I rapporti del Vaticano con Pfizer e i colloqui segretissimi di Bergoglio con Bourla, il “re dei vaccini” della società farmaceutica americana
La grande b(o)urla… Il 15 gennaio scorso abbiamo riportato [Pfizer e il Vaticano] la traduzione italiana dell’articolo Fonti affermano che Papa Francesco si è incontrato privatamente due volte l’anno scorso con l’Amministratore Delegato di Pfizer, Albert Bourla pubblicato dal National Catholic Register. Edward Pentin ha riferito di aver appreso che «l’anno scorso Papa Francesco ha tenuto incontri privati in segreto con l’Amministratore Delegato di Pfizer, Albert Bourla, mentre sorgono domande sull’efficacia dei vaccini nel prevenire la trasmissione, che ora sono obbligatori per tutto il personale e i visitatori del Vaticano». Oggi ritorniamo sulla questione dei rapporti del Vaticano con Pfizer e gli incontri di Papa Francesco con Bourla, riportando l’inchiesta di Jules Gomes per Church Militant di ieri, 17 gennaio 2022, nella traduzione italiana a cura di Aldo Maria Valli per Duc in altum [QUI]. Con lo scandalo finale, dopo gli incontri segretissimi con il Re di Big Pharma: i miliardi illegali dal Regime Comunista della Cina Continentale.
Poi, segue l’articolo di Micol Flammini Il re dei vaccini. Alla velocità di Bourla. Il Mediterraneo, l’America, Israele e il senso della storia. Il ceo di Pfizer ha spinto la corsa ai vaccini cambiando ogni regola, pubblicato il 13 marzo 2021 su Il Foglio.
Il Papa ha tenuto colloqui segretissimi con il capo della Pfizer
di Jules Gomes
Church Militant, 17 gennaio 2022
Nei giorni scorsi abbiamo riportato la notizia secondo cui papa Francesco ha avuto due incontri segreti in Vaticano con l’amministratore delegato di Pfizer, Albert Bourla [QUI]. Incontri che la Sala Stampa della Santa Sede non ha mai confermato e che non sono mai stati inseriti nel Bollettino quotidiano che informa i giornalisti sulle attività papali.
Una fonte ha confermato a Church Militant che gli incontri si sono svolti all’inizio e alla metà del 2020, ma la Sala Stampa della Santa Sede ha rifiutato di confermare.
Parlando con Church Militant, lo scienziato Alan Moy, fondatore del John Paul II Medical Research Institute, ha osservato che «Pfizer ha una storia inquietante di comportamenti non etici che include il pagamento di multe per corruzione aziendale».
Pfizer è stata multata per 2,3 miliardi di dollari nel 2009 per quello che allora fu il più grande accordo di frode sanitaria di sempre. L’azienda ha speso oltre 21,8 milioni di dollari nel 2019-2020 e 6,7 milioni di dollari da gennaio ad agosto 2021 per fare pressioni sul governo: la più grande spesa di qualsiasi singola azienda farmaceutica durante la crisi Covid-19.
Dal 1999 al 2018 Pfizer ha speso 219 milioni di dollari in lobbying (93% del totale del settore) e 23 milioni di dollari in contributi elettorali (circa il 10% del totale delle donazioni del settore ai politici).
«Penso che tutto questo sollevi preoccupazioni sul fatto che potrebbero esserci potenziali conflitti di interessi finanziari tra Pfizer e il Vaticano», dice Moy, amministratore delegato e co-fondatore della società di biotecnologie Cellular Engineering Technologies.
«Se la Pfizer ha un contratto esclusivo con il Vaticano per il loro vaccino, allora su questo contratto, o su qualsiasi altro rapporto finanziario, ci deve essere piena divulgazione e trasparenza», dichiara Moy, che è cattolico.
