Il “Caso Aupetit”: «Perso d’amore ma per Cristo». L’uso delle armi di distrazione di massa: «È chiaramente il governo a essere in questione, il resto pur non essendo accessorio serve da alibi»
Questa mattina mi sono alzato tardi – perché avevo lavorato fino alle ore piccole sulla Seconda Parte del “reportage” sul 49° Viaggio di Solidarietà e di Speranza di Mons. Luigi (Don Gigi) Ginami in Messico [QUI] – e la prima cosa che ho letto era un brevissimo messaggio dell’amico e collega Renato Farina: “Buona domenica, Gaudete in Domino, Gesù viene presto!”. Prima di addormentarmi questa notte, avevo appuntato che la prima cosa da fare in questa III Domenica di Avvento – Gaudete («Rallegratevi sempre nel Signore, ve lo ripeto: rallegratevi. Il Signore è vicino!», Cf. Fil 4,4.5) sarebbe stato ritornare sul “caso Aupetit”.
Quindi, la coincidenza (ovvero la Dioincidenza) vuole che iniziamo a riflettere sul «Gaudete in Domino semper», ovvero, siate sempre lieti, siate sempre felici nella Presenza del Signore, come scrive San Paolo nella Lettera a Filippesi. Dobbiamo gioire. Però, dobbiamo gioire non solo gioire in un momento specifico e in una fase speciale della nostra vita, ma sempre dobbiamo gioire.
Ecco, una bella sfida, pensando alle tribolazioni e alle angosce (comuni, gravi o gravissimi; materiali, spirituali o psicologici) in cui possiamo trovarci da un momento all’altro nella nostra vita, per breve o per lungo tempo. Quindi, la frase di San Paolo pare incomprensibile, irragionevole e illogico. Infatti, come è possibile essere lieti, tranquilli e sereni sempre, anche quando le cose non vanno bene e si ha l’impressione di avere tutto contro, quando sembra che non c’è più speranza, quando il cuore sanguina dal doloro per la lancia? Certo, quando tutto va bene (molto o poco che sia) allora l’esortazione di San Paolo è comprensibile, ragionevole e logico. Ma quando l’anima viene compressa dalla sofferenza e siamo gettati nel fosso del dolore, nello sconforto e nella solitudine: allora la cosa appare senza senso, una pretesa assurda e uno scherzo stupido.
Possiamo immaginare che l’Arcivescovo Michel Aupetit si è sentito così, dopo le “confidenze” a suo discapito, che il suo Capo ha offerto tra le nuvole ai giornalisti ammessi al Volo Papale durante il viaggio di ritorno da Athene, confondendo le acqua come suo solito, pur di nascondere il vero motivo per l’accettazione della rinuncia.
Invece, nella sua omelia di venerdì 10 dicembre 2021 durante la Santa Messa di “ringraziamento”, che ha presieduto nella chiesa di Saint-Sulpice a Parigi, per salutare e ringraziare la sua diocesi, con le sue bellissime e forti parole Mons. Aupetit ci ha offerto preziosi spunti di meditazione sul significato del dolore, quando la vita personale è quanto mai tribolata da afflizioni.
Non si è trattato di frasi fatte, pronunciato di un uomo soddisfatto, dalla tranquillità della sua zona di conforto, con nessuna fatica dispensati come perle di saggezza e biblica erudizione. Al contrario, Mons. Aupetit ha donato ai suoi ex-diocesani (e a tutti noi, il Papa incluso) delle parole uscite dal suo cuore ferito, trafitto con la lancia del dolore. Una ferita tuttora sanguinante, perché l’Uomo che Veste di Bianco non solo ha trafitto il suo cuore, ma gli ha negato pure l’umanità, la delicatezza di sentire, la magnanimità commovente, la consolazione che guarisce, la misericordia nella giustizia, l’accoglienza riservata agli emarginati, e addirittura un posto in quella Chiesa ospedale da campo, che pubblicizza con così volentieri (per coloro che non sono i destinatari delle sue “cacciate” e “non farti più vedere”). E con tutto ciò non abbiamo neanche menzionata la fraternità, la collegialità e la sinodalità, altri slogan dal repertorio bergogliano. Invece, tutto questo i suoi ex-diocesani e noi abbiamo ricevuto in dono da Mons. Michel Aupetit, mentre il suo Capo si dedica al chiacchiericcio che uccide e a cui dedica parole come un mantra.
Mons. Aupetit è un uomo, un medico, un prete e un vescovo tosto, un grande, un vero pastore che pascola le sue pecore e non le lascia portare al macello, con il contributo di una stampa collusa e compiacente. Mons. Aupetit ci ha donato un raggio di luce negli angoli più oscuri delle nostre anime, là dove solo i più intrepidi ardiscono penetrare, nella tristezza, in cui si annidano numerosi mali morali, che si camuffano e si travestono da ciò che non sono, per meglio ingannare la propria coscienza e per consentire all’anima di essere pigra, di auto-compatirsi, perfino coltivare l’orgoglio e la superbia, nei propri abissi interiori.
