Le preoccupazioni della Santa Sede per il Cammino Sinodale tedesco

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 25.11.2022 – Vik van Brantegem] – Il 18 novembre scorso si è svolta presso l’Istituto Augustinianum in Roma una riunione interdicasteriale, a cui hanno partecipato, insieme ai Capi di alcuni Dicasteri della Curia romana, i 62 vescovi della Chiesa Cattolica Romana in Germania presenti a Roma per la visita ad limina Apostolorum. L’incontro con i vertici della Curia romana era stato programmato per riflettere insieme sul “Cammino sinodale” tedesco. Abbiamo riferito della questione il 19 novembre 2022, riportando il : Der Synodale Weg: “Vieles haben sie verlernt, vieles”. “Dass dir halte der Mann, was er als Knabe gelobt”.

A moderare la riunione è stato il Segretario di Stato, Cardinale Pietro Parolin, che nell’introdurre i lavori ha definito l’incontro «una grazia» che è avvenuta nel giorno in cui la Chiesa ricorda le figure di Pietro e Paolo. «Figure molto diverse», ha sottolineato Parolin, «ma fratelli». Il Cardinal Parolin ha sottolineato l’importanza dell’essere una «famiglia unita», che discute ma continuando ad amarsi: «L’amore ci unisce senza uniformarci, ci unisce anche nelle nostre differenze». Ha quindi preso la parola monsignor Georg Bätzing, Vescovo di Limburg e Presidente della Conferenza Episcopale Tedesca. Poi, sono seguite le relazioni teologiche del Cardinali Luis Francisco Ladaria Ferrer, Prefetto del Dicastero per la dottrina della fede, e del Cardinale Marc Ouellet, Prefetto del Dicastero per i Vescovi, di cui riportiamo di seguito il testo integrale.

Il Cardinale Luis Francisco Ladaria Ferrer ha parlato di cinque preoccupazioni, riguardante: il genere letterario dei testi, il collegamento tra la struttura della Chiesa ed il fenomeno degli abusi di chierici contro i minori e gli altri fenomeni di abuso, la visione della sessualità umana secondo la dottrina della Chiesa ed in particolare per come essa trova espressione nel Catechismo della Chiesa cattolica del 1992, il ruolo della donna nella Chiesa ed in particolare la questione dell’accesso della donna all’ordinazione sacerdotale, l’esercizio del magistero ecclesiale ed in particolare l’esercizio del magistero episcopale.

Il Cardinale Marc Ouellet ha espresso la preoccupazione per le serie difficoltà che sorgono dal punto di vista antropologico, pastorale ed ecclesiologico, e per l’unità della Chiesa, che poggia sull’unità dei vescovi in comunione e in ossequio a Pietro. Ha chiesto una moratoria, che è stata respinta.

Il titolo del nostro articolo del 19 novembre scorsa, citato sopra, riportava la dicitura in tedesco del “Cammino sinodale” e due frasi del poeta tedesco Friedrich Hölderlin, citati da Papa Francesco nell’incontro con i giornalisti ammessi al Volo Papale durante il volo di ritorno da Bahrain, il 6 novembre 2022, in risposta all’ultima domanda, del giornalista tedesco Ludwig Ring-Eifel, in riferimento alla situazione della Chiesa Cattolica Romana in Germania. Tradotti: Molto hanno disimparato, molto e Il vecchio mantenga quello che ha promesso da fanciullo. Il Papa ha detto: «Ai cattolici tedeschi dico: la Germania ha una grande e bella Chiesa Evangelica; io non ne vorrei un’altra, che non sarà tanto buona come quella; ma la voglio Cattolica, alla cattolica, in fratellanza con quella Evangelica».

Avevo preso queste due citazioni come titolo – un monito del Capo della Chiesa universale rivolto alla Chiesa particolare in Germania. Più che in “Cammino sinodale”, si trova su una via scismatica, all’inseguimento dell’eresiarca Lutero – come un aiuto per il discernimento sul Comunicato congiunto della Santa Sede e della Conferenze Episcopale di Germania, sulla riunione interdicasteriale.

«Vescovi tedeschi: il Papa diserta l’incontro con la Curia» ha titolato La Nuova Bussola Quotidiana 19 novembre 2022 un articolo di Nico Spuntoni: «Non deve essere stato facile l’incontro tra la Conferenza Episcopale Tedesca e i Capi dicastero per discutere del controverso e radicale Cammino sinodale in Germania. Il vero giallo è l’assenza del Papa, ma non è sfuggita la familiarità che ha mostrato anche giovedì scorso nei confronti del cardinal Marx».

La relazione del Prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede
Parte di un corpo più grande


C’è un passaggio della Lettera del Santo Padre al Popolo di Dio che è in cammino in Germania che costituisce l’orizzonte di fondo di questo mio breve intervento. Scrive Papa Francesco al paragrafo 9 della lettera appena citata: «La Chiesa universale vive in e delle Chiese particolari [Lumen Gentium, 23], così come le Chiese particolari vivono e fioriscono in e dalla Chiesa universale, e se si ritrovano separate dall’intero corpo ecclesiale, si debilitano, marciscono e muoiono. Da qui il bisogno di mantenere sempre viva ed effettiva la comunione con tutto il corpo della Chiesa, che ci aiuta a superare l’ansia che ci rinchiude in noi stessi e nelle nostre particolarità, al fine di poter guardare negli occhi, ascoltare o rinunciare alle urgenze per accompagnare chi è rimasto sul ciglio della strada. A volte questo atteggiamento si può manifestare in un minimo gesto, come quello del padre verso il figliol prodigo, che lascia le porte aperte affinché, quando tornerà, possa entrare senza difficoltà [cfr. Evangelii gaudium, 46]. Ciò non è sinonimo di non camminare, avanzare, cambiare e persino non dibattere o dissentire, ma è semplicemente la conseguenza del saperci costitutivamente parte di un corpo più grande che ci vuole e ci aspetta, e che ha bisogno di noi, e che anche noi vogliamo e aspettiamo, e di cui abbiamo bisogno. È il gusto di sentirci parte del santo e paziente Popolo fedele di Dio».

Le parole che seguono vorrebbero ora proprio far risvegliare in ciascuno di noi questa consapevolezza di essere costitutivamente parte di un corpo più grande e che proprio una tale comunione con tutti gli altri membri della Chiesa può permettere — più di mille altri gesti o proclami eclatanti — quell’ospitalità oggi così necessaria nei confronti di chi è rimasto sul ciglio della strada.

