Elogio pasoliniano dei “banditi” di Cutro. Ultimo argine al genocidio culturale dell’Italia
[Korazym.org/Blog dell’Editore, 11.03.2023 – Renato Farina] – Cutro e Pier Paolo Pasolini. Ci dev’essere una coincidenza mistica a legare i due nomi sul libro del destino. In questi giorni è stata citata, recitata e trascritta ovunque la poesia “Alì dagli occhi azzurri” dello scrittore friulano pubblicata nella raccolta “Poesie in forma di rosa” (1964). Vi si narra lo sbarco delle miriadi di genti vestite di “stracci asiatici, e di camicie americane”, approdate proprio “a Crotone” dai “porti della fame” su “navi a vela e a remi”. Peccato che neppure Pasolini si sia salvato dalle censure postume del politicamente corretto. E lo vedremo più avanti.
In fatto di incrocio misterioso tra Cutro e PPP c’è però un precedente ancora più sconvolgente, che in questi giorni è stato incredibilmente occultato in ossequio al codice delle parole proibite e del presunto razzismo territoriale.
Usiamo la macchina del tempo ed eccoci ancora a Cutro. Fu appunto Pier Paolo Pasolini a dare risonanza nazionale a questo nome prima sconosciuto. Era il 1959, e ne scrisse malissimo. O almeno così compresero le autorità locali, che lo querelarono. Non è bello per un sindaco e la sua cittadinanza leggere il reportage di uno scrittore famoso che descrive paese e abitanti con una parola sola: banditi! Seccamente, letteralmente: «(Cutro) è, veramente, il paese dei banditi… Ecco le donne dei banditi, ecco i figli dei banditi». Le «dune gialle» dove campano sono «fuori dalla legge».
Trascrivo i paragrafi incriminati, apparsi sul mensile Successo. Pasolini era stato incaricato da Arturo Tofanelli di preparare una serie di reportage sull’Italia del boom economico facendone il periplo con la sua millecento Fiat tutta la costa.
Scrive P.P.P.: «Vado verso Crotone… Ecco, a un distendersi delle dune gialle in una specie di altopiano, Cutro. Lo vedo correndo in macchina: ma è il luogo che più mi impressiona di tutto il lungo viaggio. È, veramente, il paese dei banditi come si vede in certi film western. Ecco le donne dei banditi, ecco i figli dei banditi. Si sente, non so da cosa, che siamo fuori dalla legge, dalla cultura del nostro mondo, a un altro livello. Nel sorriso dei giovani che tornano dal loro atroce lavoro, c’è un guizzo di troppa libertà, quasi di pazzia. Nel fervore che precede l’ora di cena l’omertà ha questa forma lieta: nel loro mondo si fa così. Ma intorno c’è una cornice di vuoto e di silenzio che fa paura».
Il “il vuoto” e “silenzio che fa paura” non è quello dei cutresi ma quello dell’Italia che vola verso il nichilismo gaudente e disperato. Qui sta la profezia. Non è forse così? Proprio qui tra i banditi sta la speranza, sporca come le facce imbrattate dei bambini calabresi, e l’”atroce lavoro” dei ragazzi sorridenti e omertosi. Omertosi perché hanno qualcosa di misterioso e insondabile dentro, un tesoro impagabile ma fuori corso: il contrario del consumismo ateo di cui neppure la Chiesa si rendeva conto e che in quella fine degli anni 50 galoppava. Dava parvenze di benessere materiale al prezzo dell’anima. Insufflava veleni di noia nei costumi e nel linguaggio. Nel 1959 per la prima volta, e proprio passando da Cutro, Pasolini avverte la distanza irreparabile tra la civiltà (cattiva) e i “banditi” (buoni), espulsi dalla bella gente degli aperitivi perché sono ancora puri, persino negli istinti di brutalità restano ancora umani, semplicemente umani. Fuori da quei paesaggi smorti e furiosi, avanzava già il “genocidio culturale”, con la mutazione antropologica di contadini e operai e delle loro famiglie, sfruttati come sempre, ma infinitamente più poveri, perché derubati di Dio.
Facile capirlo ora, alla luce del ciclo di articoli pasoliniani apparsi sul Corriere della Sera nel 1974-75. Ma allora parve un insulto cocente a chi non si avvedeva di essere l’ultimo prezioso resto della nostra essenza di nazione. In quei sorrisi pazzi di ragazzi si mantiene viva la scintilla di qualcosa di antico e cristiano.
Pasolini prima incassa le proteste. Si spiega. Sta dalla parte dei banditi, e contro chi li ha esclusi. Niente da fare, è accusato di trattare i meridionali da esseri criminali e inferiori. Pasolini stavolta si stizzisce: «Sono stato derubato tre volte: a Catania, a Taranto e a Brindisi (sempre nelle cabine delle spiagge). In Calabria ho avuto una rapina a mano armata (di coltello). Questi sono dati della vostra realtà: se poi volete fare come gli struzzi, affar vostro». Aggiunge: nel dialogare con voi «non si tiene mai abbastanza conto del vostro “complesso di inferiorità”, della vostra psicologia patologica, della vostra collettiva angesi, o mania di persecuzione».
A Crotone vollero premiarlo qualche mese dopo per “Ragazzi di vita”. In giuria c’erano Gadda, Moravia e Bassani. La città era in stato d’assedio. Il Prefetto di Catanzaro annullò il premio, ma PPP l’aveva già incassato. “Meglio dello Strega e del Viareggio”, disse. Roba però da dimenticare: è ancora vietatissimo attribuire complessi di inferiorità e una psicologia patologica ai fratelli del Sud, soprattutto mettendoli in bocca a Pasolini perché poi all’Ordine dei giornalisti toccherebbe condannarlo alla memoria…
Risaliamo al 2023 e ad “Alì dagli occhi azzurri”. Essa fu ampliata nel 1965 col titolo “Profezia”. Sono 70 versi, Pasolini ha qui la forza visionaria degli scrittori biblici. Sono stati solo i primi 15, citati quasi fossero appunti preveggenti il naufragio del caicco. In realtà Pasolini non profetizza alcuna ecatombe a un passo dalla spiaggia, semmai osserva la tragedia scatenarsi quando “i Calabresi” (maiuscolo) si alleeranno “da malandrini a malandrini” con i fratelli sbarcati a milioni e “distruggeranno Roma”. “Poi col Papa e ogni sacramento andranno su come zingari verso nord-ovest con le bandiere rosse di Trotzki al vento…”. Il finale è questo, e appare trionfale: vince Cristo (e pure Marx, alla cui ideologia Pasolini rimase incatenato nonostante un commando comunista gli avesse ucciso atrocemente il fratello Guido, partigiano della Osoppo). Trionfo tremendo. Si notino due cose. I versi formano graficamente, come da insegnamento dei poeti ellenistici alessandrini, una sequenza di tre croci. La croce, essenza della speranza, Dio con noi, nessuno può toglierla ai poveri. E infine Trotzki: ucciso come il fratello di Pasolini dai comunisti.
Questo articolo è stato pubblicato oggi su Libero Quotidiano.