Il tavolo dei negoziati del Sultano a Istanbul
Condividiamo di seguito l’articolo dell’amico e collega Renato Farina Erdogan fa il pacifista. Siamo nelle mani del dittatore turco, pubblicato oggi, 30 marzo 2022 su Libero Quotidiano: Erdogan tratta il cessate il fuoco. Prima era la minaccia islamica per l’Europa e per Israele, ma ora il Sultano torna al ruolo di protagonista nell’Alleanza Atlantica. Intanto, il gas ora passa da lui.
«”Progressi nei negoziati consentiranno contatti a livello dei leader, che è la fase successiva. E la Turchia è pronta a ospitare colloqui di pace tra il presidente russo Vladimir Putin e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky”. Ostenta ottimismo Recep Tayyip Erdogan mentre si rivolge alle delegazioni di Mosca e Kiev, arrivate oggi al palazzo di Dolmabahce, a Istanbul, per un nuovo round di colloqui diretti dopo due settimane di stallo. Ed è vero che, sin dall’inizio dell’invasione russa, Ankara è stata bene attenta a mantenere un difficile equilibrio tra la sua adesione alla Nato, il suo sostegno a Kiev e la volontà di mantenere dei buoni rapporti con Mosca» (Monica Ricci Sargentini – Guerra in Europa. Il Punto | La newsletter del Corriere della Sera, 29 marzo 2022).
«Un cambio di passo (con diversi ostacoli). È pieno di personaggi, il trompe-l’oeil di Istanbul che sembra per la prima volta aprire un varco alla fine delle ostilità e a una soluzione negoziata della crisi ucraina. Come in un dramma pirandelliano, dal turco Erdogan all’israeliano Bennett, dal francese Macron all’oligarca russo Abramovich, sono in molti ad aver cercato e avuto un ruolo da mediatori, a conferma che quella che si consuma tra Kiev e il Mar Nero è una vera crisi globale che nessuno può permettersi. L’intesa del Bosforo, ancora troppo fragile e acerba per poterla definire accordo, segna un cambio di passo.
Mosca annuncia la riduzione «drastica» delle attività militari intorno a Kiev e Chernihiv, che se suona come la presa d’atto dell’impossibilità di conquistare la capitale, manda tuttavia un segnale di de-escalation. Mentre gli ucraini sottopongono per la prima volta agli invasori un pacchetto concreto di concessioni, nel quale oltre alla “neutralità”, cioè la rinuncia a entrare nella Nato, a possedere armi nucleari e a ospitare basi militari straniere, c’è anche un negoziato di 15 anni sullo status della Crimea, che di fatto comporterebbe un congelamento dell’annessione russa.
Anche sulle due Repubbliche separatiste del Donbass, gli inviati di Zelensky fanno un’apertura, suggerendo che siano i leader dei due Paesi a discuterne. Proposte definite “costruttive” dal Viceministro della Difesa russo Alexander Fomin, il quale apre anche a un’adesione dell’Ucraina all’Unione Europea e annuncia che un vertice Putin-Zelensky sarà possibile quando i Ministri degli Esteri avranno finalizzato un accordo.
La cautela è d’obbligo» (Paolo Valentino, corrispondente da Berlino – Guerra in Europa. Il Punto | La newsletter del Corriere della Sera, 30 marzo 2022).
«Alessandro Orsini non crede ad una svolta positiva dopo i colloqui odierni a Istanbul tra le delegazioni di Kiev e Mosca. “Sono scettico, Putin non può fermarsi finché non ha raggiunto il suo obiettivo. Putin ha utilizzato questo trucco anche altrove, cerca di ammorbidire gli interlocutori. Si combatte finché non avrà eliminato l’esercito ucraino dal Donbass. Putin è entrato in Ucraina con un obiettivo minimo, il Donbass, e l’obiettivo massimo, tutta l’Ucraina. Sotto l’obiettivo minimo lui pensa che sia una sconfitta: se fa la pace, tra 3 mesi può scoppiare di nuovo la guerra”, afferma» (Adnkronos).