Ed in verità sono tanti e tante coloro che oggi non si sentono più “a casa” nella casa del Signore e ne restano fuori. Sono poi ancora tanti e tante coloro che si sentono profondamente traditi dagli uomini e dalle donne della Chiesa cattolica e non ci frequentano più. Soprattutto sono, infine, tanti e tante coloro che non avvertono più alcuna fiducia in noi Vescovi. E questo accade non senza ragione. Il pensiero corre qui immediatamente alla dolorosa pagina degli abusi sessuali e più in generale di potere compiuti dal clero e a tutte le volte che in tali casi la nostra risposta come Chiesa non è stata all’altezza della situazione. Al riguardo non ci stancheremo mai di chiedere perdono alle vittime di questi abusi, offrendo loro il nostro possibile aiuto; allo stesso tempo, non ci stancheremo mai di rinnovare ogni giorno la nostra determinazione perché abusi contro i minori e abusi di potere da parte di uomini e donne della Chiesa non abbiano mai più ad accadere. Sotto questo punto di vista, posso assicurarvi che il Dicastero per la dottrina della fede è impegnato con ogni forza e con il massimo scrupolo ad assicurare che vengano inflitte le pene previste dal codice nei confronti di quei chierici che si sono macchiati di tali abominevoli crimini.

Da questo punto di vista, appare oltre misura encomiabile lo sforzo che la Chiesa che è in Germania sta compiendo al suo interno per stabilire protocolli di sicurezza per evitare ogni abuso contro i minori e ogni altra forma di violenza contro persone adulte da parte dei chierici ed in ogni caso all’interno delle istituzioni ecclesiali. Questo impegno ha trovato una sua particolare concretizzazione nel Cammino sinodale avviato nel 2019 dalla Chiesa che è in Germania e che proprio in questi mesi sta giungendo ad una fase di particolare importanza.

Ora, proprio nello spirito di quel «saperci [tutti] costitutivamente parte di un corpo più grande che ci vuole e ci aspetta, e che ha bisogno di noi, e che anche noi vogliamo e aspettiamo, e di cui abbiamo bisogno», evocato dalle parole sopra citate della Lettera del Santo Padre al Popolo di Dio che è in cammino in Germania, è mio compito, in qualità di prefetto del Dicastero per la dottrina della fede, presentarvi, venerabili confratelli, cinque specifiche preoccupazioni che sorgono da un’attenta lettura dei testi sinora discussi all’interno del vostro Cammino sinodale.

La prima preoccupazione riguarda il genere letterario dei testi. Non essendo il vostro un Sinodo, ma un cammino sinodale, non sembra per ora previsto alcun documento finale. Ma non è forse il caso di pensare a qualcosa come ad un documento finale del Cammino sinodale o a qualcosa di simile? Un tale interrogativo si impone nel momento in cui si nota che in tanti passaggi dei testi del Cammino sinodale ci sono affermazioni generiche circa le posizioni presenti nel santo popolo di Dio, riferimenti allusivi a evidenze scientifiche e sociologiche, utilizzo di risultati esegetici ancora discussi e discutibili, dichiarazioni senza esitazione di fine della metafisica e di eclissi di ogni verità, generici protocolli di possibile riconoscimento pubblico della dottrina ecclesiale, ed infine richiami a teologi e a teologhe senza nome e senza possibilità di identificazione. Si tratta di cose forse molto chiare per gli estensori dei testi e per lettori qualificati, ma se siamo parte di un corpo più grande e questi testi (con la loro già disponibile traduzione in altre lingue) iniziano ad avere una diffusione globale, non sembra fuori luogo la proposta di un documento finale o qualcosa di analogo in cui possa emergere un procedere più lineare e meno dipendente da affermazioni non pienamente acclarate.

La seconda preoccupazione riguarda il collegamento tra la struttura della Chiesa ed il fenomeno degli abusi di chierici contro i minori e gli altri fenomeni di abuso. Il discorso portato avanti dai testi, a causa pure della loro lunghezza e delle necessarie ripetizioni in più occasioni, non sembra tenere in giusto conto la natura specifica del corpo ecclesiale. Va da sé che tutto ciò che si può fare per evitare altri abusi di chierici contro i minori, deve essere fatto, ma questo non deve implicare una riduzione del mistero della Chiesa a semplice istituzione di potere o ad una preventiva considerazione della Chiesa quale organizzazione strutturalmente produttrice di abusi, che deve essere messa al più presto sotto controllo di super controllori. Da questo punto di vista, il rischio maggiore di molti suggerimenti operativi dei testi del Cammino sinodale è quello di fare perdere una delle conquiste maggiori del concilio Vaticano ii e cioè la chiara dottrina della missione dei vescovi e dunque della Chiesa particolare.

La terza preoccupazione riguarda la visione della sessualità umana secondo la dottrina della Chiesa ed in particolare per come essa trova espressione nel Catechismo della Chiesa cattolica del 1992. L’impressione generalizzata che al riguardo potrebbe emergere dalla lettura dei testi del Cammino sinodale è che su questo terreno nella dottrina della Chiesa non ci sia quasi nulla da salvare. Sarebbe tutto da cambiare. Come non pensare all’impatto che tutto questo ha su tanti fedeli che ascoltano la voce della Chiesa e si sforzano di seguirne le indicazioni di vita? Debbono forse pensare di aver sbagliato ogni cosa sino a questo momento?
Non si dovrebbe troppo facilmente pensare che la sessualità umana sia qualcosa di limpidamente davanti a noi e privo di quell’ambivalenza che ogni gesto umano comporta ed ancora di più ogni gesto umano legato all’esercizio della sessualità. Sarebbe stata auspicabile, da parte degli estensori dei testi e dell’Assemblea del Cammino sinodale, una maggiore cautela e un qualche anticipo di fiducia sulla visione che della sessualità ha realizzato il magistero negli ultimi decenni. La salvaguardia del carattere costitutivamente generativo e generazionale dell’essere umano resta uno dei grandi compiti profetici della comunità dei credenti in questo tempo di progressiva commercializzazione dell’esistenza umana.

La quarta preoccupazione riguarda il ruolo della donna nella Chiesa ed in particolare la questione dell’accesso della donna all’ordinazione sacerdotale. Anche in questo caso, i testi del Cammino sinodale appaiono al di sotto di un’ermeneutica partecipata delle posizioni magisteriali, riducendo il tutto alla seguente osservazione: nella Chiesa cattolica non si rispetta la dignità fondamentale delle donne, perché esse non possono accedere all’ordinazione sacerdotale. La posizione del magistero è in verità più specifica. Il punto decisivo al riguardo non è che nella Chiesa cattolica le donne non possono accedere all’ordinazione sacerdotale; il punto è che si deve accogliere la verità per la quale «la Chiesa non ha in alcun modo la facoltà di conferire alle donne l’ordinazione sacerdotale» (san Giovanni Paolo ii, Ordinatio sacerdotalis).
Qui trova il suo senso pieno quel sentirsi parte di un corpo più grande, di un corpo che non è disarticolato, ma di un corpo che, per volontà esplicita del Signore Gesù, ha la sua guida in Pietro e nei suoi successori. Vorrei subito aggiungere che le ultime delibere del Cammino sinodale di voler rivolgere al Santo Padre Francesco la richiesta di riaprire tale questione smorzano certamente i toni tanto polemici del testo specifico circa l’accesso delle donne all’ordinazione sacerdotale e di questo non si può che essere riconoscenti. Certo, resta ancora una volta la questione della destinazione ultima di questi testi del Cammino sinodale. Il suggerimento fraterno rimane quello di approdare ad una sintesi più pacata e decisamente più in sintonia di quel “sentirci costitutivamente parte di un corpo più grande” che guida questo mio intervento.