La via d’uscita dalla tristezza, come ci dimostra Mons. Aupetit, si trova nella speranza cristiana, nel rivolgere l’anima al di fuori di sé, nell’aprirsi alla carità, nell’affidare al Signore Gesù i propri fardelli e la propria croce, cercando e trovando in Lui la forza per uscire dal fosso dell’infelicità. Come vera guida spirituale, amico fedele nei tempi contrari, compagno di viaggio nello sconforto e fratello maggiore che cammina a piedi nudi sui carboni ardenti, ci insegna come fare per non lasciarci sopraffare dal dolore, trasformando il tormento e il doloro in benedizione, in pace e in letizia.
«Quando sono debole è allora che sono forte»
Con l’aiuto di Dio, si può sopportare la sofferenza, di cui nessun’anima sarebbe capace. Non è l’uomo che ha il potere di trasformare dolore in letizia. Ma tutto quel che è impossibile all’uomo, è possibile a Dio. Credere in questo e agire in questo modo definisce l’uomo di fede, che non si dispera mai, perché confida nell’aiuto di Dio, come Giobbe, non per i propri meriti, ma per le proprie debolezze. Dall’umiltà, dall’accettazione dei propri limiti e impotenza, scaturisce il dono divino e gratuito della Grazia. San Francesco d’Assisi compose il «Cantico di Frate Sole» mentre il suo corpo era tormentato da infiniti mali: ma la sua anima era gaudiosa e luminosa, perché gioiva nell’amore di Dio. Sono queste le grandi anime, perso d’amore ma per Cristo, come l’ex medico e Arcivescovo emerito di Parigi, Mons. Michel Aupetit, che ci indicano la strada della letizia sempre.
Ci rendiamo conto, che del “caso Aupetit”, diventato – per l’ennesima volta – il caso dell’Uomo che Veste di Bianco (in fondo anche il “caso Becciu”, di cui abbiamo parlato già tanto e tanto se ne dirà ancora, è tale) si è parlato molto, se ne parlerà ancora tanto e non se ne parlerà mai abbastanza… finché il Papa regnante non cambia strada e atteggiamenti (la Speranza è l’ultima dea a morire).
Intanto, le voci e le ragioni sulla rinuncia dell’Arcivescovo Michel Aupetit dal suo ufficio di Arcivescovo metropolita di Parigi (e sulla fulminea accettazione da parte del Papa e sulle motivazioni) continuano a gonfiarsi.
Anche noi ne abbiamo parlato:
- Vergognoso chiacchiericcio per mezzo stampa spacciato per “accuse”, de facto pubblicizzato a livello mondiale da un Papa, con effetto devastante per un “gigante della fede e spina nel fianco dei laicisti” – 7 dicembre 2021
- La legge suprema della Chiesa è la salvezza delle anime. Va applicata sull’altare della Verità, della Giustizia e della Misericordia, non sull’altare del chiacchiericcio, della cacciata e dell’ipocrisia – 9 dicembre 2021
E certamente ritorneremo a parlarne. Oggi facciamolo con tre interventi, che consideriamo molto importanti per capire il “caso Aupetit).
1. Per primo ascoltiamo l’Arcivescovo emerito di Parigi, Mons, Michel Aupetit, il destinatario delle “attenzioni particolari” di Bergoglio: la sua omelia di venerdì 10 dicembre 2021 durante la Santa Messa di ringraziamento, che ha presieduto nella chiesa di Saint-Sulpice a Parigi, per salutare e ringraziare la sua diocesi.
- La trascrizione a cura di Anita Bourdin del testo integrale dell’omelia dell’Arcivescovo Michel Aupetit si può trovare sull’Agenzia Zenit [QUI].
2. In secondo ordine, in riferimento al primo, riportiamo di seguito l’articolo di Vatican News, senza firma, quindi attribuibile al Direttore editoriale del Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede, Dott. Andrea Tornielli, che ha almeno un orecchio tesa al Papa, dal titolo Aupetit: perso d’amore ma per Cristo: «Nella Messa di congedo celebrata nella chiesa di Saint-Sulpice, l’arcivescovo emerito di Parigi ha ringraziato i fedeli e invitato all’unità, replicando alle affermazioni pubblicate sul settimanale Paris Match. “Una giornalista ha scritto: ‘L’arcivescovo di Parigi si è perso per amore’, ma ha dimenticato la fine della frase. La frase completa è: ‘L’arcivescovo di Parigi si è perso per amore di Cristo'”. In un passaggio dell’omelia, accompagnato dagli applausi dei duemila fedeli presenti nella chiesa di Saint-Sulpice a Parigi, monsignor Aupetit ha replicato alle accuse rivoltegli da Paris Match in un articolo dell’8 dicembre scorso, riaffermando il senso profondo della propria vocazione: “Ieri ho perso la mia vita per amore di Cristo quando sono entrato in seminario. Oggi ho perso la mia vita per amore di Cristo. Domani perderò di nuovo la mia vita per amore di Cristo”, perché “dobbiamo correre il rischio di amare, come Gesù”».
