Per un miglior esercizio del ministero petrino

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Le leggi approvate l’11 luglio 2013 dalla Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano realizzano un intervento normativo di ampia portata, richiesto in funzione del servizio che questo Stato, assolutamente peculiare ed unico nel suo genere, è chiamato a svolgere a beneficio della Sede Apostolica. La finalità originaria e fondamentale del Vaticano, consistente nel garantire la libertà di esercizio del ministero petrino, richiede infatti un assetto istituzionale ed ordinamentale che sempre più prescinde dall’esiguità del proprio territorio, per assumere una complessità per alcuni tratti simile a quella degli Stati contemporanei.

Nato con i Patti Lateranensi del 1929, lo Stato adottò in blocco l’ordinamento giuridico, civile e penale, del Regno d’Italia, nella convinzione che questa dotazione fosse sufficiente al fine di regolare i rapporti di diritto comune all’interno di uno Stato la cui ragion d’essere risiede nel supporto alla missione spirituale del Successore di Pietro. Il sistema penale originario – costituito dal codice penale italiano del 30 giugno 1889 e dal codice di procedura penale italiano del 27 febbraio 1913, come vigenti alla data 7 giugno 1929 – ha di seguito conosciuto modifiche solo marginali ed anche la nuova legge sulle fonti del diritto (N. LXXI, del 1 ottobre 2008) ha confermato la legislazione penale del 1929, sia pure in attesa di una complessiva ridefinizione della disciplina.

Le leggi approvate da ultimo, pur senza riformare in radice il sistema penale, lo rivedono in alcuni  aspetti e lo completano in altri, soddisfacendo una pluralità di esigenze. Da un lato, queste leggi proseguono e sviluppano l’adeguamento dell’ordinamento giuridico vaticano, in continuità con l’azione intrapresa da Papa Benedetto XVI a partire dal 2010 in tema di prevenzione e contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo. In tale prospettiva si è provveduto a dare attuazione, tra le altre, alle previsioni contenute nella Convenzione delle Nazioni Unite del 2000 contro la criminalità organizzata transnazionale, nella Convenzione delle Nazioni Unite del 1988 contro il traffico illecito di stupefacenti e di sostanze psicotrope, nella Convenzione internazionale del 1999 per la repressione del finanziamento del terrorismo, nonché nelle altre convenzioni che definiscono e tipizzano le condotte di terrorismo.

Dall’altro lato, le nuove leggi introducono anche altre figure criminose indicate in diverse convenzioni internazionali, già ratificate dalla Santa Sede e che adesso ricevono attuazione anche nell’ordinamento interno. Tra queste convenzioni possono menzionarsi: la Convenzione del 1984 contro la tortura ed altre pene, o trattamenti crudeli, inumani o degradanti; la Convenzione internazionale del 1965 sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale; la Convenzione del 1989 sui diritti del fanciullo ed i suoi Protocolli facoltativi del 2000; le convenzioni di Ginevra del 1949 contro i crimini di guerra; etc. Un titolo a parte è stato anche dedicato ai delitti contro l’umanità, tra cui il genocidio e gli altri crimini previsti dal diritto internazionale consuetudinario, sulla falsariga delle disposizioni dello Statuto di Roma della Corte penale internazionale del 1998. Dal punto di vista sostanziale, infine, degne di nota sono ancora la revisione dei delitti contro la pubblica amministrazione, in linea con le previsioni contenute nella Convenzione delle nazioni Unite del 2003 contro la corruzione, nonché l’abolizione della pena dell’ergastolo, sostituita con la pena della reclusione da 30 a 35 anni.

Nonostante l’innegabile novità di molte norme incriminatrici contenute in queste leggi, non sarebbe tuttavia corretto pensare che le condotte in esse sanzionate fossero in precedenza penalmente lecite. Esse venivano infatti comunque punite, sia pure in base a titoli di reato più generici ed ampi. L’introduzione delle nuove disposizioni vale invece ad individuare con maggiore certezza e definizione le fattispecie incriminate e così a soddisfare i parametri internazionali, adeguando le sanzioni alla specifica gravità dei fatti.

Alcune delle nuove figure criminose introdotte (si pensi ai delitti contro la sicurezza della navigazione marittima o aerea o contro la sicurezza degli aeroporti o delle piattaforme fisse) potrebbero poi apparire eccessive in relazione alla realtà geografica dello Stato della Città del Vaticano. Tali disposizioni però assolvono, da un lato, alla funzione di rispettare i parametri internazionali stabiliti in materia di contrasto al terrorismo; da altro lato occorrono, in ossequio alla condizione della c.d. “doppia punibilità”, al fine di consentire l’estradizione di quanti, imputati o condannati per tali delitti commessi all’estero, si fossero in ipotesi rifugiati nello Stato della Città del Vaticano.

