Gli sfollati con la forza dell’Artsakh temono che l’Azerbajgian non darà loro pace nemmeno in Armenia
[Korazym.org/Blog dell’Editore, 28.11.2023 – Vik van Brantegem] – Il Servizio di Sicurezza Nazionale dell’Armenia ha riferito, che al 26 novembre 2023 un totale di 10.929 cittadini sfollati con la forza dall’Artsakh hanno lasciato la Repubblica di Armenia attraverso vari valichi di frontiera aerei e terrestri. Di questo gruppo, 4.303 persone sono tornate in Armenia. Queste informazioni sottolineano le complesse dinamiche e sfide affrontate dai cittadini dell’Artsakh in Armenia all’indomani della pulizia etnica nell’Artsakh nel settembre 2023.
È da notare che 6.626 persone non sono tornate in Armenia alla data indicata. Questa statistica mette in luce l’impatto significativo delle questioni socio-politiche che la popolazione dell’Artsakh si trova ad affrontare. È allarmante che i problemi, a partire dagli alloggi e dalla facilitazione del processo di registrazione, non siano riusciti a mantenere in Armenia il numero di persone menzionato. Nonostante l’enorme sostegno e aiuto da parte di individui e gruppi sia della diaspora che dell’Armenia, i gravi problemi che gli Armeni stanno affrontando sono troppo grandi per le iniziative private e sono sotto la responsabilità dello Stato (Fonte: Agenzia 301).
Più che le difficolta socio-economiche, che gli sfollati con la forza dell’Artsakh devono affrontare, come evidenziato dall’agenzia 301, il motivo perché un certo numero di loro ha lasciato l’Armenia, è da cercare nel timore che l’Azerbajgian non avrebbe dato loro pace nemmeno in Armenia, sapendo che solo l’Occidente al momento sta trattenendo l’Azerbajgian dall’invasione dell’”Azerbajgian occidentale” (= Armenia).
Chiasso TV, a Web Tv del Ticino e della Svizzera in lingua italiana ha pubblicato il video Le teste tagliate ai bambini e ai soldati Armeni non fanno notizia!, con l’agghiacciante intervista di Iravaban.net alla signora Lyudmila Hairyan, sfollata con la forza dell’Artsakh e la testimonianza del giornalista ed ex deputato italiano Renato Farina, che si è occupato del continuo dramma dell’Armenia. I due video di questa puntata, sono le versioni integrali viste dal pubblico presente alla conferenza organizzata dall’Associazione “Germoglio” lo scorso giovedì 23 novembre 2023 nell’Aula Magna del Liceo diocesano in via Lucino 79 a Breganzona, Lugano, Svizzera.
Ecco il bugiardo seriale “diplomatico” di Aliyev in Germania sbugiardato:
La conferma: «L’Azerbajgian non ha rimosso le croci da questa chiesa. Fu fatto in epoca sovietica, dopo che Stalin deportò tutti i Tedeschi dal Caucaso alla Siberia. L’edificio ora funziona come un museo, ben conservato e restaurato. A causa dell’assenza della comunità tedesca non funziona come chiesa» (Fizuli Jabrayilov).
Il cittadino della Repubblica di Artsakh, Vagif Khachatryan, rapito dalle guardie di frontiera azerbajgiane durante il suo trasferimento sotto scorta del Comitato Internazionale della Croce Rosse e successivamente condannato illegalmente a 15 anni di carcere in Azerbajgian, con accuse inventate di crimine di guerra, ha presentato ricorso contro il verdetto alla corte d’appello, ha detto il suo avvocato Azero ai media azeri.
«Ormai, conosciamo tutti a memoria i nomi e la storia familiare di ogni ostaggio Israeliano di Hamas, poiché ricevono una copertura mediatica 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Al contrario, la copertura mediatica internazionale sugli ostaggi Armeni nelle carceri azere del genocidio è ZERO. Questo malato di 68 anni è stato rapito dall’auto della Croce Rossa mentre era finalmente diretto in Armenia a sottoporsi ad un intervento al cuore, poiché il Nagorno-Karabakh era sotto blocco da mesi. È un uomo innocente, utilizzato dal regime azero per la propaganda armenofobica. Vagif Khachatryan libero» (Nara Matinian).
