Viva la Vida! 52° viaggio di solidarietà e speranza della Fondazione Santina in Colombia, Bolivia e Peru. Un complicato viaggio. Mauricio: il nuovo volto di speranza

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Come abbiamo raccontato [QUI], il 19 giugno 2022, solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo, Mons. Luigi (Don Gigi) Ginami è partito per il 52° viaggio di solidarietà e speranza della Fondazione Santina, che lo porta attraverso Canada, Colombia, Bolivia e Perù fino all’11 luglio, con Padre Giorgio (in Colombia); Don Giovanni Algeri (in Bolivia); Asunta Olinda Calderon Vega, Josemil Tito Calderon, Hernan Tito Calderon (in Perù); e Padre Carlos Castillo (a Puerto Maldonado). Questo viaggio di solidarietà e speranza della Fondazione Santina è il più lungo dei 52, con una durata di 23 giorni. Inoltre, ci sono da affrontare forti escursioni termiche: le Ande di Bolivia e Perù portano di notte a meno 10 gradi, in Perù si entra in inverno ed il 24 giugno è la grande festa inca del sole Inti Raymi, che segna il solstizio di inverno. Tra Italia e Perù vi sono sette ore di differenza in meno. Infine, vi è il passaggio alla regione amazzonica che porta il caldo a più di 37 gradi.

Oggi riportiamo il Report 52/1. Un complicato viaggio, in cui Don Gigi ci racconta l’inizio incredibile di un viaggio della durata di 23 giorni, già di per sé davvero impegnativo, ma iniziato in salita con 4 giorni di incubo e un viaggio aereo durato complessivamente trenta ore, con cinque fusi orari: Canada, Brasile, Colombia, Bolivia e Perù. Al risveglio a Munyapata, la parrocchia dei Bergamaschi in Bolivia, a 4.100 m.s.l.m. con -3 gradi si interrogo pacatamente. Come è riuscito a farsi rovinare le giornate a Bogotà da un paio di mutande? Come è possibile che la valigia e la biancheria perso gli abbia distrutto tre meravigliose giornate? Si dice che ha sbagliato e si è fatto infastidire da cose che non sono essenziali. Tutto il giorno preoccupato per la valigia, sfumando i bellissimi incontri per i quali quella valigia era stata preparata. Si ravvede e fa un serio proposito di vivere con più essenzialità il lungo viaggio che gli sta davanti con le sue sfide (che non mancheranno, come vedremo). Nel Report 52/2. Mauricio: il nuovo volto di speranza che segue, Don Gigi non parla più della sua bella valigia rossa persa e delle sue mutande, ma della meravigliosa storia di Mauricio, un tossicodipendente incontrato nella comunità terapeutica di Padre Giovanni, del centro di recupero a Silvania in Colombia, che la Fondazione Santina vuole aiutare il prossimo anno.

Report 52/1. Un complicato viaggio

Sto scrivendo a fatica le prime righe nell’aereo fermo sulla pista a San Paolo in Brasile con destinazione Bogotà. Ti chiederai ma cosa c’entra il Brasile con la Colombia? Me lo chiedo anche io, in un incubo di viaggio che non credo essere ancora reale; un viaggio di andata inaspettatamente lungo, lunghissimo ed imprevisto totalmente. La testa è appannata e con fatica riesco a buttare giù alcune parole, ma ci provo. Il volo da Milano a Toronto inizia con due imprevisti: uno scalo a Montreal e un pazzesco ritardo di ben due ore, con una pessima compagnia aerea di nome Air Canada.

Dopo queste prime frasi, ora sto scrivendo da La Paz in Bolivia. Siamo all’inizio di un viaggio della durata di 23 giorni ed è davvero impegnativo. Non immaginavo che il viaggio iniziasse così in salita. Ma cerchiamo di ordinare le idee dopo 4 giorni di incubo, iniziato con un viaggio aereo durato complessivamente trenta ore, con cinque fusi orari: Canada, Brasile, Colombia, Bolivia e Perù.