La quinta ed ultima preoccupazione riguarda l’esercizio del magistero ecclesiale ed in particolare l’esercizio del magistero episcopale. Nei testi del Cammino sinodale resta quasi dimenticato il dettato della costituzione conciliare Dei Verbum ed in particolare la questione della tradizione della fede proprio grazie alla successione apostolica: «Gli apostoli poi, affinché l’Evangelo si conservasse sempre integro e vivo nella Chiesa, lasciarono come loro successori i vescovi, ad essi “affidando il loro proprio posto di maestri”» (dv, 7).
Prima della scrittura del corpus neotestamentario, vi è infatti la comunità di discepoli e di discepole del Signore Gesù chiamata a portare a tutti gli uomini e le donne della terra il messaggio della buona novella del Dio per tutti amore. Questa comunità, però, è una comunità ordinata, fondata su un capo che è Pietro e posta sotto la guida dei Dodici, ai quali spetta proprio il compito di autenticare la testimonianza degli altri discepoli e delle altre discepole del Signore. Nel corso dei secoli, questo ordine nella diaconia di tutti al regno dei Cieli è reso possibile proprio grazie alla presenza e missione dei vescovi ed in speciale modo alla presenza e alla missione del vescovo di Roma. Ai quali spetta, proprio per ciò, uno speciale compito nell’accompagnare tutti a vivere la carità nella verità e la verità nella carità. E se è vero che il magistero sta sotto il giudizio della Parola è anche vero che la Parola diviene viva e risuona come vivente proprio grazie all’esercizio del magistero dei vescovi e del vescovo di Roma in particolare. Quanto è confortante per ogni vescovo sapersi sempre cum Petro e sub Petro!
Non è pertanto possibile assimilare a questo compito così delicato e decisivo nella vita della Chiesa cattolica altri ministeri in essa presenti come quello dei teologi e di esperti in altre scienze.

Venerati confratelli, sono queste le preoccupazioni che nello spirito di quel sentirci tutti costitutivamente parte di un corpo più grande ho desiderato porgere alla vostra attenzione. La Chiesa universale ha bisogno della Chiesa che è in Germania, così come la Chiesa che è in Germania ha bisogno della Chiesa universale. Ma dobbiamo voler “avere bisogno” gli uni degli altri, dobbiamo voler attenderci gli uni gli altri, dobbiamo voler questa comunione di vita e di cammino. Ed in verità è proprio questo ciò che richiede il vostro sincero e profondissimo desiderio di essere sempre di più una Chiesa in cui tutti possono sentirsi a casa, in cui tutti possono sentirsi parte di una famiglia, una Chiesa in cui Dio rivela a tutti il suo volto di Padre, Figlio e Spirito Santo, soprattutto ora dopo le pagine drammatiche che abbiamo vissuto a causa dell’evidenza dei terribili abusi da parte di chierici contro i minori e di una loro gestione, da parte di alcuni vescovi, non sempre all’altezza della gravità della situazione.

Il Signore benedica il nostro voler aver bisogno gli uni degli altri.

Luis Francisco Ladaria Ferrer

La relazione del Prefetto del Dicastero per i Vescovi
Tornare allo spirito degli Atti degli apostoli

Nella Lettera al popolo di Dio che è in cammino in Germania, Papa Francesco, in comunione con il suo predecessore Benedetto XVI, prendeva atto del deterioramento della vita cristiana nel Paese e invitava tutto il popolo a fidarsi di Cristo come chiave per il rinnovamento. Il Santo Padre scriveva trattarsi di «un deterioramento, certo sfaccettato e di non facile e rapida soluzione, che chiede un approccio serio e consapevole che ci spinga a diventare, alle soglie della storia presente, come quel mendicante a cui l’Apostolo disse: “Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!” (At  3, 6)». Mi rifaccio a questo brano della lettera citata, per offrire alcune brevi considerazioni ecclesiologiche relative alla vostra ricerca sinodale, nello spirito degli Atti degli apostoli. Lo faccio da fratello nell’episcopato ma anche pensando ai bisogni dei semplici fedeli.

Voi, successori degli apostoli in Germania, avete preso sul serio la tragedia degli abusi sessuali perpetrati dai chierici, e avete lanciato, in modo tipicamente tedesco, un’operazione di studio con le risorse della scienza, della fede e delle consultazioni sinodali, per giungere ad una revisione radicale che porrebbe fine a questo fallimento morale ed istituzionale. I dibattiti accesi che si sono svolti e le proposte di riforma che ne fuoriescono, meritano certamente plauso per l’attenzione, l’impegno, la creatività, la sincerità e l’audacia manifestata dal vostro Cammino sinodale, dove i laici hanno avuto un ruolo paritario se non preponderante. Dopo l’attento studio delle vostre conclusioni, viene spontaneo tributare un riconoscimento sincero al gigantesco sforzo di autocritica istituzionale, al tempo consacrato a queste riflessioni e all’investimento di lavoro in comune tra teologi, vescovi e pastori, uomini e donne, per raggiungere certi consensi, pur con fatica e notevoli tensioni. Ci compete ora reagire alle vostre proposte, che contengono molti elementi condivisibili di tipo teologico, organizzativo e funzionale, ma che sollevano pure gravi difficoltà dal punto di vista antropologico, pastorale ed ecclesiologico.