Un rilievo particolare assume anche la disciplina della “Responsabilità amministrativa delle persone giuridiche derivante da reato” (artt. 46-51 della legge recante norme complementari in materia penale), che introduce sanzioni a carico delle persone giuridiche coinvolte in attività criminose, secondo l’indirizzo normativo oggi corrente in ambito internazionale. In proposito si è provveduto a conciliare il tradizionale adagio, osservato anche nell’ordinamento canonico, secondo cui  “societas puniri non potest” con l’esigenza, sempre più avvertita in ambito internazionale, di stabilire adeguate e dissuasive sanzioni anche a carico delle persone giuridiche che traggono profitto dalla commissione di reati. La soluzione adottata è stata dunque quella di configurare una responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, beninteso nelle ipotesi in cui possa dimostrarsi che il reato sia stato commesso nell’interesse o a vantaggio della persona giuridica stessa.

Modifiche di rilievo vengono introdotte anche in punto di procedura. Tra di esse si possono menzionare: l’aggiornamento della disciplina della confisca, potenziata dall’introduzione della misura del blocco preventivo dei beni (c.d. congelamento); l’enunciazione esplicita dei principi del giusto processo entro un termine ragionevole e della presunzione di innocenza dell’imputato; la riformulazione della normativa relativa alla cooperazione giudiziaria internazionale con l’adozione delle misure stabilite dalle convenzioni internazionali più recenti.

 

Dal punto di vista della tecnica normativa, la pluralità di fonti a disposizione degli esperti è stata organizzata mediante la loro combinazione in un insieme legislativo armonico e coerente che, nel quadro del magistero della Chiesa e della tradizione giuridico-canonica, rilevante quale fonte principale del diritto vaticano (art. 1, comma 1, Legge n. LXXI sulle fonti del diritto, del 1 ottobre 2008), tiene altresì simultaneamente conto delle norme stabilite dalle convenzioni internazionali e della tradizione giuridica italiana, cui l’ordinamento vaticano ha sempre fatto riferimento.

Al fine di meglio organizzare e disciplinare un intervento normativo dai contenuti così ampi si è quindi provveduto a redigere due leggi distinte. In una sono state riunite tutte le norme recanti modifiche al codice penale ed al codice di procedura penale; nell’altra sono state invece previste norme le cui caratteristiche non consentivano una loro omogenea collocazione all’interno della struttura codiciale e che, per tale motivo, sono state collocate in una legge penale a latere, che per tale motivo può bene definirsi complementare.

 

La riforma penale finora esposta è infine completata dall’adozione da parte del Santo Padre Francesco di uno specifico Motu Proprio, anch’esso in data di ieri, che estende la portata delle norme contenute in queste leggi penali anche ai membri, gli officiali e i dipendenti dei vari organismi della Curia Romana, delle Istituzioni ad essa collegate, degli enti dipendenti dalla Santa Sede e delle persone giuridiche canoniche, nonché ai legati pontifici ed al personale di ruolo diplomatico della Santa Sede. Tale estensione ha lo scopo di rendere perseguibili da parte degli organi giudiziari dello Stato della Città del Vaticano i reati previsti in queste leggi anche nel caso in cui il fatto fosse commesso al di fuori dei confini dello Stato stesso.

Tra le leggi adottate ieri dalla Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano v’è inoltre la legge recante “Norme generali in materia di sanzioni amministrative”. Questa legge era stata già ipotizzata dall’art. 7, comma 4, della Legge sulle fonti del diritto N. LXXI, del 1 ottobre 2008, e stabilisce la disciplina generale e di principio per l’irrogazione di sanzioni amministrative.

Di tale disciplina si avvertiva da tempo l’opportunità, anche in relazione alla crescente rilevanza dell’illecito amministrativo, quale tertium genus intermedio tra l’illecito penale e l’illecito civile. In quanto disciplina di principio, alle disposizioni di tale legge si dovrà fare riferimento ogni qualvolta un’altra legge stabilisca l’irrogazione di sanzioni amministrative in conseguenza di una violazione, senz’altro specificare in ordine al procedimento di irrogazione, all’autorità competente ed in ordine agli altri effetti minori.

Uno dei cardini del sistema introdotto dalla presente legge è costituito dal c.d. principio di legalità, per effetto del quale le sanzioni amministrative possono essere irrogate solo nei casi previsti dalla legge. Il procedimento di irrogazione è articolato in una fase di accertamento e contestazione dell’infrazione da parte degli uffici competenti ed una fase di irrogazione della sanzione, rimessa in via generale alla competenza della Presidenza del Governatorato. Viene infine previsto il diritto al ricorso e la competenza per materia del Giudice unico, salvo i casi di sanzioni di maggiore gravità per i quali viene invece stabilita la competenza del Tribunale.

In conclusione di questa breve presentazione può osservarsi come le leggi sopra indicate si segnalano non solo per la loro innegabile rilevanza sostanziale e sistematica, quanto anche perché costituiscono un ulteriore e significativo passo del legislatore vaticano verso quella rifinitura del proprio assetto ordinamentale occorrente per assumere e promuovere quanto di costruttivo ed utile la Comunità internazionale propone in vista di una più intensa cooperazione internazionale ed un più efficace perseguimento del bene comune.

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