154° giorno del #ArtsakhBlockade. Senza Artsakh, niente Armenia. E senza il sostegno dell’Armenia e del mondo, niente Artsakh

Condividi su...

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 14.05.2023 – Vik van Brantegem]
Oggi è il 154° giorno – per quanto tempo ancora dobbiamo tenere il conto, nessuna fine in vista – di mancanza di cibo, di medicine, di gas, di interruzione dell’elettricità, una realtà per 30.000 bambini. Oggi in molti Paesi si celebra la Festa della mamma. Ricordiamo le coraggiose mamme armene dell’Artsakh che già da 5 mesi vivono sotto assedio da parte dell’Azerbajgian. Queste mamme e i loro bambini sono degli eroi.

«Che le armi tacciano, perché con le armi non si otterrà mai la sicurezza e la stabilità, ma al contrario si continuerà a distruggere anche ogni speranza di pace» (Papa Francesco – Regina Coeli, 14 maggio 2023).

«Mentre il mondo si concentra sull’Ucraina, i civili del Nagorno-Karabakh affrontano un assedio autoritario. Un cessate il fuoco del 2020 ha lasciato i residenti circondati dalle forze azere e sotto la dubbia protezione delle forze di mantenimento della pace russe. Quest’anno le condizioni sono peggiorate ulteriormente» (Freedom House, 13 maggio 2023).

«L’Artsakh democratico non potrà mai essere al sicuro sotto il regime dittatoriale dell’Azerbajgian. È sempre stata un’Oblast indipendente. L’Europa che placa le rivendicazioni territoriali dell’Azerbajgian porterà alla pulizia etnica e al genocidio nell’Artsakh» (Istituto Lemkin per la prevenzione di genocidio).

«Il mondo occidentale continua a ignorare il blocco dell’Artsakh e concede al Presidente dell’Azerbajgian, Ilham Aliyev, la quasi completa impunità nel fare ciò che vuole con la comunità armena indigena da 4000 anni, che mai prima è stata sotto controllo azero. L’Unione Europea, che si vanta del sua fermo impegno e sostegno a democrazie come l’Armenia, sta chiudendo un occhio sulla dittatura azerbajgiana per ragioni geopolitiche e di risorse» (Lettera aperta riguardante la complicità in genocidio dell’Istituto Lemkin per la prevenzione di genocidio, 13 maggio 2023).

L’autocrazia azerbaigiana è uno Stato canaglia. Il suo disprezzo per le decisioni delle massime autorità internazionali è anche una minaccia per la nostra sicurezza. Il riconoscimento dell’indipendenza della Repubblica di Artsakh da parte della comunità internazionale è indispensabile all’esercizio del diritto fondamentale degli Armeni a vivere in pace sulle terre ancestrali. L’ipocrisia occidentale nella sottomissione a potentati criminali come Erdoğan della Turchia e Aliyev dell’Azerbajgian è davvero disgustosa.

Ruben Vardanyan, ex Ministro di Stato della Repubblica di Artsakh, ha rilasciato una dichiarazione sulle sue piattaforme di social media in merito all’istituzione del Fronte per la sicurezza e lo sviluppo dell’Artsakh. Ha indicato che negli ultimi due mesi un certo numero di forze politiche, sociali, intellettuali e rappresentanti di varie sfere dell’Artsakh hanno discusso la visione per il futuro dell’Artsakh. Di conseguenza, è stata sviluppata una tabella di marcia, che è stata presentata al Presidente della Repubblica di Artsakh, all’Assemblea Nazionale e al Consiglio di Sicurezza. Questa tabella di marcia potrebbe servire come base sufficiente per trasformarla in un piano d’azione, ha osservato Vardanyan. Successivamente è stato raggiunto un accordo a stragrande maggioranza per creare il Fronte per la sicurezza e lo sviluppo dell’Artsakh, che dovrebbe diventare il nucleo del consolidamento. È importante notare che questo consolidamento non è incentrato su personalità o forze specifiche, ma piuttosto sul futuro dell’Artsakh, con l’obiettivo di ripristinarne l’integrità e garantire che l’Artsakh rimanga armeno, ha affermato Vardanyan. Ha esortato le persone a mettere da parte le loro differenze e lavorare insieme verso azioni concrete. Ha osservato che è in gioco il destino della Patria e che nei prossimi giorni continueranno le discussioni in merito al Fronte per la sicurezza e lo sviluppo dell’Artsakh.