Parecchi critici autorevoli dell’orientamento attuale del Cammino sinodale in Germania, parlano apertamente di uno scisma latente che la proposta dei vostri testi, così come sono, rischierebbe di avallare. So bene che non è vostra intenzione arrivare ad una rottura con la comunione universale della Chiesa, né favorire una vita cristiana al ribasso conforme al “Zeitgeist” [lo spirito del tempo ndr] più che al Vangelo; anzi, le concessioni che appaiono nelle vostre proposte vi sono state, per così dire, estorte dalla fortissima pressione culturale e mediatica; capisco che la vostra intenzione è proprio quella di evitare uno scisma, rendendo più credibili i ministri del Vangelo, moltiplicandoli e qualificandoli, e suscitando delle comunità cristiane più inclusive e rispettose di tutti gli atteggiamenti, da valutarsi coerentemente alla dignità umana e al concetto cristiano di persona. Colpisce comunque il fatto che l’agenda di un gruppo limitato di teologi di alcuni decenni fa, sia divenuta di colpo la proposta maggioritaria dell’episcopato tedesco: abolizione del celibato obbligatorio, ordinazione di viri probati, accesso della donna al ministero ordinato, rivalutazione morale dell’omosessualità, limitazione strutturale e funzionale del potere gerarchico, considerazione della sessualità ispirata alla Gender Theory, cambiamenti importanti proposti al Catechismo della Chiesa cattolica, ecc…

«Cosa è successo?», «Dove siamo arrivati?» si domandano increduli molti fedeli e osservatori. È difficile resistere all’impressione che la vicenda degli abusi, molto grave, sia stata comunque sfruttata per far passare altre idee non immediatamente connesse.

Valutando l’insieme delle proposte, abbiamo l’impressione di trovarci davanti non solo a un’interpretazione più larga della disciplina o della morale cattolica, ma ad un cambiamento fondamentale che suscita serie preoccupazioni, come ha ora ricordato il prefetto del Dicastero per la dottrina della fede. Ci pare di stare di fronte ad un progetto di “cambiamento della Chiesa” e non solo a innovazioni pastorali in campo morale o dogmatico. Devo purtroppo constatare che questa proposta globale, già ampiamente pubblicizzata in Germania e altrove, ferisce la comunione ecclesiale, perché semina il dubbio e la confusione nel popolo di Dio. Ne riceviamo ogni giorno testimonianze spontanee che lamentano lo scandalo causato ai piccoli da questa proposta inaspettata in rottura con la Tradizione cattolica.

Non desta sorpresa che questi risultati dividano, non solo la Conferenza episcopale locale e la Chiesa in Germania, ma l’episcopato mondiale, che non ha mancato di reagire con stupore e preoccupazione. Questo fatto deve farci riflettere circa il primo compito dei vescovi, che è l’insegnamento secondo il magistero della Chiesa e del Sommo Pontefice (cfr. LG, 25). Ogni vescovo, dalla sua ordinazione e aggregazione al collegio dei successori degli apostoli, cum et sub Petro, è abilitato a rappresentare la Chiesa universale nella porzione particolare a lui affidata e a garantire la comunione della sua porzione con la Chiesa universale. I criteri di questa comunione sono elencati in Lumen gentium, in Christus Dominus e nel Codice.

Il fatto che la Lettera di orientamento di Papa Francesco nel giugno 2019 sia stata accolta come punto di riferimento spirituale ma non veramente come guida per il metodo sinodale, ha avuto notevoli conseguenze. Il calendario dei lavori, dopo questo distacco iniziale dal magistero del Pontefice a livello metodologico, ha visto crescere progressivamente la tensione col magistero ufficiale a livello contenutistico, sfociando in proposte apertamente contrarie all’insegnamento ribadito da tutti i Pontefici dal Concilio Ecumenico Vaticano II in poi. Stupisce a riguardo, l’atteggiamento assunto nei confronti della decisione definitiva di San Giovanni Paolo II circa l’impossibilità per la Chiesa cattolica di procedere all’ordinazione sacerdotale delle donne. Tale atteggiamento rivela un problema di fede nei confronti del magistero e un certo razionalismo invadente che non si conforma alle decisioni assunte se non per ciò che pare personalmente convincente o se non diffusamente recepito dal sentire comune. Questo esempio simbolico, sommato agli altri cambiamenti morali e disciplinari auspicati, mette a repentaglio la responsabilità dei vescovi nei confronti del loro primo ministero e getta un’ombra sull’insieme dello sforzo assembleare citato, che pare fortemente influenzato da gruppi di pressione, e risulta così giudicato da tanti come un’iniziativa rischiosa, destinata a deludere e fallire perché “uscita dai binari”.

Grazie a Dio, questi testi elaborati e votati, ma ancora aperti ad ulteriori modifiche nell’ultima seduta prevista per marzo, comportano anche sviluppi apprezzabili per il ripensamento pastorale ed ecclesiologico, ad esempio: un senso spiccato della giustizia e dell’obbligo morale della riparazione verso le vittime di abusi, la promozione del sacerdozio battesimale, l’atteggiamento di riconoscimento dei carismi. Tenendo conto delle circostanze e delle tensioni acute che hanno accompagnato le sessioni al momento delle votazioni, avendo presente soprattutto la consultazione in corso per il Sinodo universale sulla sinodalità, ci pare necessaria una moratoria sulle proposte presentate e una revisione sostanziale da farsi in seguito, alla luce dei risultati del Sinodo romano. Abbiamo provvidenzialmente un’opportunità per abbinare le prospettive, adottando un cambiamento metodologico che potrebbe aiutare a migliorare le tesi del Cammino sinodale tedesco, nel senso di un ascolto più profondo dell’impostazione di Papa Francesco e del Sinodo universale dei vescovi. È ovvio che la metodologia del Sinodo universale è diversa da quella usata in Germania: è sicuramente meno parlamentare, più attenta alla partecipazione globale e al raggiungimento dei consensi formati in base all’ascolto spirituale profondo del popolo di Dio.

Il motivo fondamentale di questa moratoria è la preoccupazione per l’unità della Chiesa, che poggia sull’unità dei vescovi in comunione e in ossequio a Pietro. Appoggiare questa proposta controversa di un episcopato in difficoltà, seminerebbe ancora più dubbi e confusione nel popolo di Dio. Avendo presente il panorama ecumenico e quello geo-politico mondiale sconvolto dalle guerre, è prevedibile che la diffusione ulteriore di questa proposta non risolverebbe i problemi a cui vorrebbe porre rimedio: le uscite massicce dei fedeli dalla Chiesa, l’esodo della gioventù, le cosiddette “cause sistemiche” degli abusi, la crisi di fiducia dei fedeli.
Il limite principale di questa proposta è forse una certa impostazione apologetica, basata sui cambiamenti culturali invece di poggiare sull’annunzio rinnovato del Vangelo. Voi possedete oro e argento, scienza e prestigio ampiamente riconosciuti e gestite tutto con generosità, non dimenticatevi di testimoniare con forza e semplicità la fede in Gesù Cristo di cui il vostro popolo è mendicante.

Con l’esempio e l’insegnamento di Papa Francesco, possiamo tornare allo spirito degli Atti degli apostoli, offrire anzitutto Gesù Cristo ai bisogni di cura e di conversione della nostra gente, non pretendere che le soluzioni culturali o istituzionali siano indispensabili per rendere credibile la figura di Gesù, pur proposta da ministri imperfetti ma fiduciosi nella grazia e misericordia divina. È questo il messaggio iniziale di Papa Francesco che bisogna ora riprendere e applicare alla revisione dei risultati del Cammino sinodale.