Vatican News ha omesso (per pudore?) il nome di questa “una giornalista” che ha firmato la “inchiesta” di Paris Match, a cui Aupetit ha fatto riferimento con spirito nella sua omelia, rifiutando a costoro la pubblicità che cerca e di cui Franca Giansoldati sul Messaggero [QUI] ha fatto il nome (successivamente corretto) e cognome. Conosciamo bene fama e gesta di questa giornalista e autrice classe 1952, “grand reporter” di Paris Match dal 1992 (dopo essere stata giornalista politica e grand reporter al Figaro Magazine dal 1981 al 1992), che prima, durante e dopo le occasioni che le sono state offerte dai Viaggi Apostolici, ha dato sempre “il meglio di sé”. E se a qualcuno venisse l’idea di girare la frittata e di fare una “inchiesta” dedicata a costoro (se i suoi colleghi e qualche prelato di curia fossero disposti a parlare…)?
Intanto, potrebbe anche essere che dovrà spiegare la bontà della sua “inchiesta” in tribunale, visto che l’Arcivescovo emerito di Parigi starebbe valutando un’azione legale dopo la pubblicazione dell’articolo su Paris Match di mercoledì 8 dicembre 2021, dal titolo Exclusif: Monseigneur Aupetit perdu par amour (Esclusivo: Monsignore Aupetit perso per amore), che suggerisce che Aupetit abbia mentito per omissione sulle sue connessioni femminili. L’articolo suggerisce anche che manterrebbe la “vicinanza” ad un’altra donna, teologa e vergine consacrata. Teleobiettivo fotografico a supporto, Paris Match illustra questa “inchiesta”, con delle foto che li rappresenta entrambi mentre passeggiano nella foresta di Meudon, lunedì 6 dicembre 2021.
Tornando alle osservazioni fatte dal Papa in volo al ritorno dal suo Viaggio Apostolico a Cipro e in Grecia, la giornalista di Paris Match sostiene che non è “il peccato della carne” che mons. Aupetit avrebbe potuto commettere, che ha spinto il Sommo Pontefice ad accettare le sue dimissioni… ma una “bugia” (sempre dalla serie “quando la toppa è peggio del buco”. “Mons. Aupetit non si è per niente difeso, senza dubbio perché pensava che il Sommo Pontefice, non avendo accettato prima del suo processo le dimissioni del Cardinale Barbarin, Primate delle Gallie, accusato di non aver denunciato preti pedofili, avrebbe rifiutato le sue”, spiega. “Il peccato della carne, il Papa ha giudicato ancora una volta davanti a noi, nell’Airbus, che non era il più grave. Allora… Sembrerebbe che oggi, come ieri, quando era professore al Collegio dell’Immacolata Concezione di Santa Fe, il gesuita argentino non sopporta le menzogne. Neanche per omissione”.
Invece, per il magazine Le Point – che sta all’origine dello “scandalo Aupeti” –, con un’operazione di distrazione di massa, invece di puntare sulla vera motivazione perché il Papa ha accettato la rinuncia di Mons. Aupetit (con accanimento ripetendo la parola “dimissione” e declassandolo come “prete”), decreta che la questione sta tutto nella vita sua privata “sotto stretta osservazione”: «Mons. Aupetit fotografato con una donna. Dopo le rivelazioni del “Point” e l’accettazione da parte di Papa Francesco delle sue dimissioni, lunedì 6 dicembre il prete ha fatto una passeggiata in compagnia di una donna».
Figuriamoci che scandalo: un prete a passeggio con una donna. Una donna!!!». Stiamo osservando un esempio dell’impiego delle armi di distrazione di massa, una categoria di strumenti mediatici utilizzati dai potenti per distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica da situazioni scomode, per distrarre dai problemi reali o dalla verità e dai fatti reali, e aprire nuovi fronti di interesse più gestibili mediaticamente.
2. Per secondo riportiamo la riflessione Il papa, il vescovo e i massaggi. Ovvero il chiacchiericcio che uccide sul suo blog Testa del Serpente di Miguel Cuartero, che alle sue osservazioni ha aggiunto qualche memoriale battura (Burke malato per “ironia della vita”, il complotto “mi vogliono morto” e la battuta sulla fronte di Pullella), giusto per far capire l’aria che tira.
