“L’Atlantide rossa”: Luigi Geninazzi racconta la fine del comunismo in Europa
Danzica,1980. Alla vigilia del Ferragosto, nei cantieri navali della città baltica un gruppo di operai inizia una protesta che in breve tempo porterà alla nascita del sindacato libero polacco, Solidarnosc. Nell’arco di un solo decennio, quella che il mondo aveva conosciuto e nominato indistintamente come Europa dell’Est comunista conosce ovunque un rinnovamento radicale delle coscienze, un risveglio corale che culmina, nel novembre dell’89, con l’abbattimento del muro di Berlino. Gli anni Ottanta dello scorso secolo passano sui paesi comunisti con un vento di libertà che ne sconvolge la fisionomia: moderna Atlantide, l’Europa dei regimi rossi scompare, s’inabissa nella storia.
Di queste vicende è appena arrivata in libreria una narrazione puntuale e avvincente, nata dalla penna di Luigi Geninazzi, per decenni reporter di politica internazionale per le testate Avvenire e Il Sabato. “L’Atlantide rossa. La fine del comunismo in Europa” segue il processo di rinascita culturale che dalla periferia del blocco passò a investire Cecoslovacchia, Germania e Romania, e finì con il penetrare a Mosca. Geninazzi racconta gli eventi cruciali che portarono al crollo del comunismo e ne presenta i protagonisti, a partire dal Giovanni Paolo II. Scrive nella prefazione il leader di Solidarnosc, divenuto poi presidente della Repubblica di Polonia, Lech Walesa: “A quel tempo il comunismo era un peso troppo grande che nessuno riusciva a scrollarsi di dosso. Negli anni ’50 qualcuno ci ha provato con le armi ma ha perso la vita per manifesta inferiorità. Negli anni ’60 e ’70 in Polonia abbiamo cercato di uscire nelle strade per far sentire la nostra protesta ma ci hanno zittiti con la forza. Abbiamo cercato varie soluzioni, abbiamo chiesto consiglio ai politici e agli intellettuali d’Occidente. Ma nessuno di loro credeva che sarebbe stato possibile il crollo dell’Impero sovietico. Poi è arrivato il nostro Papa, il Papa polacco, e abbiamo scoperto che c’è qualcosa di più forte dei carri armati e dei missili atomici. Giovanni Paolo II ha fatto appello alle risorse spirituali e alla fede del nostro popolo e ci ha invitato a non avere paura”.
Nel 1979, a un anno dall’elezione al soglio pontificio, il papa polacco torna in patria e il popolo si rianima, gli scioperi diventano massicci, il regime resta pietrificato. Nei cantieri Lenin di Danzica, con la lista delle 21 richieste della protesta – i “21 Tak!” (“21 sì!”) – prende avvio la lotta “pacifica e dignitosa” che smantellerà a più riprese e di confine in confine un sistema costruito sulla paura e sulle divisioni. Così Geninazzi scrive: “Il Muro non è crollato, è stato abbattuto. E non in una notte, ma nel corso di lunghi anni”.
Lo snodarsi del decennio fa de “L’Atlantide rossa” una narrazione tra la cronistoria e il romanzo. Domina, nell’incalzare degli eventi, il senso della storia e del tempo, che rivela il significato tutto diacronico – preparato in dieci anni – di quel 9 novembre 1989, quando il mondo vide cadere a pezzi il Muro che fino a quel momento l’aveva spaccato in due. E c’è la forza degli eventi nel loro farsi, la determinazione di un protagonista collettivo, il popolo dell’Est che tenacemente realizza la sua metamorfosi.
Ma un altro elemento emerge, protagonista della storia della modernità: il contributo della stampa che testimonia gli eventi, proietta i fatti oltre le cortine, li rende opinione pubblica, ne fa coscienza sociale. Il libro di Luigi Geninazzi è anche questo: un’occasione, per il lettore, di “toccare” l’informazione, riconoscere il suo ruolo nella costruzione del presente, della storia, della memoria. E riflettere sul posto che il giornalismo si vedrà assegnare da una società già “globale”.
Scrive ancora Walesa: “Ogni volta che mi viene rivolta la domanda su chi abbia fatto cadere il comunismo nell’Europa dell’Est sono solito rispondere che il merito va per oltre il 50% a Giovanni Paolo II, per il 30% a Solidarnosc e per il resto a Reagan, Kohl, Gorbaciov. Ma devo dire che il merito va anche a molti giornalisti, al loro grande lavoro d’informazione senza il quale noi non saremmo riusciti a vincere il monopolio della menzogna cui eravamo sottoposti. La filosofia dei regimi comunisti era quella d’impedire di organizzarci, negando la nostra esistenza, continuando a umiliarci e a mentire. I giornalisti stranieri hanno fatto il contrario, presentando le cose come stavano, raccontando la verità dei fatti, mettendoci sotto una lente d’ingrandimento che esaltava la nostra forza e le nostre capacità”.
Anni, popoli, protagonisti. Tra le tute blu di Danzica, i volti di Varsavia, nelle strade di Praga c’è l’uomo, il cronista che vede e racconta. “L’Atlantide rossa” è libro di valore anche perché memoria personale. Il ricordo di una porzione di vita, trascorsa raccontando il coraggio di uomini e donne e raccogliendone le speranze, a fiutare il fascino di quella libertà nuova che spirava prorompente nei venti dell’Est.