Church Militant ha chiesto alla Sala Stampa della Santa Sede se il Vaticano intenda rivelare gli accordi tra Pfizer e la Santa Sede nell’interesse della trasparenza. Colossi del vaccino come Pfizer hanno divulgato solo il 7% dei loro contratti con i governi e pubblicato protocolli di studi clinici che comprendono solo il 12 % di prove.
Un rapporto di Transparency International e dell’Università di Toronto intitolato A beneficio di chi? avverte di pericolosi livelli di segretezza che rivelano «una preoccupante tendenza dei governi a censurare i dettagli chiave dei loro ordini [di vaccini] alle compagnie farmaceutiche».
La politica olandese e membro del Parlamento europeo Sophie in ‘t Veld ha chiesto al Parlamento europeo di divulgare il contenuto delle comunicazioni tra la Presidente della Commissione Ursula von der Leyen e Bourla, rilevando che la segretezza viola il regolamento 1049/2001, riguardante l’accesso del pubblico ai documenti.
Secondo un rapporto del New York Times, Bourla e von der Leyen avrebbero avuto frequenti contatti telefonici e sms per oltre un mese, mentre negoziavano un accordo segreto per 1,8 miliardi di dosi del vaccino Pfizer.
Non è chiaro se la Città del Vaticano riceva le dosi di vaccino Pfizer come parte di questo accordo. Papa Francesco, tuttavia, gode di stretti legami con la von der Leyen e l’ha ricevuta in un incontro privato nel maggio 2021, durante il quale i due hanno discusso, tra gli altri argomenti, della distribuzione del vaccino.
La Santa Sede somministra solo il vaccino Pfizer-BioNTech ai residenti e al personale del più piccolo Stato sovrano del mondo. I contratti Pfizer trapelati mostrano che l’azienda è protetta da tutti i danni e le responsabilità in caso di effetti negativi del vaccino.
«Non possiamo confermare o negare poiché, secondo la nostra politica, i movimenti dei nostri dirigenti sono considerati confidenziali», ha detto la Pfizer al vaticanista Edward Pentin, rifiutandosi di rivelare se Francesco ha effettivamente incontrato Bourla in segreto.
Il Dottor Moy ha spiegato che l’incontro tra Francis e Bourla «è una questione importante che deve essere chiarita, dal momento che, nonostante la mancanza di efficacia del vaccino e le preoccupazioni per la sicurezza del vaccino Pfizer, Francesco e altri alti dirigenti vaticani stanno sostenendo che i Cattolici hanno l’obbligo morale di essere vaccinati».
Le parole di Moy arrivano sulla scia dell’ammissione di Bourla secondo cui due dosi del vaccino Pfizer potrebbero non essere efficaci nel prevenire la variante Omicron della Covid-19.
La scorsa settimana, in una conferenza su temi sanitari ospitata da JP Morgan, Bourla ha commentato: «Le due dosi non sono sufficienti per l’Omicron. La terza dose dell’attuale vaccino fornisce una protezione abbastanza buona contro i decessi e una protezione decente contro i ricoveri».
Da ricordare che il Segretario di Stato Cardinale Pietro Parolin ha assolto il vaccino Pfizer dall’accusa di essere derivato da linee cellulari di feti abortiti, sostenendo che Pfizer ha utilizzato «linee cellulari da feti abortiti solo nelle fasi preliminari dei test del vaccino in laboratorio, ma nessuna linea cellulare da feti abortiti è usata nella composizione o nella produzione».
Nonostante la denuncia di alti funzionari dell’azienda, con mail trapelate che rivelano che Pfizer utilizza tessuto fetale abortito, Parolin ha rifiutato di concedere esenzioni religiose motivate da obiezione di coscienza alla vaccinazione contaminata dall’aborto.
Pfizer ha riconosciuto di aver utilizzato nella ricerca cellule staminali embrionali umane che «possono fornire un potenziale ancora maggiore grazie alla loro maggiore capacità di auto-rinnovamento e capacità di formare un’ampia varietà di cellule e tessuti».
Tutti i dipendenti vaticani sono attualmente costretti a vaccinarsi o a mostrare prove di guarigione dalla Covid-19. La mancata prova determina la sospensione della retribuzione per la durata dell’assenza.
