Non chiamatelo giusto processo

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 22.12.2023 – Ivo Pincara] – Sull’affare del palazzo al numero 60 di Sloane Avenue a Londra, l’avvocato Gian Domenico Caiazza, il difensore del broker Raffaele Mincione, ha parlato con Paolo Pandolfini in un’intervista per Il Riformista. L’intera istruttoria del processo penale del Tribunale vaticano è stata appiattita sulle ipotesi accusatorie, ha osservato. Con i Rescripta, Papa Francesco ha cambiato le procedure con il processo in corso, quindi, “non chiamatelo giusto processo”, ha detto.

Poi, Nicole Winfield per The Associated Press riferisce, che il Promotore di Giustizia vaticano ha fatto appello alla sentenza, che in gran parte ha smantellato il suo teorema, ma ha condannato il Cardinal Becciu. Fa riferimento all’articolo scritto dall’avvocato difensore di Fabrizio Tirabassi, Cataldo Intrieri, sul quotidiano online Linkiesta [QUI]. Allo stesso articolo dell’Avv. Intrieri fa ampiamente riferimento John L. Allen Jr. su Crux, che osserva che oltre ai soliti criti, “un coro crescente mette in discussione il potere papale”. Cita anche l’avvocato difensore di Enrico Crasso, Luigi Pannella: “Una concezione assolutista del potere nella sfera temporale e nel governo civile, risalente a un contesto storico ed ecclesiale molto diverso, sembra oggi incompatibile con i principi dello Stato di diritto”. Allen conclude: “Sebbene nessuno possa mettere in dubbio la facoltà di un Papa di pronunciarsi su questioni di fede e di morale, nessuno può sostenere seriamente che la fusione dei poteri esecutivo, legislativo e giudiziario nello Stato della Città del Vaticano sia parte del mandato divino della Chiesa. Tale accordo può cambiare, e un crescente coro di voci sembra suggerire che forse è giunto il momento di fare proprio questo”.

Il pubblico ministero vaticano fa appello al verdetto che in gran parte ha smantellato il suo caso di frode, ma ha condannato il cardinale
di Nicole Winfield
The Associated Press, 22 dicembre 2023

(Nostra traduzione italiana dall’inglese)

Il procuratore capo del Vaticano ha presentato ricorso contro una sentenza della corte che ha in gran parte smantellato il suo teorema di una grande cospirazione per frodare la Santa Sede di milioni di euro, ma ha ritenuto un cardinale colpevole di appropriazione indebita.

Il pubblico ministero Alessandro Diddi ha presentato ricorso questa settimana contro la decisione dei tre giudici in un complicato processo finanziario che ha esposto i panni sporchi del Vaticano e messo alla prova il suo peculiare sistema legale.

Mentre il titolo del verdetto del 16 dicembre si concentrava sulla condanna a 5 anni e mezzo del Cardinale Angelo Becciu per appropriazione indebita, il nocciolo della sentenza chiariva che i giudici avevano respinto la maggior parte delle 487 pagine di accusa di Diddi.

Diddi aveva accusato Becciu e altre nove persone di decine di capi d’accusa di frode, appropriazione indebita, riciclaggio di denaro, estorsione, corruzione, abuso d’ufficio e subornazione di testimone in relazione al pasticciato investimento della Segreteria di Stato in una proprietà londinese.

Ha chiesto pene detentive fino a 13 anni per ciascuno degli imputati. Alla fine, il tribunale presieduto dal giudice Giuseppe Pignatone ha assolto in toto un imputato e condannato gli altri solo per alcuni capi d’accusa, condannandoli comunque al pagamento di 366 milioni di euro a titolo di compensazione.

In Vaticano, come in Italia, i pubblici ministeri possono impugnare le sentenze contemporaneamente agli imputati. A differenza dell’Italia, entrambe le parti in Vaticano devono presentare ricorso prima che il giudice del processo spieghi le ragioni del verdetto per iscritto, anche se i ricorsi possono essere modificati in seguito, hanno detto gli avvocati.

Martedì Diddi ha presentato una mozione di tre pagine chiedendo alla corte d’appello vaticana di condannare ciascun imputato per l’intera serie di accuse originariamente formulate, sebbene il tribunale abbia stabilito che molti dei presunti reati semplicemente non sussistono.

