Մենք ենք մեր սարերը. Noi siamo le nostre montagne. Il messaggio del simbolo del popolo armeno dell’Artsakh

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 17.10.2023 – Vik van Brantegem] – La grande statua monumentale di Stepanakert Noi siamo le nostre montagne, che raffigura una donna e un uomo, è stata realizzata dallo scultore Sarghis Baghdasaryan e dall’architetto Yuri Hakobyan. Non ha basamento, per simboleggiare la sua unione con le montagne e la natura, poiché le teste sono saldamente ancorati al suolo per rappresentare la gente di montagna dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh. Il monumento fu eretto 56 anni fa, il 1° novembre 1967, sulla cima di un’alta collina a nord della capitale Stepanakert della Repubblica di Artsakh, lungo l’autostrada che porta a Khojaly (Ivanian, fino alla guerra dei 44 giorni del 2020, che portò la città in territorio azero).

Noi siamo le nostre montagne – In ricordo che la statua è stata eretta nel 1967 – Scultore Sarghis Baghadasaryan – Architetto Yuri Hakobyan.

Il padre dello scultore, Ivan Baghdasarian, era un costruttore e Sarghis adottò alcune delle tecniche di costruzione di suo padre. La scultura in realtà è un edificio realizzato con esterno in tufo vulcanico rosso, con un nucleo riempito di cemento. La massa fisica della scultura nasconde diversi misteri. Rappresenta un uomo e una donna che sembrano sepolti fisicamente nella terra fino al collo, dove i loro piedi invisibili sembrano toccare il nucleo della terra.

L’osservatore ha l’impressione che i corpi dei due anziani siano stati risucchiati nella montagna. Non hanno le braccia o le mani. Sono figure tacite, la donna ha una fascia sulla bocca a più strati, mentre le labbra dell’uomo sono impercettibili. Sembrano tormentati ma pazienti, con un sorriso sarcastico. I volti incombenti, creati attraverso soluzioni geometriche e schematiche, vengono spesso paragonati al Grande e Piccolo Monte Ararat. L’osservatore potrebbe confondere questa coppia di figure con altri esempi, come quelli sulle coste dell’Isola di Pasqua o con le teste elaborate cadute a Nemruth Dagh sulle vette dell’Anti-Tauro nella Turchia sud-orientale.

È evidente che i consulenti del monumento di Baghdasaryan e Hakobyan hanno fatto del loro meglio per essere politicamente ultracorretti, pur rispettando la volontà del popolo di Artsakh. Anche il suo nome ufficiale ha un tocco diplomatico: Տատիկ և Պապիկ (Tatik e Papik) in lingua armena orientale e Մամիկ եւ Պապիկ (Mamig e Babig) in lingua armena occidentale, che si traduce come Nonna e Nonno, mentre è chiamato comunemente Մենք ենք մեր սարերը (Noi siamo le nostre montagne), il nome che è inciso in armeno anche sul monumento stesso.

Lasciamo ai critici d’arte la diatriba sull’uso poco kosher del materiale di questo monumento, sulla sua massa plastica inarticolata, sulla sua ubicazione o sulle loro espressioni facciali passive. L’accettazione da parte del popolo armeno dell’Artsakh, del pubblico armeno in generale, soprattutto della diaspora, e a livello internazionale, è la prova del suo successo.

Nel corso dei secoli, le civiltà hanno eretto monumenti che sono diventati simboli permanenti di nazioni. Ad esempio, le piramidi rappresentano il loro tempo e il loro luogo. In tempi più recenti, la progettata da Gustave Eiffel, simboleggia Parigi. Nel frattempo, una modesta scultura sulla riva del Mar Baltico di Edvard Eriksen chiamata La Sirenetta è il simbolo di Copenaghen. Il Ponte di Rialto simboleggia Venezia, la Fontana di Trevi Roma, Mannekenpis Brussel, la scultura equestre del David di Sassoun in piazza della Stazione Yerevan.