3. Per terzo seguono degli approfondimenti dal titoloCapire (e voler capire) le parole del Papa su mons. Aupetit a firma di Louis Daufresne (nella traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio) su Aleteia.org dell’11 dicembre 2021.Le frasi di Papa Francesco sulla rinuncia di Mons. Aupetit durante l’incontro con i giornalisti ammessi al Volo Papale al ritorno dal suo Viaggio Apostolico a Cipro e in Grecia sono state lette in diversi modi. Nel proporre un’esegesi di queste dichiarazioni papali, Daufresnemostra che non basta ascoltare: bisogna anche voler ascoltare (a parte di essere capace di capire).
«L’informazione è il messaggio.
La comunicazione è la relazione».
Aupetit: perso d’amore ma per Cristo
Nella Messa di congedo celebrata nella chiesa di Saint-Sulpice, l’arcivescovo emerito di Parigi ha ringraziato i fedeli e invitato all’unità, replicando alle affermazioni pubblicate sul magazine Paris Match
Vatican News, 11 dicembre 2021
“Una giornalista ha scritto: ‘L’arcivescovo di Parigi si è perso per amore’, ma ha dimenticato la fine della frase. La frase completa è: ‘L’arcivescovo di Parigi si è perso per amore di Cristo'”. In un passaggio dell’omelia, accompagnato dagli applausi dei duemila fedeli presenti nella chiesa di Saint-Sulpice a Parigi, monsignor Aupetit ha replicato alle accuse rivoltegli da Paris Match in un articolo dell’8 dicembre corso, riaffermando il senso profondo della propria vocazione: “Ieri ho perso la mia vita per amore di Cristo quando sono entrato in seminario. Oggi ho perso la mia vita per amore di Cristo. Domani perderò di nuovo la mia vita per amore di Cristo”, perché “dobbiamo correre il rischio di amare, come Gesù”.
Gli applausi per monsignor Aupetit – a capo dell’arcidiocesi parigina per quattro anni fino al 2 dicembre scorso quando il Papa ha accettato la sua rinuncia – sono cominciati già al suo ingresso nella navata della chiesa. Il presule ha condiviso i suoi sentimenti e ha ringraziato i fedeli per l’affetto, ribadendo l’invito all’unità già espresso nella lettera di congedo scritta alcuni giorni fa. “Mi preoccupa l’unità al di là delle differenze che possiamo avere. Vi lascio oggi con la gratitudine, con la celebrazione dell’Eucaristia che ci riunisce tutti, qualunque sia la nostra età e condizione”.
“L’amore è un rischio permanente”
Durante l’omelia, monsignor Aupetit ha messo in evidenza la “lucidità del Signore sulla condizione umana” in rapporto alla “frustrazione permanente della nostra umanità”. “È vero, ha rilevato, che spesso si cerca di compiacere la gente specie quando si tratta di conquistare i suoi voti, come per esempio, ha indicato, lo scenario delle prossime presidenziali rende evidente. Ma Cristo, ha detto il presule, non è un politico, “Gesù è libero”. Libero della libertà del suo rapporto d’amore col Padre e libero per la salvezza dell’umanità, libero dalla gloria passeggera che i suoi contemporanei potevano offrirgli. Tuttavia, ha proseguito, “l’amore fa correre dei rischi” e Gesù li ha corsi mangiando con i peccatori o permettendo a una donna dalla dubbia reputazione di farsi lavare i piedi. Ma perché, si è chiesto l’arcivescovo emerito di Parigi, Gesù ha corso quei rischi? Per salvare quelle persone, perché “l’amore è un rischio permanente” e perché “se rimaniamo barricati in principi di precauzioni spirituali, la domanda sarà se amiamo veramente, se amiamo ancora Gesù”.
Seguire l’alfabeto divino
Monsignor Aupetit ha poi invitato i fedeli a seguire “l’alfabeto divino”, “l’alfabeto dell’amore”. Dalle prime lettere – con l’amore verso sé stessi, i genitori, gli amici – fino alle lettere finali. La lettera “Z”, ha osservato, “credo che consista nell’amare i propri nemici come dice Gesù” e “di fronte all’ingiustizia, non c’è altro rimedio che andare alla lettera Z”.
La vicenda che ha portato alla rinuncia di monsignor Aupetit e alla nomina dell’arcivescovo Georges Pontier in qualità di amministratore apostolico sede vacante et ad nutum Sanctæ Sedis di Parigi era cominciata il 23 novembre scorso con la pubblicazione di un articolo sul settimanale francese Le Point, che criticava la gestione dell’arcidiocesi da parte del presule e metteva in risalto alcuni aspetti della sua vita privata, in particolare la presunta con una donna ai tempi del suo ministero di vicario generale. Il presule aveva rigettato le accuse in una intervista a Radio Notre Dame, asserendo fra l’altro che chi lo ha conosciuto all’epoca e condiviso la sua vita quotidiana, avrebbe potuto “certamente testimoniare che non conducevo una doppia vita come suggerisce l’articolo”, e concludendo di voler rimettere la vita “nelle mani del Signore”: “Che mi permetta di servirlo ogni giorno nei miei fratelli”.
