Manifestazione «Scegliamo la vita» a Roma. Pier Poalo Pasolini, 1975: «Sono contro l’aborto»

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 22.05.2023 – Vik van Brantegem] – Sabato 20 maggio 2023 si è svolta a Roma, come abbiamo annunciato [QUI], da piazza della Repubblica a San Giovanni la manifestazione nazionale Scegliamo la Vita, promossa da Pro Vita & Famiglia e Family Day, con l’adesione di quasi 120 altre realtà associative impegnate in difesa dei valori non negoziabili e la partecipazione in 40.000 persone: «Siamo il Paese reale, che vuole misure su natalità e contro aborto e eutanasia». Hanno sfilato per le strade di Roma per promuovere la cultura e il sostegno alla famiglia e alla vita, con uno sguardo preferenziale per le persone più fragili, disabili, anziani, mamme con gravidanze difficili e bambini non ancora nati.

«Oggi abbiamo visto il Paese reale scendere in strada e manifestare, gioiosamente, per una società che sia davvero a favore della vita, della natalità e della famiglia. Gli italiani, e questa piazza lo ha dimostrato, non vogliono sostegni per aborto, eutanasia, droghe e utero in affitto. Esattamente il contrario, abbiamo lanciato un messaggio inequivocabile: servono più incentivi, risorse e politiche per sostenere natalità, maternità, conciliazione lavoro-famiglia, lotta alle droghe e alle dipendenze, sostenere i disabili e le loro famiglie e contrastare derive aberranti come, appunto, l’utero in affitto e il suicidio assistito proposto ad anziani, persone fragili e disabili, per questo chiediamo inoltre di rafforzare l’assistenza sanitaria e le cure palliative», ha dichiarato Massimo Gandolfini, uno dei due portavoce della manifestazione.

«Le migliaia di persone che hanno sfilato oggi hanno testimoniato che nessuno deve essere lasciato indietro, per nessun motivo, dal nascituro all’anziano, passando per il fragile e le famiglie in difficoltà. Migliaia di famiglie, uomini, donne, mamme, papà, anziani, nonni, bambini hanno gioiosamente gridato che non solo è urgente, ma anche bello e conveniente, scegliere e preservare una vita», ha aggiunto Maria Rachele Ruiu, l’altra portavoce della manifestazione. «Fondamentale, a proposito di tutele – ha proseguito – sostenere la famiglia, culla della vita, e il desiderio dei nostri giovani di sposarsi e mettere al mondo figli, soffocati dall’incertezza del presente e del futuro, per vincere l’inverno demografico che attanaglia l’Italia e l’Europa. E la notizia più bella è che oltre ad essere urgente, quella su Famiglia e Vita è un investimento a vincita certa! E non ci stancheremo mai di chiedere aiuti per tutte quelle donne, mamme, indotte o costrette ad abortire: sia restituita loro la libertà di NON dover rinunciare al proprio figlio, perché, come abbiamo ascoltato dalle testimonianze, è profondamente ingiusto abbandonarle al grande inganno doloroso che è l’aborto. Non possiamo poi non ricordare, oggi, mentre è in atto la vergognosa fiera “Wish for a Baby” a Milano, la schiavitù del terzo millennio che vede le mamme vendere i propri bambini per necessità, al mercato dei gameti, alla negazione a tavolino di mamma e papà, al mercato aberrante dei neonati. Ripartiamo da questa piazza – e chiamiamo la politica e le Istituzioni ad essere dalla nostra parte – per far ripartire l’intera società e custodire davvero tutti».

Nei saluti dopo il Regina Caeli di domenica 21 maggio 2023, Papa Francesco ha salutato anche, pur senza citarle per nome, “le associazioni impegnate per la difesa della vita umana”, presenti in piazza San Pietro con lo striscione di apertura della marcia di sabato.