«Durante gli ultimissimi giorni della pulizia etnica nel Nagorno-Karabakh, Karlen, 10 anni, è stato deliberatamente colpito dalle forze armate dell’Azerbajgian mentre andava in bicicletta in una Stepanakert quasi vuota cercando di ottenere aiuto dalla Croce Rossa per il suo nonno» (Nara Matinian).
Tutto questo è all’attenzione per quei propagandisti filo-Azeri occidentali, che sostengono che gli Armeni avrebbero potuto restare in Artsakh, che nessuno li ha cacciato e che potrebbero vivere tranquillamente sotto la dittatura militare azera stabilita nell’Artsakh.
Benvenuti in Azerbajgian, la nazione che ha ricevuto punteggi record da Freedom House per quanto riguarda il livello di democrazia.
«Il potere nel regime autoritario dell’Azerbajgian rimane fortemente concentrato nelle mani di Ilham Aliyev, Presidente dal 2003, e della sua famiglia allargata. La corruzione è dilagante e l’opposizione politica formale è stata indebolita da anni di persecuzione. Negli ultimi anni le autorità hanno attuato una vasta repressione delle libertà civili, lasciando poco spazio all’espressione indipendente o all’attivismo» (Freedom House).
«Ancora un altro giornalista indipendente, Aziz Orujev, è stato arrestato in Azerbajgian davanti alla sua bambina. Un’immagine che dice più di mille parole sull’autoritarismo» (Rayhan Demytrie, giornalista della BBC che si occupa del Caucaso meridionale e dell’Asia centrale).
Un altro giornalista arrestato in Azerbajgian
JAMnews, 27 novembre 2023
(Nostra traduzione italiana dall’inglese)
Il capo di un’altra organo di stampa indipendente, Aziz Orujev, del canale Internet Kanal 13, è stato arrestato in Azerbajgian. La polizia ha condotto perquisizioni nella residenza di Orujev e nell’ufficio del canale.
Le accuse specifiche contro il giornalista non sono ancora chiare. Tuttavia, il suo arresto coincide con la pubblicazione di sovvenzioni illegali da parte di organizzazioni europee e americane presumibilmente introdotte nel Paese con il contrabbando, nonché con l’arresto della direzione della pubblicazione Internet Abzas Media.
Il 27 novembre la polizia ha effettuato un’irruzione nell’abitazione di Aziz Orujev, direttore esecutivo del canale YouTube Kanal 13. Secondo sua moglie Lamiya Orujeva, la perquisizione è stata condotta su ordine del tribunale e alla presenza dell’avvocato Bakhruz Bayramov. “Attualmente ci sono 8 agenti di polizia a casa nostra. Solo uno ha la faccia scoperta; tutti gli altri indossano passamontagna. Non riveleranno i motivi della ricerca o cosa stanno cercando. Dopo porteranno via Aziz. Non hanno nemmeno specificato dove lo avrebbero portato esattamente”, ha detto Lamiya Orujeva.
L’avvocato Bahruz Bayramov ha dichiarato che la perquisizione è stata condotta sulla base di un ordine del tribunale. “Aziz Orujev ha acquistato alcuni anni fa un appezzamento di terreno a Baku nella zona chiamata ‘Sezione 20’ e presumibilmente vi ha costruito una casa illegale. Così hanno giustificato il motivo della perquisizione. Ma dopo la perquisizione della sua abitazione è stato perquisito anche il suo ufficio”.
Il direttore di Kanal 13, Aziz Orujev, ha precedenti penali per crimini economici. Nel 2017 ha ricevuto una pena detentiva di 6 anni, successivamente commutata nel 2018, che ha portato al suo rilascio sulla parola. Negli ultimi anni, il canale ha operato nel formato di un canale YouTube.
