabile di controllo dottrinale – che arrivò come una sorpresa natalizia anticipata, e sembrava non solo consentire, ma forse esigere, che i sacerdoti diano benedizioni alle coppie dello stesso sesso (e ad altre in ogni sorta di unione “irregolare”).

Il Comunicato stampa del 4 gennaio era di per sé una sorpresa. Non solo l’autore di Fiducia supplicans, il Prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede, Cardinale Víctor Manuel Fernández, aveva insistito nel documento originale sul fatto che non ci sarebbero stati forniti ulteriori chiarimenti o istruzioni. Fernández aveva anche rilasciato diverse interviste in cui – tra altre cose – accusava coloro che si erano opposti alla Dichiarazione e/o avevano chiesto chiarimenti, di averla fraintesa, sia deliberatamente, sia per averla letta in un momento di cattivo umore. Mala leche – letteralmente “latte avariata” – era il colorito idioma della lingua spagnola che aveva utilizzato.
Era una strana posizione da assumere – per non dire “improbabile” – che richiedeva di credere che l’episcopato latino in ampie fasce del sud e dell’est del mondo, insieme alla leadership della più grande Chiesa sui iuris di rito non latino del mondo e ad una schiera di altri attraverso l’intero ampio spettro di opinioni e stato di vita nella Chiesa, avrebbero semplicemente accolto la Fiducia supplicans, mentre erano mal disposti.
Non importa.
A sentirlo raccontare da Fernández nel suo Comunicato stampa, tutto rimane come lo era il giorno prima che la Fiducia supplicans apparve, con sacerdoti che non si tirano indietro dal fare il segno della croce su chi lo chiede, come già accadeva in precedenza.
È ovvio – o dovrebbe esserlo – che ci sono problemi se questo segno della croce, fatto in modo informale e breve come espressione della grazia di Dio, diventa un atto pubblico con tanto di fotografo al seguito o tweet celebrativi del tipo “Si è fatta la storia”. In questi casi, il castello di sabbia del Dicastero per la Dottrina della Fede crolla, perché non c’è più la buona fede, non c’è più la ricerca della grazia ma per l’attenzione mediatica.
Ciò non sorprende al giorno e tempi d’oggi, ma è inevitabile in un pontificato che ha mediatizzato tutto.
Nell’ultima settimana, infatti, si è verificato un altro evento esemplificativo dei tempi e del ruolo di Papa Francesco in essi. Potrebbe sembrare del tutto scollegato, ma non è così. Mi riferisco al colloquio telefonico che Papa Francesco ha avuto con il Presidente ucraino, Volodymir Zelenskyj.
I media ucraini, le agenzie ufficiali e fonti ucraini hanno riferito della telefonata. Nulla su questo è arrivata dalla Santa Sede, nemmeno per confermare che la telefonata fosse avvenuta. La ragione è semplice: nessuno nella Santa Sede lo sapeva finché non accadde. È presumibile che non era coinvolta nemmeno la Segreteria di Stato, che in teoria gestisce l’attività diplomatica del Papa.
C’è stata una conversazione telefonica tra il Papa e il capo di uno Stato in guerra, avvenuta sicuramente tramite un interprete ma senza alcuna traccia ufficiale della Santa Sede. Non c’è un verbale dell’incontro, nessuna presenza diplomatica, nessun comunicato, nessuna sintesi in arrivo da parte della Santa Sede. C’è solo la voce del Papa e quella di Zelenskyj. La controparte ucraina possiede sicuramente registrazioni, verbali e certificazioni della conversazione. Ma perché lasciare tutto l’onere e l’onore comunicativa alla controparte ucraina, permettendo così di orientare l’opinione pubblica?
Nell’accettare la chiamata telefonica, passata per canali certamente non ufficiali e informali, Francesco si è rivelato ancora una volta un Papa personalista, che non dà molto peso all’istituzionalità e non considera come questo comportamento possa nuocere alla Santa Sede.
La stessa cosa accade, mutatis mutandis, anche in materia di dottrina. Il modo in cui si è manifestato l’Uragano Fiducia mostra come.
Il tutto nasce da un Responsum ad dubium [QUI] del 2021 dell’ufficio della dottrina, allora denominato Congregazione per la Dottrina della Fede, che negava ogni possibilità di benedire le coppie irregolari in quanto tali, ma lasciava la porta aperta alla benedizione delle singole persone.
