#ArtsakhBlockade. Aliyev sta commettendo la pulizia etnica nel Caucaso meridionale sotto i nostri occhi

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 09.08.2023 – Vik van Brantegem] –  L’Azerbajgian farà morire di fame l’Artsakh in modo che non porrà condizioni. Ecco il significato del messaggio che manda Elchin Amirbayov, il Rappresentante del Presidente della Repubblica dell’Azerbajgian per incarichi speciali, nell’ampia intervista che ha rilasciato al quotidiano francese Le Monde [QUI], quando dice: «Se stai davvero morendo di fame, non dovresti porre condizioni». Ha confessato francamente che l’Azerbajgian ha chiuso il Corridoio di Lachin e usa l’arma della fame come strumento politico contro la popolazione del Nagorno-Karabakh.

I camion armeni che trasportano aiuti umanitari dall’Armenia al Nagorno-Karabakh, bloccati non lontano dal checkpoint, illegalmente installati dall’Azerbajgian presso il ponte Hakari, all’ingresso del Corridoio di Lachin bloccato, l’unico collegamento terrestre del Nagorno-Karabakh con l’Armenia (Foto di Karen Minasyan/AFP).

A seguito del drammatico appello di ieri [QUI] – «Agite e fermate questo genocidio del popolo dell’Artsakh prima che sia troppo tardi» – del Presidente della Repubblica di Artsakh, Arayik Harutyunyan, riportiamo la lucida analisi di Tatevik Hayrapetyan Hayrapetyan su EVN Report – per far capire anche ai politici nostrani, che spargono di petali di rose l’elmo di Ilham Aliyev i cambio del suo gas (riciclato russo) – cosa ha in mente l’autocrate negazionista genocida ricco di idrocarburi sul Mar Caspico. Oltrettutto, con la bocca larga non ne fa misteri, come ha sottolineato lui stesso. Quindi, basta ascoltarlo e osservare le sue azioni. A parte di studiare un po’ di storia e capire che l’Azerbajgian è più giovane della Coca Cola e che i nomadi Tartari che l’hanno creato non riconoscono l’attaccamento alle terre ancestrali degli Armeni, essendo loro dei nomadi, appunto.

«Il senso di impunità di Aliyev ha raggiunto un punto in cui nemmeno ai giornalisti internazionali è consentito l’ingresso per riferire sulla situazione dal terreno, per fare luce sulla questione, per incontrare e intervistare personalmente gli Armeni che sono sottoposti a gravi torture morali e psicologiche. Anche nei luoghi dove si sono verificati crimini contro l’umanità, come il Darfur o il Rwanda, c’è stata una presenza internazionale per documentare le atrocità. Ciò che Aliyev sta facendo contro gli armeni in Nagorno-Karabakh è davvero senza precedenti».

Questa impunità permette ad un personaggio come Adnan Huseyn di scrivere: «L’Azerbajgian ha offerto la strada di Aghdam per la consegna di cibo e medicine. Qualsiasi madre di un bambino affamato CHIEDEREBBE che questa strada fosse utilizzata! Metterebbe da parte la propaganda, dimenticherebbe tutto il resto, solo per nutrire suo figlio! Allora, dove sono queste madri? Occupate a montare immagini?»

Questo troll negazionista razzista armenofobo – già attivo come portavoce ufficioso dall’inizio del blocco del Corridoio di Lachin ad opera dei finti “ecoattivisti” organizzati dallo Stato azero – afferma che l’Azerbajgian ha chiuso il Corridoio di Berdzor (Lachin), che non è chiuso. Ecco, nonostante la firma di Aliyev sotto l’accordo trilaterale del 9 novembre 2020 che garantiva il movimento senza ostacolo in ambedue le direzioni di persone, veicoli e merci, niente può entrare o uscire dall’Artsakh senza il permesso dell’Azerbajgian. E niente fa entrare, causando la carestia, la morte per fame. Poi, dopo aver chiuso la strada Goris-Berdzor (Lachin)-Shushi-Stepanakert del collegamento diretto tra Armenia e Arsakh, “offre” la strada via Akna (Aghdam) dall’Azerbajgian. La strada presentata come “alternativa” dall’Azerbajgian (rifiutata anche dalla comunità internazionale) è un inganno e in realtà una pericolosa trappola per mettere l’Artsakh sotto il controllo genocida di Baku. Aliyev usa la fame per costringere gli Armeni dell’Artsakh di integrarsi in Azerbajgian o di andarsene, militarizza la fame per poi accusare i madri dell’Artsakh di far morire i loro figli per propaganda.