Il casino succede a Montreal. L’aereo in ritardo perde la connessione con Toronto e Bogotà. Ci gettano in un aeroporto pieno di sfortunati passeggeri che da numerosi voli tutti hanno perso la connessione, parliamo di circa duemila persone. Caos completo. Ma nella mia mente mai il sospetto di una soluzione alla mia mente impossibile. Ci mettiamo in una penosa coda nella quale attendo notizie sul prossimo volo per Toronto e Bogotà. Mentre passa il tempo, in modo molto sottile si fa avanti la preoccupazione velata di quando potrò partire da Montreal. Immagino la soluzione di un albergo a spese della compagnia, o qualche cosa del genere. La gente è nervosa e stanca. Vicino a me c’è una anziana signora americana che sta aspettando dalla mattina. Mi innervosisco.

Sta passando una impiegata di Air Canada e con voce forte e ferma la chiamo: “Signora, mi aiuta? Devo andare a Bogotà!”. La donna mi guarda incuriosita e con sorpresa prende in mano i miei biglietti aerei, poi emette un sospiro e mi dice: “Oggi è davvero un giorno caotico in questo aeroporto. Vedrò cosa posso fare”.

Il tempo passa e da lontano vedo la donna lavorare su diversi biglietti. Mi chiedo come possa concentrarsi sul mio. Dico il rosario. Passa un’altra ora. Esco dalla fila e raggiungo la donna. I suoi occhi si accendono come per ricordarsi qualche cosa e mi dice: “Guardi per raggiungere Bogotà presto, vi è una sola soluzione: tra un’ora vi è un aereo per San Paolo in Brasile. Lei parte alle ore 09.00 questa sera, atterra a San Paolo alle 10.00 domani mattina e poi alle 18.00 vola a Bogotà e giunge a destinazione con un solo giorno di ritardo”. Penso di non aver capito bene e chiedo: “Mi sta dicendo che dal Canada devo volare in Brasile? O mi sbaglio?”.

“Non si sbaglia proprio: sono 10 ore e 40 minuti di viaggio. Poi si ferma fino alla sera e sono altre 6 ore di viaggio: questo è quanto posso offrirle questa sera”. Guardo le nuove carte di imbarco e entro in un capogiro: non è vero, sto sognando. Usano come voli di connessione dei voli più lunghi della tratta stessa. La gente attorno nervosa. Il caos dell’aeroporto mi spinge a considerazioni allucinate. Chiedo alla donna un albergo e mi dice di no. Chiedo alla donna di viaggiare in un posto migliore, tipo un corridoio e mi risponde ancora di no. Questo mi fa arrabbiare e la rabbia si assomma al capogiro. “Ma almeno il bagaglio è sicuro?”. “Certo, sicurissimo!”.

Mi trovo così come un automa con in mano il biglietto per San Paolo in Brasile. E mi dico: almeno avrò una coperta, un pasto e un film e soprattutto arriverò domani sera perdendo solo un giorno del prezioso tempo in Colombia. Chiamo Padre Giorgio a Bogotà e gli dico di non andare in aeroporto, perché parto per il Brasile. Anche lui non si capacita come sia possibile.

Mi fanno sedere su un posto centrale in un aereo pieno alla follia, con hostess come carceriere, che al posto di servire i passeggeri si fanno da loro servire. Atterrò stralunato a San Paolo e scoppio a ridere per l’assurdità della situazione. Mi dico: ma non è vero!

Ho dormito molto poco la notte. Mi sdraio per terra e dormo un paio di ore. Mi sveglio e vado al banco della compagnia aerea Avianca. Sono preoccupato per mio bagaglio. La hostess mi risponde che è sicuro. La bella valigia rossa viaggerà con me. Mi tranquillizzo e alle 18.00 salgo sull’aereo per Bogotà, dove dopo sei lunghissime ore atterrò alle 22.30. Felice di essere uscito dall’incubo, ma molto molto stanco. Le lunghe ore di volo, i posti scomodi centrali, il fuso orario giocano contro di me.

