Segni di speranza nell’infermo della foresta amazzonica peruviana con le miniere d’oro illegali, la tratta e ogni possibile violenza

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Di seguito vi presentiamo la seconda parte del reportage sul viaggio di solidarietà in Perù, di un monsignore che – dopo aver lavorato per un quarto di secolo nell’Ufficio Informazione e Documentazione della Segreteria di Stato – il mese scorso è andato in pensione. Qui continuiamo ad addentrarci in una storia vera, molta diversa dal comportamento di quei personaggi filettati e non, di cui siamo obbligati di occuparci nei tempora currunt. Lui, da quel manicomio è uscito a testa alta, mentre per i suoi ex colleghi rinviati a giudizio attendiamo l’esito del processo penale, che inizierà il 27 luglio prossimo davanti al tribunale vaticano.

Maritza, che ha perso un occhio per la violenza subita, con i suoi figli.

Il 28 giugno scorso abbiamo presentato la prima parte del reportage inviatoci dal Perù (dal 18 al 27 giugno 2021), della solidarietà ideata, stimolata e eseguita sotto la guida di Mons. Luigi Ginami, Fondatore e Presidente della Fondazione Santina Onlus [Non guardare indietro, guarda avanti! Il viaggio in Peru di Don Gigi, all’alba di una nuova vita, con il fuoco già acceso dal 2005]:

  • Report 46/1 #VoltiDiSperanza N. 33 Non mires atras, mira adelante!
  • Report 46/2 Carezza di fuoco
  • Report 46/3 L’inaugurazione del Seminario minore di Puerto Maldonado, 27 giugno 2021

Come 20 giorni fa, alle sue parole e ai suoi video non ho niente da aggiungere. Lascio a Don Gigi la possibilità di continuare a presentare con le proprie parole sé stesso e la sua missione con la Fondazione Santina Onlus, intitolata a sua madre, con i report successivi:

  • Report 46/4 Soledad
  • Report 46/5 Dalìla

Oggi, Mons. Luigi Ginami è in viaggio di ritorno da Perù a Bergamo. Al termine di questi quasi tre settimane in Perù, Mons. Luigi Ginami ci scrive: “Le intense e belle giornate in Perù oggi si concludono e rientro in Italia con lo zaino pieno di ricordi e progetti. Il ricordo della inaugurazione del seminario di Puerto Maldonado e dell’impianto di ossigeno a Puno per la lotta al Covid-19″.

Video – Fondazione Santina in Perù – Impianto di ossigeno realizzato a Puno con contributo di Carlo Olmo.
Video – Fondazione Santina in Perù – Il Vescovo di Puno ringrazia per l’aiuto per la realizzazione dell’impianto di ossigeno.

E prosegue: “Poi, i progetti di ristrutturare cucine e refettorio del seminario (di cui nella prima parte della reportage [QUI]), una nuova aula per l’asilo di Villa San Roman e, infine, 15 adozioni a distanza per triennio 2021-24.

Video – Fondazione Santina in Perù – Aiutiamo Rut. Programma di adozioni a distanza in Perù 2021-24 – “Questa storia è la peggiore storia di adozione a distanza che mai mi sia capitata. Guarda il video da brivido… e aiutaci” (Mons. Luigi Ginami).
Video – Fondazione Santina in Perù – Programma di 15 adozioni a distanza in Perù 2021-24 – Bambini fragili nella struttura SOS a Juliaca.

Sono davvero riconoscente a Dio per aver terminato il lavoro in Vaticano, che – non è una novità – mi stava un po’ ‘stretto’! Questi 19 giorni mi hanno fatto completamente dimenticare il termine Vaticano e il suo pollaio, per riscoprire l’origine più profonda del mio essere prete. Qui a 4.100 m.s.l.m. non arriva quasi nulla di informazione e quel poco che arriva non interessa a nessuno. Nessun rimpianto. Con grande gioia, ora mi dedico a quanto più mi piace e ciò che più mi piace sono loro, i poveri”.