«Se la guerra viene normalizzata come strumento per risolvere i problemi nel Caucaso meridionale, alla fine aprirà un vaso di Pandora di nuova aggressività e instabilità in tutto il mondo, causando ancora più sofferenza umana. La palla è nel campo dei mediatori. Hanno tutti gli strumenti necessari; ciò che è richiesto è la volontà di agire».

La guerra era la missione della vita di Aliyev
Come potrebbe essere interessato alla vera pace?
di Tatevik Hayrapetyan
EVN Report, 8 agosto 2023

(Nostra traduzione italiana dall’inglese)

A cosa allude Aliyev?

Durante un recente forum mediatico nella città di Shushi occupata, il Presidente dell’Azerbajgian, Ilham Aliyev, ha chiesto retoricamente quanti messaggi devono essere inviati prima che la parte azera sia compresa. Ha difeso l’istituzione da parte di Baku di un checkpoint di frontiera sul Corridoio di Lachin, affermando che i passi compiuti erano “logici, giustificati, legittimi, competenti e sufficientemente coraggiosi”. Ha continuato: “Nonostante non sia stato accolto immediatamente e interamente da tutte le parti; queste azioni alla fine sono state percepite come legittime. Servivano anche come messaggio. Ma quante volte dobbiamo inviare messaggi? Quanti suggerimenti sono sufficienti? Non era sufficiente? L’operazione Farrukh, le situazioni al confine tra Armenia e Azerbajgian nel maggio 2021 e nel settembre 2022 e il checkpoint di frontiera […] Sono davvero così ottusi?”

Durante il forum del 21 luglio, Aliyev ha riunito oltre 100 giornalisti di vari Paesi per comunicare che non c’è più alcun conflitto, blocco o fame nell’Artsakh. Ha presentato questo come un’ottima opportunità per gli investimenti internazionali. Tuttavia, la sua ossessione per il successo militare ottenuto nella guerra dell’Artsakh del 2020, con l’assistenza della Turchia, lo ha portato a mostrare apertamente la sua animosità verso il popolo armeno, accompagnata da una retorica aggressiva.

Aliyev ha ammesso che sono state condotte diverse azioni aggressive contro l’Armenia e il Nagorno-Karabakh con l’intenzione di “inviare un messaggio”. È interessante notare che, mentre in precedenza Aliyev giustificava le sue azioni con false narrazioni sulle “provocazioni” da parte armena, ora confessa indiscutibilmente che tutte queste azioni, con conseguenti perdite territoriali e umane, erano operazioni ben pianificate volte a trasmettere un messaggio. Successivamente, lo stesso Aliyev spiega l’essenza del messaggio: “Mi è stato detto molte volte dai mediatori durante l’occupazione che ‘la prima guerra del Karabakh è finita così, quindi devi accettare la realtà’. Ma io non le accettavo e non le accetto. Lo ripeto: accetta queste realtà, e queste realtà cambieranno solo – se lo faranno – non a beneficio né dell’Armenia né della minoranza armena in Karabakh. Pertanto, spero che ascolteranno queste parole e trarranno la giusta conclusione”.

Pertanto, il chiaro messaggio proveniente dall’autocrate di Baku è che se i negoziati falliscono, la forza o la minaccia della forza saranno usate per raggiungere i suoi obiettivi. Secondo Aliyev, lui ha il potere di cambiare la realtà sul campo e di farla rispettare all’Armenia e al Nagorno-Karabakh. Inoltre, Aliyev ha descritto la dichiarazione trilaterale del 9 novembre 2020 come un “atto di capitolazione”, indicando che dietro l’attuale “accordo di pace”, si aspetta un altro atto di “capitolazione”, in cui l’Armenia si arrende completamente e l’Azerbajgian continua a chiedere sempre di più, senza alcuna reale intenzione di scendere a compromessi.

In che modo Aliyev ha normalizzato l’uso della forza?

In una recente intervista con Euronews, Aliyev è stato interrogato sulla missione della sua vita. Ha risposto che vincere una guerra era la missione della sua vita, che ha raggiunto con successo. Questa candida dichiarazione suggerisce che Aliyev abbia sempre finto di impegnarsi in negoziati di pace, quando in realtà non ha mai cercato una soluzione compromessa e pacifica al conflitto del Nagorno-Karabakh. Si stava preparando per la guerra.