Finalmente a Bogotà! Attendo sicuro la mia bella e gloriosa valigia rossa. Escono tutte le valigie, ma manca la mia. Non ci posso credere. Mi rivolgo ad un impiegato della compagnia e mi dice che la mia valigia è rimasta a San Paolo e che arriverà con il volo del giorno seguente. Inizio a dubitare di quanto mi dicono e dopo un’ora estenuante di trattative e compilazione di moduli esco dall’aeroporto insieme con Padre Giorgio, che ringrazio di tutto cuore. Sono demoralizzato, stanco, confuso.

Giungiamo in parrocchia e mi butto nel letto, ma il sonno è brutto, incubi e rumore dell’aereo nelle orecchie. Non è una bella notte, ma almeno sono disteso, non seduto e la giornata seguente è intensa: il 21 giugno sono 36 anni di sacerdozio e mio onomastico. Inizio la Messa ma mi sento venire meno. L’infermiera che cura le vecchiette nel ricovero dove celebro la Messa mi misura la pressione: “Padre è ottima 120/60 e 58, lei ha solo bisogno di dormire”, mi sussurra.

Fondazione Santina – Colombia. La festa dei 36anni di sacerdozio con i bimbi nella spazzatura di Bogotà, 21 gennaio 2022.

La bellissima giornata si svolge in modo frenetico, diversi incontri con i poveri, ma sempre rovinata dal pensiero della valigia. Padre Giorgio mi porta in aeroporto e per la seconda volta ci prendono in giro, assicurando che la valigia sarebbe arrivata il giorno dopo a mezzogiorno.

La seconda giornata a Bogotà è più intensa della prima. Alle ore 05.30 andiamo a visitare una comunità di ricupero dei tossicodipendenti. Poi in aeroporto per la terza volta per ricevere la valigia. E invece? Nulla. La valigia è persa. Padre Giorgio cerca di calmarmi, ma non ci riesce. Perso tutto! La gloriosa valigia rossa, le belle camicie dell’associazione, le magliette della Fondazione. E sono all’inizio di un viaggio di ben 23 giorni, non di una passeggiata! Faccio inviare la valigia eventualmente ricuperata in Italia. Usciamo dall’aeroporto e con Padre Giorgio andiamo a comperare 3 camicie, 3 paia di calze, 3 magliette bianche, 3 mutande. L’occorrente per i prossimi tre giorni di viaggio fino ad arrivare in Perù a Juliana.

Dopo aver incontrato l’Arcivescovo di Bogotà, la sera il grande Padre Giorgio mi riporta per la quarta volta in tre giorni in aeroporto ed un volo nella notte mi porta a La Paz, dove Padre Giovanni mi viene a prendere per portarmi a Munyapata, la parrocchia dei Bergamaschi in Bolivia. Apre la porta e mi sembra di essere a casa. Mi addormento e questa volta, con aiuto di una Tachipirina mille per i 4.100 m.s.l.m., mi addormento profondamente.

Questa mattina al risveglio con -3 °C mi interrogo pacatamente. Ma a Bogotà mi sono riuscito a fare rovinare le giornate da un paio di mutande? Come è possibile che la valigia e la biancheria mi abbia distrutto tre meravigliose giornate? Ho sbagliato e mi sono fatto infastidire da cose che non sono essenziali. Tutto il giorno preoccupato per la valigia, sfumando i bellissimi incontri per i quali quella valigia era stata preparata.