«La dignità è molto difficile da ottenere e molto facile da perdere. L’Artsakh non è solo per l’Artsakh. L’Artsakh è per il mondo intero. Credimi, non c’è altra opzione. Se non c’è l’Artsakh, non ci sarà il mondo armeno» (Ruben Vardanyan).

Esattamente, l’Artsakh è uno scudo per l’Armenia e l’Armenia è come uno scudo per l’Europa. Senza l’Artsakh e l’Armenia il mondo affonderà ancora di più, perdendo un popolo e la sua cultura.

L’agenzia 301 ha riferito che l’esercito azero ieri ha sparato con una mitragliatrice contro le postazioni dell’esercito di difesa dell’Artsakh vicino al villaggio di Shosh. Tuttavia, l’esercito di difesa dell’Artsakh ha resistito con successo e ha represso l’attacco, senza vittime o feriti segnalati da parte armena.

Si è tenuto un briefing presso il Ministero della Difesa dell’Armenia a Yerevan, con la partecipazione di addetti militari delle ambasciate straniere e rappresentanti della Missione di osservazione dell’Unione Europea in Armenia. Sono stati discussi i dettagli della situazione creatasi a seguito delle aggressioni delle forze armate dell’Azerbajgian nella regione di Gegharkunik l’11 e 12 maggio. In particolare, sono portate alla conoscenza degli addetti militare delle informazioni operative sullo svolgimento delle azioni militari e delle misure di difesa applicate, nonché della disinformazione ufficiale diffusa dall’Azerbajgian nel corso delle aggressioni e nel periodo successivo. È stato osservato che, a seguito delle necessarie azioni difensive delle forze armate armene, gli obiettivi delle operazioni militari azerbajgiane sono completamente falliti.

Il comunicato diffuso dal Ministero della Difesa dell’Azerbajgian come se le unità delle forze armate della Repubblica di Armenia avessero sparato colpi di mortaio contro le postazioni di combattimento azere situate nella parte orientale della zona di confine, oggi 14 maggio 2023 alle ore 20.30, è un’altra disinformazione.

Michel ride, Aliyev sorride sotto i baffi e Pashinyan è scuro in volto. Il vertice di Brussel sembra segnare il destino degli Armeni dell’Artsakh lasciati al loro destino di sfollati o sudditi dell’autocrazia azera. Lo chiede l’Europa? Diritti umani calpestati.

Come annunciato, oggi ha avuto luogo a Brussel l’incontro tra il Presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, il Presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel e il Primo Ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan. Prima della riunione tripartita, Michel ha avuto incontri separati con i leader di Armenia e Azerbajgian.

«L’Unione Europea è impegnata ad aiutare l’Armenia e l’Azerbajgian a raggiungere una normalizzazione globale. Continueremo a contribuire ai loro sforzi congiunti» (Charles Michel, Presidente del Consiglio Europeo).

«Un altro fallimento dell’Unione Europea. Non è successo niente a Brussel questa domenica 14 maggio 2023. L’Azerbajgian non restituisce i prigionieri di guerra armeni dal 2020, non sblocca il Corridoio di Lachin, continua a soffocare l’Artsakh, non ritirare le sue truppe dal suolo armeno invaso, ecc.» (Jean Christophe Buisson, Vice Direttore di Figaro Magazine).