L’obiettivo principale del processo riguardava l’investimento di 350 milioni di euro da parte della Segreteria di Stato nella conversione di un ex magazzino di Harrod’s in appartamenti di lusso. Diddi ha presunti che intermediari e monsignori vaticani hanno derubato la Santa Sede di decine di milioni di euro in compensi e commissioni, e poi hanno estorto alla Santa Sede 15 milioni di euro (16,5 milioni di dollari) per cedere il controllo della proprietà.

Becciu, il primo cardinale perseguito dal tribunale penale vaticano, è stato condannato per appropriazione indebita riguardante l’investimento originario di Londra e due casi a latere. L’intermediario che ha ricevuto la somma di 15 milioni di euro per cedere il controllo dell’immobile, Gianluigi Torzi, è stato condannato per estorsione e altre accuse.

Il gestore finanziario di lunga data della Segreteria di Stato, Enrico Crasso, è stato condannato per tre accuse delle 21 originali che aveva dovuto affrontare. Ma anche lui intende ricorrere in appello, ha detto l’avvocato di Crasso, Luigi Panella.

“Contrariamente alla narrazione diffusa, la mozione d’appello del pubblico ministero rivela che il tribunale in larga misura non ha sostenuto la formula accusatoria”, ha detto Panella in una e-mail.

Per i tre reati di cui Crasso è stato condannato, il tribunale lo ha condannato a più di quanto Diddi avesse inizialmente chiesto, “e questo ha in qualche modo mascherato le numerose assoluzioni”, ha detto Panella.
Il verdetto ha anche fatto un po’ di ginnastica legale per dare un senso all’obsoleto codice penale del Vaticano, basato sul codice italiano del 1889 e sul diritto canonico della Chiesa, riqualificando o combinando le accuse per adattarle ad altre.

Nel suo appello, Diddi si è opposto al rifiuto del tribunale di consentirgli di ricorrere all’interrogatorio in carcere del broker londinese Torzi, perché Torzi non si è mai presentato per essere interrogato durante il processo. Torzi si è rifiutato di tornare in Vaticano dopo essere stato incarcerato per 10 giorni senza accusa né mandato di arresto da parte di un giudice nel 2020 durante le indagini; è stato rilasciato solo dopo aver scritto una nota ai pubblici ministeri. Diddi era riuscito a trattenerlo grazie agli ampi poteri concessi alla pubblica accusa nel sistema legale del Vaticano, nonché ai poteri extra concessigli da quattro decreti segreti firmati da Papa Francesco durante le indagini che hanno consentito ai pubblici ministeri di intercettare e detenere sospetti senza il mandato di un giudice.

Gli avvocati della difesa hanno citato quei decreti e la capacità dell’accusa di nascondere le prove come prova del fatto che i loro clienti non potevano ricevere un giusto processo nell’unica monarchia assoluta d’Europa dove Francesco esercita il supremo potere legislativo, esecutivo e giudiziario, e li hanno usati nell’inchiesta.

In un saggio post-sentenza, l’avvocato difensore Cataldo Intrieri ha denunciato le “contraddizioni” dell’ordinamento giuridico vaticano e dei poteri conferiti ai pubblici ministeri, che a suo dire hanno portato a un’indagine e a un processo “ben distanti da quelli adottati in uno Stato di diritto”.

Ha lamentato che alla difesa non è stato permesso di chiamare a testimoniare il Papa o il Segretario di Stato, anche se altre testimonianze e documenti hanno chiarito che entrambi erano coinvolti, e in alcuni casi hanno approvato esplicitamente le decisioni prese in merito all’accordo di Londra.

“Il punto è che il giusto processo non è solo il contraddittorio sulla prova, che è certamente elemento fondamentale, ma essenzialmente la “parità delle armi” in ordine al diritto di accesso alle fonti di prova, il che non è avvenuto giacché l’accusa ha potuto celare molti documenti alla difesa, alcuni dei quali probabilmente rilevanti”, ha scritto sul quotidiano online Linkiesta [QUI]. “Il vero problema – lo si è capito da subito – è l’anomala concentrazione di potere che il Papa, vertice spirituale della Santa Sede e sovrano assoluto dello Stato Vaticano, ha consentito all’ufficio del pubblico accusatore, il promotore di giustizia Alessandro Diddi”.

Intriere ha difeso Fabrizio Tirabassi, ex funzionario della Segreteria di Stato, che ha ricevuto la condanna più grave e le pene più dure: 7 anni e mezzo di carcere per appropriazione indebita, estorsione e riciclaggio. Ha negato ogni illecito.