Mi ravvedo e faccio un serio proposito di vivere con più essenzialità il lungo viaggio che mi sta davanti con le sue sfide. Nel prossimo report non voglio parlare delle mie mutande, ma della meravigliosa storia di Mauricio, un tossicodipendente incontrato nella comunità terapeutica di Padre Giovanni, del centro di recupero, che vogliamo aiutare il prossimo anno. Mauricio senza un occhio e senza una gamba a motivo della droga, ha saputo questa mattina ricacciare tutte le mie stupide preoccupazioni nell’armadio della stupidità, che troppo spesso apro. Questa introduzione per dirvi che le prossime impegnative pagine tutte devono essere lette senza pensare alle valigie della nostra vita, ma al motivo per cui le facciamo.

Il freddo è pungente, siamo in inverno a La Paz, siamo a 4.100 m.s.l.m. e con sei ore di differenza dall’Italia. Domani si riparte per il Perù insieme ad Olinda ed Hernan non in comodi aerei ma in scassati, puzzolenti e pieni pulmini, per attraversare il confine e vivere giorni intensi di incontri e di inaugurazioni di opere belle e grandi, per le quali vale la pena di fare le valigie ed anche di perderle. Prometto che non penserò più alle mie mutante… anche se il viaggio di ritorno tra 20 giorni si presenta con nubi all’orizzonte: un messaggio SMS di Air Canada mi preannuncia cambi di volo. Spero solo di non tornare a Bergamo passando per Pechino prima e la Groenlandia dopo. Se mi capitasse, vi giuro che non l’ho fatto apposta. Concedetemi questa risata prima di spedirvi in Italia questo report dalle Ande del Perù. E grazie per seguirmi sempre. Davvero. Sento tutti vicini.

Report 52/2. Mauricio: il nuovo volto di speranza

Mauricio è il nuovo volto di speranza che incontro in Colombia, a Silvania. In questo paese a 69 chilometri da Bogotà sorge un piccolo centro di ricupero per tossicodipendenti della Fondazione Domus Colombia, presieduta dal caro amico Padre Giorgio, dal quale sono ospite nei miei brevi giorni in Colombia.

La Colombia ci richiama la guerriglia delle FARC e i grandi cartelli della droga, come quello di Medellín. Negli ultimi anni la Colombia ha lasciato il triste primo posto per il fenomeno del narcotraffico al Messico, ma non per questo ancora oggi i narcos devastano il Paese.

Sono felice di essere in Colombia. Ci arrivo il giorno dopo le elezioni presidenziali. La gente è ancora accaldata per le elezioni e i dibattiti continuano per le strade. Ha vinto per la prima volta il candidato di estrema sinistra: al ballottaggio il candidato Gustavo Petro del Pacto Historico ha battuto il miliardario Rodolfo Hernàndez con tre punti di vantaggio. Novità assoluta anche l’afrocolombiana Francia Màrquez alla vicepresidenza. Petro ha mitigato le posizioni negli ultimi tempi, anche per respingere le accuse di chavismo e antiamericanismo, ma propone una discontinuità netta anche sul fronte internazionale. Cerca un patto di unità nazionale per governare con forze esterne alla sua coalizione; una necessità perché la sinistra resta comunque in forte minoranza nel Parlamento.

Partiamo presto da Bogotà per Silvania. Alle ore 05.30 siamo già in macchina. Il problema è uscire da Bogotà con il traffico intenso del mattino di una città di 10 milioni di abitanti. Il tempo di viaggio di due ore lo usiamo per parlare. Quella maledetta valigia persa ogni tanto entra nei nostri discorsi. Ma cerchiamo di non farci prendere troppo da un problema laterale ai grandi problemi che sto per incontrare per la piaga della droga.

Fuori da Bogotà la natura è lussureggiante e i colori dei fiori e del verde incantano gli occhi; vanno per la loro strada letteralmente catturati dalla natura, mentre Padre Giorgio racconta: “Il piccolo centro che visiterai ospita otto uomini impegnati in un duro cammino di ricupero dalla droga. Celebreremo la Messa, faremo colazione con loro e trascorreremo un po’ di tempo ascoltandoli. In questo centro della mia fondazione vi è Mauricio, ha 36 anni e la sua storia potrebbe divenire il volto di speranza di questo viaggio che stai facendo e che ha la sua prima tappa in Colombia. La sua storia è forte ed incredibile. L’uomo oggi è totalmente diverso. Pensa che ha perso l’occhio destro e la gamba sinistra, e cammina con le stampelle. Quando arriviamo al centro facci una chiacchierata”.