Dal 31 gennaio, tutti i visitatori e il personale dovranno avere il richiamo come condizione per l’ingresso in Vaticano. Il mandato si estende a tutto il personale della Santa Sede e a tutte le sue istituzioni all’interno delle aree extraterritoriali del Vaticano.
A giudizio del Dottor Moy, «la retorica di Papa Francesco non è coerente con la dichiarazione del dicembre 2020 della Congregazione per la Dottrina della Fede, secondo cui l’accettazione del vaccino dovrebbe essere volontaria».
Intanto, i colloqui taciuti tra il Papa e la Pfizer riaccendono le speculazioni sul concordato segreto del Vaticano con la Cina, rinnovato dal Cardinale Parolin nell’ottobre 2020 nonostante molte voci lo abbiano condannato come un «accordo con il diavolo».
Mesi prima che Parolin rinnovasse l’accordo, il dissidente in esilio Guo Wengui ha accusato il Vaticano di aver ricevuto 1,6 miliardi di dollari ogni anno dal 2014 in tangenti dal Partito comunista cinese perché Pechino «voleva che il Vaticano tacesse sulle politiche religiose della Cina».
Wengui ha anche affermato che il governo cinese stava pagando alla Santa Sede cento milioni di dollari prima del 2014. Il magnate non ha specificato quando sono iniziati i pagamenti. Pechino ha bollato Wengui come un criminale in cerca di attenzione, ma il Vaticano deve ancora negare le accuse.
Dopo il secondo incontro di Bourla con Francesco, l’oligarca del vaccino ha stretto un accordo da 70 milioni di dollari con il colosso biotecnologico di Shanghai LianBio e ha investito 200 milioni di dollari in Cstone Pharmaceuticals, che ha sede a Hong Kong.
Nel dicembre 2021, un database trapelato di membri registrati del Pcc ha rivelato un’infiltrazione comunista di massa in aziende americane, inclusi sessantanove infiltrati in quattro filiali Pfizer a Shanghai. In merito, Pfizer non ha risposto alle richieste della stampa di commentare.
Francesco e Bourla hanno anche stretti legami con il World Economic Forum, il club di globalisti transnazionali che promuove il Great Reset che – come ha scritto l’Arcivescovo Carlo Maria Viganò – cerca di «rendere schiava tutta l’umanità, imponendo misure coercitive con cui limitare drasticamente le libertà individuali e quelle di intere popolazioni».
Il Wef nel suo sito parla di Papa Francesco e Albert Bourla come «collaboratori all’ordine del giorno». Bourla è anche Co-presidente della task force del Wef che lavora per «una grande riforma dell’assistenza sanitaria». Il Wef inoltre elogia Francesco per «aver dato la sua impronta agli sforzi per dare forma a quello che è stato definito un ‘grande reset’ dell’economia globale in risposta alla devastazione della Covid-19».
Nel maggio 2021, il Vaticano ha presentato Bourla come relatore chiave alla conferenza sulla salute globale. I fedeli cattolici si sono indignati dopo che si è saputo che l’incontro era stato in parte finanziato dai Mormoni e dal produttore di vaccini Moderna. Il Vaticano non ha elencato Pfizer come co-sponsor, ma ha osservato che alcuni dei suoi benefattori avevano «chiesto di rimanere anonimi».
Molti cattolici hanno espresso preoccupazione per l’abitudine del pontefice di ingraziarsi le élite del mondo, nonostante gli oligarchi mondiali abbiano sfruttato la pandemia per arricchirsi per miliardi di dollari.
Nel novembre 2021 Bourla, che guida Pfizer dall’inizio del 2019, ha venduto 5,6 milioni di dollari in azioni lo stesso giorno in cui il gigante farmaceutico ha annunciato i primi dati positivi sul suo vaccino contro il virus cinese.