Anche dopo la guerra dei 44 giorni, uno dei principi fondamentali necessari per una soluzione pacifica nel Nagorno-Karabakh è rimasto inalterato: il diritto all’autodeterminazione degli Armeni dell’Artsakh.

Dopo la guerra dell’Artsakh del 2020, il 3 dicembre, i Co-Presidenti del Gruppo di Minsk dell’OSCE [USA, Russia e Francia] hanno rilasciato una dichiarazione congiunta, ribadendo la loro “posizione coerente e unita a favore di una soluzione negoziata, globale e sostenibile per tutte le rimanenti questioni fondamentali del conflitto”. La dichiarazione ha sottolineato che la soluzione non può essere raggiunta con la forza e che ci sono principi fondamentali, compreso il diritto all’autodeterminazione, che non possono essere ignorati.

Il 13 aprile e il 5 maggio 2021 sono state rilasciate due dichiarazioni significative. In queste dichiarazioni, i Co-Presidenti hanno espresso la loro disponibilità “a riprendere le visite di lavoro nella regione, compreso il Nagorno-Karabakh e le aree circostanti”. Queste dichiarazioni sono servite come importanti promemoria per l’Azerbajgian che l’uso della forza non può affrontare i principi fondamentali e l’essenza del conflitto.
Indubbiamente, l’attuale governo armeno non è riuscito a gestire la situazione con saggezza e ha commesso numerosi errori che hanno contribuito indirettamente alla giustificazione e alla minaccia della forza.

Il 13 aprile 2021, il Primo Ministro armeno Pashinyan ha tenuto un discorso al Parlamento armeno. Ha dichiarato: “…oggi la comunità internazionale ci dice di nuovo ‘abbassate il vostro punto di riferimento sullo status del Nagorno-Karabakh e assicurate un maggiore consolidamento internazionale intorno all’Armenia e all’Artsakh’. Altrimenti, la comunità internazionale dice, ‘per favore non fare affidamento su di noi, non perché non vogliamo aiutarvi, ma perché non possiamo aiutarvi’”.

La dichiarazione segnalava che il governo armeno stava abbandonando il proprio programma e non avrebbe più sostenuto il diritto all’autodeterminazione per gli Armeni dell’Artsakh. In cambio, hanno ricevuto una vaga promessa dalla comunità internazionale relativa alla sicurezza dell’Armenia e alcune garanzie di sicurezza di base per gli Armeni dell’Artsakh. Due anni dopo, l’Artsakh si trova in un blocco totale, con 120.000 Armeni che affrontano serie sfide legate al cibo, alle medicine e alla sicurezza. L’efficacia del cosiddetto “grande consolidamento internazionale” nel cambiare la situazione e porre fine al blocco è indubbiamente discutibile.

Un altro errore significativo è stato riconoscere il Nagorno-Karabakh come parte dell’Azerbajgian senza ottenere alcun vantaggio in cambio né per l’Armenia né per l’Artsakh. Il Presidente Aliyev non ha mai riconosciuto pubblicamente l’integrità territoriale dell’Armenia. Al contrario, ha propagato la narrativa dell'”Azerbajgian occidentale”. L’anno scorso, subito dopo il blocco del Corridoio di Lachin, ha affermato con coraggio che “l’Armenia non era mai stata presente prima in questa regione. L’Armenia di oggi è la nostra terra”.

Riconoscendo il Nagorno-Karabakh come parte dell’Azerbajgian senza un adeguato impegno internazionale sul campo, il governo armeno si è posto in una pericolosa trappola. Aliyev ha preso questo riconoscimento come semaforo verde per le sue azioni criminali contro gli Armeni dell’Artsakh. Per Aliyev, l’uso della forza è diventato uno strumento efficace, che spinge l’Armenia a fare ulteriori concessioni. Nel ragionamento di Aliyev, può realizzare i suoi piani massimalisti provocando tensioni sul terreno, perché la parte avversaria è disposta a rinunciare di conseguenza ai suoi diritti essenziali.

Come risultato delle politiche di Pashinyan, che contraddicono il programma del suo partito politico presentato durante le elezioni parlamentari del 2021, sia l’Armenia che l’Artsakh sono diventate più vulnerabili. Tuttavia, Pashinyan afferma che queste decisioni erano basate su suggerimenti della comunità internazionale. Non è chiaro chi costituisca esattamente questa comunità, ma presumibilmente sono loro che facilitano i negoziati tra le parti. I principali mediatori sono Washington, Mosca e Brussel. Nonostante i colloqui attivi e l’occasionale ottimismo ingiustificato espresso dai mediatori, la situazione sul campo peggiora di giorno in giorno.