La natura si fa ancora più intensa. La strada diventa sterrata e ci troviamo immersi nella foresta, un autentico tocca sana per i tossicodipendenti che li vivono.

Arriviamo al Centro ed iniziamo la giornata celebrando la Messa. Subito riconosco Mauricio, perché non ha una gamba ed ha perso un occhio. La lettura del Vangelo ci dice che il male molte volte si presenta a noi con pelle di pecora, ma dentro è un lupo rapace. Sembra il selfie di ciò che la droga è. La mia predica è incentrata proprio sulla droga, sul suo sembrare pecora ma essere un lupo rapace. Mauricio segue assorto e con grande concentrazione. Dopo la comunione si alza in piedi viene verso di me e mi dice: “Padre, ti voglio regalare lo scapolare delle Madonna del Carmine: portalo, ti proteggerà dal male”.

Poi a nome di tutti mi offrono una corona del rosario e mi chiedono di pregare per loro.

Visitiamo la struttura povera e che necessita ingrandimenti. Parliamo della necessità di un nuovo dormitorio al quale potremmo contribuire.

Poi parlo con Mauricio. Ci sediamo. Siamo a 2.300 m.s.l.m., ma il caldo si fa sentire. Il giovane mi fissa e parto subito con una domanda logica e legittima: “Mauricio, che ti è successo? Come hai fatto a perdere l’occhio e la gamba?”. Mauricio risponde: “Tutti mi chiedono questo ed è legittimo, ma voglio dirti che questa tragedia di dolore è alla fine un regalo della Provvidenza. Se non avessi perso l’occhio e la gamba probabilmente avrei perso l’anima!”. Non mi aspettavo una risposta del genere che mi incuriosisce.

Mauricio prosegue: “Ho perso l’occhio e la gamba in un duplice incidente stradale, che mi è successo uno dopo l’altro. Posso essere considerato uno dei tanti abitanti di strada di Bogotà. Un giorno chiedevo l’elemosina ad un semaforo pulendo i vetri delle macchine, quando una macchina mi investe in pieno. Cado per terra, mi sto rialzando e una seconda macchina mi travolge passandomi sopra. Sono stato in coma per due mesi e diciassette giorni. Poi mi sono risvegliato senza una gamba e senza un occhio, e ho dovuto affrontare dieci interventi sul cranio e sul volto con immensi dolori e tante lacrime. Questa prova durissima mi ha scavato dentro; mi ha messo con le spalle al muro sul senso del vivere. Uscito dall’ospedale, avendo come compagna la derisione e la sofferenza, ho iniziato a pregare, a leggere il Vangelo, a frequentare i sacramenti, mentre prima il vizio e la prevaricazione mi avevano spinto in una situazione di squallore morale profondo e totale. Ora in questo centro, con l’aiuto della preghiera, sono un uomo nuovo, completamente diverso e penso di poter dire che anche dal più profondo abisso di perversità e sregolatezza, con la grazia di Dio si può uscire“.

