Bologna ha celebrato il Monte di Pietà

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Il prestito su pegno si basava sulla corresponsione di un moderato interesse, fissato nel cosiddetto ‘denarino’ per lira al mese, pari al 5% annuo. Le vicende del Monte di Pietà di Bologna sono esemplari: accanto ad una capillare attività di credito su pegno rivolta in prevalenza alla popolazione meno abbiente (con una movimentazione annua di oltre 100.000 pegni dal tardo Cinquecento), l’istituto sviluppò servizi di deposito e contocorrente per una vasta clientela, e divenne un interlocutore privilegiato del governo cittadino, cui offrì un numero crescente di servizi finanziari, assumendo di fatto funzioni di banca pubblica.

In tale ricorrenza abbiamo intervistato il prof. Pietro Delcorno, docente di ‘Istituzioni ed antichità medievale’ all’Università di Bologna e componente del Centro studi sui Monti di Pietà e sul credito solidaristico, chiedendo il motivo per cui i francescani fondarono il Monte di Pietà: “Nel secondo Quattrocento, il Monte di Pietà si presentava come istituzione creditizia a carattere solidaristico: una banca pubblica capace di fornire piccole somme di denaro a tassi estremamente vantaggiosi.

I Frati minori contribuirono a progettare questo tipo di istituzione, vista come un elemento prezioso per fare fronte alle esigenze di quanti (ed erano tanti) attraversavano momenti ricorretti di difficoltà economica. In tal senso, il motto evangelico ‘Abbi cura di lui’ (Curam illius habe) incarnava l’ideale del Monte”.

In quale modo i Frati minori tradussero un ideale in un’istituzione?

“Facendo leva su ragione ed emozione. Da un lato, argomentando (in dispute e nei consigli cittadini) sui vantaggi per la città di dotarsi di un Monte. Vantaggi economici, sociali e spirituali. Dall’altro, sapendo persuadere le folle con la propria predicazione, usando anche la potente leva sulle emozioni. Si doveva spiegare cosa fosse un Monte di Pietà e creare il consenso necessario a istituire qualcosa di nuovo e, soprattutto, a raccogliere il capitale necessario per dare avvio a un Monte, per passare cioè dalle parole ai fatti”.

Quale fu l’occasione per cui anche a Bologna si fondò un Monte di Pietà?

“Il Monte di Pietà venne fondato a Bologna nel 1473. Era il primo a nord degli Appennini, dopo una fase di sperimentazioni nel centro Italia. Per favorire la sua creazione sappiamo che fu in città frate Michele Carcano, uno specialista delle campagne di predicazione per i Monti. Il suo ruolo è ricordato in apertura del primo registro contabile del Monte bolognese, il documento più antico conservatosi di questo ente.

Un documento fondamentale anche per farci capire chi fossero i primi clienti del Monte di Pietà, visto che insieme al nome e all’importo ricevuto, spesso viene registrata la professione. Troviamo muratori, fabbri, lanaioli, sarti, calzolai. Insomma, il mondo del lavoro che ricorre al Monte per un sostegno, magari in momenti difficili.

Le operazioni contabili si interrompono alla fine del 1474. Il primo Monte ha vita breve. Ma non effimera. Quando nel 1504 verrà rifondato (in un quadro politico diverso: Bologna è ora nello Stato pontificio) si riprenderà il medesimo libro di conti, quasi a sancire una continuità ideale con il primo progetto. Ed in realtà, si dovrebbe parlare di fondazioni molteplici, perché lungo i secoli, il Monte di Pietà di Bologna si diversificherà, adattandosi al mutare dei quadri economici. Basti menzionare la nascita del Monte della seta e del Monte della canapa, dedicati a settori produttivi considerati centrali nella vita della città dell’epoca”.

Il credito può essere caritativo?

“No. Ma può essere solidaristico. Oggi diremmo no profit. Mi spiego. L’idea del Monte di Pietà era proprio creare un canale diverso rispetto a quelli caritativi. Per i poveri assoluti vi erano forme di elemosina e istituzioni di carità. Il Monte di Pietà mirava invece a dare un prestito, abbassando il più possibile il tasso d’interesse, portandolo a zero in alcuni casi (i prezzi di mercato all’epoca oscillavano intorno al 20-30%). Ma non è un’elemosina. Il prestito deve essere garantito da un pegno, capace (in caso di mancata restituzione) di reintegrare il capitale del Monte che deve essere preservato.

L’elemento caritativo c’è nella creazione di questo capitale, in particolare nella fase iniziale. Perché lo si costituisce con donazioni, fatte dai singoli e dai diversi gruppi sociali (parrocchie, confraternite, corporazioni dei lavoratori). E’ qui che accanto ai ragionamenti sulla convenienza per la città di dotarsi di un Monte, i valori spirituali e religiosi giocavano un ruolo importantissimo. Ed è qui, ad esempio, che il ricorso all’immagine del Cristo in Pietà, che diventerà una sorta di logo dei Monti, dispiegava tutta la sua forza”.

In quale modo il Monte di Pietà ha rivoluzionato l’economia dell’epoca?

“Dire ‘rivoluzionato’ è eccessivo. Costituì però una significativa novità. Sottolineo qui due elementi. La banca divenne un elemento centrale nel tessuto urbanistico, un luogo contrassegnato di simbolismi religiosi. Basti pensare alle sede storica del Monte di Pietà di Bologna: accanto alla cattedrale, con una stupenda raffigurazione della Pietà sopra la porta.

Diventano, è stato detto, i ‘sacri recinti del credito’. I Monti di Pietà contribuiscono inoltre a creare l’idea che depositare denaro in banca non è più un accumulo vizioso ma un atto virtuoso, con l’idea che quelle ricchezze, pur restando private, possono servire al bene pubblico, alla collettività”.

Oggi quale funzione può avere per l’economia un credito etico?

“Ecco, questa è una domanda da rivolgere ad un economista, più che a uno storico. La vicenda dei Monti però ci ricorda anzitutto che non è vero che ‘there is no alternative’ (non c’è alternativa) rispetto all’attuale sistema, profondamente iniquo. Le strutture della gestione del denaro e della ricchezza sono cambiate profondamente nel tempo, non sono affatto indiscutibili. Una discussione pubblica sui necessari cambi di paradigma, come avvenne all’epoca, sarebbe salutare”.

(Foto: Centro Studi Monte di Pietà Bologna)

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