Il ‘Codice di Camaldoli’ una guida ancora oggi per i cattolici in politica

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“La partecipazione alla crescita democratica della società civile e delle istituzioni ha oggi bisogno di donne e di uomini cristiani, consapevoli della loro fede, che testimonino, in ogni ambito del vivere comune, la loro ispirazione, i valori e i comportamenti che la loro fede continua a fermentare, senza i quali questa società non sarà migliore. L’individualismo esasperato di oggi non restituisce alle persone la libertà sperata, la felicità cercata, bensì il consumo di sé stessi. Abbiamo bisogno di recuperare la passione dell’altro, il riconoscimento dell’altro, l’accoglienza dell’altro”.

Così ha detto il card. Pietro Parolin, segretario di Stato Vaticano, durante la celebrazione eucaristica conclusiva del convegno per ricordare gli 80 anni del Codice di Camaldoli, organizzato dalla Cei, dalla comunità di Camaldoli e da ‘Toscana Oggi’ nel monastero toscano, che ha sottolineato la necessità di “aumentare i luoghi di incontro, di formazione, le occasioni di riflessione comune non solo sui temi civili e sociali, ma anche su quelli della fede: sia nella forma ecclesiale (il Sinodo in corso, voluto da papa Francesco, ne è un’espressione); sia nella forma laicale, attraverso un autonomo e responsabile esercizio di laicità del credente”.

Partendo da queste parole è bene ricordare che il ‘Codice di Camaldoli’ è un documento programmatico elaborato nel luglio 1943 da un gruppo di intellettuali di fede cattolica, che tratta tutti i temi della vita sociale: dalla famiglia al lavoro, dall’attività economica al rapporto cittadino-stato, come ha spiegato bene nella relazione introduttiva il prof. Tiziano Torresi, docente di Storia delle Istituzioni Politiche all’Università degli Studi Roma Tre e consulente scientifico della Fondazione ‘Camaldoli Cultura’:

“Ritornare, ricominciare, ripartire da Camaldoli senza consapevolezza della storia significa contraddirne lo spirito. Perché se una lezione si può trarre da quelle vicende è che in esse i cattolici italiani, come in altre, decisive svolte nella storia del Paese, hanno saputo inventare qualcosa di nuovo e di grande perché hanno avuto il coraggio di guardare avanti, non indietro.

Non come epigoni dell’ieri ma come pionieri del domani. A chi vagheggiava ritorni al passato, De Gasperi, già nel 1935, rispondeva che è ‘una legge storica che una esperienza troppo fatta non possa essere ricominciata’.

Non molti sanno che fu solo la difficoltà del rifornimento della carta a impedire l’inserzione di un foglio bianco a fronte di ogni pagina del Codice di Camaldoli, così da facilitare la stesura di nuove annotazioni e commenti. E’ sui fogli bianchi che scrive il futuro”.

Al professore di Storia delle Istituzioni Politiche abbiamo chiesto di spiegarci il motivo, per cui c’è stato bisogno di ricordare il ‘Codice di Camaldoli’: “Perché sul ‘Codice di Camaldoli’ c’è stata spesso un’attenzione motivata più dall’interesse politico che da autentiche ragioni storiografiche. Il Codice, citato più che studiato, ha assunto così un carattere quasi mitologico.

Oggi invece si può guardare a vicende, idee e personalità con meno pregiudizi, con la necessaria distanza e con la dovuta sapienza storiografica. Distanza non comporta un neutrale distacco dagli eventi. Comporta sottrarli dal fuoco della controversia, dalla litania del rimpianto o dalla lusinga di improvvisati revival. La consapevolezza storica diventa in questo modo una fonte di ispirazione per il presente”.

Per quale motivo nacque il testo?

“Per rispondere all’urgenza di uscire dal silenzio degli intellettuali cattolici dopo il fascismo. C’è un legame profondo tra la storia italiana, dai primi segnali di crisi del regime fascista sino alla Liberazione, e la storia del Codice di Camaldoli. Le tappe di questo percorso sono momenti nei quali la vocazione di cristiani e la coscienza di cittadini hanno saputo tradurre la lezione della storia in intuizioni e in scelte coraggiose per il futuro dell’Italia”.

Quale era la ‘visione’ del ‘codice di Camaldoli’?

“Si trattò anzitutto di una visione orientata alla ricostruzione di una nuova etica civile basata sul senso responsabile della cittadinanza, prendendo a cuore i problemi del Paese. C’era l’urgenza di saldare i vincoli di una nuova etica civile, di propiziare un profondo rinnovamento morale della nazione basato su una cittadinanza responsabile.

Si trattava anche di saper gestire la drammatica sconfitta dell’Italia e di organizzare la Resistenza. L’elaborazione del Codice fu dunque parte di un vasto campo di ricerche per convogliare l’energia dell’antifascismo verso nuove prospettive istituzionali e civili”.

Dopo 80 anni il ‘Codice di Camaldoli’ è ancora valido?

“Sì, perché ci insegna anzitutto a non aver paura della storia e a guardare con fiducia al domani. Poi ci insegna il valore della competenza, della libertà e della responsabilità di costruire una società migliore e plurale. Infine ci indica che i valori cristiani, siano pure non negoziabili, impastati con la viva materia della storia, dei suoi drammi, delle sue gioie e delle sue speranze, possono essere arricchiti e precisati”.

‘Non è saggezza lasciarsi rimorchiare dalla storia, bensì il saperla dominare. I cattolici devono scendere dal puro mondo concettuale e dall’astrattezza dei principi, per applicare questi alla vita. Devono uscire dalla torre d’avorio della verità posseduta per andare incontro a quanti cercano la verità”: come attuare oggi queste parole di mons. Bernareggi?

“Recuperando lo stile del Codice, basato sull’apertura al confronto, sul dialogo attorno alle idee e soprattutto orientato con fiducia al futuro. Anche oggi i cattolici italiani possono essere una voce qualificata tra le forze sane del Paese che contribuiscono alla costruzione del bene comune; non mancano idee, risorse, motivazioni, per porsi sul piano dell’argomentazione pubblica con serietà e rispetto verso tutti. Spetta ai cattolici inventare spazi nuovi per esprimere queste energie”.

Partendo dal ‘Codice di Camaldoli’ quale visione per il futuro della democrazia?

“Dal Codice scaturisce un impegno di fedeltà alla Costituzione repubblicana. I redattori furono mossi da un comune impegno di ricerca, di ricostruzione, di affermazione di un ordine sociale diverso, di uno Stato nuovo, che facesse propria la causa della giustizia sociale come concreta espressione del bene comune, per rimuovere gli ostacoli al pieno sviluppo della persona, per rendere sostanziale l’uguaglianza fra i cittadini.

Ciò che costituisce l’architrave della nostra Costituzione, frutto di idealità e di sensibilità politiche profondamente diverse ma anche risultato di una capacità di confronto e di visione basata su una comune consapevolezza dei valori della persona umana, della giustizia e della libertà”.

(Tratto da Aci Stampa)

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