Il papa, il vescovo e i massaggi. Ovvero il chiacchiericcio che uccide
Miguel Cuartero
Testa del Serpente, 8 dicembre 2021
Fin dalla sua elezione al soglio di Pietro Papa Francesco ha dimostrato di trovarsi a suo agio in mezzo ai giornalisti creando con loro una specie di idillio che a distanza di dieci anni sembra rafforzarsi. Con loro ha riso e scherzato, a loro ha dedicato confidenze, raccontato barzellette e aneddoti, in un clima di massima distensione e spensieratezza. Un clima amichevole e familiare, come tra amici al bar, come tra parenti attorno a un tavolo domenicale.
Ma i momenti più intimi e più sinceri coi giornalisti sono i voli papali durante i quali il Papa dialoga a ruota libera rispondendo a braccio alle domande. È qui che il Santo Padre dà il meglio di sé anche nel suo rapporto personale coi giornalisti accreditati presso la Sala Stampa della Santa Sede. È qui ad esempio, il 12 settembre 2021 durante il volo diretto a Budapest, ha scherzato col “decano” dei vaticanisti Philip Pullella definendo la sua fronte “una pista di atterraggio” (“Eccolo lì, vedo la pista di atterraggio” [indica la testa di Pulella]).
Scherzare con le fattezze fisiche dei suoi interlocutori non è certo un problema, soprattutto se il clima è amichevole e disteso. Il problema si pone se si comincia a parlare in modo leggero e scherzoso su altre persone non presenti sulla base delle proprie idee o – peggio ancora – su notizie non accertate lette sulla stampa. Ciò non sarebbe rispettoso in qualunque caso, ma sappiamo che tutti abbiamo il vizio di chiacchierare e giudicare e lo stesso Francesco ce lo ricorda una volta o due al mese. Certo, se a farlo è il Sommo Pontefice c’è da restare interdetti, e se l’oggetto del discorso sono vescovi, arcivescovi e cardinali con nome e cognome, beh c’è da restare perplessi.
Si dà il caso che Francesco abbia parlato più volte di altre persone in maniera scherzosa e leggera davanti ai giornalisti in colloqui destinati a fare il giro del mondo. Così è stato quando parlando sul suo stato di salute disse: “sono ancora vivo nonostante alcuni mi volessero morto”, aggiungendo (in risposta a chi gli chiedeva un’opinione sui rumors di un imminente conclave) di “sapere” di complotti alle sue spalle: “So che ci sono stati persino incontri tra prelati, i quali pensavano che il Papa fosse più grave di quel che veniva detto. Preparavano il conclave”. Ovviamente si trattava di uno scherzo. O forse no.
In un altro colloquio coi giornalisti, parlando dei cosiddetti “no vax” affermò: “Anche nel Collegio cardinalizio ci sono negazionisti e uno di questi, poveretto, è ricoverato con il virus… ironia della vita”. In questo modo il Papa si riferiva al Cardinale Raymond Burke, che in quei giorni si trovata ricoverato terapia intensiva. Un “negazionista” folgorato dall’”ironia della vita”. Alcuni si indignarono per quella che sembrò una battuta di pessimo gusto per un cardinale cattolico in condizioni critiche a causa del Covid. Chiamarlo negazionista e definire la sua malattia una “ironia” di fronte ai giornalisti, sembrò uno scherzo poco rispettoso nei confronti del cardinale americano.
In questi giorni il Papa è tornato a parlare in aereo, questa volta durante il viaggio di ritorno dalla Grecia. Alla domanda di in un giornalista francese sulla vicenda dell’Arcivescovo di Parigi, Mons Aupetit, il Papa si è lasciato andare a un lungo discorso [che abbiamo riportato QUI nella trascrizione ufficiale della Sala Stampa della Santa Sede. V.v.B.].
Di certo l’argomento delle dimissioni di Mons. Aupetit è estremamente delicato e complesso: le accuse lanciate dal giornale Le Point su una presunta relazione con una donna, relazione che risale al 2012 e scoperta da una segretaria, la difesa dell’arcivescovo, la condanna mediatica fino alla decisione di mettersi da parte, la lettera di rinuncia, accettata dal Papa. Il tutto all’interno di un dibattito rovente sugli abusi sessuali in Francia, il Rapporto Sauvé pubblicato da una commissione indipendente sugli abusi nella Chiesa e la risposta critica scritta firmata da otto membri dell’Accademia Cattolica di Francia (tra cui il Presidente, i due Vicepresidenti e il Segretario generale), infine i difficili rapporti dell’arcivescovo all’interno della Diocesi, rapporti difficili sia coi tradizionalisti (a causa dell’applicazione del Motu propio del Papa contro la Messa Vetus Ordo) sia coi progressisti (la chiusura del Centro pastorale Saint Merri legato a Sant’Egidio, per problemi di dottrina, liturgia e di obbedienza…). Un clima incandescente dove è facile arrivare a rapide conclusioni e sentenze definitive e immediate che rischiano di mettere in difficoltà, non solo il vescovo e la sua Diocesi, ma la Chiesa intera.