Marc Ouellet

Fonte: L’Osservatore Romano. le relazioni teologiche del Cardinali Luis Francisco Ladaria Ferrer, Prefetto del Dicastero per la dottrina della fede, e del Cardinale Marc Ouellet, Prefetto del Dicastero per i Vescovi A moderare la riunione è stato il Segretario di Stato, Cardinale Pietro Parolin, che nell’introdurre i lavori ha definito l’incontro «una grazia» che è avvenuta nel giorno in cui la Chiesa ricorda le figure di Pietro e Paolo. «Figure molto diverse», ha sottolineato Parolin, «ma fratelli». Il Cardinal Parolin ha sottolineato l’importanza dell’essere una «famiglia unita», che discute ma continuando ad amarsi: «L’amore ci unisce senza uniformarci, ci unisce anche nelle nostre differenze». Ha quindi preso la parola monsignor Georg Bätzing, Vescovo di Limburg e Presidente della Conferenza Episcopale Tedesca. Poi, sono seguite le relazioni teologiche del Cardinali Luis Francisco Ladaria Ferrer, Prefetto del Dicastero per la dottrina della fede, e del Cardinale Marc Ouellet, Prefetto del Dicastero per i Vescovi, di cui riportiamo di seguito il testo integrale.

Il Cardinale Luis Francisco Ladaria Ferrer ha parlato di cinque preoccupazioni, riguardante: il genere letterario dei testi, il collegamento tra la struttura della Chiesa ed il fenomeno degli abusi di chierici contro i minori e gli altri fenomeni di abuso, la visione della sessualità umana secondo la dottrina della Chiesa ed in particolare per come essa trova espressione nel Catechismo della Chiesa cattolica del 1992, il ruolo della donna nella Chiesa ed in particolare la questione dell’accesso della donna all’ordinazione sacerdotale, l’esercizio del magistero ecclesiale ed in particolare l’esercizio del magistero episcopale.

Il Cardinale Marc Ouellet ha espresso la preoccupazione per le serie difficoltà che sorgono dal punto di vista antropologico, pastorale ed ecclesiologico, e per l’unità della Chiesa, che poggia sull’unità dei vescovi in comunione e in ossequio a Pietro. Ha chiesto una moratoria, che è stata respinta.

Il titolo del nostro articolo del 19 novembre scorsa, citato sopra, riportava la dicitura in tedesco del “Cammino sinodale” e due frasi del poeta tedesco Friedrich Hölderlin, citati da Papa Francesco nell’incontro con i giornalisti ammessi al Volo Papale durante il volo di ritorno da Bahrain, il 6 novembre 2022, in risposta all’ultima domanda, del giornalista tedesco Ludwig Ring-Eifel, in riferimento alla situazione della Chiesa Cattolica Romana in Germania. Tradotti: Molto hanno disimparato, molto e Il vecchio mantenga quello che ha promesso da fanciullo. Il Papa ha detto: «Ai cattolici tedeschi dico: la Germania ha una grande e bella Chiesa Evangelica; io non ne vorrei un’altra, che non sarà tanto buona come quella; ma la voglio Cattolica, alla cattolica, in fratellanza con quella Evangelica».

Avevo preso queste due citazioni come titolo – un monito del Capo della Chiesa universale rivolto alla Chiesa particolare in Germania. Più che in “Cammino sinodale”, si trova su una via scismatica, all’inseguimento dell’eresiarca Lutero – come un aiuto per il discernimento sul Comunicato congiunto della Santa Sede e della Conferenze Episcopale di Germania, sulla riunione interdicasteriale.

«Vescovi tedeschi: il Papa diserta l’incontro con la Curia» ha titolato La Nuova Bussola Quotidiana 19 novembre 2022 un articolo di Nico Spuntoni: «Non deve essere stato facile l’incontro tra la Conferenza Episcopale Tedesca e i Capi dicastero per discutere del controverso e radicale Cammino sinodale in Germania. Il vero giallo è l’assenza del Papa, ma non è sfuggita la familiarità che ha mostrato anche giovedì scorso nei confronti del cardinal Marx».

La relazione del Prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede
Parte di un corpo più grande


C’è un passaggio della Lettera del Santo Padre al Popolo di Dio che è in cammino in Germania che costituisce l’orizzonte di fondo di questo mio breve intervento. Scrive Papa Francesco al paragrafo 9 della lettera appena citata: «La Chiesa universale vive in e delle Chiese particolari [Lumen Gentium, 23], così come le Chiese particolari vivono e fioriscono in e dalla Chiesa universale, e se si ritrovano separate dall’intero corpo ecclesiale, si debilitano, marciscono e muoiono. Da qui il bisogno di mantenere sempre viva ed effettiva la comunione con tutto il corpo della Chiesa, che ci aiuta a superare l’ansia che ci rinchiude in noi stessi e nelle nostre particolarità, al fine di poter guardare negli occhi, ascoltare o rinunciare alle urgenze per accompagnare chi è rimasto sul ciglio della strada. A volte questo atteggiamento si può manifestare in un minimo gesto, come quello del padre verso il figliol prodigo, che lascia le porte aperte affinché, quando tornerà, possa entrare senza difficoltà [cfr. Evangelii gaudium, 46]. Ciò non è sinonimo di non camminare, avanzare, cambiare e persino non dibattere o dissentire, ma è semplicemente la conseguenza del saperci costitutivamente parte di un corpo più grande che ci vuole e ci aspetta, e che ha bisogno di noi, e che anche noi vogliamo e aspettiamo, e di cui abbiamo bisogno. È il gusto di sentirci parte del santo e paziente Popolo fedele di Dio».

Le parole che seguono vorrebbero ora proprio far risvegliare in ciascuno di noi questa consapevolezza di essere costitutivamente parte di un corpo più grande e che proprio una tale comunione con tutti gli altri membri della Chiesa può permettere — più di mille altri gesti o proclami eclatanti — quell’ospitalità oggi così necessaria nei confronti di chi è rimasto sul ciglio della strada.