L’anno scorso Pfizer ha risarcito Bourla (ebreo sefardita di origine greca), con un pacchetto retributivo totale di 21 milioni di dollari, un aumento del 17% rispetto a prima della pandemia (quando il risarcimento di Bourla nel 2019 era di 17,9 milioni di dollari).
Un rapporto Oxfam appena pubblicato critica i monopoli sui vaccini detenuti da Pfizer, BioNTech e Moderna per aver creato cinque nuovi miliardari durante la pandemia e aver consentito alle loro società di realizzare profitti di oltre mille dollari al secondo.
Mentre Papa Francesco si scaglia spesso contro il capitalismo, è rimasto in silenzio sulla corruzione di Big Pharma e sull’emergere di una plutocrazia a seguito della pandemia.
Il re dei vaccini
Alla velocità di Bourla
Il Mediterraneo, l’America, Israele e il senso della storia. Il ceo di Pfizer ha spinto la corsa ai vaccini cambiando ogni regola
di Micol Flammini
Il Foglio, 13 marzo 2021
Il vantaggio di Albert Bourla, il ceo greco di origine ebraica a capo della società farmaceutica americana Pfizer, è stato capire che nulla, con la pandemia, si sarebbe mosso più alla stessa velocità. Tutto sarebbe stato più rapido, tutto avrebbe dovuto assumere un ritmo diverso, quello della corsa. Tutto, a cominciare dalla scienza. L’espressione velocità della luce era la più pronunciata alle sue riunioni e quel concetto, la capacità di immaginare un mondo più veloce, nel bene e nel male, non l’ha abbandonato neppure adesso. Perché il vaccino è stato trovato, ma la corsa non è finita: bisogna produrlo, distribuirlo, aggiornarlo. E la velocità è sempre la stessa: quella della luce.
Durante una delle sue prime riunioni con i membri dei gruppi che si occupano della ricerca e della produzione di vaccini dell’azienda americana, gli scienziati avevano lavorato fino a tardi, arrivarono all’appuntamento stremati, ma contenti di poter dire che il vaccino poteva essere pronto per il 2021. Bourla li ringraziò, disse loro che avevano fatto un lavoro straordinario, ma che non era ancora abbastanza. Bisognava spingersi oltre, rifare tutto, ripensare il modo di lavorare, imparare a conoscere il rischio, a conviverci, cambiare tutti gli obiettivi. “Pensate in termini diversi, disse Bourla ai presenti, pensate di avere un libretto degli assegni aperto, di non dovervi affatto preoccupare di questo. Pensate che le cose da adesso vadano fatte in parallelo e non in sequenza. Pensate che avremo bisogno di mettere su la catena di produzione del vaccino prima di sapere se effettivamente funziona. Se non funzionerà, di questo me ne occuperò io. Lo cancelleremo, lo butteremo via”. È Nathan Vardi di Forbes a riportare le parole della riunione ed era maggio quando la rivista uscì con Bourla in copertina: “Perché Pfizer potrebbe essere la migliore opzione per realizzare un vaccino entro l’autunno”.
Pfizer è una delle aziende farmaceutiche più grandi del mondo, ma Bourla le ha messo in mano la determinazione per arrivare al vaccino. A febbraio si accorse che il Covid-19 non si sarebbe fermato in Cina e la prima cosa che fece fu svegliarsi prestissimo il lunedì successivo e inviare istruzioni ai vertici della Pfizer. Bourla ha chiesto ai dirigenti scientifici di assicurarsi che i laboratori dell’azienda potessero continuare a rimanere aperti in sicurezza – nessuno stabilimento Pfizer ha chiuso, neppure per un giorno – e ha detto subito che non c’era alternativa: Pfizer avrebbe dovuto contribuire a fornire una soluzione medica alla pandemia, che ancora non chiamavamo così. Ha dato disposizione di fare un elenco dei farmaci Pfizer che sarebbero stati molto richiesti durante l’emergenza e di organizzare la produzione in modo che non ci sarebbero stati colli di bottiglia. Bourla aveva appena deciso che stava orientando l’azienda verso la lotta al Covid. Non tutti erano d’accordo, ma bastò poco per capire che aveva ragione. Scott Gottlieb, ex capo della Food and Drug Administration e direttore di Pfizer, ha raccontato a Forbes che Bourla era convinto che fosse dovere dell’azienda mettere a disposizione della lotta contro il virus le sue enormi capacità per “inventare un vaccino che potrebbe cambiare il corso della storia umana”.