La settimana scorsa sono stati arrestati il direttore, il vice assistente e il caporedattore della pubblicazione Internet indipendente Abzas Media. Tutti e tre sono accusati ai sensi dell’articolo 206.3.2 (contrabbando da parte di un gruppo di persone per associazione a delinquere) del codice penale dell’Azerbajgian. Secondo la decisione del tribunale, sono stati tutti sottoposti a quattro mesi di arresto preliminare.
Il 27 novembre, la Corte d’appello di Baku ha confermato la detenzione del caporedattore Sevinj Vagifgizi e del direttore Ulvi Hasanli. L’avvocato nominato dallo Stato per il vicedirettore Mahammad Kekalov non ha presentato ricorso contro l’arresto del suo cliente.
La madre di Sevinj Vagifgizi, Ofelia Maharramova, ha affermato che sua figlia è innocente ed è detenuta con accuse inventate. Ha messo in dubbio la fondatezza delle affermazioni dell’accusa riguardo al ritrovamento di una grossa somma di denaro nella redazione, sottolineando l’assenza delle impronte digitali di Sevigno sulle banconote. Secondo Maharramova, a Vagifgizi è vietato comunicare telefonicamente con la sua famiglia. Maharramova ha detto che sua figlia era a conoscenza della possibilità di essere arrestata a Baku e le era stato consigliato di non tornare. Vagifgizi ha insistito per continuare il suo lavoro giornalistico nonostante i rischi previsti.
L’avvocato Zibeyda Sadigova ha riferito che anche Ulvi Hasanli nega le accuse e, come Vagifgizi, gli viene negata la possibilità di comunicazioni telefoniche e di incontri con i familiari. Gli avvocati intendono presentare una denuncia separata sulla questione. Vagifgizi ha anche presentato una denuncia per violazione della presunzione di innocenza da parte dell’agenzia Report, che ha dipinto Vagifgizi e Hasanli come autori di un crimine, nonostante le indagini in corso. Secondo l’avvocato Fariz Namazli, la corte d’appello non ha affrontato questa denuncia.
Dopo il Nagorno-Karabakh è la volta dell’Armenia?
di Aldo Ferrari
Fondazione Oasis, 28 novembre 2023
Venuto meno il tradizionale legame con Mosca, Yerevan si è trovata sola di fronte a un Azerbajgian che negli ultimi anni ha raggiunto un’enorme superiorità economica, presto divenuta anche militare. Oggi è necessario che la sicurezza dell’Armenia, non più fornita dalla Russia, sia garantita in forma nuova.
La lunga contesa tra Armenia e Azerbajgian per il Nagorno-Karabakh si è conclusa nella sostanziale indifferenza della comunità internazionale, la cui attenzione principale è rivolta al perdurante conflitto russo-ucraino e alla ripresa devastante di quello israelo-palestinese. Eppure, la sorte di questa regione, che ha avuto un ruolo quanto mai importante nella storia dell’Armenia [1], meriterebbe maggiore attenzione, in primo luogo per la sua tragica irreversibilità. Abitato in larga maggioranza da Armeni, ma collocato negli anni ’20 all’interno dell’Azerbajgian dalle autorità sovietiche [2], dopo il crollo dell’URSS il Nagorno-Karabakh riuscì con una guerra vittoriosa a rendersi indipendente de facto nel 1994, occupando anche alcuni territori circostanti etnicamente azeri. Si creò così una repubblica indipendente, non riconosciuta peraltro a livello internazionale, che riprese l’antica denominazione armena della regione, Artsakh [3].
In questo conflitto si sono scontrati due principi giuridici, quello dell’integrità territoriale degli Stati e quello dell’autodeterminazione dei popoli. Confidando nella protezione di Mosca, alla cui sfera politica, economica e di sicurezza Yerevan è rimasta a lungo vicina (entrando anche a far parte dell’alleanza militare a guida russa, la CSTO), gli armeni non hanno accettato una soluzione di compromesso alla quale il Gruppo di Minsk dell’OSCE ha lavorato invano per decenni. Un’intransigenza condivisa dagli Azeri, che però in tutto questo tempo hanno sfruttato appieno le notevoli risorse energetiche del loro Paese per conseguire una enorme superiorità economica, presto divenuta anche militare. La questione irrisolta del Nagorno-Karabakh ha pesato notevolmente sull’Armenia, che per circa vent’anni ha visto al potere politici provenienti da questa regione contesa, prima Robert Kocharyan e poi Serzh Sargsyan.