«Siamo grati a Papa Francesco per aver salutato “le associazioni impegnate per la difesa della vita umana”, durante il Regina Caeli di oggi. Eravamo infatti presenti, in piazza San Pietro, con una delegazione e lo striscione della Manifestazione Nazionale “Scegliamo la Vita”. Un saluto che il Santo Padre ci aveva già riservato nella stessa occasione lo scorso anno, sempre a seguito della Manifestazione, e a febbraio 2022, quando durante un’udienza privata seppe dell’evento e ne rimase favorevolmente colpito e che arriva dopo il messaggio di incoraggiamento a tutti noi e di difesa della Vita di ieri da parte del Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, il Cardinale Matteo Zuppi [*]», ha dichiarato Massimo Gandolfini, uno dei due portavoce della manifestazione.

«Ieri in decine di migliaia sono scesi in piazza con noi, non solo fedeli cattolici ma anche di altre confessioni religiose e non credenti, proprio a testimonianza che la Manifestazione è un evento laico e non confessionale, voce reale del Paese che chiede più tutele per vita nascente, la famiglia, culla della vita, donne, mamme, bambini, fragili, disabili e anziani», ha aggiunto Maria Rachele Ruiu, l’altro portavoce della manifestazione. «Ma il saluto di Papa Francesco ci onora e ci incoraggia ad andare avanti per la difesa della Vita in ogni sua fase e per non lasciare indietro, mai, nessuno».

[*] Il messaggio del Cardinale Matteo Zuppi, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana

Alcuni passi dal corposo messaggio inviato alla manifestazione dal Cardinale Matteo Zuppi, in qualità di Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, proposti da Giuseppe Rusconi su Rossoporpora.org [QUI], «in cui si riconosce facilmente lo stile in positivo, amichevole verso i destinatari, non banale nei contenuti, privo di asprezze e ricco di domande, tipico dell’approccio ai temi spinosi da parte del porporato figlio di Sant’Egidio».

L’apprezzamento per i manifestanti
Desidero unirmi al vostro forte e gioioso “Sì alla vita”. Diciamo di sì alla vita, sempre, da quella nascente, custodita in un grembo materno a quella che si sta aprendo all’eternità in letto di ospedale. Vi ringrazio di vero cuore perché la vita è sempre benedetta ed è sempre benedizione. (…). La vita è bella sempre quando è amata. È incontro, relazione, comunicazione. È famiglia. Per questo diciamo no alla cultura della morte, che inizia con l’indifferenza, con il credere che i desideri siano diritti. Diciamo sì alla cultura della vita, a partire da quella dei piccoli e degli ultimi, degli scartati e dei non accolti.

La sfida
Questa è la sfida che ci attende. È la stessa sfida di chi lavora quotidianamente silenziosamente e tutti i giorni sottotraccia, nella difesa della vita, quella che ogni giorno migliaia di volontari, associazioni, centri di aiuto alla vita, affrontano aprendo le porte e il cuore con affetto infinito a donne che hanno paura, che sono sole, che non riescono a intravvedere un futuro. (…). Dico a tutti i presenti, a ognuno di loro, la mia gratitudine e la mia stima per la loro presenza. Siete parte di un popolo grande che in forme diverse, tutte appassionate e tutte benedette, cerca di custodire con ogni forza la vita degli uomini. Non si contrappongono i valori etici e valori sociali: sono la stessa cultura della vita che sgorga dal Vangelo! La cultura della vita sa che la vita nasce e cresce nella famiglia e che tutto non dipende dal proprio volere soggettivo, sino ad arrivare alla cosiddetta maternità surrogata, che utilizza la donna, spesso povera, per realizzare il desiderio altrui di genitorialità.

Alcune domande
Siamo sicuri che la banalizzazione dell’interruzione volontaria di gravidanza elimini la ferita profonda che genera nell’animo di molte donne che vi hanno fatto ricorso? Donne che, in moltissimi casi, avrebbero potuto essere sostenute in una scelta diversa e non rimpianta, come del resto prevedrebbe la stessa legge 194 all’art.5. Siamo sicuri che il suicidio assistito o l’eutanasia rispettino fino in fondo la libertà di chi li sceglie – spesso sfinito dalla carenza di cure e relazioni – e manifestino vero e responsabile affetto da parte di chi li accompagna a morire? Siamo sicuri che la radice profonda dei femminicidi, della violenza sui bambini, dell’aggressività delle baby gang… non sia proprio questa cultura di crescente dissacrazione della vita? Siamo sicuri che dietro il crescente fenomeno dei suicidi, anche giovanili, non ci sia l’idea che “la vita è mia e ne faccio quello che voglio.