Considerando la situazione, sia lo stesso atto di rinuncia di Aupetit (la domanda rivolta al Pontefice era “Che fretta c’era?”) che le riflessioni a braccio avrebbero meritato una prudenza estrema per non alimentare la confusione. Invece il Papa ha deciso di parlare a braccio esponendo delle riflessioni che in qualche modo gettano benzina sul fuoco e mescolando diversi argomenti in una sola risposta: i peccati, il sesso, il chiacchiericcio, la sentenza mediatica, la buona fama del vescovo… Il Papa, come ha fatto altre volte, chiede ai giornalisti di indagare (in realtà sono i giornalisti stessi ad aver alzato il polverone aprendo le danze del tribunale mediatico e ora chiedono lumi a chi può avere informazioni certe da fonti sicure vista la sua posizione ed il suo ruolo). Poi offre qualche “pista” interpretativa.
Molte considerazioni si possono fare. Una su tutte la questione sui “peccati della carne”. Il Papa non solo conferma in mondovisione le indiscrezioni dei media sui peccati personali del vescovo, in qualche modo ammesse dall’imputato nella sua difesa, ma aggiunge dei particolari non proprio necessari ai fini delle indagini e che non erano emersi sulla stampa. Francesco parla di “carezze e massaggi” (fortunatamente senza specificare in quali parti del corpo della donna). Inoltre parla erroneamente di una segretaria (termine scomparso nella trascrizione ufficiale), quando invece secondo il racconto dei media la segretaria sarebbe stata il detonatore della denuncia e non il complice (avendo lei stessa intercettato mail personali per offrirle alla stampa al fine di incastrare il suo capo).
Un pasticcio che, forse involontariamente, contribuisce ad affondare la figura del sacerdote e vescovo francese e a degradare la questione affrontandola come un gossip di corridoio. Eppure, dice il Papa, Aupetit è vittima del “chiacchiericcio” che uccide. Sarebbe stata dunque lesa la sua buona fama a causa della pubblica denuncia delle relazioni ambigue con una donna. Ma è proprio il Pontefice a specificare che non ci sarebbe stato un rapporto completo, giusto qualche carezza e palpatina di troppo.
A tutto ciò il Papa sottolinea che il peccato di sesso non è il più grave dei peccati cosa che – qualsiasi cosa ne dica la teologia morale – nel contesto degli abusi sessuali del clero sembra una affermazione un po’ fuori mira e passibile di maldestre interpretazioni.
Le parole del Papa (non proprio all’insegna della sua proverbiale misericordia) sono state commentate con amarezza da alcuni commentatori. Immaginiamo che neanche Monsignor Aupetit ne sia rimasto contento. Come si dice? “Cornuto e mazziato”. Il prelato si era detto turbato dalla macchina di fango cadutagli addosso ma ha assicurato di pregare per i suoi persecutori (“prego anche per chi mi ha augurato il male”). Avanti dunque con le preghiere, Monsignore!
Approfondimenti
Capire (e voler capire) le parole del Papa su mons. Aupetit
di Louis Daufresne
Aleteia.org, 11 dicembre 2021
Le frasi del Papa sulle dimissioni di mons. Aupetit durante la conferenza stampa sul volo papale al ritorno dal suo viaggio apostolico a Cipro e in Grecia sono state lette in diversi modi. Louis Daufresne, che propone un’esegesi di quelle dichiarazioni, mostra che non basta ascoltare: bisogna anche voler ascoltare.
La crocifissione precede l’Ascensione, ma talvolta quest’ordine si inverte quando il Papa parla in aereo con i giornalisti. Le redazioni pagano delle fortune per salire a bordo dell’aereo papale, una specie di “Air Force Catto-One”. E ne vogliono ricavare altrettante.
La conversazione a porte chiuse può allora diventare una specie di scena del crimine: inchiodare la parola del Papa sul muro del suono… che sogno! Ogni frasetta cade allora sulla terra come un meteorite facendo un fracasso apocalittico. Benedetto XVI ne fece esperienza nel 2009: andando in Camerun aveva dichiarato che la diffusione dell’AIDS non «può essere regolato» con la «distribuzione di preservativi», e che «al contrario, il loro utilizzo aggrava il problema». Fu mal compreso o si espresse male? La spada che usciva dalla sua bocca fu trasformata in testata nucleare, e le ali dell’aereo papale si ritrovarono come ricoperte di piombo. Il passeggero mitrato diede l’idea di aver perduto la lucidità, forse per i diecimila metri d’altitudine. Scendere a terra, dopo l’episodio, fu durissimo.
Informare o comunicare?
