La svolta anti-conciliare di Papa Francesco
[Korazym.org/Blog dell’Editore, 05.09.2022 – Andrea Gagliarducci] – La riforma della Curia voluta da Papa Francesco, ma soprattutto la filosofia che vi sta dietro [QUI], ha portato probabilmente una conseguenza non prevista. A partire dai principi individuabili nel Praedicate Evangelium [QUI] l’intero Concilio Vaticano II può essere messo in discussione. Questo è paradossale, poiché Papa Francesco vuole essere il Papa che mette in pratica il Concilio.
La questione ruota attorno a un tema centrale nelle discussioni dei cardinali: la responsabilità dei laici [QUI e QUI]. Secondo la Costituzione Praedicate Evangelium, tutti, anche i laici, possono ricevere incarichi di governo perché ricevono il potere direttamente dal Papa. Si tratta, quindi, di un potere vicariale, non un potere conferito dal sacro Ordine che ricevono.
È una questione scottante ed è stata subito oggetto di un ampio dibattito. Il Vescovo Marco Mellino, Segretario del Consiglio di cardinali, in un articolo diffuso a tutti i membri del Collegio cardinalizio in preparazione al Concistoro [QUI], ha spiegato che questa definizione non è contraria al diritto canonico in quanto riformato dopo il Concilio Vaticano II. Per Mellino, il fatto che i laici possano collaborare al governo significa che possono partecipare al governo a cui partecipano per vocazione i vescovi.
Questa interpretazione è ampiamente contestata. Prima del Concistoro erano stati diffusi gli interventi sul tema dei Cardinali Antonio Rouco Varela, Marc Ouellet e persino Walter Kasper [QUI]. Tutti hanno messo in dubbio che questa decisione di centralizzare tutto nelle mani del Papa in definitiva, anche la distribuzione del potere, fosse nello spirito del Concilio Vaticano II.
Anche lo storico Alberto Melloni aveva denunciato la svolta anticonciliare di Papa Francesco [QUI], che, invece di delegare, incentra sempre più su se stesso i suoi poteri. Supponiamo che la missione canonica sia quella che conferisce il potere di governo. In tal caso, il potere viene solo dal Papa, con buona pace della potestas gubernandi conferita dal Sacro Ordine e del fatto che l’Ordine rende tutti i vescovi eguali in dignità, con gli stessi poteri, con la stessa pienezza di poteri.
Non è una coincidenza, che molti degli interventi durante il Concistoro, preparati e poi non pronunciati perché non c’era un momento reale in cui tutti potessero riunirsi, sono andati proprio in questa direzione.
Come accennato, è stato il Concilio Vaticano II che, volendo tornare alla natura sacramentale della Chiesa, ha definito che i poteri sacri dei vescovi, prima ancora di essere giurisdizionali, riguardavano non solo quelli di santificare e di insegnare, ma anche quello di governare. È stato un modo per superare gli abusi del secondo millennio della storia della Chiesa. Aveva visto anche badesse con poteri territoriali simili a quelli dei vescovi e vescovi che non erano nemmeno ordinati sacerdoti.
Che ci sia stato un forte consenso nella Chiesa sull’argomento, è testimoniato dal fatto che i voti su questi temi, finiti nella Costituzione apostolica Lumen gentium, sono stati principalmente favorevoli: circa 3.000 padri conciliari hanno sostenuto questa lettura, mentre solo 300 sono stati quelli che hanno votato contro.
Ma il fatto che la nuova Costituzione ritorni sul dibattito fornisce una nuova interpretazione e smentisce qualcosa che era scaturita dalla riflessione del Concilio Vaticano II pone gravi problemi alla ricezione dello stesso Concilio Vaticano II.
Anche questo è paradossale se si considera che Papa Francesco vuole legare tutto alla corretta recezione del Concilio Vaticano II. Il Papa, infatti, è particolarmente feroce su questi temi, soprattutto per quanto riguarda la liturgia.
La Traditionis Custodes, che annulla tutte le concessioni fatte alla celebrazione del rito antico, è stata giustificata dal Papa come la necessità di applicare il Concilio [QUI], e con la sottolineatura che il Concilio deve essere accolto in ogni sua parte perché è la vita di la Chiesa [QUI].
Se questo è il modo di pensare, cosa pensare delle conseguenze della Praedicate Evangelium? La stessa Costituzione non può mettere a repentaglio la ricezione del Concilio?
Può essere facile sostenere che liturgia e governo siano questioni molto diverse. Ma per quanto diversi siano, il principio di fondo rimane lo stesso. Alla fine c’è una contraddizione.
Questa contraddizione, del resto, pervade molte azioni del pontificato di Papa Francesco. C’è un Papa impulsivo e un Papa meno impulsivo, come due facce della stessa medaglia, che creano un pontificato fluido e bipolare e, quindi, di difficile interpretazione.
