Gesù poeta della natura

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L’uomo dona soltanto quello che ha e ha soltanto quello che è. E’ utopia sperare nell’attesa di raccogliere uva dalle spine o fichi dai rovi, afferma Gesù. L’albero buono dà frutti buoni, quello cattivo dà frutti cattivi. Lo stesso destino coinvolge sia l’albero sia l’uomo: se danno frutti buoni si salvano, se sono sterili verranno tagliati e gettati nel fuoco. Nella parabola del fico sterile, il padrone della vigna dice al vignaiolo: “Ecco, da tre anni vengo a cercare frutti su questo fico e non ne trovo. Taglialo. Perché deve sfruttare il terreno?” (Lc 13, 6-9). Un’altra volta Gesù maledisse e fece seccare un fico che, rivestito di un lussureggiante verde, non offriva frutti. Anche nella parabola dei talenti il Maestro aveva condannato l’uomo dell’unico talento perché, nascondendolo, aveva rinunziato a trafficarlo per farlo fruttificare.

Gesù amava la natura e, dal cuore sensibile e meditativo, gustava e vedeva i vari aspetti del creato: le scene della vita quotidiana e i segreti degli esseri viventi. Gesù amava le piante, da quelle solenni come le palme a quelle umili come l’erba dei prati, da quelle preziose come il frumento e l’uva a quelle nocive come la gramigna e le spine, da quelle eleganti come i gigli a quelle minute come i granelli di senape. Le amava perché, create e vivificate dalle mani sapienti del Padre provvidente, servivano a Lui come arcano linguaggio che sapeva cogliere e interpretare per il loro simbolismo etico ed estetico.

Per Gesù, l’uomo non deve somigliare alla canna che vive sbattuta dal vento, non dev’essere diabolica zizzania che cresce tra il buon grano, né cespuglio di rovi asfissiato dalla propria aridità, neppure deve somigliare alle ingarbugliate spine che soffocano i freschi germogli dei fiori e delle piante, né al prezioso e fecondo ramo di vite che, staccato dal tronco, si dissecca e poi, tagliato, è gettato nel fuoco. Non vuole questo il suo amato Padre che è l’Agricoltore eternamente attivo, il Vignaiuolo infinitamente provvidente, il Seminatore amoroso creatore “di tutte le cose visibili e invisibili”.

A Gesù piace parlare del chicco di senape, il più piccolo di tutti i semi che, dopo essere stato seminato, cresce e diventa il più grande di tutti gli erbaggi e, alla sua ombra, tra i suoi rami, si rifugiano gli uccelli del cielo (Cf Mc 4,31-32). L’antica tradizione vedeva l’albero che accoglie gli uccelli come simbolo di un grande impero che offre protezione politica agli stati sudditi. Gesù prende questo simbolo per indicare che il Regno di Dio accoglie la moltitudine delle genti per trovare riparo, sicurezza e salvezza.

A Gesù piace osservare la vite con il suo diramarsi forte e contorto di tralci e di verdi foglie che avvolgono i grappoli d’uva carichi di succo gustoso e inebriante. Dalla visione di questo scenario, il Maestro trae la più affascinante delle teologie: Il Padre suo è il saggio e buon agricoltore, Lui, il Verbo Incarnato, Figlio del Padre, è la vite, i tralci sono i redenti, suoi amici e fratelli che, da Lui, con Lui e in Lui, hanno la vita e producono frutto cominciando a essere e ad agire come figli di Dio. Questa vita nuova nel Figlio suscita il commovente compiacimento del Padre; però, se ci si stacca da Gesù, rifiutando la sua linfa vitale, si diventa sterili e morti.

       Il Maestro, nella sua predicazione, non è stato mai un noioso e gelido ideologo. La sua parola aveva un fascino avvolgente e coinvolgente presso gli uditori. Il suo linguaggio poetico attraeva ed entusiasmava. Si serviva delle parabole per illustrare quello che Marco chiama “il mistero del Regno di Dio” (Mc 4,11). Quante volte Gesù avrà visto la pioggia dei semi che il seminatore spandeva sulla terra! Forse, il giorno in cui declamò la parabola, avrà contemplato, dai primi pendii del Tabor, la stupenda pianura di Esdrelon! Da questa scena povera e quotidiana, Egli trasse la parabola che spiega tutte le altre. Ce la tramanda Matteo nel capitolo 13, 1-23 del suo Vangelo. Dopo il racconto, Gesù stesso la spiega:

       Il seme è la Parola di Dio: se gettato nel buon terreno fertile e fruttuoso, riesce ad attecchire e il raccolto sarà sempre abbondante. Occorre essere “terra buona”: sapere ascoltare e comprendere, realizzare e portare a maturazione la Parola incarnata nel cuore buono, convinti che la Parola di Dio è già feconda in se stessa.

