L’Italia che va alla guerra contro lo Zar con un fucile a turacciolo
Oggi ci occupiamo più da vicino di due notizie. La prima è l’attacco informatico alle Ferrovie dello Stato, che non è una cosa da buttare ‘n caciara (“Hanno stati gli aker russi”. “Ma voi ve li vedete i Russi che fanno l’attacco hacker a Trenitalia? Son più propenso a pensare che un impiegato è inciampato in una presa e ha staccato tutto”). La seconda è il “caso Paramonov”, con non pochi risvolti inquietanti e preoccupanti (tra cui un fattore K e un fattore B).
Però, alla vigilia dell’Atto di affidamento e consacrazione dei fedeli, della Chiesa e dell’umanità intera, in modo speciale la Russia e l’Ucraina, al Cuore Immacolato di Maria, che verrà compiuto domani, 25 marzo 2022 nella Basilica di San Pietro da Papa Francesco, in unione con tutti i Vescovi del mondo [QUI], ricordiamo che oggi è “un giorno importante per la democrazia”: il 24 marzo 1999 cominciavano i bombardamenti su Belgrado. Era la prima delle “guerre umanitarie” e il primo passo della conquista dell’Est da parte della NATO.
«Madeleine Albright, già Segretario di Stato Usa, ideologo degli attentati di Belgrado, è morta ieri, alla vigilia del prossimo anniversario dei suoi successi balcanici. Ma non solo il bombardamento dei Serbi è registrato nel suo palmares.
Leslie Stahl: Abbiamo sentito che più di mezzo milione di bambini sono morti a causa delle sanzioni contro l’Iraq. Più che a Hiroshima. E pensi che sia giustificato?
Madeleine Albright: Penso che sia una scelta molto difficile. Ma pensiamo che sia giustificato.12 maggio 1996, da 60 Minutes della CBS [QUI].
Sotto quali sanzioni era Madeleine Albright? Sotto nessuno. Solo un monumento a lei è stato eretto in Kosovo per gli omicidi dei Serbi. Il “Presidente” del Kosovo Hashim Thaci ha partecipato all’inaugurazione. Lo stesso, l’ex comandante sul campo dell’Esercito di liberazione del Kosovo, che commerciava in organi umani. Organi dei Serbi uccisi dagli Americani.
Per capire a chi in questo mondo ci opponiamo» (Maria Zakharova tramite Francesca Quibla).
A prima vista, le due notizie menzionate sembrano scollegate, ma non lo sono. E lo vedremo, con l’analisi dell’amico e collega Renato Farina su Libero Quotidiano (Segnale dal Cremlino: attacco alle ferrovie italiane. Un altro avviso: siamo in guerra): hacker in azione, bloccate le biglietterie elettroniche in tutto il Paese. È un segnale del Cremlino: i nostri sistemi informatici sono esposti. Abbiamo un sistema informatico esposto alla cyber-minacce. Non solo le reti di trasporti ma anche ospedali, energia e la pubblica amministrazione. E ci mettiamo del nostro: con la K di Kapersky e la B di Bergamo.
Intanto, non deve destare meraviglia la totale mancanza di ragionamento logico e coerenza, in una parte consistente di un Paese dove per due anni si è ripetuto il mantra: “È più importante restare vivi, che rimanere liberi” e che poi si è convertito in men che meno in un’aggressiva campagna censoria contro chi la pensa diversamente… o chi è Russo (liste di prescrizione e l’etichetta diffamante di “Putinversteher”, “putiniano” e “diffusore di propaganda russa”), con orde di furiosi guerrafondai e sostenitori del nuovo dogma: “È più importante restare liberi, che morire”.
Quindi, lo stesso #brancodibalordi che ha “gestito” la pandemia del Coronavirus cinese di Wuhan con i protocolli anti-scientifici di “Tachipirina e vigile attesa” e l’infame “Green Pass” di infausta memoria nazi-fascista, negando i diritti fondamentali ai cittadini, sostenuto da una campagna mediatica di stampa terroristica, oggi “gestisce” la crisi Ucraina con l’entrata in guerra di fatto, inviando armamenti (senza far sapere cosa) e retorica guerrafondaia, ignorando la volontà e andando contro gli interessi del proprio popolo.