Eppure il rituale continuò, come se bisognasse perpetuare la tradizione instaurata da Giovanni Paolo II superstar. Papa Francesco non sembra avere intenzione di abbandonarla. Secondo il vaticanista Bernard Lecomte, intervistato su Le Parisien, «l’aereo esacerba il lato latino del Papa […], che ama improvvisare». Per di più, «lo spazio contenuto e la durata dei viaggi» aumentano la pressione. Nel solo 2016 Francesco strigliò Donald Trump sul muro anti-migranti alla frontiera col Messico («Una persona che pensa soltanto a costruire muri tra le persone e non ponti non è cristiana») e propose un’ardita similitudine in occasione della GMG in Polonia («Se parlo di violenza islamica, devo parlare anche di violenza cattolica»).
Come leggere queste frasette? Per l’esperto in comunicazioni Dominique Wolton, «l’informazione è il messaggio. La comunicazione è la relazione»:
«La rivoluzione del XXI secolo – scrive il fondatore della rivista Hermès – non è quella della distribuzione dell’informazione mediante tecniche sofisticate, bensì quella delle condizioni di accettazione (o di rifiuto) da parte di milioni di ricettori. L’informazione vive uccidendo la realtà dell’altro. Sognavamo il villaggio globale, ed ecco che riscopriamo la torre di Babele».
Ascoltare e saper ascoltare
Non basta che ci sia un messaggio: quello che conta sono le condizioni (preesistenti) alla sua ricezione. Ascoltare è una cosa; poi bisogna esserne capaci e volerlo. In comunicazione, quel che è detto è meno importante di chi lo dice e del modo in cui lo dice. Forte di una legittimità inattaccabile, Madre Teresa poteva dire quello che voleva, e tutto il mondo l’ascoltava. La parola dei Papi funzionava anch’essa in una dinamica di autorità analoga, che riattivava il prestigio della pompa associato a tutto un discorso fondato sull’evidenza divina: la Chiesa, come Dio, «non può né ingannarci né ingannarsi», si leggeva nel catechismo.
Questa credenza è dissolta – sul versante della vita spirituale come per quella sentimentale o politica. Oggi chiunque deve guadagnarsi la propria credibilità, Dio compreso. I Papi, come tutti, faticano a scendere dalla cattedra e a non sovrastare più gli altri. Paradossalmente, la mediatizzazione ha rinforzato l’immagine monarchica con cui ci si immaginava che il Vaticano II volesse rompere. Quando il Papa parla in aereo, il punto non è l’altitudine: non sta giocando in casa, ma nell’arena polverosa dei media. Questo genere di conversazioni sornione assomiglia al gioco delle tre carte: chi sta cercando di imbrogliare chi? Raramente il Papa esce vincente dalla partita.
Il Papa a proposito di mons. Aupetit
Di ritorno dal viaggio a Cipro e in Grecia, Francesco è stato chiamato a dire una parola su una questione di amministrazione ecclesiastica: le dimissioni di mons. Michel Aupetit.
Proviamo a fare un’analisi lineare:
«Papa Francesco: […] sul caso Aupetit. Io mi domando: ma cosa ha fatto, Aupetit, di così grave da dover dare le dimissioni? Cosa ha fatto? Qualcuno mi risponda…».
Commento: Il Papa parla di un “caso” e non menziona il titolo dell’arcivescovo dimissionario. La sua domanda destabilizza: sembra rispedire al mittente l’onere della prova, come per far ammettere ai giornalisti che non sanno di cosa parlano.
E infatti:
«Cécile Chambraud: Non lo so. Non lo so». «Papa Francesco: Se non conosciamo l’accusa, non possiamo condannare. Qual è stata l’accusa? Chi lo sa? [nessuno risponde] È brutto!».
Commento: Queste domande retoriche illustrano l’attitudine offensiva del Papa, che incalza l’uditorio a trincerarsi e lo invita a interrogarsi sulle proprie pratiche.
«Cécile Chambraud: Un problema di governo [della diocesi] o qualcos’altro, non lo sappiamo».
Commento: Questo “qualcos’altro” è il tripudio della pudicizia borghese del XIX secolo. Dicendo così, la giornalista vuole mostrare di non essere sciocca: è chiaramente il governo a essere in questione, il resto pur non essendo accessorio serve da alibi.
«Papa Francesco: Prima di rispondere io dirò: fate l’indagine. Fate l’indagine. Perché c’è pericolo di dire: “E’ stato condannato”. Ma chi lo ha condannato? “L’opinione pubblica, il chiacchiericcio…”. Ma cosa ha fatto? “Non sappiamo. Qualcosa…”. Se voi sapete perché, ditelo. Al contrario, non posso rispondere».