Ringraziamento finale
Grazie e continuate ogni giorno nell’impegno appassionante e generativo, l’unico che apre al futuro e lo prepara oggi: dire sì alla vita.

«Cara Bonino, ma secondo lei, perché il 70% dei medici ginecologi è obiettore di coscienza? Provo ad aiutarla… Forse perché avendo studiato per anni lo sviluppo dell’embrione nel grembo materno sono consapevoli che la vita inizia dal concepimento e non sono disposti ad uccidere un essere umano nel grembo materno. Siamo nel 2023 nell’era delle ecografie in 3d, negare che quella sia vita nel grembo materno è antiscientifico, è da retrogradi…si aggiorni!» (Jacopo Coghe).

«Una volta avvenuto il concepimento, il diritto del concepito può essere soddisfatto soltanto lasciandolo nascere […]. Mi stupisco che i laici lascino ai credenti il privilegio e l’onore di affermare che non si deve uccidere» (Norberto Bobbio).

Sulle prime due pagine del Corriere della Sera di domenica 19 gennaio 1975, Pier Paolo Pasolini espone le sue idee sul tema dell’aborto con un lungo articolo, destinato a far discutere. Lo riportiamo di seguito in forma integrale.

Sono contro l’aborto
di Pier Paolo Pasolini
Corriere della Sera, 19 gennaio 1975


Io sono per gli otto referendum del partito radicale, e sarei disposto a una campagna anche immediata in loro favore. Condivido col partito radicale l’ansia della ratificazione, l’ansia cioè del dar corpo formale a realtà esistenti: che è il primo principio della democrazia.

Sono però contrario alla legalizzazione dell’aborto, perché la considero, come molti, una legalizzazione dell’omicidio. Nei sogni, e nel comportamento quotidiano – cosa comune a tutti gli uomini – io vivo la mia vita prenatale, la mia felice immersione nelle acque materne: so che là io ero esistente. Mi limito a dir questo, perché, a proposito dell’aborto, ho cose più urgenti da dire. Che la vita sia sacra è ovvio: è un principio più forte ancora che ogni principio della democrazia, ed è inutile ripeterlo.

La prima cosa che vorrei invece dire è questa: a proposito dell’aborto, è il primo, e l’unico, caso in cui i radicali e tutti gli abortisti democratici più puri e rigorosi, si appellano alla “Realpolitik” e quindi ricorrono alla prevaricazione “cinica” dei dati di fatto e del buon senso.

Se essi si sono posti sempre, anzitutto, e magari idealmente (com’è giusto), il problema di quali siano i “principi reali” da difendere, questa volta non l’hanno fatto.

Ora, come essi sanno bene, non c’è un solo caso in cui i “principi reali” coincidano con quelli che la maggioranza considera propri diritti. Nel contesto democratico, si lotta, certo, per la maggioranza, ossia per l’intero consorzio civile, ma si trova che la maggioranza, nella sua sanità, ha sempre torto: perché il suo conformismo è sempre, per propria natura, brutalmente repressivo.

Perché io considero non “reali” i principi su cui i radicali e in genere i progressisti (conformisticamente) fondano la loro lotta per la legalizzazione dell’aborto?