“Albert Bourla – ha detto uno dei suoi ex capi, Ian Read – ha il senso dell’urgenza” e ha capito dall’inizio che tutta l’umanità si trovava davanti alla storia, a un momento difficilissimo come non c’erano da anni e Bourla ha afferrato al volo che la possibilità di intervenire sul corso della storia e invertirlo era nelle sue mani. “Se non lo facciamo noi, allora chi lo fa?”, ha detto ai suoi collaboratori che rimasero tutti esterrefatti quando il ceo convocò il 16 marzo i dirigenti dell’azienda per dire: “Non è tutto come al solito, questa volta non saranno i rendimenti finanziari a guidare le nostre decisioni”. Aveva parlato da qualche giorno con Ugur Sahin, l’immunologo tedesco di origine turca che ha fondato assieme a sua moglie la BioNTech. Sahin aveva letto su Lancet un articolo sul virus e proprio come Bourla aveva capito che non era una questione cinese, che bisognava correre, muoversi, arrivare per primi, mettersi a studiare per trovare il modo per trovare un vaccino. Nel suo laboratorio Sahin aveva già la soluzione, una proposta, i suoi studi sull’Rna messaggero, una tecnologia nuova, in sperimentazione, che secondo lo studioso turco poteva aiutare a realizzare un vaccino contro la Sars-CoV-2. Bourla e Sahin avevano già collaborato in passato: nel 2018 avevano avviato delle sperimentazioni assieme, sempre basate sull’Rna messaggero, per realizzare dei vaccini antinfluenzali. Non sono mai arrivati sul mercato ma lo scienziato turco aveva capito che era questo il momento di riprovarci e che nessun partner sarebbe stato migliore di Pfizer. Nessun partner migliore di Bourla, che nel frattempo era diventato ceo dell’azienda e con il quale era nato un rapporto di amicizia fatto di una visione comune della scienza e di passione per il Mediterraneo. Di Mediterraneo è piena questa storia, perché è dal Mediterraneo che inizia tutto e dove molto accade. Ma per ora siamo a New York, sulla 42esima strada, a Manhattan, e Bourla decide di firmare una lettera di intenti in cui Pfizer mette tutte le sue enormi capacità di produzione, di regolamentazione e di ricerca a disposizione di BioNTech, che porta invece con sé la tecnologia. Per il progetto Bourla spende un miliardo di dollari, sotto gli occhi ancora esterrefatti dei dirigenti della sua azienda, “non ho intenzione di perderli, ma sì, se il vaccino non funziona li perderemo tutti”. Parallelamente avvia la sperimentazione di quattro vaccini diversi e decide di rendere pubblico il piano di Pfizer, di condividere la sua ricerca con altre aziende farmaceutiche rivali. E quando durante una riunione gli domandano cosa sarebbe accaduto se Pfizer non fosse stata l’unica ad avere successo, lui risponde: sarebbe il miglior risultato possibile.
