Paolo Borsellino è un Martire della giustizia, annoverato tra i testimoni

Pur essendo cattolica, ho una passione per i gialli, i thriller, le storie di avvocati e di mafia. Mi piacciono anche i racconti riguardo la guerra mondiale, i campi di sterminio ecc. In queste opere, soprattutto le ultime, vedi comunque trionfare il bene e conosci molte storie vere interessanti. Persone buone che hanno patito, ma hanno anche vinto. Chiaro, preferisco quelle dove i protagonisti buoni sopravvivono ma, a volte, la morte è la fuga dal male che, senza di essa, vincerebbe.
Ecco perché, seppur triste e commossa, apprezzo anche la storia di Paolo Borsellino. Tanti lo conosceranno ma, altrettanti, non sapranno del titolo conferitogli dalla chiesa e sul perché della decisione. Ammetto che, io stessa, ero rimasta indietro, come si dice nel gergo, al riguardo. Pur comprendendo i motivi della scelta, non sapevo che avesse ricevuto questo titolo.
Paolo Borsellino ( Palermo, 19 gennaio 1939 – 19 luglio 1992) nasce in un quartiere borghese e popolare insieme: Magione. Paolo è figlio di farmacisti, quindi si ritrova in una delle famiglie più in vista del quartiere. Alla Magione, da bambino frequenta l’oratorio di San Francesco e gioca con un altro bimbo della zona[LR1] , Giovanni Falcone.
Essendo cresciuto in una famiglia che aveva aderito al fascismo, durante i bombardamenti degli americani, il piccolo Paolo si trasferisce ad Alcamo con i suoi. E’ incuriosito da ciò che ruota attorno alle varie ideologie in quanto, al momento dello sbarco degli alleati, la madre gli intima: ‘Non accettare nulla dagli americani’. I racconti di ‘Zio Ciccio’, reduce della Campagna d’Africa, lo spingono ad indagare oltre.
Una delle bravate di cui si narra è quella quando Paolo fa tappa a Belmonte Mezzagno, paesino che dista mezz’ora di autobus da Palermo, per prendere informazioni sui suoi nonni. Da adolescente frequenta il Liceo classico Meli e poi si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza. Nel 1959, all’Università, Borsellino aderisce all’organizzazione Fuan Fanalino, gruppo studentesco legato alla destra. Dopo vari ruoli in questo movimento, viene eletto come rappresentante studentesco nella lista del Fuan Fanalino. Borsellino si laurea con 110 e lode.
Il 27 giugno 1962. Ha 22 anni e, pochi giorni dopo, deve prendersi cura della sua famiglia in quanto, pochi giorni dopo la laurea, suo padre muore. Borsellino studia per superare il concorso in magistratura mentre fa piccoli lavori per sostenere la famiglia. Nel 1963, passa l’esame e, per non perdere la licenza della farmacia, impegna il primo stipendio da giudice. Riscattatala, lascia il posto da titolare alla sorella minore Rita. Nel 1965, Paolo Borsellino inizia la sua carriera di magistrato come uditore giudiziario presso il tribunale civile di Enna. Nel 1967, ottiene il primo incarico operativo, ovvero pretore a Mazara del Vallo. Questo avvenne subito dopo il terremoto.
Il 23 dicembre del 1968, Borsellino sposa Agnese Piraino Leto, con cui avrà tre figli. L’uomo continua a lavorare a Mazara, facendo ‘ il pendolare’, finalmente ottenne il trasferimento nel 1969. Viene mandato alla pretura di Monreale. Seppure fosse come tornare a casa, Borsellino scopre proprio qui cosa sia davvero la mafia, quella spietata dei Corleonesi. Sempre in loco, lavora con il capitano dei carabinieri Emanuele Basile.
Nel 1975, però, Borsellino viene trasferito al tribunale di Palermo. Nel luglio dello stesso anno, entra all’Ufficio istruzione processi penali, sotto la guida di Rocco Chinnici. Nel 1980, il capitano Basile viene ucciso in un attentato a causa delle indagini antimafia. Borsellino, il quale aveva arrestato criminali grazie alle indagini del capitano, riceve, assieme alla famiglia, la prima scorta. Borsellino è sotto protezione, le sue abitudini di vita cambiano, nonostante cerchi di non farlo incidere troppo sui figli.
Questo, però, avviene in modo positivo. Sono solidali con lui. Agnese ricorda quei giorni dicendo: “Il suo modo di esercitare la funzione di giudice lo condivido, perché anch’io credo nei valori che lo ispirano… Non penso mai di ostacolarlo per egoismo, per desiderio di una vita facile… Non è stato un sacrificio immolare la sua vita al mestiere di giudice: Paolo ama tantissimo cercare la verità, qualunque essa sia”.
