Le ragioni dello Zar. Ma Putin mostra al mondo l’ipocrisia dell’Occidente

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La Nato e gli Usa hanno fatto in Kosovo, Libia e altrove le stesse cose che oggi criticano nei Russi. Qualcuno comincia a dirlo: a Biden serve un accordo col Cremlino. Come ai tempi di Pratica di mare.

Lo stendardo del Presidente della Federazione Russa, approvato il 15 febbraio 1994 dal Presidente Boris Eltsin. Corrisponde alla bandiera nazionale in forma di drappo quadrato ornato di frangia dorata, caricato dell’aquila bicipite giallo-oro con lo scudetto moscovita sul petto, tratta dal nuovo stemma nazionale adottato il 30 novembre 1993. Lo stendardo, salvo l’assenza delle frange, corrisponde quasi esattamente a una bandiera che tre secoli prima, nell’agosto del 1693, alzava lo yacht armato dello Zar Pietro il Grande, nella rada di Arcangelo.

Ora tutti danno del matto scriteriato a Vladimir Putin, ma i veri folli – e non nel senso laudatorio di Erasmo da Rotterdam – siamo noi, che ci stiamo bevendo la narrazione patetica che dalla sala ovale della Casa Bianca ci è piombata in testa come verità assoluta. Quella dell’Occidente e in primis dell’America come paladina dei diritti inderogabili delle nazioni.

Traduzione pratica nei nostri telegiornali e giornaloni vari: Putin ha violato il diritto internazionale, ha calpestato la sovranità di uno Stato tutelato dall’Onu, ha riconosciuto ufficialmente e sostenendo militarmente due territori del Donbass (Est dell’Ucraina) che si sono proclamati repubbliche indipendenti.

Diritto e forza

Qui ci permettiamo alcune osservazioni un tantino politicamente scorrette, ma almeno prive di ipocrisia. Comincio da un’amara citazione di Giuseppe Prezzolini, non fu un bolscevico sotto copertura ma il padre dei conservatori italiani: «Il diritto è di chi ha la forza». Non è cinismo, ma la presa d’atto della nostra storia anche recente.

Interferenza umanitaria. Se osservatori non sempre propriamente disinteressati colgono in una certa zona del mondo il prevalere di un tiranno crudele: allora è concesso mandare truppe, rimpiazzare i presidenti, commissariare un Paese. È successo in Somalia nel 1993, in Bosnia-Erzegovina fino al 1996. Giusto? Sbagliato? Essendoci stato credo che l’intervento fosse necessario. Ma è stato ipocritamente reso legittimo con una piccola variazione del diritto internazionale: a misura sempre del più forte. Che non sempre è quello buono.

Kosovo. La Nato, senza neppure il minimo cenno di approvazione dell’Onu, nel 1999 attaccò la Serbia accusata di crimini orrendi nella provincia già autonoma di Pristina a maggioranza albanese-musulmana. In realtà i report erano falsi come quelli di Giuda. Noi italiani bombardammo così Belgrado (ero lì) per ragioni umanitarie, persino un ospedale. Poi garantimmo una resa onorevole a Milosevic, il presidente comunista di Belgrado, invano difeso dalla Russia e da scrittori come Solzenicyn, spergiurando che il Kosovo sarebbe rimasto sacro suolo della Serbia. In quel caso la Nato intervenne, inventando panzane, per costituire uno stato mafioso-islamico nel cuore dell’Europa: fu un’operazione condotta da Bill Clinton=Joe Biden.

Iraq nel 2003. Gli Stati Uniti costruirono, con l’aiuto purtroppo di servizi segreti europei, false prove del possesso da parte di Saddam Hussein di armi di distruzioni di massa. Guerra di liberazione? È servita a insediare l’Isis…

Libia. La Nato ha deciso che Gheddafi era cattivo e i jihadisti di Allah buoni. Sostenemmo i tagliagola tagliando la gola a noi stessi (per gola qui si intendono i rifornimenti energetici) e consegnando il nostro Paese a essere meta di migranti usati come armi di destabilizzazione.

Siria, eccetera. Mi fermo.

Putin ha applicato il medesimo criterio dei precedenti punti “americani”. In particolare il riferimento è all’Iraq e al Kosovo. Non è forse vero che non solo la prevedibile adesione dell’Ucraina alla Nato (osteggiata nel 2008 sia da Prodi sia dalla Merkel), ma già ora il dispiegamento di forze e missili occidentali con basi in Romania, Polonia e Paesi Baltici, è un bigliettino di inimicizia sfacciato? La popolazione russofona del Donbass e (ne sono testimone) di Odessa c’è qualcuno che osi negare sia vessata, ridotta a dilly, cittadini di serie B, dall’attuale regime sponsorizzato dall’Occidente per essere una spina nel fianco della Russia?

C’è un secondo livello di ipocrisia. Putin in questi giorni ha reso semplicemente ufficiale ciò che era già reale dal 2014. Il Donbass sin dall’invasione e annessione della Crimea è sotto sovranità russa. Non c’è servizio segreto occidentale che non lo sappia. Persino le forze militari con divisa ucraina lì servono Mosca.

Ci sono stati referendum in Donbass dove plebiscitariamente la popolazione ha optato – secondo il principio di autodeterminazione – per l’indipendenza da Kiev. Il principio di autodeterminazione vale quando lo decidono gli americani? Anche loro, in fin dei conti, alcuni secoli fa, si dichiararono indipendenti dalla Gran Bretagna, o ci sbagliamo? Magari Joe Biden avrebbe schierato la Nato per impedirlo…

La storia si muove. Il diritto internazionale si modella in una lotta impari tra puri ideali e sporca forza. Di solito vince la forza.

Putin si è mosso ora non perché impazzito, ma sia per ragioni di politica interna (individuare un’aggressione esterna raggruma il popolo in torno al capo) sia per mostrare agli europei chi è davvero Biden: uno che se ne frega degli interessi e del benessere dei popoli alleati, e fa di tutto per creare le condizioni – esasperando il conflitto diplomatico, muovendo l’esercito – per inimicare la Russia e gli Stati europei. Che importa a Biden se la bolletta della luce triplica a Bari e a Torino, se i forni di Mestre si spengono e non sciolgono più il vetro perché il gas è troppo caro? Un tubo.

Be’, Draghi oggi dovrebbe fare come Berlusconi nel 2002. Usare la propria autorevolezza internazionale, soprattutto guadagnata in America e a Brussel, per far valere gli interessi italiani, e fare da garante di un accordo tra Putin e Biden. Quale? Jeffrey Sachs, della Columbia University, lo tratteggia sul Financial Times. «Gli Stati Uniti dovrebbero garantire alla Russia che l’Ucraina non entrerà mai nella Nato, chiedendo in cambio il completo ritiro delle forze russe dalla regione del Donbass e l’annullamento del riconoscimento dell’indipendenza delle due Repubblica separatiste, oltre alla smobilitazione delle truppe al confine con l’Ucraina, insieme a garanzie sul riconoscimento della sovranità di Kiev. Se gli Usa non proporranno questo accordo, dovrebbero farlo Germania e Francia». Con tutto il rispetto dovuto al Financial Times. Olaf Scholz ed Emmanuel Macron non valgono una cicca rispetto a Draghi. Mario inviti Joe e Vladimir se non a Pratica di Mare, magari a Montecassino dicendo che conviene accordarsi, perché la guerra è una follia. Ma anche il prezzo del gas lo è. E può far morire tanta gente.

Questo articolo è stato pubblicato oggi su Libero Quotidiano.

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