Per una serie caotica, tumultuosa e emozionante di ragioni. Io so intanto, come ho detto, che la maggioranza è già tutta, potenzialmente, per la legalizzazione dell’aborto (anche se magari nel caso di un nuovo “referendum” molti voterebbero contro, e la “vittoria” radicale sarebbe molto meno clamorosa). L’aborto legalizzato è infatti – su questo non c’è dubbio – una enorme comodità per la maggioranza. Soprattutto perché renderebbe ancora più facile il coito – l’accoppiamento eterosessuale – a cui non ci sarebbero più praticamente ostacoli. Ma questa libertà del coito della “coppia” così com’è concepita dalla maggioranza – questa meravigliosa permissività nei suoi riguardi – da chi è stata tacitamente voluta, tacitamente promulgata e tacitamente fatta entrare, in modo ormai irreversibile, nelle abitudini? Dal potere dei consumi, dal nuovo fascismo. Esso si è impadronito dalle esigenze di libertà, diciamo così, liberali e progressiste e, facendole sue, le ha vanificate, ha cambiato la loro natura. Oggi la libertà sessuale della maggioranza è in realtà una convenzione, un obbligo, un dovere sociale, un’ansia sociale, una caratteristica irrinunciabile della qualità di vita del consumatore. Insomma, la falsa liberazione del benessere, ha creato una situazione altrettanto e forse più insana che quella dei tempi della povertà. Infatti: primo: risultato di una libertà sessuale dal potere è una vera e propria generale nevrosi. La facilità ha creato l’ossessione; perché è una facilità e imposta, derivante dal fatto che la tolleranza del potere riguarda unicamente l’esigenza sessuale espressa dal conformismo della maggioranza.

Protegge unicamente la coppia (non solo, naturalmente, matrimoniale): la coppia ha finito dunque col diventare una condizione parossistica, anziché diventare segno di libertà e felicità (com’era nelle speranze democratiche). Secondo: tutto ciò che sessualmente è “diverso” è invece ignorato e respinto. Con una violenza pari solo a quella dei lager (nessuno ricorda mai, naturalmente, che i sessualmente diversi son finiti là dentro). È vero; a parole il nuovo potere estende la sua falsa tolleranza anche alle minoranze. Non è magari da escludere che, prima o poi, alla televisione se ne parli pubblicamente. Del resto le “élites” sono molto più tolleranti verso le minoranze sessuali che un tempo, e certo sinceramente (anche perché ciò gratifica le loro coscienze). In compenso l’enorme maggioranza (la massa: cinquanta milioni di italiani) è divenuta di una intolleranza così rozza, violenta e infame, come non è certo mai successo nella storia italiana.

Si è avuto in questi anni, antropologicamente, un enorme fenomeno di abiura: il popolo italiano, insieme alla povertà, non vuole neanche più ricordare la sua “reale” tolleranza: esso, cioè, non vuole più ricordare i due fenomeni che hanno meglio caratterizzato la sua storia. Quella storia che il nuovo potere vuole finita per sempre. È questa stessa massa (pronta al ricatto, al pestaggio, al linciaggio delle minoranze) che, per decisione del potere, sta ormai passando sopra la vecchia convenzione clerico-fascista ed è disposta ad accettare la legalizzazione dell’aborto e quindi l’abolizione di ogni ostacolo nel rapporto della coppia consacrata.

Ora, tutti, dai Radicali a Fanfani (che stavolta, precedendo abilmente Andreotti, sta gettando le basi di una sia pur prudentissima abiura teologica, in barba al Vaticano), tutti, dico, quando parlano dell’aborto, omettono di parlare di ciò che logicamente lo precede, cioè il coito.

Oltre l’ideologia

Omissione estremamente significativa. Il coito – con tutta la permissività del mondo – continua a restare tabù, è chiaro. Ma per quanto riguarda i radicali la cosa non si spiega certamente col tabù: essa indica invece l’omissione di un sincero, rigoroso e completo esame politico. Infatti il coito è politico. Dunque non si può parlare politicamente in concreto dell’aborto, senza considerare come politico il coito. Non si possono vedere i segni di una condizione sociale e politica nell’aborto (o nella nascita di nuovi figli ) senza veder gli stessi segni anche nel suo immediato precedente, anzi, “nella sua causa”, cioè nel coito.