Guardo Mauricio e dico: “Raccontami la tua storia e la tua vita”. Mauricio con grande forza inizia il suo racconto: “Nella mia storia si possono assommare le grandi sfide della Colombia, dalla guerriglia, al narcotraffico fino alla corruzione“. Questa risposta mi incuriosisce e mi preparo ad ascoltare la sua storia senza sapere che terribile situazione Mauricio mi avrebbe raccontato: “Sono nato a Medellín. Eravamo cinque fratelli. Quando avevo due anni mia madre morì e con sé morì anche il figlio che aveva in grembo. La suocera praticava la stregoneria e quel tentativo di aborto produsse la morte di mia madre. Mio padre alla perdita di mia madre iniziò a drogarsi e così la mia nonna materna, che coltivava canna da zucchero, si prendeva cura di noi. Eravamo molto poveri. Quando avevo nove anni, mio fratello maggiore viene torturato e ucciso per il traffico di droga, mentre Henry e Juan Pablo lasciano la nostra casa. In casa rimaniamo io e mio fratello Andres. Ci volevamo molto bene e ci aiuteranno moltissimo. Quando Andres aveva 16 anni si incontra con un uomo potente di nome Roberto, che era – come verrò a sapere in seguito – uno dei capi di un cartello del narcotraffico. Bene, questo Roberto era gay e chiede prestazioni omosessuali a mio fratello Andres. Andres non ci dice nulla, solo che ha trovato un ottimo lavoro da questo narcotrafficante. In poco tempo Roberto si lega ancora più strettamente ad Andres e lo riempie di regali. Andres viene a casa con una moto di grossa cilindrata, bellissimi telefoni cellulari, ed è armato e scortato”.

“Scusa Mauricio – intervengo -, ma non hai mai dubitato da dove potesse venire quella ricchezza?”.

“Ero ancora minorenne e poi, quel nuovo ‘lavoro’ di Andres cambiò la vita alla nostra famiglia. Iniziò ad arrivare tanto denaro con il quale cominciare ad andare a scuola. Poi la gente ci rispettava, mentre prima ci ingiuriava e talvolta molestava. Vedevo in mio fratello una grande opportunità per la mia vita. Pian piano saliva l’influenza di Andres su Roberto e più mio fratello era influente e potente amministrando molti flussi di denaro del narcotrafficante. Naturalmente era anche minacciato e un giorno disse a Roberto che aveva paura di morire presto e che se ciò fosse successo doveva prendersi cura di me. Questo avvenne prima di una festa alla quale mio fratello mi aveva invitato e nella quale vi era un oscuro uomo seduto ad un tavolo bevendo un whisky. Andres urtò inavvertitamente il suo bicchiere, che cadde per terra. Ed allora successe un fatto incredibile: l’uomo preso dall’alcol e dall’ira si alza e con il machete cerca di ammazzare mio fratello. Un mio cugino stende la mano a sua protezione e il machete quasi stacca la sua mano. A questo punto i miei cugini si fanno avanti aggrediscono l’assalitore di Andres e lo spediscono irriconoscibile all’ospedale. E dall’ospedale quell’uomo minaccia di ammazzare mio fratello. Vedevo nei giorni seguenti mio fratello seriamente preoccupato e uscendo un pomeriggio un sicario gli spara nel petto e lui cade morto davanti a me. Non ti dico lo spavento. Per diverse notti ero terrorizzato che fosse successo qualche cosa di male anche a me. Appena ucciso Andres giunge Roberto con macchine di scorta e soldati della guerriglia. Mi vede, scoppia a piangere e immediatamente mi dona 300.000 pesos. Non avevo mai visto una tale somma. Roberto decide di prendersi cura di me. Così comincio a vivere in un lusso sfrenato nel quale provo di tutto, dall’alcol – conoscevo tutti i migliori whisky – alla marijuana, fino a giungere al crack. La mia vita iniziò a sprofondare nella perversità: donne, soldi, fumo… ogni sorta di piacere. Giravo scortato, con armi. Roberto mi aveva consegnato una lussuosa auto che era di mio fratello, mi regalò 23 cavalli e moltissimo denaro. Finché un giorno Roberto sprofonda nel tunnel della droga lui stesso e fu ricoverato in manicomio”.