Il forte legame con Mosca ha costituito per decenni una garanzia di sicurezza per l’Armenia nei confronti dei suoi vicini ostili: l’Azerbajgian, ma anche la Turchia, erede dell’Impero ottomano, che perpetrò nel 1915 il genocidio degli Armeni, mai riconosciuto da Ankara. Il momento di svolta della decennale contesa per il Nagorno-Karabakh deve essere visto nella cosiddetta “rivoluzione di velluto” del 2018, che ha portato al potere in Armenia un nuovo leader, Nikol Pashinyan, meno legato alla tradizionale alleanza con la Russia e rivolto piuttosto verso l’Occidente [5]. La modalità stessa, «dal basso», del cambiamento politico in Armenia è stata poco apprezzata dal Cremlino. La diffidenza nei confronti del nuovo corso di Yerevan può spiegare anche l’atteggiamento della Russia in occasione del conflitto scatenato il 27 settembre 2020 dall’Azerbajgian contro il Nagorno-Karabakh con il sostegno politico e militare della Turchia. Per più di un mese, infatti, Mosca non accolse le pressanti richieste di intervento provenienti da Pashinyan, ma intervenne solo il 9 novembre 2020, quando l’Azerbajgian era ormai vittorioso, imponendo un accordo che costrinse gli Armeni a cedere non solo tutti i distretti azeri occupati nel corso del precedente conflitto, ma anche il 40% circa del territorio del Nagorno-Karabakh vero e proprio. Forze di interposizione russe vennero poste a protezione degli Armeni della regione, almeno sino alla scadenza dell’accordo nel 2025. L’Armenia, inoltre, si impegnò a fornire sul suo territorio meridionale un “corridoio” di trasporto tra l’Azerbajgian e l’exclave del Nakhichevan, una regione dell’Armenia storica attribuita anch’essa negli anni ’20 del Novecento all’Azerbajgian dalle autorità sovietiche.
Il mancato intervento russo può essere spiegato con il fatto che l’aggressione azera non aveva colpito la Repubblica di Armenia, ma il Nagorno-Karabakh, che dal punto di vista giuridico appartiene all’Azerbajgian in seguito alla più che discutibile “scelta” di epoca sovietica. Questa giustificazione non vale però per l’inazione russa degli anni successivi, quando Baku ha impunemente attaccato più volte il territorio della Repubblica di Armenia, occupando al suo interno piccoli territori strategici senza che Mosca intervenisse a protezione dell’alleato. Il disimpegno russo si è manifestato anche quando – nel dicembre del 2022 – l’Azerbajgian ha imposto al Nagorno-Karabakh un blocco completo che ha privato per molti mesi la popolazione armena di rifornimenti alimentari, energetici e medicinali.
Di fronte al venir meno della tradizionale protezione russa, gli Armeni hanno cercato nuove strade, rivolgendosi in particolare all’Unione Europea, che si è mostrata sensibile a questa richiesta di aiuto e ha inviato a marzo del 2023 una missione disarmata sul confine armeno a monitorare le azioni dell’Azerbajgian. Una novità di rilievo, ma del tutto inefficace, come ha mostrato il nuovo attacco portato da Baku nel settembre di quest’anno, non casualmente proprio nei giorni in cui aveva luogo un’improvvida esercitazione militare congiunta armeno-americana che Mosca ha evidentemente percepito come una provocazione. La resistenza degli Armeni del Nagorno-Karabakh è stata pertanto spezzata senza che la Russia intervenisse [6].