In generale, l’accettazione da parte del pubblico di tali monumenti varia notevolmente. Com’è possibile oggi immaginare Parigi senza la sua Torre Eiffel? Mentre il suo design unico ha avuto un impatto tale sui Francesi dell’epoca, che hanno onorato il loro simbolo con il nome del suo autore. Altre nazioni restano indifferenti o scelgono di dimenticare l’artista. Il ponte di Rialto di Venezia era il prodotto di un concorso con un elenco di selezionati architetti rinascimentali come Michelangelo, Palladio e Sansovino; tuttavia, il concorso vinse Antonio da Ponte, che oggi nessuno ricorda. La Cattedrale di San Basilio è da secoli il simbolo di Mosca e la leggenda narra che lo Zar Ivan il Terribile durante l’inaugurazione dell’edificio ordinò alle sue guardie di accecare gli occhi dei fratelli Yakovlev, semplicemente per vietare loro di ripetere il loro disegno altrove.

Questi esempi elencati fanno capire l’importanza di un’opera simile, che, al di là di ogni dubbio, ha tutti gli attributi per simboleggiare il “luogo” creato dal suo scultore Armeno. Però, rispetto ad altre nazioni, gli Armeni restano indietro nell’apprezzamento dei loro artisti o architetti di prim’ordine. Tutti identificano visivamente Stepanakert con Noi siamo le nostre montagne, mentre solo pochi sanno che Sarghis Baghdasarian ne è lo scultore.

Questo artista ha realizzato il monumento Noi siamo le nostre montagne, che è il simbolo dell’Artsakh da oltre mezzo secolo, contro ogni previsione. È ampiamente considerato il simbolo dell’eredità armena dell’Artsakh e persino dell’identità armena nel suo insieme.

È prominente nello stemma dello Stato di Artsakh, designato da Lavrent Ghalayan, che raffigura un’aquila con le ali spiegate verso l’alto con i raggi del sole che emergono da essa. L’aquila è sormontata da una corona della Dinastia artasside. Al centro, su uno scudo, è raffigurato il simbolo della nazione, Siamo le nostre montagne“. Sullo sfondo appare la bandiera nazionale (sotto) ed il monte Metz Kirs (sopra). Sotto, gli artigli dell’aquila vi sono un grappolo d’uva, gelsi e spighe di grano. Sulla parte più alta dello stemma nazionale vi è una scritta in armeno orientale che recita Repubblica del Nagorno-Karabakh/Artsakh. L’emblema era esposto sul Palazzo del Parlamento finché non fu sostituito con quello dell’Azerbajgian, prima della visita di Ilham Aliyev di domenica 15 ottobre 2023 [QUI]).

Arrivato a Stepanakert in tenuta militare per la sua prima visita in assoluto, Ilham Aliyev ha fatto una foto con l’emblema nazionale dell’Artsakh. Questa dovrebbe essere la prima e ultima foto dell’autocrate di Baku sotto il simbolo statale della Repubblica di Artsakh. I commenti al post sui social in estasi.

Il monumento Noi siamo le nostre montagne di Stepanakert è esposto anche sulla rispettata spallina dei soldati dell’esercito di difesa della Repubblica di Artsakh.

Ilham Aliyev ha celebrato la sua vittoria con la sua forza degli armi gigantesca contro la minuscola forza di difesa di un piccolo popolo secolare, calpestando nel palazzo del governo della Repubblica di Artsakh la bandiera dell’Artsakh. Si potrebbe dire molto su quest’uomo, sul suo stato mentale, sulla sua mancanza di maturità e sulla società che ha creato. Si potrebbe dire che porta con orgoglio dentro di sé un’insicurezza ontologica, rendendolo incapace persino di dimostrare un atteggiamento dignitoso nei confronti del proprio successo. Ma un’immagine vale più di mille parole. Questo uomo può anche camminare nel mondo civile, ma non sarà mai civilizzato. Rimarrà sempre un predatore nomade Tartaro, calpestando la civiltà e la democrazia.