La storia ci insegna quale è la sorte dei pacifici (essere pacifico è altra cosa che essere pacifista, che nell’occorrenza prende le armi) disarmati come modo di vivere, che si oppongono a questa deriva. E quali sono le conseguenze: «Le democrazie muoiono così, un’epurazione dopo l’altra. Alla fine restano soltanto gerarchi, propagandisti e masse di fanatici che non conoscono altro se non la verità di regime». Nel frattempo, un’altra volta la voce di un Papa viene ignorata: «Mi sono vergognato quando ho letto che un gruppo di Stati si sono compromessi a spendere il 2% del Pil per l’acquisto di armi come risposta a questo che sta accadendo, pazzi!» (Papa Francesco).
Noi non stiamo con lo Zar Putin. Noi non stiamo con l’Attore comico Zelensky. Noi non vogliamo la guerra. Noi siamo cattolici e stiamo con Isaia (ma si sa, come disse Paul Claudel: «Il rispetto dei Cattolici per la Bibbia è enorme e si manifesta soprattutto nel tenersene a rispettosa distanza») e con Papa Bergoglio, il Papa regnante con il nome del santo pacifico per eccellenza. E stiamo con la voce del mondo reale:
«Qualunque cosa succeda nei prossimi mesi, anche se il castello di menzogne, censure e costrizioni cui siamo stati sottoposti crollasse (ma ne dubito), quello che è accaduto in questi mesi segna una cesura storica. Abbiamo scoperto qualcosa che prima sospettavamo sì, ma che rimaneva sullo sfondo come una possibilità teorica. Abbiamo scoperto che tutte le nostre libertà, tutti i nostri diritti, tutto ciò che davamo per scontato in termini di libertà di espressione e pensiero, di autodeterminazione e indipendenza può essere cancellato in un momento, una volta che si presenti l’occasione; tutto ciò di cui c’è bisogno è un’emergenza (reale o artefatta) e il governo sostanziale dei media. Per chi sta sentiremo mai più al sicuro senza un’operazione radicale di ripristino dell’agibilità democratica, nel senso non meramente formale» (Giorgio Bianchi Photojournalist).
Paramonov indicato come Ambasciatore russo presso Santa Sede
Nei giorni scorsi aveva parlato di conseguenze irreparabili per il rapporto bilaterale tra Roma e Mosca nel caso di ulteriori sanzioni
Scenarieconomici.it, 22 marzo 2022
Alexei Paramonov, il Direttore per l’Europa del Ministero degli Esteri russo ed ex Console a Milano che nei giorni scorsi in un’intervista a Ria Novosti ha parlato di conseguenze irreparabili per il rapporto bilaterale tra Roma e Mosca nel caso di ulteriori sanzioni, è stato indicato nelle settimane scorse come prossimo ambasciatore presso la Santa Sede. È quanto apprende l’Adnkronos da fonti informate, secondo cui per la nomina formale manca la firma del Presidente Vladimir Putin. A quel punto partirebbe la procedura di gradimento presso la Santa Sede.
Classe 1962, Paramonov si è laureato nel 1986 nel prestigioso Istituto statale di Mosca per le relazioni internazionali (Mgimo) ed è entrato in diplomazia due anni dopo. Considerato un moderato, dal 2007 si occupa di Europa: prima come Vicedirettore del dipartimento competente del ministero degli Esteri, poi dal 2008 al 2013 è Console generale a Milano, quindi torna al dipartimento per l’Europa, di cui è Direttore dal 2015 (con competenza, tra l’altro, su Italia e Santa Sede, oltre a vari Paesi europei). Sposato e padre di un figlio, parla inglese, francese e italiano.
Alla fine del 2018 è stato insignito dell’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica italiana e due anni dopo di commendatore dell’Ordine della Stella d’Italia, onorificenze per le quali si lavora alla procedura di revoca.
“Se continuate sveleremo tutto”: cosa sanno i Russi sulla Pandemia in Italia nel 2020?
I Russi minacciano di rendere pubblico il report che conclusero nel 2020 su come l’Italia stava affrontando la pandemia in provincia di Bergamo. Una minaccia diretta contro il Governo Conte II, in carica all’epoca, e che probabilmente metterebbe in evidenza i clamorosi errori di Conte e Speranza.