Lettera aperta dell’Istituto Lemkin a proposito di complicità in genocidio a Charles Michel, Presidente del Consiglio Europeo
13 maggio 2023

(Nostra traduzione italiana dall’inglese)

Caro Signor Charles Michel,
a nome dell’Istituto Lemkin per la prevenzione di genocidio, una organizzazione di difesa di base con sede negli Stati Uniti dedicata a porre fine al ciclo di violenza e promuovere pace duratura, vi scriviamo in merito al prossimo incontro tripartito che si terrà il 14 maggio a Brussel tra di voi, il Primo Ministro armeno Nikol Pashinyan e il Presidente azero Ilham Aliyev.
L’incontro ospitato dall’Unione Europea discuterà del blocco in corso della regione dell’Artsakh (Nagorno-Karabakh) dallo scorso 12 dicembre e la recente costituzione di un checkpoint da parte delle autorità azere.
Il 23 aprile l’Azerbajgian ha eretto un posto di blocco illegale sull’unica strada che collega l’enclave armena con il mondo esterno. Le rotte vicine sono state pesantemente militarizzate, mettendo a rischio e quindi impedendo il viaggio sicuro dei civili. Questo posto di blocco illegale si unisce al blocco dell’Azerbaigian del marzo 2023 dell’autostrada Goris-Stepanakert e del dicembre 2022 del Corridoio di Lachin per assicurare che arrivi il minimo indispensabile di rifornimenti agli Armeni dell’Artsakh.
L’Istituto Lemkin desidera ricordare al Presidente del Consiglio Europeo che entrambi il blocco e il posto di blocco violano il punto 6 dell’Accordo Tripartito del 2020 che pose fine alla guerra dei 44 giorni. Inoltre, l’Azerbajgian continua a palesemente ignorare e non rispettare il provvedimento legalmente vincolante della Corte Internazionale di Giustizia emesso il 22 febbraio 2023, che ha disposto sui provvedimenti cautelari obbligando le Autorità azere a garantire la libera circolazione di merci e persone attraverso il Corridoio di Lachin.
L’Istituto Lemkin sottolinea che questo blocco rappresenta una chiara minaccia esistenziale per i 120.000 Armeni etnici bloccati nell’area separatista. Le loro vite sono in pericolo da un vicino ostile le cui intenzioni sono chiare: cancellare ogni traccia di vita armena e di una presenza armena in questa regione. Il Presidente dell’Azerbajgian, Ilham Aliyev, ha costantemente e ripetutamente affermato che intende sradicare gli Armeni indigeni che abitano in Artsakh. Durante la guerra del 2020 disse: “Se non se ne vanno per conto priorio, li cacceremo via come cani”. È sostenuto nelle sue ricerche genocide dal suo omologo turco, il Presidente Recep Tayyip Erdoğan. Entrambi i Paesi mirano a indebolire gli Armeni dell’Artsakh attraverso queste minacce di genocidio, comprese le minacce di fame, esposizione a violenza etnicamente motivata, in modo che siano terrorizzati e lascino la loro terra storica. Ricordiamo che la regione dell’Artsakh è stata abitata da una popolazione a maggioranza armena nel corso della storia nonostante l’incorporazione della regione in vari imperi nel corso dei secoli. La leadership locale, la lingua e la cultura rimasero incrollabilmente e profondamente armeno.
Il mondo occidentale continua a ignorare il blocco dell’Artsakh e concede al Presidente dell’Azerbajgian, Ilham Aliyev, la quasi completa impunità nel fare ciò che vuole con la comunità armena indigena da 4000 anni, che mai prima è stata sotto controllo azero. L’Unione Europea, che si vanta del sua fermo impegno e sostegno a democrazie come l’Armenia, sta chiudendo un occhio sulla dittatura azerbajgiana per ragioni geopolitiche e di risorse.
L’Istituto Lemkin teme che questa posizione porti [l’Unione Europea] a sponsorizzare un trasferimento forzato “coordinato” della popolazione armena dell’Artsakh all’Armenia propriamente detta.
Il trasferimento forzato degli Armeni dell’Artsakh costituirebbe una violazione del diritto all’autodeterminazione, pilastro fondamentale dell’attuale ordinamento giuridico della comunità internazionale, e un diritto fondamentale che gli Armeni dell’Artsakh hanno esercitato molto prima del referendum del 1991 che stabilì finalmente l’opportunità di istituzioni politiche per l’autogoverno. Allo stesso modo, il trasferimento forzato costituisce anche il crimine contro l’umanità della deportazione. Probabilmente rientrerebbe anche nella definizione del reato di genocidio, in quanto implicherebbe l’applicazione di misure che porterebbero all’eradicazione totale della popolazione autoctona/indigena del territorio in cui hanno costruito la loro identità culturale e le loro tradizioni.
Una tale linea di condotta non è una soluzione e non deve essere discussa [durante i colloqui di pace a Brussel], per timore che l’Unione europea e i suoi rappresentanti finiscano complici di genocidio, ai sensi dell’articolo III(e) della Convenzione sul genocidio. Qualsiasi accordo mediato domenica dall’Unione Europea che include lo sfollamento forzato di Artsakhsis all’Armenia equivarrà a un piano di genocidio, che dovrebbe essere processato in sede di Tribunale Internazionale. I popoli del mondo non possono più permettersi di lasciare la complicità nel genocidio impunito.
Dr. Elisa von Joeden-Forgey
Fondatore-Presidente
Dr. Irene Victoria Massimino
Fondatore-Presidente