Guardo Mauricio e questa storia mi sembra una collezione di schifezza da pattumiera, un insieme di perversità che superano l’immaginazione. Mauricio se ne accorge e mi domanda: “Gigi, ti fa schifo tutto ciò?”. Prendo coraggio e rispondo: “Devo essere sincero? Veramente sì, non schifo, di più: disgusto!”. Lui tace un momento e poi continua a parlare: “Io non provavo alcuna vergogna per quanto facevo, ma in tanto la mia vita sprofondava nella droga e nell’alcol. Pensa a che punto ero arrivato. Tentai di fare uccidere mio fratello Henry, perché avevo scoperto che mi rubava denaro. Lui si accorse e sfuggì all’attentato da me commissionato. Quando Roberto entrò in manicomio le cose per me cambiarono completamente. La sua famiglia ereditò tutti i suoi beni e mi tolse tutto quanto amministravo. Poi, al resto ci pensai io, sperperando tutta la ricchezza che avevo nelle mie mani con donne, alcol e droga. Lasciai in povertà Medellín e mi spostò a Cali, dove iniziò a chiedere elemosina ai semafori, finché trovò un lavoro come meccanico riparando moto. Solo che iniziò a rubare per arrotondare il mio stipendio e passò a rubare moto. Mi denunciano, sono costretto a scappare a Bogotà dove tossicodipendente inizio a cercare elemosina ai semafori, sporco, senza lavarmi, senza nulla: avevo toccato il fondo. Finché il 23 maggio 2018, mentre pulivo i vetri di una macchina ad un semaforo in preda alla droga, un’auto mi investe violentemente. Tento a fatica di rialzarmi ma una gamba non funziona più, mi alzo sull’altra e una seconda macchina mi investe in pieno”.

Mauricio mentre parla si commuove. Io sono sconcertato. Lo hanno investito per ben due volte in uno stesso momento. “Si padre! È stato terribile. Un dolore incredibile e poi ho perso i sensi. Sono rimasto in coma per più di due mesi e poi fino ad oggi ho come compagna la sofferenza. Dei bravi dottori con diversi interventi, in tutto una decina, hanno cercato di ridare dignità alla mia vita. E ho iniziato un percorso interiore. Chiedo a loro di essere aiutato. Mi impongo di recuperare il cervello dalla droga. La sofferenza dura e acerba diviene la mia maestra. Ho sofferto tanto e soffro ancora tanto. Non ho una gamba e non ho un occhio, sono un handicappato in miseria. Ma proprio in tutto questo scopro che nella mia miseria Dio mi ama. Arrivo a questo centro di ricupero, inizio a pregare e a leggere il Vangelo. Sento che la mia vita sta cambiando profondamente”.

Mi rendo conto che quell’uomo menomato, raccattato da Dio dalla spazzatura, per me diventa all’inizio del mio lungo viaggio in America Latina la carne di Gesù, come ci dice Papa Francesco. Mauricio si alza in piedi e prende tra le mani lo scapolare che mi ha messo al collo, e dice: “Grazie Don Gigi di avermi ascoltato. Grazie di voler raccontare la mia storia disgustosa e di spazzatura. Ma grazie anche per avermi dedicato tempo. Pregherò per te, tanto, perché tu possa essere vicino tutta la tua vita ai poveri con la tua Fondazione come hai fatto oggi con me”.

Abbraccio forte Mauricio e gli dico: “Non ti dimenticherò. Tornerò il prossimo anno ad inaugurare il dormitorio e in quell’occasione ti porterò un piccolo libretto di 120 pagine che si intitolerà MAURICIO”. Gli mostro il libretto di SOL, che sto portando in Perù, e l’uomo trasformato dal dolore riempie il suo unico occhio di meravigliose lacrime. Lo abbraccio nelle sue stampelle sulle quali si regge e mi avvio alla macchina. Con Padre Giorgio devo continuare il programma di una giornata intensa e piena di significato, in cui le parole di Frida Kahlo – che era esperta di sofferenza – emergono con forza di significato inaudita e mi gridano attraverso la voce del povero Mauricio: nonostante tutto e soprattutto Viva la Vida!

La Fondazione Santina offre un dormitorio nel centro per tossicodipendenti in via di recupero della Fondazione Domus a Silvania in Colombia.

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