Ricordiamo che, allo scoppio dell’emergenza Covid in Lombardia, la Russia inviò una missione di ben 104 persone, tra cui militari, 28 medici, 4 infermieri e due civili, ma soprattutto con all’interno Natalia Y. Pshenichnaya e Aleksandr V. Semenov, due tra i massimi epidemiologi russi. Il 22 marzo di quell’anno furono ben 9 gli aerei carichi di materiali e di operatori sanitari. A termine della missione questo team predispose un report estremamente duro sull’impreparazione dell’Italia, sulla superficialità delle misure prese dal governo e su come fossero stati fatti degli errori clamorosi nella gestione della pandemia.
Ora Mosca minaccia ancora più duramente l’Italia, affermando che possono essere rese note informazioni molto gravi. Quali? Cartelle cliniche con i dati sanitari dei pazienti, oppure accordi commerciali per farmaci e strumentazione o l’accordo che avrebbe avallato la realizzazione dello Sputnik, il vaccino anti-Covid russo? Quali segreti conosce il governo Russo sul nostro Covid?
Tutto questo è collegato all’attacco al Ministro della Difesa Lorenzo Guerini da parte di Alexei Paramonov che ha minacciato «conseguenze irreversibili» se il nostro Paese dovesse aderire al nuovo piano di sanzioni contro Mosca? Ricordiamo che Paramonov sa tutto, perché organizzò la missione in Italia della Federazione russa, tanto da ricevere il Cavalierato su indicazione del Ministro degli esteri Di Maio.
Ricordiamo che l’inchiesta sulle morti negli ospedali del bergamasco sono ancora in corso. Le “Conseguenze” potrebbero anche essere la pubblicazione di prove compromettenti che allarghino l’elenco degli indagati dalla Procura di Bergamo per i casi ad Alzano e negli altri comuni dell’Area. Intanto una fetta importante delle nostre forze politiche è probabilmente ricattabile da Mosca. Certo, se Speranza si dimettesse…
«Qualcuno nello stato profondo Italiano farebbe bene a tenere in mente che Vladimir Putin è perfettamente a conoscenza di quanto accaduto a Bergamo nel marzo del 2020. Putin sa perfettamente che molti pazienti furono uccisi con un mix di farmaci letali e che il coronavirus influenzale non ebbe alcuna responsabilità in quella strage. Putin sa anche che la macabra sfilata delle bare fu pensata per terrorizzare l’Italia intera. Putin è a conoscenza di quella verità che può definitivamente spazzare via gli uomini del regime di Conte che oggi sono gli stessi uomini che siedono sui banchi del regime di Draghi. Coloro che fanno la voce grossa con la Russia potrebbero presto pentirsi di questa loro folle e sciocca arroganza» (Cesare Sacchetti).
Il testo integrale dell’intervista del Direttore del Primo Dipartimento Europeo del MAE russo, Ambasciatore Alexey Paramonov – RIA Novosti, 19 marzo 2022
Nel 2020, la Russia ha fornito all’Italia un’assistenza su larga scala nella lotta contro la pandemia da coronavirus: attrezzature speciali, macchine per la ventilazione, maschere e tute protettive sono state inviate alle regioni settentrionali del paese. Roma è ora all’avanguardia dei paesi della UE che hanno adottato sanzioni contro la Russia. Qual è la sua opinione?
In effetti, secondo un accordo raggiunto a livello del Presidente della Russia e del Presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana, nel periodo marzo-aprile 2020 l’Italia è stata destinataria di una consistente attività di assistenza da parte del Ministero della Difesa, del Ministero dell’Industria e del Commercio e del Ministero della Sanità della Federazione Russa. Per inciso, all’epoca una richiesta di sostegno fu inviata alla parte russa anche dal Ministro della Difesa italiano, Lorenzo Guerini, che ora è uno dei principali “falchi” e ispiratori della campagna antirussa nel governo italiano. Vorrei sottolineare che, nell’inviare la missione umanitaria nel Belpaese, la Russia non è stata guidata dal desiderio di ottenere vantaggi reputazionali o politici, ma da un sentimento di partecipazione e dal desiderio di andare in soccorso del Popolo italiano in uno dei periodi più difficili della sua storia postbellica.
È deludente che, sull’onda dell’isteria anti-russa, le autorità italiane abbiano improvvisamente dimenticato tutto: i trattati e gli accordi bilaterali vigenti, la natura speciale delle nostre relazioni, la ricca, secolare storia dei nostri rapporti e le forti tradizioni, l’esperienza molto positiva della cooperazione e il consistente capitale di fiducia reciproca, per aderire alla frenetica campagna russofoba.