Ed in verità sono tanti e tante coloro che oggi non si sentono più “a casa” nella casa del Signore e ne restano fuori. Sono poi ancora tanti e tante coloro che si sentono profondamente traditi dagli uomini e dalle donne della Chiesa cattolica e non ci frequentano più. Soprattutto sono, infine, tanti e tante coloro che non avvertono più alcuna fiducia in noi Vescovi. E questo accade non senza ragione. Il pensiero corre qui immediatamente alla dolorosa pagina degli abusi sessuali e più in generale di potere compiuti dal clero e a tutte le volte che in tali casi la nostra risposta come Chiesa non è stata all’altezza della situazione. Al riguardo non ci stancheremo mai di chiedere perdono alle vittime di questi abusi, offrendo loro il nostro possibile aiuto; allo stesso tempo, non ci stancheremo mai di rinnovare ogni giorno la nostra determinazione perché abusi contro i minori e abusi di potere da parte di uomini e donne della Chiesa non abbiano mai più ad accadere. Sotto questo punto di vista, posso assicurarvi che il Dicastero per la dottrina della fede è impegnato con ogni forza e con il massimo scrupolo ad assicurare che vengano inflitte le pene previste dal codice nei confronti di quei chierici che si sono macchiati di tali abominevoli crimini.

Da questo punto di vista, appare oltre misura encomiabile lo sforzo che la Chiesa che è in Germania sta compiendo al suo interno per stabilire protocolli di sicurezza per evitare ogni abuso contro i minori e ogni altra forma di violenza contro persone adulte da parte dei chierici ed in ogni caso all’interno delle istituzioni ecclesiali. Questo impegno ha trovato una sua particolare concretizzazione nel Cammino sinodale avviato nel 2019 dalla Chiesa che è in Germania e che proprio in questi mesi sta giungendo ad una fase di particolare importanza.

Ora, proprio nello spirito di quel «saperci [tutti] costitutivamente parte di un corpo più grande che ci vuole e ci aspetta, e che ha bisogno di noi, e che anche noi vogliamo e aspettiamo, e di cui abbiamo bisogno», evocato dalle parole sopra citate della Lettera del Santo Padre al Popolo di Dio che è in cammino in Germania, è mio compito, in qualità di prefetto del Dicastero per la dottrina della fede, presentarvi, venerabili confratelli, cinque specifiche preoccupazioni che sorgono da un’attenta lettura dei testi sinora discussi all’interno del vostro Cammino sinodale.

La prima preoccupazione riguarda il genere letterario dei testi. Non essendo il vostro un Sinodo, ma un cammino sinodale, non sembra per ora previsto alcun documento finale. Ma non è forse il caso di pensare a qualcosa come ad un documento finale del Cammino sinodale o a qualcosa di simile? Un tale interrogativo si impone nel momento in cui si nota che in tanti passaggi dei testi del Cammino sinodale ci sono affermazioni generiche circa le posizioni presenti nel santo popolo di Dio, riferimenti allusivi a evidenze scientifiche e sociologiche, utilizzo di risultati esegetici ancora discussi e discutibili, dichiarazioni senza esitazione di fine della metafisica e di eclissi di ogni verità, generici protocolli di possibile riconoscimento pubblico della dottrina ecclesiale, ed infine richiami a teologi e a teologhe senza nome e senza possibilità di identificazione. Si tratta di cose forse molto chiare per gli estensori dei testi e per lettori qualificati, ma se siamo parte di un corpo più grande e questi testi (con la loro già disponibile traduzione in altre lingue) iniziano ad avere una diffusione globale, non sembra fuori luogo la proposta di un documento finale o qualcosa di analogo in cui possa emergere un procedere più lineare e meno dipendente da affermazioni non pienamente acclarate.

La seconda preoccupazione riguarda il collegamento tra la struttura della Chiesa ed il fenomeno degli abusi di chierici contro i minori e gli altri fenomeni di abuso. Il discorso portato avanti dai testi, a causa pure della loro lunghezza e delle necessarie ripetizioni in più occasioni, non sembra tenere in giusto conto la natura specifica del corpo ecclesiale. Va da sé che tutto ciò che si può fare per evitare altri abusi di chierici contro i minori, deve essere fatto, ma questo non deve implicare una riduzione del mistero della Chiesa a semplice istituzione di potere o ad una preventiva considerazione della Chiesa quale organizzazione strutturalmente produttrice di abusi, che deve essere messa al più presto sotto controllo di super controllori. Da questo punto di vista, il rischio maggiore di molti suggerimenti operativi dei testi del Cammino sinodale è quello di fare perdere una delle conquiste maggiori del concilio Vaticano ii e cioè la chiara dottrina della missione dei vescovi e dunque della Chiesa particolare.

La terza preoccupazione riguarda la visione della sessualità umana secondo la dottrina della Chiesa ed in particolare per come essa trova espressione nel Catechismo della Chiesa cattolica del 1992. L’impressione generalizzata che al riguardo potrebbe emergere dalla lettura dei testi del Cammino sinodale è che su questo terreno nella dottrina della Chiesa non ci sia quasi nulla da salvare. Sarebbe tutto da cambiare. Come non pensare all’impatto che tutto questo ha su tanti fedeli che ascoltano la voce della Chiesa e si sforzano di seguirne le indicazioni di vita? Debbono forse pensare di aver sbagliato ogni cosa sino a questo momento?
Non si dovrebbe troppo facilmente pensare che la sessualità umana sia qualcosa di limpidamente davanti a noi e privo di quell’ambivalenza che ogni gesto umano comporta ed ancora di più ogni gesto umano legato all’esercizio della sessualità. Sarebbe stata auspicabile, da parte degli estensori dei testi e dell’Assemblea del Cammino sinodale, una maggiore cautela e un qualche anticipo di fiducia sulla visione che della sessualità ha realizzato il magistero negli ultimi decenni. La salvaguardia del carattere costitutivamente generativo e generazionale dell’essere umano resta uno dei grandi compiti profetici della comunità dei credenti in questo tempo di progressiva commercializzazione dell’esistenza umana.

La quarta preoccupazione riguarda il ruolo della donna nella Chiesa ed in particolare la questione dell’accesso della donna all’ordinazione sacerdotale. Anche in questo caso, i testi del Cammino sinodale appaiono al di sotto di un’ermeneutica partecipata delle posizioni magisteriali, riducendo il tutto alla seguente osservazione: nella Chiesa cattolica non si rispetta la dignità fondamentale delle donne, perché esse non possono accedere all’ordinazione sacerdotale. La posizione del magistero è in verità più specifica. Il punto decisivo al riguardo non è che nella Chiesa cattolica le donne non possono accedere all’ordinazione sacerdotale; il punto è che si deve accogliere la verità per la quale «la Chiesa non ha in alcun modo la facoltà di conferire alle donne l’ordinazione sacerdotale» (san Giovanni Paolo ii, Ordinatio sacerdotalis).
Qui trova il suo senso pieno quel sentirsi parte di un corpo più grande, di un corpo che non è disarticolato, ma di un corpo che, per volontà esplicita del Signore Gesù, ha la sua guida in Pietro e nei suoi successori. Vorrei subito aggiungere che le ultime delibere del Cammino sinodale di voler rivolgere al Santo Padre Francesco la richiesta di riaprire tale questione smorzano certamente i toni tanto polemici del testo specifico circa l’accesso delle donne all’ordinazione sacerdotale e di questo non si può che essere riconoscenti. Certo, resta ancora una volta la questione della destinazione ultima di questi testi del Cammino sinodale. Il suggerimento fraterno rimane quello di approdare ad una sintesi più pacata e decisamente più in sintonia di quel “sentirci costitutivamente parte di un corpo più grande” che guida questo mio intervento.