Dichiarazione dell’Istituto Lemkin sulla non ottemperanza dell’Azerbajgian all’ordine del 22 febbraio 2023 della Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite di sbloccare il Corridoio di Lachin
(Nostra traduzione italiana dall’inglese)

L’Istituto Lemkin per la prevenzione di genocidio è indignato per il palese disprezzo dell’Azerbajgian per la decisione vincolante della Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite sulle misure provvisorie emessa il 22 febbraio 2023, che ordinava all’Azerbajgian di garantire la libera circolazione di merci e persone attraverso il Corridoio di Lachin. L’Azerbajgian non ha ottemperato a questo ordine nonostante abbia accettato la giurisdizione della Corte nel caso del 2021 sull’applicazione della Convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale (Armenia contro Azerbajgian) ed è stato parte di la Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale dal 1996.
L’Istituto Lemkin è ugualmente preoccupato per la mancanza di sostegno da parte della comunità internazionale nel far rispettare le decisioni della Corte con meccanismi attuabili. La natura volontaria del diritto internazionale lo rende inetto quando uno Stato decide di non attuare le decisioni dei tribunali internazionali. L’Istituto Lemkin sostiene con forza mezzi più potenti per attuare tali decisioni e ritiene che sia nell’interesse di tutti gli Stati farlo.
Il 22 febbraio 2023, la Corte ha emesso una decisione in cui si afferma che l’Azerbajgian deve “adottare tutte le misure a sua disposizione per garantire il movimento senza ostacoli di persone, veicoli e merci lungo il Corridoio di Lachin in entrambe le direzioni”. La decisione del 22 febbraio 2023 arriva dopo che la Corte ha emesso misure provvisorie in quello stesso caso, il 7 dicembre 2021, ordinando all’Azerbajgian di “proteggere dalla violenza e dai danni fisici tutte le persone catturate in relazione al conflitto del 2020 che rimangono in detenzione e garantire la loro sicurezza e l’uguaglianza davanti alla legge; adottare tutte le misure necessarie per prevenire l’incitamento e la promozione dell’odio razziale e della discriminazione, anche da parte dei suoi funzionari e istituzioni pubbliche, nei confronti di persone di origine nazionale o etnica armena;
Diverse settimane dopo, l’Azerbajgian non solo non ha ancora rispettato l’ordine del 22 febbraio 2023, ma ha anche avviato nuove azioni militari oltre a continuare a violare gli ordini emessi dal dicembre 2021 fino ad oggi. L’Istituto Lemkin ribadisce che le decisioni della Corte sono vincolanti per le parti in un determinato caso, il che significa che qualsiasi ordine emesso dalla Corte nel caso Armenia contro Azerbajgian è vincolante per entrambe le parti. Ciò significa che sia l’Azerbajgian che l’Armenia devono rispettare gli ordini della Corte Internazionale di Giustizia alla luce dei trattati e degli accordi che entrambe le parti hanno concordato ai sensi del diritto internazionale. Pertanto, il mancato rispetto da parte dell’Azerbajgian delle misure provvisorie della Corte è una palese violazione del diritto internazionale e una flagrante non ottemperanza degli obblighi internazionali dell’Azerbajgian.