Lo scultore Sarghis Baghdasarian, nato a Banadzor nel distretto di Hadrut in Artsakh il 5 settembre 1923 all’età di sette anni si trasferì la sua famiglia a Yerevan dove è morto il 19 giugno 2001. Ha studiato presso la Scuola Pushkin e il gruppo scultoreo dei Pionieri Palazzo “Ghukas Ghukasian”. Ha partecipato alla mostra repubblicana I nostri giovani creatori e ha vinto il primo premio. Durante la Seconda Guerra Mondiale, Baghdasarian studiò presso la Scuola di artiglieria N. 1 di Baku (1942) e si diplomò con il grado di tenente. In seguito combatté valorosamente su più fronti fino alla fine della guerra nonostante fosse ferito due volte. Fu decorato due volte e ricevette anche numerose medaglie di guerra e attestati di merito. Dopo essere dimesso nel 1946, Baghdasarian iniziò la carriera artistica. Ha studiato all’Istituto d’Arte di Yerevan dal 1946 al 1952. Ha iniziato a insegnare alla sua alma mater nel 1962 ed è diventato professore nel 1980. Nella sua fase iniziale, ottenne risultati impressionanti con le sue sculture. Divenne famoso prima nella Repubblica Socialista Sovietica di Armenia e nell’URSS. Le sue opere furono molto richieste da tante città e istituzioni dell’URSS e successivamente in Bulgaria, Francia, Italia, e infine durante l’EXPO 67 a Montreal. Ha conseguito il titolo di Pittore Popolare dell’Armenia nel 1978 e ha vinto il Premio di Stato dell’Armenia nel 1985. È stato autore di diversi busti (Avetik Isahakian e Hagop Baronian nel 1965) e monumenti (David Bek nel 1978), nonché della statua Il Pensatore nella Città di Carrara (1966).

Nel 1965, in occasione del 50° anniversario del genocidio armeno, in tutto il mondo furono eretti numerosi monumenti commemorativi. Il regime sovietico iniziò a consentire libertà di viaggio all’estero senza precedenti e tollerò espressioni pubbliche compresse in passato. Gli Armeni della Repubblica Socialista Sovietica di Armenia iniziarono a mettere alla prova la pazienza delle autorità con slogan come: «Le nostre terre, le nostre terre». Con tali azioni riuscirono a raggiungere l’impensabile. In effetti, l’erezione del Monumento al Genocidio per 1,5 milioni di vittime armene nel 1915, stabilì sia un nuovo standard a livello politico, sia nuovi e audaci standard di progettazione architettonica, che hanno prodotto edifici moderni senza precedenti.

Gli Armeni dell’Oblast Autonomo di Nagorno-Karabakh nella vicina Repubblica Socialista Sovietica di Azerbajgian osservarono tacitamente questi sviluppi nella vicina Repubblica Socialista Sovietica di Armenia. Si resero conto che le vecchie condizioni staliniane si stavano cambiando. Poco dopo, nel 1965, il governo del Nagorno-Karabakh invitò ufficiosamente Sarghis Baghdassarian, originario dell’Artsakh, ad esporre la sua collezione di sculture a Stepanakert. Questa mostra ha dato all’artista l’idea di creare un monumento che riflettesse la volontà e le aspirazioni collettive del popolo dell’Artsakh. In effetti, il suo Artsakhtzis (precedentemente esposto a Carrara, in Italia) divenne il modello principale del monumento che aveva in mente.

La collocazione fisica del monumento è avvenuta attraverso uno stretto processo di consultazione tra le autorità sovietiche dell’Artzakh e l’artista. Infine, nel 1967, nacque il monumento Noi siamo le nostre montagne, collocato su una collina appartata, vicino alla capitale Stepanakert.

L’erezione del monumento fu contrastata con veemenza dalle autorità sovietiche azere, che manifestarono il loro disagio nei confronti del progetto. In quegli anni, nell’URSS le questioni interetniche venivano risolte in modo diverso. Quindi, il monumento a Stepanakert fu costruito e per placare le emozioni del governo azero, nel 1969 Baghdasarian scolpì un memoriale dedicandolo alle vittime di Chardakhlu, nella Repubblica Socialista Sovietica di Azerbajgian. Il caso fu chiuso, ma dopo la fine dell’URSS le antiche questione riapparvero.