Come nella prima parte, nei suoi racconti Don Gigi non fa sconti a nessuno. E richiede soprattutto lo sforza di leggere, vedere e ascoltare. Riporto quindi quanto mi ha inviato in questi 20 giorni passati e anche questa volta adopero solo un editing redazionale “soft”, per quanto ritengo necessario per la pubblicazione in questa mia rubrica Blog dell’Editore. Nessuna “censura” o “adolcimento”. E lascio pure le parole forti e talvolta crude. Chi se ne dovesse scandalizzare, prego di riflettere su cosa è più scandalosa: le parole o le realtà terribili che raccontano. Quello che conta è che le parole di Don Gigi svelano tutti i segreti di questa umile opera di solidarietà che manda avanti con tanti amici, nel nome di Mamma Santina. È una solidarietà raccontata con parole che tutti possono comprendere, vestita di chiarezza e trasparenza, nell’intento di aiutare i poveri del mondo.

Buona lettura, buona visione e buon ascolto… e tenete acceso vostro fuoco.

I Report di Mons. Luigi Ginami
28 giugno-7 luglio 2021

Report 46/4
Soledad


Sto scrivendo nel piccolo cortiletto della casa di Olinda. Ieri siamo ritornati sulle Ande e dal caldo della foresta amazzonica peruviana siamo tornati al freddo dei 4.100 m.s.l.m. Mentre scrivo, sto masticano foglie di coca per riadattarsi con i miei 60 anni al brusco passaggio dei climi. Nel cuore pace.

A Puerto Maldonado abbiamo inaugurato la nuova struttura dei 11 camerette dei seminaristi. Poi abbiamo preso a carico un nuovo progetto che consiste nel ristrutturare cucine e refettorio del seminario.

Abbiamo proseguito con l’ascolto di dieci terrificanti storie di bambini, che abbiamo preso in adozione a distanza. Infine, la visita a questi luoghi di inferno come Boca Union, oppure, ancor peggio, al villaggio Delta 1, nel cuore della foresta dove arrivare è difficile e dove 350 ragazze sono ridotte in schiavitù sessuale a motivo del grave problema della tratta di esseri umani. Di Delta 1 ho foto e racconti, che sicuramente vi riferirò.

Video – Fondazione Santina in Perù – Tratta di essere umani – “Sono sceso nell’inferno di Delta 1, un villaggio nella foresta dove i minatori delle miniere d’oro illegali vanno per soddisfare le loro brame sessuali con 350 donne” (Mons. Luigi Ginami).

Ma il tesoro più grande che porto a casa da questo viaggio, è il volto di speranza di una ragazza che si chiama Soledad, ma che preferisce farsi chiamare Sol. È molto difficile trovare una persona vittima di tratta che sia disposta a parlare, dopo giorni di domande e richieste, finalmente un’assistente sociale mi fa incontrare con lei. Ci incontriamo – Sol, io e l’assistente sociale Maromi – in un locale messo a disposizione della Caritas a Puerto Maldonado.

È la sera dell’ultimo giorno in Amazzonia ed è tardi. Sono le otto di sera. Ho il cervello a brandelli, perché tutto il giorno ho ascoltato storie terrificanti degli altri nove bambini. La storia più drammatica, forte e sorprendente, è quella della sera. E ci metto tutto il cuore ad ascoltarla anche se l’attenzione spesso mi tradisce e la stanchezza dei programmi intensi annebbia la mente.

È una delle storie più commoventi che ho ascoltato tra quelle che ho scritto fino ad oggi. Mi sembra davvero forte. Sono orgoglioso che la ragazza si fidi di me e mi racconti il suo dramma. E che lo possa pubblicare.