Il senso dell’urgenza e il senso della storia procedono spesso insieme e i colpi della storia, le ragioni della fortuna, anche quelle spaventose, Bourla li conosce bene. È nato a Salonicco in una famiglia ebrea sefardita, suo padre e sua madre erano sopravvissuti all’invasione nazista e all’Olocausto. Lui, Mois, perché si trovava fuori dal ghetto quando venne rastrellato. Era insieme a suo fratello Into e a suo padre Abraham, ma dentro al ghetto erano rimasti sua madre e altri due fratelli. Per questo il padre decise di consegnarsi – lui, sua moglie e gli altri due figli sarebbero stati tutti deportati ad Auschwitz – ma chiese a Mois e Into di scappare, di nascondersi, di sopravvivere. La madre di Albert Bourla, Sara, era invece l’ultima di una famiglia con sette figli. Una delle sue sorelle si era convertita al cristianesimo e la famiglia ruppe i rapporti con lei, ma fu suo padre a richiamarla poco prima che tutti venissero deportati per chiederle di prendere con sé Sara e di nasconderla. Sara in seguito fu arrestata e rischiò la fucilazione, ma erano gli ultimi giorni dell’occupazione nazista e riuscì a salvarsi. È nata così la famiglia Bourla, sotto i colpi della storia. Suo padre e suo zio misero su un negozio di alcolici a Salonicco, dove è nato Albert che prestissimo si appassionò di animali e decise di studiare per diventare veterinario. Il percorso portò questo veterinario greco inaspettatamente a Pfizer, nel 1993, prima nella sede greca, poi in Polonia, in Belgio e infine negli Stati Uniti. Nel 2014 era un dirigente di alto livello e nel 2019 fu nominato amministratore delegato.
Il suo primo passo da ceo fu quello di togliere un ingombrante tavolo marrone dalla sala riunioni, niente tavoli, soltanto sedie, disposte in cerchio. Sulle pareti chiese di appendere le foto di pazienti, l’importante era ricordare che il vero scopo di ogni singolo dipendente dell’azienda è quello di aiutare. L’idea fu contagiosa, anche gli altri iniziarono a mettere sulle loro scrivanie le foto dei pazienti.
La corsa al vaccino alla velocità della luce è stata piena di momenti di difficoltà, i thermal shippers da inventare, la distribuzione che all’inizio ha sollevato molte critiche e uno su tutti: la Pfizer negli ultimi anni aveva ridimensionato la sua ricerca antivirale, non possedeva un laboratorio in cui lavorare con il virus vivo in sicurezza. Bourla temeva che questa mancanza avrebbe ritardato il processo, ma l’azienda ha deciso di appoggiarsi a laboratori esterni, anche in Europa, iniziando così una collaborazione intensa e incessante tra le due sponde dell’Atlantico. Quello prodotto da Pfizer-BioNTech è stato il primo vaccino occidentale a essere registrato e approvato, il primo ad aver fatto sperare che la parola fine a questa pandemia potesse essere messa, più prima che poi.
Bourla, scrive Bloomberg, in questi ultimi mesi ha assunto un ruolo simile a quello di un capo di stato, le chiamate con presidenti e premier sono frequenti, ininterrotte. Ma c’è un primo ministro con cui Albert Bourla ha instaurato un rapporto particolarmente intenso, e anche questo corre lungo le rive del Mediterraneo, passa per l’America e arriva fino a Israele, il paese che ha organizzato la campagna di vaccinazione più efficiente al mondo.