Anche altri avvocati della difesa hanno annunciato ricorsi. Alcuni si attengono ai dettagli del caso, mentre altri sembrano prepararsi a portare i loro casi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo a Strasburgo. Il Vaticano non ne è parte, quindi non è noto come potrebbe procedere l’eventuale appello presentato lì.

Ma alcuni avvocati hanno orientato le loro argomentazioni fin dall’inizio per sostenere che il sistema legale vaticano viola i diritti umani fondamentali europei a un giusto processo dei loro imputati.

Panella, ad esempio, ha sottolineato nel suo appello di questa settimana che il Vaticano si è impegnato ad attuare la Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo quando ha aderito alla Convenzione Monetaria Europea nel 2009. Ha affermato che il Vaticano stava violando la Convenzione, citando l’intervento di Francesco nel indagine attraverso i quattro decreti e la presunta mancanza di indipendenza di giudici e pubblici ministeri che possono essere assunti e licenziati dal Papa a piacimento.

Oltre ai soliti sospettati, un coro crescente mette in discussione il potere papale
di John L. Allen Jr.
Crux, 20 dicembre 2023

(Nostra traduzione italiana dall’inglese)

Molti commenti sono stati scatenati dal recente epilogo del “Processo del secolo” del Vaticano, che si è concluso con la condanna di nove imputati su dieci, inclusi cinque anni e sei mesi di carcere per il Cardinale italiano Angelo Becciu.

Nel torrente delle reazioni, una delle voci più interessanti è quella di Cataldo Intrieri, l’avvocato che ha rappresentato Fabrizio Tirabassi, ex funzionario della Segreteria di Stato condannato a sette anni e sei mesi di carcere per il suo ruolo nel complesso e controverso acquisto da 400 milioni di dollari di una proprietà a Londra.

In un articolo del 19 dicembre per Linkiesta [QUI], un quotidiano italiano online, Intrieri ha affermato che, nonostante la buona volontà dei tre giudici che hanno presieduto il processo, “lo standard dell’indagine e dello stesso processo sono rimasti ben distanti da quello adottato in uno Stato di diritto”.

Tra l’altro, Intrieri ha sottolineato che gli avvocati della difesa avevano voluto interrogare sia Papa Francesco che il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato, riguardo al loro ruolo nell’affare di Londra, dato che le prove suggeriscono che entrambi furono attivamente coinvolti nelle fasi chiave delle transazioni. Tali richieste, però, furono respinte.

“Ove si rifletta che in uno Stato di diritto come l’Italia sono stati interrogati nei processi i vertici istituzionali e governativi si può misurare quale sia l’enorme cammino da percorrere verso il ‘giusto processo Vaticano’”, ha scritto.

Nel complesso, Intrieri ha affermato che il processo equivaleva a un tentativo di criminalizzare quello che in realtà era solo un cattivo giudizio.

“Si trattava semplicemente di casi cattiva gestione e di pessimi investimenti di cui chiedere il rimborso con una causa civile, ma la narrazione popolare e populista ha bisogno del palcoscenico penale e dell’autodafé”, ha scritto, invocando la memoria dell’Inquisizione spagnola.

Fondamentalmente, Intrieri ha sostenuto che il processo ha rivelato un problema strutturale con il sistema di giustizia penale del Vaticano, che manca di un’autentica separazione dei poteri.

Tra l’altro, Intrieri ha affermato che per pretendere di sostenere lo Stato di diritto, il Vaticano richiede come minimo una magistratura professionale selezionata attraverso un concorso pubblico e, una volta nominata, inamovibile, “autonoma e separata dal vertice di governo”.

Il fatto che i giudici nel sistema vaticano siano nominati direttamente dal Papa e soggetti alla sua autorità, ha scritto Intrieri, non solo crea problemi pratici, come limitare artificialmente il pool di talenti alle persone che un dato Papa può conoscere e di cui si fida, ma più profondamente crea evidenti conflitti di interesse “che possono nuocere all’immagine di imparzialità del corpo giudiziario”.

(Anche se Intrieri non ha sottolineato il punto, vale la pena osservare che il 4 dicembre, dodici giorni prima che il tribunale emettesse la sua sentenza, Papa Francesco ha firmato un Motu proprio che, tra le altre cose, ha conferito un nuovo status comprensivo di aumenti di stipendio sia al pubblico ministero e il giudice – un promemoria diretto, in effetti, del fatto che lavorano per lui).