La paura è entrata nella casa dei Borsellino, ma il magistrato dice: “La paura è normale che ci sia, in ogni uomo, l’importante è che sia accompagnata dal coraggio. Non bisogna lasciarsi sopraffare dalla paura, sennò diventa un ostacolo che ti impedisce di andare avanti”.
Nell’ufficio istruzione nasce il ‘pool antimafia’ di Falcone, Borsellino e Barrile, sotto la guida di Rocco Chinnici. Borsellino parla agli studenti nelle scuole, ai giovani alle feste di piazza… per spiegare e sconfiggere per sempre la cultura mafiosa.
La squadra guidata da Chinnici funziona bene, ma capisce che, per sconfiggere la mafia, il pool non è sufficiente. Viene fatta richiesta per promuovere il pool di giudici inquirenti, coordinati tra loro ed in continuo contatto, il potenziamento della polizia giudiziaria, nuove regole per la scelta dei giudici popolari e di controlli bancari per rintracciare il denaro dei mafiosi. Serve l’aiuto dello Stato, ma la mafia interviene prima. Il 4 agosto 1983, uccide il giudice Rocco Chinnici con un’autobomba.
Borsellino è distrutto dalla perdita di un altro amico. Comprende anche che la mafia ha raggiunto il suo obiettivo. Il capo del pool non c’è più. I nemici dei corleonesi non hanno più un punto di riferimento. Borsellino, preoccupato, infatti, dice: ‘La mafia ha capito tutto: è Chinnici la testa che dirige il Pool’. Il giudice Antonino Caponnetto di Firenze viene inviato a comandare il pool. Il lavoro continua tanto che diranno: ‘Sentiamo la gente fare il tifo per noi’.
Nel 1984, il potente ex sindaco Vito Ciancimino viene arrestato e il boss Tommaso Buscetta fa il ‘pentito’. Borsellino dà importanza ai pentiti. Essi sono fondamentali nelle indagini. Si iniziano a preparare processi e il maxiprocesso.
La mafia attacca. Pertanto , Falcone e Borsellino vengono trasferiti sull’isola dell’Asinara per concludere il lavoro senza correre ulteriori rischi. In questo periodo, però, Lucia, la figlia più grande, si ammala di anoressia psicogena. Tornato a Palermo, egli dovrà aiutarla. La figlia guarisce e il maxi-processo inizia. Borsellino chiede il trasferimento alla Procura di Marsala come Procuratore Capo e scopre i legami tra i clan della provincia e quelli palermitani.
Nel 1987, Caponnetto è costretto a lasciare la guida del pool di Palermo. Borsellino sostiene Falcone e critica il successore di Caponnetto, dicendo che aveva “smembrato” il pool. Egli finisce sotto processo al Consiglio superiore della magistratura. Dopo essere stato riabilitato, torna a lavorare, finché, dopo l’istituzione della Procura nazionale antimafia e delle Direzioni distrettuali antimafia, deve tornare a Palermo come procuratore aggiunto.
Ora deve occuparsi delle indagini riguardo la mafia di Agrigento e Trapani. I pentiti confermano il legame tra mafia e politica, ma queste attaccano il magistrato tanto che, a volte, egli si sente sconfortato. Il 23 maggio, Falcone, dopo essere stato nominato direttore generale degli Affari penali al ministero di Grazia e Giustizia, torna a Palermo e viene ucciso nella strage di Capaci. Borsellino è distrutto e desidera collaborare alle indagini sull’attentato di Capaci, di competenza della procura di Caltanissetta.
Esse proseguono portando alla luce tantissimi pentiti che lui cerca di ascoltare. Spesso, però, sono loro a chiedere di parlare con lui, come era stato per Falcone. I pentiti sapevano di potersi fidare, in quanto conoscevano la moralità e l’intuito di entrambi. Borsellino continua a chiedere la delega per ascoltare Mutolo, ma il 19 luglio 1992 va in via D’Amelio, per accompagnare la madre dal medico. Un’autobomba, posteggiata senza che nessuna autorità si preoccupasse di istituire una zona di rimozione, esplode. Questo causa la morte di lui e dei suoi cinque agenti di scorta.
Borsellino, essendo religiosissimo, amava ripetere scherzosamente: “Non sono né un eroe né un kamikaze, ma una persona come tante altre. Temo la fine perché la vedo come una cosa misteriosa, non so quello che succederà nell’aldilà. Ma l’importante è che sia il coraggio a prendere il sopravvento. Se non fosse per il dolore di lasciare la mia famiglia, potrei anche morire sereno”.
Fonte: www.giovaniemissione.it e www.santiebeati.it