Ci sono stati pochissimi sforzi compiuti dalla comunità internazionale per costringere l’Azerbajgian a revocare il blocco nel mese successivo all’ordine della Corte Internazionale di Giustizia. La dichiarazione di più alto profilo fatta, è stata quella di Anders Fogh Rasmussen, l’ex Segretario Generale della NATO, che ha espresso il suo sgomento per il blocco in corso e ha avvertito di una “catastrofe umanitaria”, ma non ha offerto molto altro. Anche la missione internazionale dell’Unione Europea incaricata di monitorare il Corridoio di Lachin, oggetto di proteste da parte dell’Azerbajgian, si è dimostrata finora incapace di cambiare efficacemente la situazione, avendo finora rilasciato solo dichiarazioni secondo cui riferirà i risultati a Brussel. L’inviato dell’Unione Europea nel Caucaso meridionale, Toivo Klaar, continua la sua vergognosa equidistanza nell’interpretare la questione.
Ricordiamo che il blocco è iniziato il 12 dicembre 2022, quando i civili azeri che si dichiaravano ambientalisti hanno eretto delle barricate per protestare contro le “attività minerarie illegali” e l’uso del Corridoio di Lachin per il trasporto di armi. In realtà, alcuni dei bloccanti hanno legami con il governo azero e il blocco aveva più scopi politici che legittimi interessi ambientali. Queste barricate sono anche una chiara violazione del Trattato di pace trilaterale firmato il 9 novembre 2020 da Armenia, Azerbajgian e Russia, che include disposizioni che prevedono la libera circolazione lungo il Corridoio di Lachin.
I nostri lettori ricorderanno la dichiarazione del 12 febbraio 2023 dell’Istituto Lemkin [QUI], che esprimeva indignazione per i tiepidi sforzi e il continuo silenzio compiuti dalla comunità internazionale per costringere l’Azerbajgian a cambiare le sue azioni. L’Istituto Lemkin ribadisce ancora una volta il suo appello alla comunità internazionale affinché agisca e faccia pressione sull’Azerbajgian affinché revochi immediatamente il blocco, promulghi sanzioni per gli atti criminali del regime di Aliyev e promuova un ambiente pacifico favorevole a una soluzione diplomatica che protegga adeguatamente i diritti degli Armeni autoctoni in Artsakh.
L’Istituto Lemkin vorrebbe portare all’attenzione dei responsabili politici internazionali le implicazioni che il mancato rispetto da parte dell’Azerbajgian di un tribunale internazionale comporta per i casi futuri. Qualsiasi Stato che non si conformi alle decisioni della Corte Internazionale di Giustizia e alla decisione di qualsiasi altra corte o organo internazionale a cui i Paesi hanno sottoposto i loro conflitti, mina e sconfigge gli scopi e i principi fondamentali della comunità internazionale. Se l’Azerbajgian riesce a farla franca non ottemperando agli ordini della Corte Internazionale di Giustizia, ciò costituisce un terribile precedente e rende inutili gli organi internazionali nei procedimenti futuri. Inoltre, ignorare le violazioni dell’Azerbajgian invita solo a più violenza. La comunità internazionale rischia di distruggere la fiducia nelle istituzioni internazionali se continua a chiudere un occhio sull’inadempienza dell’Azerbajgian.
L’Istituto Lemkin chiede che venga intrapresa un’azione significativa per portare l’Azerbajgian in conformità sia con le misure provvisorie del 21 dicembre 2021, sia con l’ordine della Corte Internazionale di Giustizia del 22 febbraio 2023 di revocare il blocco del Corridoio di Lachin, affinché l’Azerbajgian sia sanzionato una volta per tutte per le sue azioni criminali e che la comunità internazionale dimostri rispetto per i principi che ha adottato per porre fine ai crimini atroci e alle guerre senza fine in tutto il mondo.