I mediatori condividono la responsabilità?

Durante i colloqui tra Aliyev e Pashinyan a Brussel il 15 luglio scorso, mediati dal Presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, l’Azerbajgian ha espresso la volontà di fornire aiuti umanitari attraverso Aghdam. A seguito di tali colloqui, Michel ha affermato nelle sue osservazioni alla stampa di considerare importanti le opzioni di consegne umanitarie da Aghdam e attraverso il Corridoio di Lachin e “incoraggia le consegne umanitarie da entrambe le parti per garantire che i bisogni della popolazione siano soddisfatti”.

Tuttavia, questa affermazione rappresenta un pericolo segnalando a Baku che le loro false narrazioni possono essere accettate nelle discussioni internazionali. Si può immaginare una situazione in cui la Russia imponga un blocco totale agli Ucraini e quando la Russia suggerisce “aiuti umanitari”, i funzionari dell’Unione Europea lo accolgono con favore? È dubbio che un tale scenario sarebbe accettato. Tuttavia, sembra esserci una grave mancanza di comprensione nell’Unione Europea in merito al potenziale danno che tali dichiarazioni possono causare agli Armeni dell’Artsakh.

Le azioni dell’Azerbajgian hanno dimostrato che l’apertura della strada per Aghdam sarebbe disastrosa per gli Armeni dell’Artsakh. Durante un’evacuazione medica il 29 luglio, le guardie di frontiera azere hanno arrestato Vagif Khachatryan, un armeno di 68 anni del Nagorno-Karabakh, al checkpoint di Lachin mentre era accompagnato dal personale del Comitato Internazionale della Croce Rossa mentre si recava in Armenia per cure mediche. L’Azerbajgian lo ha accusato di essere un “criminale di guerra”. Usando questa logica, quasi tutti i residenti maschi del Nagorno-Karabakh rischiano di essere arrestati. L’apertura della strada per Aghdam potrebbe portare a una serie di sequestri e arresti.

Un altro pericoloso risultato potenziale è che se il Nagorno-Karabakh diventa interamente dipendente dall’Azerbajgian, Baku respingerà prontamente qualsiasi suggerimento di impegnarsi in colloqui con Stepanakert attraverso meccanismi internazionali. L’Azerbajgian ha già rifiutato la proposta degli Stati Uniti di incontrare Stepanakert in uno degli Stati membri dell’Unione Europea. Questo potrebbe servire come un altro mezzo per Baku per escludere il coinvolgimento internazionale nel Nagorno-Karabakh. Inoltre, legittimerebbe la chiusura del Corridoio di Lachin, il cui continuo uso libero è stato un punto cruciale della dichiarazione trilaterale del 9 novembre 2020.

Pertanto, accettando la narrativa dell’Azerbajgian come ragionevole durante i negoziati, l’Unione Europea sta legittimando le azioni di Aliyev. Queste azioni mirano a portare avanti una politica di pulizia etnica o allontanamento forzato della popolazione indigena armena dall’Artsakh.

Dopo i colloqui trilaterali del 25 luglio a Mosca tra i capi dei Ministeri degli Esteri di Armenia, Azerbajgian e Russia, è emersa un’altra pericolosa narrativa. Nella sua dichiarazione, il Ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov, ha affermato che “la parte armena comprende la necessità di convincere gli Armeni del Nagorno-Karabakh a incontrare i rappresentanti dell’Azerbajgian il prima possibile per coordinare i diritti derivanti dalla legislazione pertinente e dagli obblighi internazionali (in questo caso l’Azerbajgian), comprese numerose convenzioni per garantire i diritti delle minoranze nazionali”.
Il Ministro degli Esteri armeno, Ararat Mirzoyan, ha dichiarato in un’intervista: “La posizione della parte armena riguardo alla necessità di affrontare i diritti e le questioni di sicurezza del popolo del Nagorno-Karabakh nel contesto del raggiungimento di una pace duratura nella regione non è cambiata. Abbiamo ripetutamente sottolineato che questi problemi dovrebbero essere affrontati attraverso il dialogo Baku-Stepanakert e l’efficacia di tale dialogo può essere garantita solo attraverso un impegno internazionale, nell’ambito di un meccanismo internazionale efficace”.

Una preoccupazione principale è che i mediatori sembrano aver già deciso l’esito dei negoziati ancor prima che inizino. Nello specifico, hanno deciso che il Nagorno-Karabakh entrerà a far parte dell’Azerbajgian. Questa situazione contraddice il diritto degli Armeni dell’Artsakh a condurre una vita dignitosa e normale nella loro patria.