Ora il coito di oggi sta diventando, politicamente, molto diverso da quello di ieri. Il contesto politico di oggi è già quello della tolleranza (e quindi il coito è un obbligo sociale) mentre il contesto politico del matrimonio di ieri era la repressività (e quindi il coito, al di fuori del matrimonio, era scandalo).
Ecco dunque un primo errore di “Realpolitik”, di compromesso col buon senso, che io ravviso nell’azione dei radicali e dei progressisti nella loro lotta per la legalizzazione dell’aborto. Essi isolano il problema dell’aborto, coi suoi specifici dati di fatto, e perciò ne danno un’ottica deformata: quella che fa loro comodo (in buonafede, su questo sarebbe folle discutere). Il secondo errore, più grave, è il seguente. I radicali e gli altri progressisti che si battono in prima fila per la legalizzazione dell’aborto – dopo averlo isolato dal coito – lo immettono in una problematica strettamente contingente (nella fattispecie, italiana), e addirittura interlocutoria. Lo riducono a un caso di pura praticità, da affrontare appunto con spirito pratico. Ma ciò (come essi sanno bene) è sempre colpevole. Il contesto in cui bisogna inserire il problema dell’aborto è ben più ampio e va ben oltre l’ideologia dei partiti (che distruggerebbero se stessi se l’accettassero: cfr. Breviario di ecologia di Alfredo Todisco).

Il contesto in cui va inserito l’aborto è quello appunto ecologico: è la tragedia demografica, che, in un orizzonte ecologico, si presenta come la più grave minaccia alla sopravvivenza dell’umanità. In tale contesto la figura – etica e legale – dell’aborto cambia forma e natura: e, in un certo senso, può anche esserne giustificata una forma di legalizzazione. Se i legislatori non arrivassero sempre in ritardo, e non fossero cupamente sordi all’immaginazione per restare fedeli al loro buon senso e alla propria astrazione pragmatica, potrebbero risolvere tutto rubricando il reato dell’aborto in quello più vasto dell’eutanasia, privilegiandolo di una particolare serie di “attenuanti” di carattere appunto ecologico. Non per questo esso cesserebbe di essere formalmente un reato e di apparire tale alla coscienza. Ed è questo il principio che i miei amici radicali dovrebbero difendere, anziché buttarsi (con onestà donchisciottesca) in un pasticcio, estremamente sensato ma alquanto pietistico, di ragazze madri o di femministe, angosciate in realtà da “altro”(e di più grave e serio). Qual è il quadro, in realtà, in cui la nuova figura del reato di eutanasia, dovrebbe iscriversi? Eccolo: un tempo la coppia era benedetta, oggi è maledetta.

La convenzione e i giornalisti imbecilli continuano a intenerirsi sulla “coppietta” (in tal modo, abominevolmente, la chiamano), non accorgendosi che si tratta di un piccolo patto criminale. E così i matrimoni: un tempo essi erano feste, e la stessa loro istituzionalità – così stupida e sinistra – era meno forte del fatto che li istituiva, un fatto, appunto, felice, festoso. Ora invece i matrimoni sembrano tutti dei grigi e affrettati riti funebri. La ragione di queste cose terribili che dico è chiara: un tempo la “specie” doveva lottare per sopravvivere, quindi le nascite “dovevano” superare le morti. Oggi invece la “specie”, se vuole sopravvivere, deve fare in modo che le nascite non superino le morti. Quindi, ogni figlio che un tempo nasceva, essendo garanzia di vita, era benedetto: ogni figlio che invece nasce oggi, è un contributo all’autodistruzione dell’umanità, e quindi è maledetto.

Luoghi comuni

Siamo così giunti al paradosso che ciò che si diceva contro natura è naturale, e ciò che si diceva naturale è contro natura. Ricordo che De Marsico (collaboratore del codice Rocco) in una brillante arringa in difesa di un mio film, ha dato del “porco” a Braibanti, dichiarando inammissibile il rapporto omosessuale in quanto inutile alla sopravvivenza della specie: ora, egli, per essere coerente, dovrebbe, in realtà, affermare il contrario: sarebbe il rapporto eterosessuale a configurarsi come un pericolo per la specie, mentre quello omosessuale ne rappresenta una sicurezza. In conclusione: prima dell’universo del parto e dell’aborto c’è l’universo del coito: ed è l’universo del coito a formare e condizionare l’universo del parto e dell’aborto. Chi si occupa, politicamente, dell’universo del parto e dell’aborto non può considerare come ontologico l’universo del coito – e non metterlo dunque in discussione – se non a patto di essere qualunquistico e meschinamente realistico.