Video –  – Fondazione Santina in Perù – L’inferno della tratta di esseri umani davanti ai vostri occhi – “Non so se sto invecchiando, ma questa struggente storia che vi racconterò nel libretto dal titolo SOL #VoltiDiSperanza N. 33 mi ha preso davvero il cuore e sono contento di parlare di Soledad in questa nuova vita che inizio” (Mons. Luigi Ginami).

Sol ha 23 anni e giunge con Angela, la bellissima bimba di tre anni. Sol è nata l’11 gennaio 1998 e Angela il 13 gennaio 2018. La data di nascita della bimba mi emozione, perché il giorno del suo compleanno è uguale al mio! Le do un grande bacio. Sol è una bellissima ragazza dai capelli neri, che ha raccolto dietro la testa, due occhi neri molto profondi e un bellissimo sorriso triste. Il corpo è mingherlino e non è molto alta, ma davvero si può dire che sia una bella ragazza e forse anche questo è il motivo della sua storia sfortunata. Ci sediamo e lei mi sorride: “Sol, grazie per raccontarmi la tua storia, potrà far bene a tanti giovani italiani più fortunati di te, potrà essere un raggio di speranza per tutti!”. Lei mi fissa e dice: “Non è facile per me raccontare la mia storia, ci ho pensato bene prima di giungere qui, ma poi mi sono convinta, lo devo fare: devo svuotare il sacco”.

“Sol, tu mi dirai solo quello che vuoi. Io ho un’unica regola incontrato storie come la tua, che quando scrivo, quello che scrivo sia vero. Dunque, io ti farò delle domande, libera di rispondermi sì o no, di raccontare o meno, ma se parli quanto dici deve essere vero. In altre parole, tu devi essere testimone. Se non vuoi rispondere alla domanda, mi dici: ‘Gigi, a questa domanda non rispondo’. Chiaro?”. Lei mi guarda e mi dice: “Assolutamente sì! Sono qui per questo. E questo mi costa e mi costa tanto”.

Le do un bacio e due lacrimoni scendono sulle sue guance. Le asciugo con il pollice destro e le porto alla lingua. Mentre faccio questo gesto mi viene in mente di quante lacrime abbia bevuto in giro per il mondo con lo stesso gesto: Everlyne in Kenya, Ashur in Iraq, Maria in Vietnam, Marco Antonio in Brasile, Dulce in Messico… Gesti identici guance differenti in tutti i Paesi del mondo. È come sempre dico: le lacrime hanno sempre lo stesso sapore, sono salate ed amare. Ma la storia di Sol si carica di particolare amarezza ed è molto salata.

La ragazza intuisce il valore di questo gesto e si scioglie in un forte silenzioso abbraccio. Inizia a parlare: “Io, padre, vengo da Cajamarca, molto lontano da qui, al nord del Paese. Nella mia famiglia siamo cinque fratelli, tre dello stesso padre e due mia madre li ha avuti da un’altra relazione. Mia madre si chiamava Lucilla e morì quando io avevo solo quattro anni. Mio padre si chiama Josè ed è il mio problema…”.

Mi faccio attento, anche se la stanchezza mi disturba. Respiro profondamente e mi dispongo ad ascoltare… e soprattutto a scrivere!