La quinta ed ultima preoccupazione riguarda l’esercizio del magistero ecclesiale ed in particolare l’esercizio del magistero episcopale. Nei testi del Cammino sinodale resta quasi dimenticato il dettato della costituzione conciliare Dei Verbum ed in particolare la questione della tradizione della fede proprio grazie alla successione apostolica: «Gli apostoli poi, affinché l’Evangelo si conservasse sempre integro e vivo nella Chiesa, lasciarono come loro successori i vescovi, ad essi “affidando il loro proprio posto di maestri”» (dv, 7).
Prima della scrittura del corpus neotestamentario, vi è infatti la comunità di discepoli e di discepole del Signore Gesù chiamata a portare a tutti gli uomini e le donne della terra il messaggio della buona novella del Dio per tutti amore. Questa comunità, però, è una comunità ordinata, fondata su un capo che è Pietro e posta sotto la guida dei Dodici, ai quali spetta proprio il compito di autenticare la testimonianza degli altri discepoli e delle altre discepole del Signore. Nel corso dei secoli, questo ordine nella diaconia di tutti al regno dei Cieli è reso possibile proprio grazie alla presenza e missione dei vescovi ed in speciale modo alla presenza e alla missione del vescovo di Roma. Ai quali spetta, proprio per ciò, uno speciale compito nell’accompagnare tutti a vivere la carità nella verità e la verità nella carità. E se è vero che il magistero sta sotto il giudizio della Parola è anche vero che la Parola diviene viva e risuona come vivente proprio grazie all’esercizio del magistero dei vescovi e del vescovo di Roma in particolare. Quanto è confortante per ogni vescovo sapersi sempre cum Petro e sub Petro!
Non è pertanto possibile assimilare a questo compito così delicato e decisivo nella vita della Chiesa cattolica altri ministeri in essa presenti come quello dei teologi e di esperti in altre scienze.

Venerati confratelli, sono queste le preoccupazioni che nello spirito di quel sentirci tutti costitutivamente parte di un corpo più grande ho desiderato porgere alla vostra attenzione. La Chiesa universale ha bisogno della Chiesa che è in Germania, così come la Chiesa che è in Germania ha bisogno della Chiesa universale. Ma dobbiamo voler “avere bisogno” gli uni degli altri, dobbiamo voler attenderci gli uni gli altri, dobbiamo voler questa comunione di vita e di cammino. Ed in verità è proprio questo ciò che richiede il vostro sincero e profondissimo desiderio di essere sempre di più una Chiesa in cui tutti possono sentirsi a casa, in cui tutti possono sentirsi parte di una famiglia, una Chiesa in cui Dio rivela a tutti il suo volto di Padre, Figlio e Spirito Santo, soprattutto ora dopo le pagine drammatiche che abbiamo vissuto a causa dell’evidenza dei terribili abusi da parte di chierici contro i minori e di una loro gestione, da parte di alcuni vescovi, non sempre all’altezza della gravità della situazione.

Il Signore benedica il nostro voler aver bisogno gli uni degli altri.

Luis Francisco Ladaria Ferrer

La relazione del Prefetto del Dicastero per i Vescovi
Tornare allo spirito degli Atti degli apostoli

Nella Lettera al popolo di Dio che è in cammino in Germania, Papa Francesco, in comunione con il suo predecessore Benedetto XVI, prendeva atto del deterioramento della vita cristiana nel Paese e invitava tutto il popolo a fidarsi di Cristo come chiave per il rinnovamento. Il Santo Padre scriveva trattarsi di «un deterioramento, certo sfaccettato e di non facile e rapida soluzione, che chiede un approccio serio e consapevole che ci spinga a diventare, alle soglie della storia presente, come quel mendicante a cui l’Apostolo disse: “Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!” (At  3, 6)». Mi rifaccio a questo brano della lettera citata, per offrire alcune brevi considerazioni ecclesiologiche relative alla vostra ricerca sinodale, nello spirito degli Atti degli apostoli. Lo faccio da fratello nell’episcopato ma anche pensando ai bisogni dei semplici fedeli.

Voi, successori degli apostoli in Germania, avete preso sul serio la tragedia degli abusi sessuali perpetrati dai chierici, e avete lanciato, in modo tipicamente tedesco, un’operazione di studio con le risorse della scienza, della fede e delle consultazioni sinodali, per giungere ad una revisione radicale che porrebbe fine a questo fallimento morale ed istituzionale. I dibattiti accesi che si sono svolti e le proposte di riforma che ne fuoriescono, meritano certamente plauso per l’attenzione, l’impegno, la creatività, la sincerità e l’audacia manifestata dal vostro Cammino sinodale, dove i laici hanno avuto un ruolo paritario se non preponderante. Dopo l’attento studio delle vostre conclusioni, viene spontaneo tributare un riconoscimento sincero al gigantesco sforzo di autocritica istituzionale, al tempo consacrato a queste riflessioni e all’investimento di lavoro in comune tra teologi, vescovi e pastori, uomini e donne, per raggiungere certi consensi, pur con fatica e notevoli tensioni. Ci compete ora reagire alle vostre proposte, che contengono molti elementi condivisibili di tipo teologico, organizzativo e funzionale, ma che sollevano pure gravi difficoltà dal punto di vista antropologico, pastorale ed ecclesiologico.

Parecchi critici autorevoli dell’orientamento attuale del Cammino sinodale in Germania, parlano apertamente di uno scisma latente che la proposta dei vostri testi, così come sono, rischierebbe di avallare. So bene che non è vostra intenzione arrivare ad una rottura con la comunione universale della Chiesa, né favorire una vita cristiana al ribasso conforme al “Zeitgeist” [lo spirito del tempo ndr] più che al Vangelo; anzi, le concessioni che appaiono nelle vostre proposte vi sono state, per così dire, estorte dalla fortissima pressione culturale e mediatica; capisco che la vostra intenzione è proprio quella di evitare uno scisma, rendendo più credibili i ministri del Vangelo, moltiplicandoli e qualificandoli, e suscitando delle comunità cristiane più inclusive e rispettose di tutti gli atteggiamenti, da valutarsi coerentemente alla dignità umana e al concetto cristiano di persona. Colpisce comunque il fatto che l’agenda di un gruppo limitato di teologi di alcuni decenni fa, sia divenuta di colpo la proposta maggioritaria dell’episcopato tedesco: abolizione del celibato obbligatorio, ordinazione di viri probati, accesso della donna al ministero ordinato, rivalutazione morale dell’omosessualità, limitazione strutturale e funzionale del potere gerarchico, considerazione della sessualità ispirata alla Gender Theory, cambiamenti importanti proposti al Catechismo della Chiesa cattolica, ecc…

«Cosa è successo?», «Dove siamo arrivati?» si domandano increduli molti fedeli e osservatori. È difficile resistere all’impressione che la vicenda degli abusi, molto grave, sia stata comunque sfruttata per far passare altre idee non immediatamente connesse.