Speriamo che a Roma, come in altre capitali europee, rinsaviscano e ricordino gli interessi fondamentali dei loro Popoli e le pacifiche e rispettose costanti delle loro aspirazioni di politica estera. E che la campagna sfrenata contro tutto ciò che è russo, al limite del vero e proprio razzismo, lasci il posto a passi sobri ed equilibrati volti a cercare percorsi per garantire la sicurezza e la prosperità di tutto il continente europeo, e non solo di una sua parte.
La Russia intende tagliare le forniture di idrocarburi all’Italia in risposta alle sanzioni occidentali, alle quali Roma ha aderito?
Il governo della Federazione Russa sta valutando la questione delle misure di ritorsione contro le sanzioni USA e UE alla Russia, di portata senza precedenti e illegittime secondo il diritto internazionale. Mosca non ha mai usato le esportazioni di energia come strumento di pressione politica. Le compagnie energetiche russe hanno sempre adempiuto pienamente ai loro impegni. Continuano a farlo anche adesso. Sappiamo che il Belpaese è molto preoccupato per il futuro di queste forniture. Data la notevole dipendenza di Roma dagli idrocarburi russi, che raggiunge il 40-45%, abbandonare i meccanismi di trasporto di vettori energetici affidabili, sviluppati in molti decenni avrebbe conseguenze estremamente negative per l’economia italiana e per gli italiani tutti.
Le sanzioni non sono una nostra scelta. Non vorremmo che la logica del Ministro dell’Economia francese, Bruno Le Maire, che ha dichiarato “guerra finanziaria ed economica totale” alla Russia, trovasse seguito in Italia e provocasse una serie di relative irreversibili conseguenze.
Segnale dal Cremlino: attacco alle ferrovie italiane
Un altro avviso: siamo in guerra
di Renato Farina
Libero Quotidiano, 24 marzo 2022
Ci siamo. Era nell’aria. Non è un film ma la dura realtà con cui dovremo fare i conti per chissà quanto tempo. Tac. Anzi clic. Le biglietterie dei treni di tutte le stazioni d’Italia e i siti dedicati a questo servizio sono saltati, messi kappaò dalla mano uncinata di qualche corsaro dell’etere. Poi si sono sollevati dal tappeto. Ma nella testa è ronzata una certezza paurosa da riferire: “Il primo atto di guerra cibernetica contro una struttura vitale del nostro Paese è stato condotto ieri pomeriggio dalla Russia!”. Chiunque abbia studiato o anche solo orecchiato il concetto di “guerra ibrida” e osservato lo scandire degli eventi recenti è arrivato in fretta a questa conclusione. Era come avere dei dubbi sulla matrice di un attentatore che taglia la gola a un prete gridando “Allāhᵘ akbar!” [QUI] . Difficile si sospetti di un terziario francescano, la matrice è chiara, si tratti di un ordine diretto dell’Isis o di uno che ne ha bevuto gli insegnamenti. La stessa trafila logica ci porta da Roma a Mosca.
Vediamo in sequenza i fatti degli ultimi giorni.
1) Aderiamo e applichiamo in pieno le sanzioni contro la Russia decise dall’UE e dagli USA.
2) Putin ci inserisce ufficialmente nel club dei “Paesi ostili”, che in italiano popolare, e nel linguaggio ufficiale dell’intelligence, si traduce “nemici”.
3) Le “conseguenze saranno irreversibili”, ha fatto eco allo Zar un funzionario moscovita di secondo rango, e per questo tanto più offensivo per la considerazione dimostrata verso il nostro Paese.
4) Martedì il Parlamento tributa un’ovazione a Zelensky, e soprattutto Draghi calca la mano direttamente contro Putin, promettendo reazioni sempre più decise.
Ex amici
Noi che eravamo ritenuti i più amici tra i Paesi occidentali di colpo siamo quelli più determinati a denunciare l’aggressione e a tirarne le conseguenze operative. Insomma: anche senza averla dichiarata, siamo in guerra.
