Il Concilio di Trento. Una storia da raccontare
Il Concilio di Trento è stato un momento di enorme importanza nella vita della Chiesa. Oggi se ne parla spesso quasi in disprezzo dello stesso, come se fosse qualcosa da dimenticare. Ma è proprio così?
Ne parlano con il musicista ed autore Aurelio Porfiri, il filosofo Matteo d’Amico, il coordinatore della Comunità Opzione Benedetto Giovanni Formicola, lo storico Guido Vignelli e il teologo Padre Francesco Giordano.
Il programma verrà trasmesso domani, giovedì 4 novembre 2021 alle ore 18.00 in live streaming su numerosi canali, tra cui il canale YouTube RITORNO A ITACA [QUI], sull’account Twitter [QUI] e sulla Facebook fanpage [QUI] di Aurelio Porfiri.
Concilio di Trento (13 dicembre 1545-4 dicembre 1563)
Il Concilio di Trento fu il XIX concilio ecumenico, convocato per reagire alla diffusione della riforma protestante in Europa. L’opera svolta dalla Chiesa Cattolica Romana per porre argine al dilagare della diffusione della dottrina di Martin Lutero produsse la controriforma. Il Concilio di Trento si svolse in tre momenti separati dal 1545 al 1563 e durante le sue sessioni a Roma si succedettero cinque papi (Paolo III, Giulio III, Marcello II, Paolo IV e Pio IV). Produsse una serie di affermazioni a sostegno della dottrina cattolica che Lutero contestava. Con questo concilio la Chiesa Cattolica Romana rispose alle dottrine del calvinismo e del luteranesimo. L’aggettivo tridentino viene ancora usato per definire alcuni aspetti caratteristici del cattolicesimo ereditati da questo concilio e mantenuti nei secoli successivi sino al Concilio Vaticano I e al Concilio Vaticano II. Il Concilio di Trento si aprì solennemente il 13 dicembre 1545, III domenica di Avvento, nella cattedrale di San Vigilio, a fare gli onori di casa il Principe-Vescovo Cristoforo Madruzzo.
A premere per la convocazione di un concilio era stato soprattutto l’Imperatore Carlo V, già al tempo di Papa Clemente VII, per il suo disegno imperiale la pacificazione della Germania e la riforma della Chiesa risultavano essenziali. Il Papato e la Curia romana opposero, finché poterono, resistenza al progetto, per timore che riapparissero le istanze conciliariste e per le temibili conseguenze di una riforma dottrinale e disciplinare. Lo fecero differendone di continuo la convocazione, ma anche favorendo tentativi di riforma senza concilio, quale quello che nel 1536-37 portò all’elaborazione del Consilium de emendanda ecclesia.
Fu la Pace di Crépy (1544), che impegnava Carlo V e Francesco I a favorire la convocazione di un concilio e a rispettarne le decisioni, a obbligare Papa Paolo III all’organizzazione dell’assise nella città imperiale di Trento. I lavori iniziarono il 13 dicembre 1545, sotto la guida dei legati pontifici e senza la partecipazione dei protestanti. Subito si discusse se il concilio dovesse iniziare a trattare di riforma disciplinare della Chiesa, come chiedeva, con altri, Carlo V, o di questioni dottrinarie, come auspicava il Papa. Si decise che le due prospettive dovessero coesistere, ma Papa Paolo III riuscì a imporre da subito le deliberazioni sulla dottrina, il che gli consentì di scavare un solco che impedisse qualsiasi tipo di intesa con il mondo riformato. Alla tradizione storica della Chiesa romana fu attribuita la stessa rilevanza della Sacra Scrittura; venne condannata la dottrina della giustificazione per fede e ribadita l’efficacia dei sette sacramenti.
I dissapori con Carlo V spinsero il Papa a trasferire nel marzo 1547 il concilio a Bologna con il pretesto di un’epidemia. La contestata decisione portò a una sospensione dell’assise che durò fino al maggio 1551 quando i lavori ripresero a Trento senza troppa convinzione per interrompersi il 28 aprile 1552. La nuova sospensione durò 10 anni: nel 1555 la Pace di Augusta aveva intanto fatto svanire la speranza di ricondurre i protestanti tedeschi nel seno della Chiesa Cattolica Romana e Papa Paolo IV era contrario al concilio.
L’assise tornò a riunirsi a Trento il 18 gennaio 1562 dopo una lunga trattativa tra Papa Pio IV, la Francia, la Spagna e l’Impero. Tra grandi contrasti, anzitutto legati alle diverse concezioni della Chiesa, quella papocentrica e quella dovuta a una visione episcopalista, si dettarono norme sull’ordinamento delle diocesi ribadendo tra l’altro l’obbligo della residenza per i vescovi (non dovuta però de iure divino, il che consentiva ai Papi di accordare dispense), elencando i loro doveri e prescrivendo infine l’erezione dei seminari per la formazione del clero (15 luglio 1563). Vennero regolati i sinodi provinciali e diocesani, che dovevano tenersi a intervalli regolari e ravvicinati ed essere accompagnati da visite nelle diocesi. La notizia della malattia del Papa affrettò la conclusione dell’assemblea conciliare che fu proclamata il 4 dicembre 1563.