In seguito a questa aggressione, condannata da alcuni Paesi occidentali (USA, Francia, Germania, non l’Italia) [7], l’intera popolazione armena ha lasciato per sempre la regione, cosa del tutto comprensibile viste le ferite prodotte dagli oltre trent’anni di conflitto con l’Azerbajgian e la completa assenza da parte di Baku di ogni garanzia di autonomia e di sicurezza per le numerose persone coinvolte in questo periodo nella gestione politica e militare della repubblica di Artsakh, ormai dissoltasi. Del resto, benché in Occidente – e in Italia in particolare – si presti poca o nessuna attenzione alla questione, l’Azerbajgian si trova agli ultimi posti di tutte le classifiche internazionali per quel che riguarda le libertà politiche e culturali. Il completo esodo della popolazione armena rende tra l’altro possibile che Baku replichi nel Nagorno-Karabakh la politica di genocidio culturale perpetrata nel Nakhichevan, dove l’intero patrimonio artistico armeno (decine di chiese e migliaia di khachkar, le croci di pietra così caratteristiche dell’arte di questo popolo) è stato distrutto negli ultimi decenni [8].
Tuttavia, per quanto doloroso sia il destino del Nagorno-Karabakh, a preoccupare oggi è la stessa sorte dell’Armenia. Stretta tra due Paesi ostili e ben più forti come la Turchia e l’Azerbaigian, l’Armenia si trova in una situazione geopolitica quanto mai difficile. Nell’incontro del 25 settembre di quest’anno, avvenuto non a caso proprio nel Nakhichevan, Aliev e Baku hanno rilanciato l’idea di creare un collegamento terrestre tra Azerbajgian e Turchia attraverso il territorio armeno. Questo punto era in effetti contemplato, sia pure in maniera poco chiara, nell’accordo che aveva posto fine al conflitto nel 2020, ma faceva parte di uno schema che comprendeva il Nagorno-Karabakh. Adesso che questa regione non esiste più, il progetto di un “corridoio” costituisce evidentemente uno sviluppo quanto mai minaccioso verso l’Armenia. Si deve in effetti tener presente che Baku propone in maniera sempre più aggressiva un discorso pseudo-storico, che rivendica come proprio gran parte del territorio armeno, definito “Azerbajgian occidentale” [9]. È evidente che la liberazione delle “terre occupate dagli Armeni” potrebbe avvenire solo sterminando o scacciando questi ultimi i quali – occorre ricordarlo? – hanno già subito tale destino da parte dei Giovani Turchi nel genocidio del 1915, mai riconosciuto da Ankara [10]. In effetti l’aggressivo espansionismo di Baku verso l’Armenia ha un carattere potenzialmente genocidario, ma viene ignorato da molti Paesi, incluso il nostro, che traggono ampi vantaggi dalla collaborazione energetica con l’Azerbajgian.
A prescindere dalla valutazione della rischiosa linea politica filo-occidentale seguita negli ultimi anni dalla dirigenza di Yerevan, si è senza dubbio creata una situazione nella quale la stessa esistenza della Repubblica di Armenia appare minacciata. Anche se la Russia continua per ora a mantenere una base militare al confine armeno-turco e l’Iran invita Baku a non usare la forza contro l’Armenia, questo Paese si trova oggi sostanzialmente solo di fronte a un Azerbajgian strapotente che potrebbe decidere di sfruttare la situazione favorevole potendo tra l’altro contare sul sostegno della Turchia.
Alla luce di questa situazione pericolosa sarebbe assolutamente necessario che la sicurezza dell’Armenia, non più fornita dalla Russia, venisse garantita in forma nuova. In primo luogo, da Stati Uniti ed Unione Europea, certo. Ma, nonostante gli appelli rivolti da Washington, Parigi e Berlino a Baku perché rispetti l’integrità territoriale dell’Armenia, si fatica a immaginare che in caso di aggressione questo Stato possa ricevere un sostegno occidentale paragonabile a quello che si è prodotto in difesa dell’Ucraina. L’intera comunità internazionale dovrebbe in effetti farsi carico del destino di un Paese e di un popolo molte volte duramente colpiti dalla storia. Il primo passo in questa direzione sarebbe affrontare con fermezza l’Azerbajgian, imponendogli di rispettare l’integrità territoriale dell’Armenia e preservare il grande patrimonio culturale abbandonato dagli armeni fuggiti dal Nagorno-Karabakh.