È stata una faccenda leggera, quasi una prova, o forse un avviso. Aspettiamoci ben altro. Che cosa? Ad esempio l’assalto hacker nemico non più alle innocue biglietterie ma alle centrali elettriche, al sistema sanitario, alle infrastrutture informatiche del governo. Pensate Milano ma anche Treviglio ed Acerra improvvisamente tutte senza energia elettrica. O i computer degli ospedali svuotati dei loro dati, con i pazienti alla mercé di sofisticati macchinari salvavita che non obbediscono più ai medici ma a qualche algoritmo assassino. Siamo tutti appesi come mosche nella ragnatela cibernetica. Ecco che ci cammina sopra un ragno che ci mangia la vita. E il peggio è che l’Italia è senza difese. In particolare lo è nei confronti della Russia. Per una serie di motivi che cominciano per K come Kaspersky e per B come Bergamo. Ma questo lo vediamo tra un momento.
Conta di più che si sia cercato di minimizzare, di accreditare ipotesi alternative, diciamo che il governo è stato molto garantista, zitto, ha lasciato alla vittima il compito di leccarsi le ferite senza puntare il dito contro Mosca. Le Ferrovie dello Stato hanno sostenuto che si trattava di criminalità comune, di un volgare atto di pirateria, l’ANSA ha dato credito al fatto che questi criminali operavano dalla Russia; dopo qualche mezz’ora si è detto che l’origine dell’attacco risultava ignota, forse proveniente dall’Isola che non c’è, e magari da Capitan Uncino.
C’è buon senso, sana prudenza in questa scelta tattica. Non vale la pena provocare ulteriormente l’Orso russo. Tutti ma proprio tutti i nostri sistemi tecnologici – le reti dell’Operational Technology dette OT – sono vulnerabilissimi. E la nostra Agenzia nazionale per la Cybersicurezza nata nel giugno scorso è ai primi passi, tant’è che neppure aveva lanciato in proprio l’allarme sulla invasività dell’antivirus russo Kaspersky nei gangli vitali della Repubblica.
Siamo al sopraccitato fattore K. Dal 2003 ha il nulla osta per essere acquistato dalla pubblica amministrazione, una licenza che il 31 gennaio scorso ha potuto godere, alla vigilia dell’aggressione di Mosca a Kiev, dell’abilitazione a introdursi negli archivi segretati senza che alcun responsabile desse l’Alt!
Colpite qui
Il fatto è che siamo nudi, e lo diciamo con un candore autolesionista disarmato e disarmante. Franco Gabrielli, Sottosegretario per i servizi segreti con la delega anche per l’agenzia Cyber, che meritoriamente ha voluto istituire, alla domanda di Giovanni Minoli su Radio Rai se l’Italia fosse in grado di rispondere a un’aggressione hacker, ha risposto: “No assolutamente, abbiamo molta strada da fare”. Come dire: colpite qui.
In realtà i Russi lo sapevano già. E siamo al fattore B come Bergamo. Un esperto di sicurezza come lo scozzese Mark William Lowe, Direttore della Maritime Security Review, saltò sulla sedia, davanti alla sciagurata trascuratezza del principio di precauzione che qualunque intelligence, fosse pure della Mauritania, è tenuta ad imporre. Così avvertì sul mensile in inglese The Medi Telegraph del Secolo XIX, a proposito dello sbarco a Pratica di Mare e del viaggio di certo benemerito di 104 Russi verso Bergamo percossa dal Covid. Metà dei 104 però appartenevano ai servizi segreti più efficienti del sistema putiniano, la GRU. Perché? Ovvio. “Una grande quantità di informazioni preziose sarà raccolta in questo periodo, … forniranno nuovi input utili per sviluppare strategie da attuarsi in futuro”. Concludeva: i vertici “hanno un’idea chiara di quali informazioni saranno ottenute da un’analisi così dettagliata delle loro vulnerabilità e come potrebbero essere usate contro di loro in un momento futuro?” (31 marzo 2020).
Notare: L’organizzatore della trasferta dei 104, allora console di Milano, Alexei Paramonov, e autore oggi delle minacce all’Italia seguite a quelle di Putin, fu insignito del cavalierato su proposta di Giuseppe Conte, Presidente del Consiglio. La missione russa ebbe il placet dei direttori dei servizi di spionaggio (AISE) e controspionaggio (AISI) nominati come i rispettivi vice dallo stesso Conte, e confermati poi da Gabrielli. Insomma, andiamo alla cyber-guerra con un fucile a turacciolo.