Commento: Il Papa insiste nel suo argomento e sfida i media sul terreno frapposto. È colpa dell’opinione pubblica. Come se ne esistesse una! L’opinione pubblica è l’opinione che i media fanno germogliare tra la gente, come preferiscono. Questa dichiarazione papale è ardita: se c’è una colpa, essa viene anzitutto dal clero in questione e poi dalla sua gerarchia. Il Papa chiede ai giornalisti di indagare, ma questi si aspettano piuttosto che lui riferisca di inchieste fatte dalla Santa Sede. Francesco finge di non sapere, come se la cosa non avesse importanza, e ciò facendo accredita la tesi per cui sarebbe il governo dell’arcivescovo il nodo dell’affaire – cosa di cui egli doveva aver conoscenza da molto tempo e che spiegherebbe la rapidità della decisione presa.
«Papa Francesco: […] è stata una mancanza di lui, una mancanza contro il sesto comandamento, ma non totale ma di piccole carezze e massaggi che lui faceva: così sta l’accusa. Questo è peccato […]».
Commento: Questa replica contrasta con la distanza finora frapposta tra le dichiarazioni e i fatti. All’improvviso il Papa scende in dettagli scenografici, come a smorzare il capo d’accusa.
Esaminare nel contesto
«Papa Francesco: […] è peccato, ma non è dei peccati più gravi, perché i peccati della carne non sono i più gravi. I peccati più gravi sono quelli che hanno più “angelicità”: la superbia, l’odio… questi sono più gravi».
Commento: Il richiamo alla gerarchia dei peccati si impone, effettivamente. Ma come la si può comprendere, nel contesto degli abusi sessuali? Tanto più che, sempre a bordo dell’aereo, Francesco invita alla prudenza nell’“interpretazione” del rapporto Sauvé. Ai suoi occhi, una “situazione storica” deve essere esaminata nel contesto dell’epoca. Anche su questo si è teso a relativizzare, benché il punto sia passato in sordina per via dell’esposizione del “caso Aupetit”.
«Papa Francesco: Così, Aupetit è peccatore come lo sono io. Non so se Lei si sente così, ma forse… come è stato Pietro, il vescovo sul quale Cristo ha fondato la Chiesa. Come mai la comunità di quel tempo aveva accettato un vescovo peccatore? E quello era con peccati con tanta “angelicità”, come era rinnegare Cristo, no? Ma era una Chiesa normale, era abituata a sentirsi peccatrice sempre, tutti: era una Chiesa umile. Si vede che la nostra Chiesa non è abituata ad avere un vescovo peccatore, e facciamo finta di dire “è un santo, il mio vescovo”. No, questo è Cappuccetto Rosso. Tutti siamo peccatori».
Commento: I fedeli devono smetterla di adulare i chierici, di farne dei superuomini. Quest’attitudine conduce all’accecamento e al disprezzo: essa prospera in un mondo gremito di imperativi paradossali: meno la società si impone limiti morali, più quanti la rappresentano – chierici o laici – devono essere impeccabili (ovvero impeccanti). Se l’amicizia di mons. Aupetit è spirituale, dov’è il problema? E se non lo è stata, il “Monopoli spirituale” non prevede già una casella confessione-penitenza? Quindi torna la domanda: perché il Papa ha accettato le dimissioni di mons. Aupetit se i fatti da lui descritti non la giustificano? E così arriviamo all’ultimo argomento.
Il rumore e la verità
«Papa Francesco: Ma quando il chiacchiericcio cresce e cresce e cresce e ti toglie la buona fama di una persona, quell’uomo non potrà governare, perché ha perso la fama, non per il suo peccato – che è peccato, come quello di Pietro, come il mio, come il tuo: è peccato! –, ma per il chiacchiericcio delle persone responsabili di raccontare le cose. Un uomo al quale hanno tolto la fama così, pubblicamente, non può governare. E questa è un’ingiustizia. Per questo, io ho accettato le dimissioni di Aupetit non sull’altare della verità, ma sull’altare dell’ipocrisia».
Commento: Quest’ultimo passaggio fa da complemento al precedente. Qui sembra che il Papa dica che, se fosse stato solo per lui, non avrebbe accettato le dimissioni di mons. Aupetit. Francesco rifiuta di pronunciarsi sulla sostanza del caso propostogli dalla giornalista: si accontenta di dire che i media, disfacendo reputazioni, creano situazioni ingovernabili. Il “caso Aupetit” farà giurisprudenza, come teme il vaticanista Christophe Dickès? Ogni chierico accusato per via mediatica non avrà altra scelta che dimettersi? Non è sicuro che il Papa si orienti a questo tipo di automatismo: la sua ultima frase è potente ma lascia perplessi. Anche con tutte le precauzioni che ha preso, è la sua decisione che sembra far trionfare l’ipocrisia e il rumore sulla verità e sulla giustizia.
[Traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]
Foto di copertina: Mons. Michel Aupetit, Arcivescovo emerito di Parigi, tiene l’omelia della Santa Messa di ringraziamento nella chiesa di Saint-Sulpice a Parigi, 10 dicembre 2021.