“Semplicemente, e stupisce che ciò non sia colto da alcuni autorevoli commentatori, questi sono gli snodi ineludibili che ogni democrazia ha dovuto affrontare – scrive Intrieri – e a cui non può sfuggire lo Stato Vaticano se vuole mantenere credibilità e autorità morale nel tempo come sede della Chiesa universale e simbolo dei diritti umani”.

Naturalmente, Intrieri non è certo la prima persona a suggerire che Papa Francesco abbia un problema con il potere.

Nel 2017 sono comparsi in giro per Roma manifesti che chiedevano beffardamente “Dov’è la tua misericordia?” dopo che Francesco represse un paio di ordini tradizionalisti, e nello stesso anno, il libro The Dictator Pope immortalò la critica a Francesco come leader del “papato più tirannico e senza principi dei tempi moderni”.

Tuttavia, è stato relativamente facile respingere tali critiche perché sembravano palesemente motivate da un punto di vista ideologico. Era difficile sfuggire all’impressione che se Francesco avesse usato la sua autorità per mettere la museruola ai teologi liberali, per esempio, o per imporre l’uso della Messa in latino, tali critici sarebbero stati i primi a esultare.

Intrieri, però, è un caso diverso. È un avvocato veterano specializzato in affari finanziari, e politicamente è stato coinvolto in iniziative del centrosinistra italiano, non dei circoli conservatori e tradizionalisti generalmente ostili a Papa Francesco. Ha fatto parte di un gruppo di lavoro patrocinato dal Senatore Luigi Zanda, veterano della sinistra, e ha dedicato negli anni la sua esperienza legale, tra l’altro, al supporto delle cliniche e del personale sanitario coinvolto nelle procedure di fecondazione in vitro.

Intrieri si unisce a figure come Alberto Melloni, storico della Chiesa veterano ed esponente della “scuola bolognese” progressista; Luis Badilla, giornalista romano di lunga data nato in Cile, che si è fatto le ossa sostenendo il governo di sinistra del Presidente Salvador Allende e poi accompagnando la moglie e la figlia del presidente martire nei loro sforzi per raccogliere fondi per opporsi al il regime militare in Cile; e Luigi Panella, un avvocato che ha rappresentato un altro degli imputati nel processo vaticano, e che è un protetto di un ex Ministro della Giustizia sotto il governo di centrosinistra dell’ex Primo Ministro italiano Romano Prodi, e che ha rappresentato lui stesso un altro ex Primo Ministro, Matteo Renzi.

Al processo, Panella fu particolarmente tagliente: “Una concezione assolutista del potere nella sfera temporale e nel governo civile, risalente a un contesto storico ed ecclesiale molto diverso, sembra oggi incompatibile con i principi dello Stato di diritto”, ha detto.

In altre parole, le preoccupazioni sul potere papale che circolano oggi non provengono solo dai soliti sospettati.

A dire il vero, non si può dire abbastanza che la ragione principale per cui il processo ha portato alla ribalta queste questioni è perché Papa Francesco ha voluto affrontare di petto la presunta corruzione, e voleva che il Tribunale penale dello Stato della Città del Vaticano facesse il suo lavoro. Dopo decenni – anzi, secoli – in cui il Vaticano ha fatto del suo meglio per cercare di nascondere tali questioni sotto il tappeto, il pontefice merita senza dubbio di aver adottato un approccio diverso.

Ciò che reazioni come quella di Intrieri possono suggerire, però, è che il processo di riforma avviato da Francesco non è giunto a una conclusione con questo processo.

Semmai, l’eredità duratura del processo potrebbe essere quella di rivelare il lavoro incompiuto della riforma: ripensare i limiti dell’autorità papale, almeno quando agisce come amministratore piuttosto che come pastpre.

Sebbene nessuno possa mettere in dubbio la facoltà di un Papa di pronunciarsi su questioni di fede e di morale, nessuno può sostenere seriamente che la fusione dei poteri esecutivo, legislativo e giudiziario nello Stato della Città del Vaticano sia parte del mandato divino della Chiesa. Tale accordo può cambiare, e un crescente coro di voci sembra suggerire che forse è giunto il momento di fare proprio questo.