       Parte cadde lungo la strada: è l’uomo dal cuore distratto! Sulla “strada” non si può accogliere la Parola, ci sono troppi a ostacolarla, a insidiarla impedendone di attecchire. La “strada” dice superficialità che impedisce l’interiorizzazione della Parola. Il superficiale parla molto, anzi troppo, ma il suo parlare è solo “chiacchera”. Soltanto le anime attente e profonde percepiscono quella parola riconoscendo la voce che la pronunzia. Gli uccelli che divorano il seme svelano un cuore posseduto dal maligno che strappa e divora il bene seminato. La strada è esposta a ogni viandante così come il cuore è esposto a ogni pensiero.

       Parte cadde sui sassi: è l’uomo dal cuore volubile! Il terreno carsico è tutto pietra che uno straterello d’humus, chiamato vena, riesce a mascherare. Non cresce nulla di buono in quella terra perché le radici non possono affondare. Forse ci saranno momenti di entusiasmo e di sinceri propositi ma non approfondiscono e non maturano. Il seme nasce e subito muore perché nel cuore di pietra non palpita la vita. La crescita della vita è fatta di continuità, la discontinuità la blocca. Solo chi persevera sarà salvo.

       Parte cadde tra le spine: è l’uomo dal cuore asfittico! Secondo Gesù, le spine raffigurano “la preoccupazione del mondo e l’inganno della ricchezza”. Il mito del benessere e dell’orgoglio ha l’effetto di soffocare la parola di Dio e impedirle di portare frutto. La parola di Dio, invece, ha bisogno di respiro, di vitalità, di libertà di coscienza, di entusiasmo per potersi espandere. Anche nel mondo spirituale si può morire d’asfissia!

Dinanzi l’annunzio della Parola di Dio, dunque, l’uomo può essere vuoto, superficiale e distratto. Se è vuoto, non ascolta; se è superficiale, fraintende; se è distratto, non capisce.

        E a qualcuno non è dato capire: Tra parabola e spiegazione, quelle frasi di Gesù rimangono terribili. Egli parla in parabole perché gli ascoltatori “udendo non comprendano e vedendo non vedano!”. Non possiamo credere che Gesù, il Maestro buono, parla per non farsi capire e cela il suo insegnamento sotto forme non intelligibili per aumentare le responsabilità morali dell’uditorio! La parabola, figura ben nota e molto usata dai maestri del giudaismo, è l’espressione naturale del pensiero che vede la verità in immagini concrete e vive, piuttosto che concepirla in astrazioni. Soltanto la pigrizia mentale, il cuore distratto, volubile e asfittico del cattivo discepolo non riesce a percepire l’altezza, la profondità, la sublimità di questo linguaggio divino! Nella parabola, la strada, gli uccelli, le spine, il suolo pietroso, danno l’idea di quale grande percentuale di lavoro il seminatore dev’essere pronto a perdere. Nel lavoro dei campi, infatti, gran parte della fatica va perduta ma si può avere un raccolto abbondante se il seme trova terreno buono. Il realismo della parabola mette ancora in evidenza l’armonia e l’intima affinità che esiste tra l’ordine naturale e quello spirituale. La forma di insegnare la verità, Gesù la trova già preparata dal Padre suo, Creatore dell’uomo e della natura.

Il profeta Isaia, nel suo oracolo, afferma che la Parola di Dio è efficace e la sua forza fecondatrice è simile a quella della pioggia tanto attesa dal contadino palestinese e descritta nel dolce cantico della primavera: “Come la pioggia scende dal cielo e non vi ritorna senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare perché dia seme al seminatore e pane da mangiare, così sarà la parola uscita dalla mia bocca” (Is. 55,10-11).

Ai credenti della sua Chiesa, Gesù augura di saper vedere e ascoltare e di essere terreni fertili e fruttuosi per sperimentare la gioia del Vangelo che ricevono. E’ sublime beatitudine vivere immersi nelle sue Parole di vita! “Beati i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché ascoltano!”. La sapienza dell’ascolto e l’intelligenza della visione sono doni raffinati e squisiti che lo Spirito elargisce ai puri di cuore.

                                          Giuseppe Liberto

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