Il clamore mediatico quasi immediatamente contrapponeva la risposta della Congregazione per la Dottrina della Fede del 2021 allo “stile” di un Papa che iniziò il suo pontificato con la notoria-e-notoriamente-malintesa domanda: “Chi sono io per giudicare?” In realtà, questa espressione “Chi sono io per giudicare?” non esprime alcun cambiamento nell’atteggiamento della Chiesa nei confronti degli omosessuali. Questo fatto non ha impedito a molta gente nei media di definirlo un cambiamento epocale.
Poi, all’Angelus domenicale [QUI] successivo alla pubblicazione della Nota della Congregazione per la Dottrina della Fede del 2021, Papa Francesco ha aggiunto a braccio, che il linguaggio di Cristo è quello della tenerezza e che Cristo non esclude nessuno. Le sue parole furono interpretate immediatamente, soprattutto da coloro che sono vicini a Papa Francesco, come un passo indietro rispetto al Responsum “anti-gay” [QUI]. Appariva per quello che era: una costruzione giornalistica. A questo punto, bisogna pensare che il Papa era d’accordo e voleva ancora mantenere l’immagine di se stesso che aveva creato o favorito.
La questione, in altre parole, non era più se benedire delle coppie irregolari, ma l’effetto della narrazione sull’immagine popolare di Papa Francesco.
Con la Fiducia supplicans, il Cardinal Fernández ha chiuso il cerchio. Fiducia supplicans era nebulosa. Potrebbe essere interpretato liberamente. Nella sua fase di sviluppo, la Dichiarazione non è stata discussa realmente così ampiamente, come afferma il Comunicato “chiaritrice” del 4 gennaio. Fonti interne al Dicastero per la Dottrina della Fede hanno sottolineato che ci sono state discussioni interne sulla possibilità di elaborare un documento del genere, ma mai c’è stata alcuna analisi o altra considerazione di una bozza vera e propria.
Quindi, esiste il rischio che negli archivi del Dicastero per la Dottrina della Fede non vi sia documentazione dimostrando il dibattito interno, l’esame della considerazione dei pro e contro, degli appunti di consulenti. Il documento esiste, e basta, tra l’altro, nell’originale spagnolo. È del tutto possibile, che non vi sia traccia di alcuna discussione che possa consentire a qualcuno – ora e mai – di capire come e perché la Chiesa abbia mai ottenuto un simile documento.
La conseguenza pratica è, che è impossibile dare un giudizio storico sul pontificato che non è basato su molto che non siano speculazioni o ricostruzioni storiche. Ciò vale per la diplomazia – ad esempio, la chiamata telefonica di Zelenskyj – e per le questioni dottrinali – vale a dire, Fiducia supplicans – e per le conversazioni quotidiane che non ottengono mai un appunto nel fascicolo.
L’informalità elevata a sistema, forse ha permesso a Papa Francesco di sentirsi come se avesse il controllo. Allo stesso tempo, permette a ciascuno di interpretare, volenti o nolenti, le sue scelte e decisioni. Allo stesso modo, l’utilizzo di documenti eccezionalmente “leggeri”, senza consultazioni, rende quasi impossibile comprendere il nocciolo delle decisioni.
Nella migliore delle ipotesi, tutto diventa una questione di volontà papale. Questo funziona sia dentro la Chiesa che fuori della Chiesa. Ma che vantaggio ha un’istituzione in cui viene praticata solo la volontà del sovrano, senza i tradizionali contrappesi storici? E che peso la diplomazia schiacciata ha sul sovrano, sulle sue scelte e sulla sua comprensione della storia?
Una persona solitaria, per quanto eccezionale, non può fare la storia se non molto male. Ciò che colpisce è, che attorno a Papa Francesco ci siano tanti “guardiani della rivoluzione” pronti ad attaccare ogni critica e a dimostrare come le scelte di rottura del Papa siano essenziali nel nostro tempo.
Questa informalità espone non solo questo Papa, ma il papato e la Chiesa, a vari rischi: immaginari, istituzionali e strutturali. Allora, viene a chiedersi se coloro che difendono acriticamente ogni scelta del Papa, forse non amano più ciò che il Papa rappresenta per loro, quanto amano ciò che il suo peculiare e iperpersonale governo sta facendo alla Chiesa.
Questo è il grande tema di oggi.
Papa Francesco, nel frattempo, farà scelte sempre più personali, sempre più accentratrici e sempre più divisive. Dopotutto, è quello che ha fatto sempre.

Questo articolo nella nostra traduzione italiana è stato pubblicato dall’autore in inglese sul suo blog Monday Vatican [QUI].

Indice – Fiducia supplicans [QUI]

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