[1] Soprattutto nei secoli XVII-XVIII questa regione, in cui si è conservata a lungo una forma di autonomia politica, ha cercato senza successo di ricreare un regno nazionale con l’appoggio della Russia. Su questo aspetto rimando al mio studio In cerca di un regno. Profezia, nobiltà e monarchia in Armenia tra Settecento e Ottocento, Mimesis, Milano 2011.
[2] Benché il contrasto tra Armeni e Azeri sia essenzialmente territoriale, si deve ricordare che i primi sono cristiani sin dall’inizio del IV secolo, mentre i secondi sono musulmani, prevalentemente sciiti.
[3] Su questo conflitto si vedano soprattutto Thomas De Waal, Black Garden. Armenia and Azerbaijan through Peace and War, New York University Press, New York 2003 e Laurence Broers, Armenia and Azerbaijan: Anatomy of a Rivalry, Edinburgh University Press, Edinburgh 2019.
[4] Aldo Ferrari, Giusto Traina, Storia degli armeni, Il Mulino, Bologna 2020, pp. 186-194.
[5] Per un quadro, molto favorevole a questo cambiamento politico, si veda Stepan Grigoryan, Armenian Velvet Revolution, Edit Print, Yerevan 2018.
[6] Si veda in particolare l’articolo di Thomas De Waal, The End of Nagorno-Karabakh. How Western Inaction Enabled Azerbaijan and Russia, «Foreign Affairs», September 26, 2023 [QUI].
[7] L’atteggiamento del nostro Paese nei confronti del conflitto tra Armenia e AzerbaJgian appare davvero inaccettabile. Oltre al silenzio pressoché completo sul blocco del Nagorno-Karabakh e il violento attacco azero alla regione, va anche segnalata la consistente vendita di armamenti a Baku. Si veda al riguardo Antonio Mazzeo, Armenia-Azerbaijan. Tajani si propone mediatore ma l’Italia sta con Baku [QUI].
[8] Segnalo a questo riguardo il recente volume di Antonia Arslan e Aldo Ferrari (a cura di), Un genocidio culturale dei nostri giorni. Nakhichevan: la distruzione della cultura e della storia armena, Guerini e Associati, Milano 2023.
[9] Laurence Broers, Augmented Azerbaijan? The return of Azerbaijani irredentism, «Eurasianet», 5 agosto 2021 [QUI].
[10] Tra l’ormai enorme bibliografia disponibile segnalo il volume di uno studioso Turco che da decenni vive negli Stati Uniti: Taner Akçam, Nazionalismo turco e genocidio armeno. Dall’Impero ottomano alla Repubblica, Guerini e Associati, Milano 2005.
I media statali azeri, che prima avevano diffusi voci secondo cui un evento dell’Ambasciata americana a Baku per gli ex alunni Azeri delle università americane era una copertura per qualcosa di più sinistro, poi hanno detto che l’annullamento dell’evento significava che si è trattato sicuramente di un incontro di spionaggio e non di un evento inoquo.
Un’autocrazia mediocre in piena mostra in Azerbajgian, dove gli ex studenti che hanno ricevuto (generosi) borse di studio dagli Stati Uniti, vengono etichettati come “agenti” di “cooperazione segreta”. È pure molto meschino mostrare il nome della giovane impiegata azera dell’Ambasciata, per intimidire.
«È importante sottolineare che non c’è nulla di nuovo in questo nuovo attacco di isteria anti-americana in Azerbaigian. Aliyev ha da tempo posto fine alla presenza di tutte le principali organizzazioni statunitensi, come Radio Liberty, IRI, NDI, OSI ecc. Baku non è un alleato degli Stati Uniti. Sostenere l’Azerbaigian non è nell’interesse naturale degli Stati Uniti» (Eldar Mamedov).