Il piccolo villaggio armeno di Chardakhlu nel territorio dell’Azerbaigian, la cui storia inizia dal regno di Van e dove si conservano resti delle fortezze del periodo Urartu e khachkar (pietre crociate armene), è noto per i suoi 2 Gran Marescialli dell’Unione Sovietica, 12 Generali, più di 50 Colonnelli e 7 Eroi dell’Unione Sovietica. Inviò 1.250 uomini a combattere nella Grande Guerra Patriotica e 853 di loro ricevettero ordini e medaglie. Chardakhlu ha dato Generali anche all’esercito dello Zar e il Maggiore Generale Margaryan che era anche il medico di Zar Nicola I.
Nel settembre-ottobre 1987 il Primo Segretario del comitato distrettuale del distretto di Shamkir del Partito Comunista dell’Azerbaigian entrò in conflitto con la popolazione del villaggio in relazione alle loro proteste contro il licenziamento del direttore armeno del sovkhoz locale, e la sua sostituzione con un azero. Gli abitanti del villaggio furono picchiati dalla polizia. Questo è considerato il primo evento violento del conflitto del Nagorno-Karabakh. Alla fine di novembre 1988 tutti gli Armeni residenti furono sfollati con la forza dal loro villaggio natale e si stabilirono in Armenia, nel villaggio di Zorakan o in uno dei villaggi vicino a Yerevan. Successivamente il villaggio è stato ripopolato da rifugiati Azeri provenienti dall’Armenia ed è stato ribattezzato Chanlibel nel 1990.
Gli Azeri hanno distrutto il cimitero del villaggio e lo hanno trasformato in terra coltivabile. Nel 1989 hanno distrutto anche il monumenti dedicato agli eroi della Grande Guerra Patriottica, compresi i due Gran Marescialli dell’Unione Sovietica, Hovhannes Baghramyan e Hamazasp Babajanyan.

Durante l’Eurovision Song Contest 2009 a Mosca, Noi siamo le nostre montagne fu incluso, tra gli altri simboli locali, nella “videocartolina” introduttiva che precedeva l’esibizione armena. I rappresentanti dell’Azerbajgian si sono lamentati con l’Unione Europea di Radiodiffusione (EBU) dell’uso del monumento nell’introduzione armena, poiché il territorio del Nagorno-Karabakh è de jure parte dell’Azerbajgian. In risposta alla protesta, l’immagine fu eliminata dal video nelle finali. Tuttavia, in risposta alle proteste azere durante la prima semifinale, l’Armenia ha mostrato l’immagine del monumento su uno schermo video nella piazza principale di Yerevan, che si vedeva in sottofondo mentre Sirusho, la cantante pop armena Siranush Harutyunyan, imparentata con la famiglia presidenziale armena, annunciava i voti per il suo Paese mostrando il monumento sul retro degli appunti, facendo infuriare nuovamente gli Azeri.

Tra le diverse polemiche nate durante l’Eurovision Song Contest 2009, a parte del monumento simbolo dell’Artsakh, la polemica più grossa era arrivata con una delle canzoni in concorso, Jan Jan del duo armeno Inga & Anush. Il primo motivo di scontro era il fatto che le due cantanti si presentano sul palco accompagnate da immagini che raffigurano le montagne dell’Artsakh e prima di cantare i due dicono: «Noi siamo le nostre montagne». La televisione di stato azera Ictimai Tv al momento dell’esibizione del duo, ha sfocato volontariamente l’immagine e distorto il segnale.

Ma le polemiche non finirono qui. Il Servizio di Sicurezza Nazionale azero riusciì a scoprire, grazie ai tabulati del televoto ottenuti dalla compagnia telefonica, i dati dei 43 Azeri che avevano votato per la canzone dell’Armenia; sono stati interrogati e accusati di tradimento e potenziale pericolo per il Paese. La vicenda inevitabilmente fece scalpore e si parlava a lungo di una squalifica della televisione azera per 2010, rea di aver violato la privacy e la libertà di voto, ma alla fine se la cavava con una multa di appena 2.700 euro, soltanto per un buco del regolamento, che non prevede la responsabilità oggettiva della televisione in questi casi (cioè, non può essere punita per una colpa della compagnia telefonica). Dal 2010 verrà introdotta questa clausola, vincolando dunque le televisioni al controllo e al rispetto della privacy.