Petizione del Gruppo umanitario armeno britannico: liberate tutti i prigionieri di guerra e gli ostaggi armeni detenuti illegalmente in Azerbajgian

Petizione diretta a: Segretario Generale delle Nazioni Unite, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, Segretario Generale del Consiglio d’Europa, Direttore dell’OSCE ODIHR, Segretario Generale dell’OSCE, Co-Presidenti del Gruppo di Minsk dell’OSCE, Presidente e Segretario di Stato degli Stati Uniti, CICR, Presidente della Francia, Primo Ministro e Ministro degli Esteri del Regno Unito e dell’Irlanda del Nord.

Il Gruppo umanitario armeno britannico chiede ai pacifici cittadini del mondo, che difendono i diritti umani universali e i principi di giustizia, di firmare [QUI] la presente petizione che esorta i leader mondiali a:

  • chiedere il rilascio immediato e incondizionato di TUTTI i prigionieri di guerra e prigionieri armeni detenuti illegalmente in Azerbajgian dopo il cessate il fuoco ufficiale;
  • inviare urgentemente osservatori o organizzazioni internazionali a visitare gli ostaggi armeni a Baku e riferire sulle loro condizioni di salute e di detenzione;
  • imporre sanzioni contro l’Azerbajgian per torture, maltrattamenti e detenzione di civili armeni e prigionieri di guerra dopo il cessate il fuoco, infrangendo così la legislazione delle Nazioni Unite sui diritti umani, la Convenzione di Ginevra sui prigionieri di guerra e la Convenzione europea sui diritti umani.

Dalla dichiarazione trilaterale di cessate il fuoco del 9 novembre 2020 [QUI] da parte dei capi di Stato russo, azero e armeno, oltre 200 prigionieri di guerra armeni (POW) non sono stati rilasciati. Inoltre, le forze azere continuano a catturare nuovi prigionieri militari e civili, in Nagorno-Karabakh e nella Repubblica di Armenia [QUI]. Rifiutando di liberare i prigionieri armeni, il regime azero viola gravemente la III Convenzione di Ginevra relativa al trattamento dei prigionieri di guerra del 12 agosto 1949. La Convenzione afferma in particolare che “i prigionieri di guerra non possono essere perseguiti per aver preso parte alle ostilità” e che “devono essere rilasciati e rimpatriati senza indugio dopo la fine delle ostilità”. Il governo di Aliyev viola anche l’articolo 8 della dichiarazione trilaterale di cessate il fuoco del 9 novembre 2020 riguardante il ritorno dei prigionieri di guerra. Ciononostante, 60 ostaggi armeni sono stati condannati in processi farsa nei tribunali di Baku sotto false accuse.

La Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altre pene crudeli, inumane o degradanti e la Convenzione europea dei diritti dell’uomo vietano del tutto la tortura. Il rapporto ad hoc del Difensore dei diritti umani dell’Armenia del gennaio 2021 [QUI] ha rivelato numerosi casi di trattamento brutale di civili e soldati armeni in cattività in Azerbajgian, tra cui:

  • percosse i prigionieri di guerra, provocando traumi mentali e lesioni fisiche;
  • l’umiliazione e la degradazione dei prigionieri per indurre false dichiarazioni;
  • torture fisiche di prigionieri con conseguente morte;
  • decapitazione e smembramento di prigionieri armeni.