«ALMENO 27 voli provenienti da Turchia e Israele, principali fornitori di armi di Baku, si sono diretti dal 30 settembre (dopo l’occupazione del Nagorno-Karabakh) verso l’Azerbajgian. Alcuni aerei specificamente militari, altri provenienti da basi aeree militari, tutti sospettati di trasportare merci militari» (Nagorno Karabakh Observer).
«Il Segretario di Stato americano, Anthony Blinken, ha avuto una conversazione telefonica con il Primo Ministro armeno, Nikol Pashinyan. Secondo Washington, si è discusso del sostegno degli Stati Uniti agli sforzi per raggiungere un accordo di pace duraturo e dignitoso tra Armenia e Azerbajgian. Il Segretario di Stato ha riaffermato il continuo sostegno degli Stati Uniti alla sovranità e all’integrità territoriale dell’Armenia e ha sottolineato gli sforzi per aumentare la cooperazione bilaterale con l’Armenia. “Stiamo lavorando per sostenere la sua visione per un futuro prospero e democratico”, ha detto Blinken, secondo il Portavoce del Dipartimento di Stato, Matthew Miller.
Secondo Yerevan, Pashinyan e Blinken hanno discusso questioni relative all’agenda della regione e alle relazioni bilaterali, riferendosi al processo di normalizzazione delle relazioni Armenia-Azerbajgian. L’ufficio del Primo Ministro armeno ha riferito che le parti hanno discusso anche dei problemi umanitari di oltre 100.000 sfollati forzati dal Nagorno-Karabakh, delle misure adottate dal governo armeno per affrontarli e hanno sottolineato l’importanza del sostegno della comunità internazionale.
In una conversazione telefonica con il Presidente dell’Azderbajgian, Ilham Aliyev, il Segretario di Stato americano ha sottolineato che sono consapevoli della sofferenza causata dal lungo conflitto sia agli Azerbajgiani che agli Armeni e ha sottolineato i benefici che la pace porterà alla regione. Miller ha notato che Blinken ha discusso delle relazioni permanenti degli Stati Uniti con l’Azerbajgian, ha menzionato gli ultimi punti problematici nelle relazioni, e ha parlato delle possibilità di rafforzare la cooperazione, soprattutto riguardo al processo di pace e dell’importanza del coinvolgimento ad alto livello.
È evidente che gli Stati Uniti continuano i loro sforzi affinché Armenia e Azerbajgian firmino un trattato di pace. Nonostante i passi isterici anti-occidentali dell’Azerbajgian, gli Stati Uniti continuano ad affermare che il trattato di pace sarà firmato in formati occidentali. Ciò consentirà a Washington di controllare pienamente l’attuazione dell’accordo. In effetti, sarà importante sia per l’Armenia che per l’Azerbajgian, perché entrambe le parti temono che l’accordo non venga rispettato. Gli Stati Uniti sono il centro che può effettivamente garantire l’attuazione dell’accordo di pace. Se l’Azerbajgian vuole una vera pace, dovrebbe raggiungere rapidamente un accordo con l’Armenia sulle questioni della demarcazione dei confini, dello sblocco delle strade, e poi firmare il trattato di pace nel formato di Washington.
Gli Stati Uniti hanno chiaramente detto all’Azerbajgian che le relazioni tra i due Stati non saranno normali finché non saranno risolte le relazioni con l’Armenia. È nell’interesse a lungo termine dell’Azerbajgian intrattenere relazioni normali con l’Occidente ed evitare la minaccia di sanzioni. Ciò è possibile solo se il contratto viene firmato su piattaforme occidentali. La Russia non può fungere da garante e oggi non è serio parlare di concludere un accordo sulla piattaforma di Mosca.
Si possono tenere incontri bilaterali tra Armenia e Azerbajgian ai fini di negoziati sostanziali, accordi sulla demarcazione dei confini e questioni relative al blocco. Bisogna però firmare il contratto a Washington. Si spera che gli Stati Uniti continuino a impegnarsi con la stessa determinazione e a guidare le parti verso la pace sotto gli auspici di Washington» (Roberto Ananyan – Nostra traduzione italiana dall’inglese).
Foto di copertina: la bellezza dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh (Foto di Marut Vanyan).