C’è un Papa che, da un lato, condanna tutte le forme tradizionaliste e, dall’altro, messo davanti all’evidenza che ci sono movimenti tradizionali riconosciuti dalla Chiesa che hanno le loro ragioni, accetta e sostiene il loro operato – come è avvenuto con il decreto specifico fatto per la Fraternità di San Pietro [QUI e QUI].
C’è un Papa che difende l’Arcivescovo Gustavo Zanchetta [QUI] finché può e nonostante le accuse contro di lui siano schiaccianti, assegnandolo a lavorare in Vaticano e il rispettando il principio della presunzione di innocenza. Ma c’è invece anche un Papa che chiede al Cardinal Becciu di rinunciare a tutte le sue cariche e prerogative, condannandolo di fatto alla gogna mediatica ancor prima che si tenga un processo [QUI].
C’è il Papa della sacrosanta tolleranza zero contro gli abusi, e il Papa che entra nella revisione dei processi di Padre Mario Inzoli o di Padre Grassi in Argentina [QUI, QUI e QUI].
C’è un Papa che accetta un documento della Congregazione per la Dottrina della Fede, che dice che no, le coppie omosessuali non si possono benedire, e un Papa che subito dopo sconfessa indirettamente il documento, perché fortemente criticato dai media [QUI].
C’è un Papa che sostiene, giustamente, che il Sinodo non è un parlamento, e un Papa che si distacca dall’idea del consenso sinodale facendo pubblicare tutti i voti dei paragrafi del documento finale, e tutte le sezioni, comprese quelle non approvato, distinguendo nell’esito tra opinioni di maggioranza e di opposizione [QUI].
C’è un Papa che vuole essere vicino all’Ucraina e un Papa che, comunque, non riesce a prendere le distanze dalle notizie che arrivano dalle analisi superficiali dei giornali.
C’è un Papa che si lamenta della comunicazione della Santa Sede e un Papa che, invece di aiutarla, rilascia varie interviste senza passare dal Dicastero per la Comunicazione [QUI].
Si dice che per i gesuiti non esiste il principio di non contraddizione – ha sottolineato tempo fa un noto gesuita, citando Dostoevskij – che in teologia non sempre 2+2 fa 4, a volte può fare 5 [QUI].
Questo procedere per tentativi e errori, forse totalmente in buona fede e con la consapevolezza di una necessaria riforma della Chiesa Cattolica e della Curia, rischia di creare una lite ampia, qualcosa che va oltre il malcontento generale, che è anche palpabile.
Alla fine, se anche un piccolo pezzo del Concilio può essere messo in discussione, si interrompe la continuità nella storia della Chiesa. A questo punto potrebbero essere fondate anche le critiche mosse dall’Arcivescovo Lefebvre, in una posizione che poi portò a uno scisma quando consacrò quattro vescovi senza l’approvazione di Roma.
A quel tempo, si diceva che Lefebvre si preoccupasse più della sua battaglia personale che di qualsiasi altra cosa. Infatti, sia Papa Giovanni Paolo II che l’allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, il Cardinale Joseph Ratzinger, fecero di tutto per risolvere lo scisma. Va detto che Papa Benedetto XVI, nonostante le liberalizzazioni sull’uso del rito antico, ha sempre condizionato un possibile ritorno alla comunione dei lefebvriani proprio a un preambolo dottrinale che prevedeva la totale accoglienza del Concilio Vaticano II [QUI].
Ora, il Concilio Vaticano II è la linea guida di ogni ispezione, di ogni provvedimento, anche severo, del Papa. Eppure è profondamente interrogato su uno dei suoi fondamenti da una Costituzione apostolica scritta “per tentativi e errori”, e con la consapevolezza che dovrà essere sostanzialmente modificata.
Intanto, Papa Francesco ha deciso di riunire i suoi cardinali per presentare loro un fait accompli. La discussione è stata divisa in gruppi linguistici, come si dice potrebbe essere il caso in una possibile riforma delle Congregazioni Generali che precedono il Conclave. È impossibile dibattere in comune, come ha denunciato il Cardinale Walter Brandmüller [QUI], una delle voci più critiche contro questa tendenza.
Il Concistoro, dopotutto, era un “noncistoro”. È un collegio che sembra essere più un comitato elettorale che un vero e proprio organo consultivo del Papa, anche se molti hanno detto che la discussione nei gruppi linguistici è stata vivace e libera e che nessuno ha sentito pressioni. In effetti, c’è quasi una paura di parlare apertamente. Si spera che il Papa legga gli interventi dei cardinali. Tuttavia, c’è una solida preoccupazione di fondo: che la natura stessa del sacerdozio sia minata. E c’è il timore che l’opera di accoglienza del Concilio Vaticano II abbia subito una battuta d’arresto, forse decisiva.
Questo articolo è stato pubblicato oggi dall’autore sul suo blog Monday Vatican: Pope Francis and the paradox of the Council (Papa Francesco e il paradosso del Concilio) [QUI].