All’inizio di aprile 2021, non meno di 230 casi sono stati deferiti alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) da Yegishe Kirakosyan, rappresentante dell’Armenia presso la Corte. Inoltre, gli avvocati per i diritti umani Siranush Sahakyan e Artak Zeynalyan hanno depositato presso la CEDU oltre 95 casi individuali per conto delle famiglie dei prigionieri. La Corte ha accettato inequivocabilmente e universalmente queste denunce e ha ordinato misure provvisorie per proteggere le vite dei prigionieri armeni le cui vite sono a rischio immediato. Le autorità azere non hanno rispettato la sentenza della CEDU e si sono rifiutate di fornire informazioni accurate sulla condizione e sul numero di prigionieri di guerra armeni in cattività.

50 prigionieri di guerra armeni detenuti in Azerbaigian sarebbero stati assassinati [QUI], secondo gli avvocati per i diritti umani che rappresentano le famiglie degli ostaggi armeni. Uno di loro era il solo diciottenne Eric Mkhitaryan, scomparso dall’ottobre 2020. A novembre, un video di Eric catturato e maltrattato dalle forze azere è stato diffuso sui social media. Il suo corpo smembrato è stato restituito all’inizio di aprile 2021. Nascondendo il numero esatto di prigionieri armeni, il governo azero li trattiene per manipolazione politica al fine di ottenere maggiori concessioni dall’Armenia. brutalmente assassinato dal regime di Alyiev è molto, molto più alto.

Le famiglie degli ostaggi armeni confermano che il Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) non è stato in grado di riferire in modo completo sul benessere, sulla salute e sulle condizioni di detenzione dei loro parenti detenuti in Azerbajgian. A nessun osservatore straniero è stato permesso di visitare gli ostaggi armeni e portare loro il tanto necessario sostegno.

Il trattamento disumano dei prigionieri di guerra e dei prigionieri è una grave violazione del diritto internazionale da parte del regime azero e una prova schiacciante dei crimini di guerra perpetrati dal regime di Aliyev, che devono essere condannati dalle organizzazioni internazionali [QUI].
In un annuncio del 22 aprile 2021, l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (APCE) ha invitato l’Azerbajgian a rilasciare i prigionieri di guerra armeni e altri prigionieri “senza indugio” [QUI].

Il Presidente Aliyev sostiene e incoraggia apertamente l’odio etnico e glorifica la violenza contro gli Armeni attraverso i suoi discorsi pubblici e la propaganda sponsorizzata dallo Stato. Uno degli esempi di questo vile odio sponsorizzato dallo Stato nei confronti dell’etnia armena è stata l’apertura del “Parco dei Trofei di Guerra” a Baku [QUI]. L’ex Ambasciatore degli Stati Uniti in Armenia, John Evans, ha definito il parco “razzista, degradante, anzi, che sa di intenti genocidi”. La condotta irresponsabile di Aliyev mette a repentaglio qualsiasi prospettiva di pace nella regione più ampia [QUI].

La mancata condanna del governo azero per aver violato il diritto internazionale ha causato più uccisioni e rapimenti di Armeni autoctoni nel Nagorno-Karabakh e in Armenia.

Le vite umane contano. Ogni giorno, ogni ora, ogni minuto e ogni secondo conta. Domani sarà troppo tardi. Agire oggi per rilasciare TUTTI i prigionieri di guerra e i prigionieri armeni, vittime di torture illegali, barbari abusi mentali e fisici [QUI e QUI].

Firma la petizione del Gruppo umanitario armeno britannico [QUI].

Indice – #ArtsakhBlockade [QUI]

151.11.48.50