Ho già abbozzato come si configura, oggi, in Italia, l’universo del coito, ma voglio, per concludere, riassumerlo. Tale universo include una maggioranza totalmente passiva e nel tempo stesso violenta, che considera intoccabili tutte le sue istituzioni, scritte e non scritte. Il suo fondo è tuttora clerico-fascista con tutti gli annessi luoghi comuni. L’idea dell’assoluto privilegio della normalità è tanto naturale quanto volgare e addirittura criminale. Tutto vi è precostituito e conformistico, e si configura come un “diritto”: anche ciò che si oppone a tale “diritto” (compresa la tragicità e il mistero impliciti nell’atto sessuale) viene assunto conformisticamente. Per inerzia, la guida di tutta questa violenza maggioritaria è ancora la Chiesa cattolica. Anche nelle sue punte progressiste e avanzate (si legga il capitoletto, atroce, a pagina 323 de La Chiesa e la sessualità del progressista e avanzato S.H. Pfurtner). Senonché… senonché nell’ultimo decennio è intervenuta la civiltà dei consumi, cioè un nuovo potere falsamente tollerante che ha rilanciato in scala enorme la coppia, privilegiandola di tutti i diritti del suo conformismo.

A tale potere non interessa però una coppia creatrice di prole (proletaria), ma una coppia consumatrice (piccolo borghese): in pectore, esso ha già dunque l’idea della legalizzazione dell’aborto (come aveva già l’idea della ratificazione del divorzio). Non mi risulta che gli abortisti, in relazione al problema dell’aborto, abbiano messo in discussione tutto questo. Mi risulta invece che essi, in relazione all’aborto, tacciano del coito, e ne accettino dunque – per Realpolitik, ripeto, in un silenzio dunque diplomatico e dunque colpevole – la sua totale istituzionalità, irremovibile e “naturale”. La mia opinione estremamente ragionevole invece è questa: anziché lottare contro la società che condanna l’aborto repressivamente, sul piano dell’aborto, bisogna lottare contro tale società sul piano della causa dell’aborto, cioè sul piano del coito. Si tratta – è chiaro – di due lotte “ritardate”: ma almeno quella “sul piano del coito” ha il merito, oltre che di una maggiore logicità e di un maggiore rigore, anche quello di un’infinitamente maggiore potenzialità di implicazioni.

Falsa tolleranza

C’è da lottare, prima di tutto contro la “falsa tolleranza” del nuovo potere totalitario dei consumi, distinguendosene con tutta l’indignazione del caso; e poi c’è da imporre alla retroguardia, ancora clerico-fascista, di tale potere, tutta una serie di liberalizzazioni “reali” riguardanti appunto il coito (e dunque i suoi effetti): anticoncezionali, pillole, tecniche amatorie diverse, una moderna moralità dell’onore sessuale ecc’ ecc’. Basterebbe che tutto ciò fosse democraticamente diffuso dalla stampa e soprattutto dalla televisione, e il problema dell’aborto verrebbe in sostanza vanificato, pur restando, come deve essere, una colpa, e quindi un problema della coscienza. Tutto ciò è utopistico? E’ folle pensare che una “autorità” compaia al video reclamizzando “diverse” tecniche amatorie? Ebbene, non sono certo gli uomini con cui io qui polemizzo che debbono spaventarsi di questa difficoltà. Per quanto io ne so, per essi ciò che conta è il rigore del principio democratico, non il dato di fatto (com’è invece brutalmente, per qualsiasi partito politico). Infine: molti – privi della virile e razionale capacità di comprensione – accuseranno questo mio intervento di essere personale, particolare, minoritario. Ebbene?

Foto di copertina di Daniel Ibañez/EWTN.

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