La politica statale dell’Azerbajgian è evidente. Nonostante la devastante guerra del 2020, la maggior parte degli Armeni dell’Artsakh è tornata per ricostruire le proprie vite, andando contro il piano di Aliyev di risolvere definitivamente la questione dell’Artsakh. Di conseguenza, ciò che non è stato ottenuto con la guerra viene ora perseguito attraverso un blocco totale, con l’obiettivo di spingere le persone a lasciare l’Artsakh.

L’Azerbajgian ha fornito ai mediatori una falsa narrazione, sostenendo che hanno bisogno di tempo per far sì che gli Armeni dell’Artsakh “obbediscano alle regole dell’Azerbajgian”. Il loro ragionamento alla base di questa affermazione è che finché questi Armeni manterranno forti legami con l’Armenia, l’autorità dell’Azerbajgian nella regione non potrà mai essere pienamente stabilita. Per far rispettare questa agenda, hanno sottoposto i 120.000 Armeni, di cui 30.000 bambini, a condizioni di vita insopportabili e li hanno privati dell’accesso a cibo e medicine essenziali. Inoltre, hanno imposto un blocco totale dell’informazione impedendo ai giornalisti internazionali di entrare in Artsakh, tagliando di fatto questi Armeni dal resto del mondo. Questa terribile situazione persiste da otto mesi.

Simile a privare i genitori che abusano o trascurano il loro bambino, dai loro diritti genitoriali, l’Azerbajgian, che si posiziona come l’autorità degli Armeni dell’Artsakh, sta intraprendendo azioni incompatibili con la garanzia del loro benessere di base.

Le azioni intraprese dall’Azerbajgian nei confronti degli Armeni dell’Artsakh, come trattenere le risorse essenziali e tentare di forzare il rispetto delle loro regole, sollevano serie preoccupazioni. I mediatori e le entità internazionali hanno la responsabilità di intervenire e proteggere i diritti e il benessere degli Armeni dell’Artsakh. Se suggerissero al governo armeno di abbassare il parametro di riferimento e successivamente riconoscere l’Artsakh come parte dell’Azerbajgian, dovrebbero anche esercitare pressioni sull’Azerbajgian affinché ponga fine al blocco che da diversi mesi sta traumatizzando più di 120.000 persone. I semplici appelli per l’apertura del Corridoio di Lachin non sono sufficienti: sono necessarie azioni concrete. Il senso di impunità di Aliyev ha raggiunto un punto in cui nemmeno ai giornalisti internazionali è consentito l’ingresso per riferire sulla situazione dal terreno, per fare luce sulla questione, per incontrare e intervistare personalmente gli Armeni che sono sottoposti a gravi torture morali e psicologiche.

Anche nei luoghi dove si sono verificati crimini contro l’umanità, come il Darfur o il Rwanda, c’è stata una presenza internazionale per documentare le atrocità. Tuttavia, ciò che Aliyev sta facendo contro gli Armeni nel Nagorno-Karabakh è davvero senza precedenti, dato il suo totale disprezzo per gli appelli internazionali per sbloccare il Corridoio di Lachin e la decisione della Corte Internazionale di Giustizia di fermare la discriminazione razziale contro gli Armeni.

I mediatori devono identificare la principale paura di Aliyev – la sua reputazione, poiché desidera evitare di essere percepito come qualcuno che ha commesso la pulizia etnica – e trovare un modo per porre fine a questa tragedia. Il tempo è essenziale, poiché ogni giorno che passa porta più sofferenza alla gente dell’Artsakh, che deve sopportare lunghe code per il pane, che non ha accesso alle medicine, al carburante e al mondo semplicemente perché è armena. Se non vengono prese misure concrete, come l’intervento diretto, l’imposizione di sanzioni alla famiglia di Aliyev e il targeting della reputazione di Aliyev, gli attori internazionali coinvolti nel processo di mediazione alla fine condivideranno la responsabilità degli eventi che si stanno svolgendo in Artsakh.

Se la guerra viene normalizzata come strumento per risolvere i problemi nel Caucaso meridionale, alla fine aprirà un vaso di Pandora di nuova aggressività e instabilità in tutto il mondo, causando ancora più sofferenza umana. La palla è nel campo dei mediatori. Hanno tutti gli strumenti necessari; ciò che è richiesto è la volontà di agire.

Indice – #ArtsakhBlockade [QUI]

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