Palazzo di Londra, con i Rescripta si cambia la procedura: “Non chiamatelo giusto processo”
Sulla vicenda dell’acquisto del palazzo di Sloane parla l’avvocato Caiazza, difensore del broker condannato a cinque anni: l’intera istruttoria è stata appiattita sulle ipotesi accusatorie
di Paolo Pandolfini
Il Riformista, 21 dicembre 2023


«Definire “giusto processo” quello che si è appena celebrato in Vaticano nei confronti del cardinale Giovanni Angelo Becciu e degli altri imputati mi pare un po’ azzardato», afferma l’avvocato Gian Domenico Caiazza, difensore di Raffaele Mincione, il broker condannato a cinque anni e sei mesi per la vicenda dell’acquisto del palazzo di Sloane Avenue a Londra.

Avvocato Caiazza, come funziona la giustizia vaticana?
«Premesso che il Santo Padre nomina sia il presidente del tribunale e sia il promotore di giustizia, quindi chi rappresenta l’accusa, ho visto l’applicazione di regole che non credo abbiano equali in nessun Paese democratico dove vige la separazione dei poteri».

Il Vaticano, non per voler giustificare, è di fatto l’ultima monarchia assoluta esistente ed il Papa è poi il vicario in terra di Nostro Signore…
«Ed infatti al Santo Padre la legge delle Stato Vaticano riconosce poteri che sono impensabili altrove».

Ad esempio?
«Modificare le regole processuali, nel nostro caso sempre a sfavore degli imputati, in qualsiasi momento del procedimento e senza dover – ovviamente – rendere conto a nessuno».

Come avengono queste modifiche?
«Con i Rescripta. Sono atti firmati dal Sommo pontefice con cui si cambia la procedura. Ne sono stati fatti ben 4».

Durante il processo le difese hanno mosso molte critiche, stigmatizzando il fatto che, ad esempio, dei video con testimonianze ritenute importanti venivano censurati, gli interrogatori prima calendarizzati e poi cancellati, i verbali depositati erano pieni di omissis, alcune chat significative tenute addirittura nascoste. È difficile una difesa in queste condizioni.
«Certo, ma non solo. Al promotore di giustizia sono stati concessi poteri senza limiti, come quello di prolungare a discrezione i tempi dell’istruttoria sommaria».

Il processo è iniziato a luglio del 2021 e l’accusa ha operato fino alla richiesta di rinvio anche non consegnando gli atti, senza alcun controllo da parte del giudice.
«Esatto. Ed è una anomalia clamorosa».

Un processo che nasce iniquo?
«Va dato atto al presidente Giuseppe Pignatone di un certo sforzo che non è però valso a ripristinare la logica del contradditorio fra accusa e difesa. L’intera istruttoria è stata appiattita sulle ipotesi accusatorie».

Mincione venne chiamato da Credit Suisse, la banca di appoggio per le finanze vaticane, dopo essere stato indicato alla segreteria di Stato per un investimento nel palazzo a Sloane Avenue a Londra. Tutti si sono scandalizzati ma da sempre la Santa Sede per sostenersi effettua investimenti finanziari.
«Esatto. E questa operazione del palazzo a Londra aveva tutte le caratteristiche per essere un buon investimento».

Il suo assistito ha agito nella massima trasparenza?
«Era una persona sulla quale la banca elvetica, che ricordo in questo processo è stata chirurgicamente tenuta fuori, riponeva la massima fiducia».

L’accusa era di truffa?
«Da cui è stato assolto per essere condannato per peculato per una interpretazione del codice canonico. L’articolo 1284 che riguarda la violazione delle disposizioni sull’amministrazione dei beni ecclesiastici. I soldi della segreteria di Stato dovevano, in altre parole, essere gestiti con il criterio del ‘buon padre di famiglia‘ e un investimento immobiliare presentava invece comunque dei rischi essendo di tipo speculativo. Non capisco come si possa pretendere che Mincione conoscesse le norme del diritto canonico, è ammesso poi che dicono questo».

Ora cosa succede?
«Faremo appello. Nel secondo grado non ci sono più civili, come nel primo grado, ma dei religiosi. Il collegio è composto da tre monsignori».

Ed in caso, speriamo di no, la sentenza venisse confermata?
«Come tutte le sentenze straniere dovrà essere trasmessa al ministero della Giustizia per la rogatoria. Non credo comunque sia possibile dare esecuzione ad una sentenza arrivata al termine di un processo che si è svolto in questo modo».

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