Erdogan fa il pacifista
Siamo nelle mani del dittatore turco
di Renato Farina
Libero Quotidiano, 30 marzo 2022
In questo preciso momento, chi sta vincendo la guerra, è lui, Recep Tayyip Erdogan. Per fortuna. E purtroppo. Per fortuna, perché ci voleva uno bravo a far sedere a un tavolo di dialogo finalmente serio i nemici che si stanno ancora scannando. Li ha accolti nella sua Istanbul, ha ospitato le due delegazioni non in un luogo neutro, ma nel posto più simbolico dell’impero ottomano e del suo sogno di ripristinarne la potenza: il Palazzo di Dolmabahce, residenza meravigliosa dei sultani sul Bosforo. È stato bravo. Le dichiarazioni di Erdogan comunicano ottimismo, hanno fatto crollare il prezzo del petrolio, ha con benevolenza convenuto che le due parti hanno “legittime preoccupazioni” ma che il risultato che si sta affacciando è “accettato dalla comunità internazionale”. Non è arrivato a questo risultato per un colpo della buona sorte. Ma usando una creatività diplomatica che né l’Unione Europea di Ursula von der Leyen né tantomeno gli USA di Joe Biden hanno saputo mettere in scena. Sono mesi che il Presidente turco, che d’ora in poi nessuno chiamerà “dittatore” come fece Mario Draghi, sta ricucendo i rapporti con tutti. Ma proprio tutti. Era inviso agli Americani pur essendo membro della NATO per aver acquistato un sistema di difesa missilistica da Mosca. La quale a sua volta ha interessi opposti in Libia, perché la Turchia sta con Tripoli, invece la Russia sta con Bengasi e l’Egitto. Ha risistemato i rapporti con il Cairo, si accorda volentieri con la Cina, si fa pagare molto bene dall’Ue per accogliere i rifugiati che ha contribuito, sostenendo l’Isis, a far fuggire dalla Siria. Si è persino riappacificato con l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti. Prima della guerra ha fatto la spola tra Putin e Zelensky, cercando di convincerli a sistemare le loro pratiche. E adesso, senza aver perso un soldato, ha conquistato mezzo mondo, e ha buone prospettive di essere a tempi brevi l’ago della bilancia del nuovo ordine geopolitico – buono o cattivo che sia – una volta che sarà chiusa, o almeno rabberciata, la crisi a rischio di guerra nucleare che sta producendo “fiumi di sangue” in Ucraina dopo l’aggressione russa. Erdogan l’ha condannata, senza se e senza ma. Ma non ha inflitto sanzioni alla Russia. Equilibrio perfetto. Meno male. E però purtroppo. Purtroppo perché i fatti hanno messo sul piedistallo della storia e regalato un prestigio imprevedibile a un nemico giurato della libertà di parola, un incarceratore di giornalisti rispetto a cui Putin è un dilettante, sostenitore degli islamisti più radicali, uno che all’Italia ha rubato i pozzi di idrocarburi al largo di Cipro per i quali l’Eni aveva stipulato i suoi bei contratti; un capo di Stato che minaccia di impossessarsi dei ricchissimi fondali, quanto a gas e petrolio, della Tripolitania, e che sta conquistando la Somalia finanziando anche lì estremisti islamici.
A Natale era dato per politicamente morto. E la domanda era: quanto durerà? Stava portando alla rovina l’economia del proprio Paese (il tasso d’inflazione ufficiale è del 21 per cento, quello reale è intorno al 60 per cento, la lira turca ha dimezzato il suo valore). Ma quelli sono problemi turchi. Il fatto è che schifosamente ha mandato in guerra contro gli Armeni dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh l’Azerbajgian, dandogli manforte con i mercenari islamici tagliagole. Ed ora chi lo ferma, questo grande pacificatore da Nobel? Purtroppo è lui, l’eroe della diplomazia. E – dico con una certa amarezza – speriamo arrivi a un risultato. Poteva essere l’Italia, ad avere questo ruolo giocando di sponda con il Vaticano. Ci siamo bruciati questa possibilità il giorno in cui, proprio il giorno dell’invasione dell’Ucraina, il 24 febbraio, Draghi avrebbe potuto essere a Mosca, ma non ci è andato, appiattendosi ahi noi su Biden.
Siamo sicuri che il mondo – ma soprattutto l’Italia – con le sue aspirazioni di libertà e pace abbia fatto un passo avanti chiudendo i rapporti con Putin e il rubinetto del suo gas, e si sia messo nelle mani del duo Erdogan-Aliyev? Quest’ultimo è il dittatore dell’Azerbajgian, dove regna incontrastato dal 1993. Oggi è il nostro principale fornitore di petrolio, e lo diventerà anche del gas, che (Dio sia benedetto!) ci invia attraverso il Tap. Proprio un bel tipo. Peccato che in queste settimane ha tolto il gas agli Armeni dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh, e approfittando della distrazione di Mosca (era stata la Russia a imporre l’altolà al massacro nel novembre del 2020 ponendo le sue truppe a difendere i civili Armeni) ha ripreso a bersagliare questo popolo già vittima di genocidio. Ovvio che l’invasione e l’attacco alle città ucraine siano un’infamia, ma siamo sicuri che siano galantuomini i nuovi fornitori eletti a salvatori della nostra Patria: oltre all’Azerbajgian, il Qatar, l’Algeria, il Venezuela e l’Iran… Comunque sia se Erdogan ci porta la pace, bravo, bene, bis. Ma stiamoci attenti.
C’è un episodio che dimostra quanto bizzoso sia. Il 25 dicembre 2021, Recep Tayyip Erdogan si era svegliato con la mezzaluna di traverso. Brutti pensieri. L’economia vacilla. I suoi fan sono delusi. Le elezioni del 2023 – se non rimedia con qualche golpetto – sono destinate a vederlo sconfitto. Ma in quel giorno di Natale, è contro i cani che decide di sfogare la sua rabbia. “Turchi bianchi (in gergo è il ceto medio alto, occidentalizzato, in contrapposizione ai turchi neri, poveri ma onesti, ndr)! Prendetevi la responsabilità dei vostri animali! (…) Questi cani sono i cani dei ricchi”, ha urlato. Ha poi aggiunto: “Penso che la cosa importante adesso sia sbarazzarsi dei cani randagi per le strade!”.