Il 5 settembre 2023 correva il centenario della nascita di Sarghis Baghdasarian e due settimane dopo, il 19 settembre, le forze armate dell’Azerbajgian hanno completata l’occupazione dell’Artsakh con l’aggressione terroristica. I drammatici mesi dell’assedio e i giorni dell’ultima guerra hanno portato allo sfollamento forzato in pochi giorni di tutti gli Armeni dall’Artsakh. Noi siamo le nostre montagne è rimasto lì, continuando a svolgere il suo ruolo fondamentale per gli anni a venire, aspettando pazientemente la sua vittoria finale. Le sue espressioni artistiche così semplici sono più potenti dei spargimenti di sangue e degli sconvolgimenti politici. In realtà, questo gigante è una dichiarazione universale di amore per la pace e per le sue montagne del popolo di Artsakh.

Il 29 settembre 2023, lo stesso giorno della presa del potere dell’Azerbajgian a Stepanakert, dopo l’aggressione terroristica all’Artsakh intrapresa dieci giorni prima e il successivo sfollamento con la forza dell’intera popolazione armena, l’agenzia stampa statale azera Trend ha riferito che «Araz Imanov, Il Consigliere senior dell’Ufficio di rappresentanza speciale del Presidente dell’Azerbajgian nei territori dell’area economica del Karabakh liberata dall’occupazione, ha condiviso una fotografia da Khankendi su Facebook». Imanov ha scritto nel commento alla foto: «Signor Presidente, grazie ai martiri, ai veterani, al nostro esercito e al nostro popolo! Khankendi, Karabakh, Azerbajgian».

Secondo i social media azeri, il funzionario Imanov, che ha scattato e diffuso la foto con la bandiera dell’Azerbajgian appeso sul monumento Noi siamo le nostre montagne a Stepanakert, è stato licenziato. Gli Azeri commentano che molto probabilmente è stato licenziato per questa foto, perché l’ha scattato e diffuso prima che potesse farlo Ilham Aliyev. Plausibile, conoscendolo.

Adesso, che Stepanakert è nel potere autocratico di Ilham Aliyev, si teme per le sorti del monumentale simbolo dell’Artsakh, perché la disgustosa autocrazia dell’Azerbajgian ha dichiarato di aver l’intenzione di distruggere Noi siamo le nostre montagne, sempre nel nome della “reintegrazione dei cittadini di etnia armena della regione economica del Karabakh in Azerbajgian”.

Da subito, Aliyev ha dichiarato guerra agli insegni in lingua armena e alle croci in Artsakh. Subito dopo il 29 settembre 2023, è stata abbattuta la grande croce sulla montagna sopra Stepanakert.

«Mentre il Papa invita l’Azerbajgian a rispettare l’eredità cristiana armena nel Nagorno-Karabakh, Aliyev ordina la rimozione delle croci dalle chiese di Stepanakert prima della sua visita nella città occupata. Un altro esempio dell’odio anti-armeno e del comportamento anti-cristiano di Aliyev» (Tatevik Hayrapetyan, già Deputato dell’Assemblea Nazionale della Repubblica di Armenia).

Durante i settanta anni del regime sovietico, gli Armeni non hanno ceduto al volere degli Azeri. Anche se oggi, dopo trent’anni di sanguinose guerre inconcludenti, l’Azerbajgian ha avuto il sopravvento con la forza, lo scopo esistenziale ultimo del monumentale simbolo continuerà a portare avanti la sua missione. Per i tempi a venire sono necessarie perseveranza, tenacia e volontà d’acciaio. Conoscendo la gente e la storia del Caucaso meridionale, dobbiamo rimanere ottimisti, sperando che ancora una volta gli Armeni resistano alla prova con l’ingegno e la dignità che li caratterizzano.

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