Netanyahu era all’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv quando a fine dicembre dello scorso anno sono arrivate le prime dosi di vaccino Pfizer-BioNTech. C’è aria di elezioni in Israele, per la quarta volta in meno di due anni, e il primo ministro, che durante la pandemia si è comportato con molta cautela, ma la cautela non è bastata a frenare il virus, ha intuito il potenziale elettorale di una campagna di vaccinazione rapida, seria, veloce, con la promessa di dare agli israeliani la possibilità di ricominciare a fare “per primi quello che il mondo vorrebbe fare”: vivere come eravamo abituati a vivere. I contatti tra Netanyahu e Bourla sono stati moltissimi. Bibi a gennaio si è vantato di aver parlato con il ceo di Pfizer almeno diciassette volte, persino alle due del mattino: “È un grande amico di Israele”. Bourla sostiene siano state molte di più, “almeno trenta, era ossessivo”. Simpatia personale, la stessa passione per l’arrivare per primi, per l’efficienza, la velocità che si ferma a un passo dalla rapacità: alcuni gridarono allo scandalo accusandolo di insider trading quando Bourla ha venduto parte delle sue azioni Pfizer, a un prezzo vicino ai massimi, con un ricavo di 5,6 milioni di dollari il giorno stesso in cui l’azienda ha annunciato gli ottimi dati provvisori sull’efficacia del suo vaccino nella terza fase di sperimentazione. Ma non era soltanto Bourla ad avere molto da dare a Gerusalemme, era anche Israele a poter dare molto a Pfizer. Netanyahu ha offerto di pagare trenta dollari a dose, secondo alcuni media israeliani quarantasette, più del doppio dell’Ue e ha accettato di condividere i dati del vaccino. Era un test perfetto di efficacia su larga scala, materiale molto prezioso per l’azienda farmaceutica, vitale per gli israeliani, essenziale per la campagna elettorale di Benjamin Netanyahu. Il premier ha spesso bisogno di mani da stringere per le elezioni, nei cartelloni dell’ultimo voto, il due marzo dello scorso anno, appariva lui con Donald Trump in una stretta di mano quasi fraterna, “lo riabbraccerei – ha detto Netanyahu in una recente intervista al Jerusalem Post – io abbraccio chi sostiene le mie politiche”. Ma ora non avrebbe senso proporre l’ex capo della Casa Bianca come compagno di immagine e Bourla rappresenta un’alternativa perfetta. Così il ceo greco è entrato nella campagna elettorale di Gerusalemme – “Pfizer non risponde alle chiamate degli altri”, ha detto Bibi intendendo i suoi rivali politici, “risponde alle mie” – e rischiava anche di rimanerci incastrato. Tra i due c’è un bel rapporto fatto di lunghe telefonate e amicizia, di rapporti strettissimi tra America e Israele, ma Bourla che stava per partire per una visita dal forte sapore elettorale in Israele alla fine non è più andato. E non si sa se per le polemiche o se per la ragione ufficiale: non tutti i membri del suo staff hanno ricevuto la seconda dose del vaccino, Bourla l’ha ricevuta giovedì.
In un anno il ceo di Pfizer ha trasformato un’azienda, ha reso possibile l’esistenza del vaccino, si è trasformato in uno degli uomini più ascoltati, più voluti, più cercati. Tutto per quel suo carattere, irrequieto. E per quella sua intuizione, la velocità della luce. “Tornavo a casa e i miei figli mi chiedevano se avessimo trovato qualcosa. La stessa domanda me la facevano tutti quelli che mi conoscevano. In quel momento senti che se fai bene una cosa, puoi salvare il mondo. Se non la fai bene, non lo salverai”. Bourla è stato uno degli uomini che ha messo in fila i pezzi che servivano a uscire dalla pandemia, in mezzo alla quale siamo ancora, ma con una strada per uscire. L’ha fatto con ambizione, quella che serve a dire voglio che siamo noi quelli che salveranno il mondo. Lo ha fatto anche con la bravura, quella che serve a riorganizzare un’azienda, darle una nuova rotta in poco tempo quando ci vorrebbero anni. Lo ha fatto anche credendo nella collaborazione, quella che serve a disegnare traiettorie importanti, dalla Germania a New York, passando per tutta l’Europa, attraversando il suo Mediterraneo, arrivando fino in Israele, linee che viste una per una sembrano solo righe, schizzi. Ma basta allontanarsi e quelle traiettorie hanno una forma, il disegno di un ponte che porta dall’altra parte della pandemia.
Bourla però ha una raccomandazione, l’ha scritta lui stesso a un anno esatto dall’inizio di tutto: quando lo avremo attraversato, questo ponte, ricordiamoci che in dodici mesi è stato “reso possibile l’impossibile”. Adesso tocca un compito ancora più impegnativo: correre alla velocità della luce, sempre, verso la primavera. Ma questa volta ogni tanto sarà bene voltarsi indietro per non sprecare i progressi impensabili ottenuti durante questo “incubo globale”.