Valutando l’insieme delle proposte, abbiamo l’impressione di trovarci davanti non solo a un’interpretazione più larga della disciplina o della morale cattolica, ma ad un cambiamento fondamentale che suscita serie preoccupazioni, come ha ora ricordato il prefetto del Dicastero per la dottrina della fede. Ci pare di stare di fronte ad un progetto di “cambiamento della Chiesa” e non solo a innovazioni pastorali in campo morale o dogmatico. Devo purtroppo constatare che questa proposta globale, già ampiamente pubblicizzata in Germania e altrove, ferisce la comunione ecclesiale, perché semina il dubbio e la confusione nel popolo di Dio. Ne riceviamo ogni giorno testimonianze spontanee che lamentano lo scandalo causato ai piccoli da questa proposta inaspettata in rottura con la Tradizione cattolica.

Non desta sorpresa che questi risultati dividano, non solo la Conferenza episcopale locale e la Chiesa in Germania, ma l’episcopato mondiale, che non ha mancato di reagire con stupore e preoccupazione. Questo fatto deve farci riflettere circa il primo compito dei vescovi, che è l’insegnamento secondo il magistero della Chiesa e del Sommo Pontefice (cfr. LG, 25). Ogni vescovo, dalla sua ordinazione e aggregazione al collegio dei successori degli apostoli, cum et sub Petro, è abilitato a rappresentare la Chiesa universale nella porzione particolare a lui affidata e a garantire la comunione della sua porzione con la Chiesa universale. I criteri di questa comunione sono elencati in Lumen gentium, in Christus Dominus e nel Codice.

Il fatto che la Lettera di orientamento di Papa Francesco nel giugno 2019 sia stata accolta come punto di riferimento spirituale ma non veramente come guida per il metodo sinodale, ha avuto notevoli conseguenze. Il calendario dei lavori, dopo questo distacco iniziale dal magistero del Pontefice a livello metodologico, ha visto crescere progressivamente la tensione col magistero ufficiale a livello contenutistico, sfociando in proposte apertamente contrarie all’insegnamento ribadito da tutti i Pontefici dal Concilio Ecumenico Vaticano II in poi. Stupisce a riguardo, l’atteggiamento assunto nei confronti della decisione definitiva di San Giovanni Paolo II circa l’impossibilità per la Chiesa cattolica di procedere all’ordinazione sacerdotale delle donne. Tale atteggiamento rivela un problema di fede nei confronti del magistero e un certo razionalismo invadente che non si conforma alle decisioni assunte se non per ciò che pare personalmente convincente o se non diffusamente recepito dal sentire comune. Questo esempio simbolico, sommato agli altri cambiamenti morali e disciplinari auspicati, mette a repentaglio la responsabilità dei vescovi nei confronti del loro primo ministero e getta un’ombra sull’insieme dello sforzo assembleare citato, che pare fortemente influenzato da gruppi di pressione, e risulta così giudicato da tanti come un’iniziativa rischiosa, destinata a deludere e fallire perché “uscita dai binari”.

Grazie a Dio, questi testi elaborati e votati, ma ancora aperti ad ulteriori modifiche nell’ultima seduta prevista per marzo, comportano anche sviluppi apprezzabili per il ripensamento pastorale ed ecclesiologico, ad esempio: un senso spiccato della giustizia e dell’obbligo morale della riparazione verso le vittime di abusi, la promozione del sacerdozio battesimale, l’atteggiamento di riconoscimento dei carismi. Tenendo conto delle circostanze e delle tensioni acute che hanno accompagnato le sessioni al momento delle votazioni, avendo presente soprattutto la consultazione in corso per il Sinodo universale sulla sinodalità, ci pare necessaria una moratoria sulle proposte presentate e una revisione sostanziale da farsi in seguito, alla luce dei risultati del Sinodo romano. Abbiamo provvidenzialmente un’opportunità per abbinare le prospettive, adottando un cambiamento metodologico che potrebbe aiutare a migliorare le tesi del Cammino sinodale tedesco, nel senso di un ascolto più profondo dell’impostazione di Papa Francesco e del Sinodo universale dei vescovi. È ovvio che la metodologia del Sinodo universale è diversa da quella usata in Germania: è sicuramente meno parlamentare, più attenta alla partecipazione globale e al raggiungimento dei consensi formati in base all’ascolto spirituale profondo del popolo di Dio.

Il motivo fondamentale di questa moratoria è la preoccupazione per l’unità della Chiesa, che poggia sull’unità dei vescovi in comunione e in ossequio a Pietro. Appoggiare questa proposta controversa di un episcopato in difficoltà, seminerebbe ancora più dubbi e confusione nel popolo di Dio. Avendo presente il panorama ecumenico e quello geo-politico mondiale sconvolto dalle guerre, è prevedibile che la diffusione ulteriore di questa proposta non risolverebbe i problemi a cui vorrebbe porre rimedio: le uscite massicce dei fedeli dalla Chiesa, l’esodo della gioventù, le cosiddette “cause sistemiche” degli abusi, la crisi di fiducia dei fedeli.
Il limite principale di questa proposta è forse una certa impostazione apologetica, basata sui cambiamenti culturali invece di poggiare sull’annunzio rinnovato del Vangelo. Voi possedete oro e argento, scienza e prestigio ampiamente riconosciuti e gestite tutto con generosità, non dimenticatevi di testimoniare con forza e semplicità la fede in Gesù Cristo di cui il vostro popolo è mendicante.

Con l’esempio e l’insegnamento di Papa Francesco, possiamo tornare allo spirito degli Atti degli apostoli, offrire anzitutto Gesù Cristo ai bisogni di cura e di conversione della nostra gente, non pretendere che le soluzioni culturali o istituzionali siano indispensabili per rendere credibile la figura di Gesù, pur proposta da ministri imperfetti ma fiduciosi nella grazia e misericordia divina. È questo il messaggio iniziale di Papa Francesco che bisogna ora riprendere e applicare alla revisione dei risultati del Cammino sinodale.

Marc Ouellet

Fonte: L’Osservatore Romano.

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