“Vedi, Gigi, mio padre mi toccava nelle parti intime fino a violentarmi. Avevo cinque anni. Questo fu per me un disastro. Piangevo, ero diventata irrequieta e nervosa e nella mia tenera età odiavo mio padre. I giorni passavano e avevo circa sette anni quando mia zia si accorse del mio dolore e decise di mettermi in orfanotrofio con la scusa che mio padre campesino non aveva soldi per farci crescer tutti e cinque. Mi misero in un collegio a Lima da delle suore. Arrivai al collegio a sette anni, ma il mio carattere era irrequieto ed ero molto indisciplinata. Decisero che ero un danno per le altre bambine e mi rimandarono a casa a Cajamarca. A casa mi attendeva mio padre, ma dentro di me non riuscivo a contenere il buio e l’angoscia che il suo volto mi suscitava. Lui se ne accorse e fece una cosa terribile. Un tardo pomeriggio invitò a casa nostra una signora. Chi fa la tratta, padre, ha come volto spesso, se non sempre, una donna, una donna spregevole. Lei era ben vestita, dolcissima e dai toni calmi, pacati e rassicuranti. Mi disse che era sposata, era di Puerto Maldonado, aveva una bambina e voleva qualcuno che la curasse durante il giorno. Mi offriva vitto, alloggio e un buon salario… Mi parlava di Puerto Maldonado come una città bellissima, piena di cose divertenti e di grande opportunità. Infine, una nota buonista sul mio lavoro: ‘Soledad, con il tuo lavoro bellissimo potrai inviare al tuo papà medicine per la sua salute’. Tutte due mi parlavano con passione e con grande grande trasporto. E, Don Gigi, è facile convincere una piccola ragazzina di undici anni! Accettai volentieri, affascinata dalla vita comoda, dal buon salario, dalle opportunità di una città come Puerto Maldonado e nel più profondo del mio cuore, quanto tenuto nascosto anche a me stessa, la felicità di non vedere il volto demoniaco di mio padre!”.

Ascolto con la pelle d’oca, tutti avete provato questa situazione, vero? Ti dicono una notizia forte e raccapricciante e improvvisamente il freddo ti entra nel cuore e affiora delle braccia… “Se tuo padre ha fatto questo è davvero un demonio!” Queste storie mi fanno incazzare e le peggiori tremende parolacce mi passano in testa. Come cazzo si fa ad essere una persona così! Bisognerebbe ammazzarli sti stronzi… Quando scrivo così faccio fatica a contenere anche le parolacce, ma poi arrivato a Bergamo cerco di smorzare il tono… E voi, che leggete questo scritto rozzo, perdonatemi!

La ragazza mi dice, che la donna si chiamava Nora e che caricata in macchina il suo tono cambiò immediatamente. “Nora, padre, diventò subito severa, distaccata, iniziò a disprezzarmi… E man mano il lungo viaggio verso Puerto Maldonado continuava e più la paura mi entrava nel cuore… Undici anni, sola, senza possibilità di fuggire…”.

Ascolto con crescente curiosità. Come per magia la stanchezza svanisce e i sentimenti che provo mi danno estrema lucidità. Scrivo ogni dettaglio e non ne voglio perdere uno. Sol continua il suo racconto: “Arriviamo a Puerto Maldonado ed il cartello stradale che indica la città mi dà un po’ di pace. Meno male siamo arrivati, credo ancora di avere camera confortevole, buon cibo e tante opportunità. Ma tragicamente la città con i suoi colori la oltrepassiamo. Nora si è fatta muta, riprendiamo la strada verso il Brasile, chiedo spiegazioni, urlo, piango. Fuori è buio intenso. Sempre con la notte avviene la tratta, ma dentro di me angoscia e paura mi danno il capogiro. Comincio a gridare aiuto, aiuto! Lei mi risponde: ‘Grida, nessuno ti può ascoltare…’. Al chilometro 108 la sua auto lascia la superstrada e entra nella foresta. Il percorso è di circa un’ora, tra urla, pianti ed angoscia, e finalmente l’inferno. Davanti a me una casa. Nora ferma la macchina e due giovani escono, mi prendono per forza dalla macchina e mi buttano in una camera senza luce elettrica, senza finestre. E al buio della strada si aggiunge il buio della stanza. Grido, grido, grido, ma non mi rendo conto in che casino sono finita, Gigi. Il giorno dopo si presenta lei, Nora e con un tono cattivo e di disprezzo quanto chiaro mi dice: ‘Tu per uscire di qui ti dovrai prostituire, altrimenti mai vedrai Puerto Maldonado. Lo vedrai solo il giorno in cui mi regalerai il tuo corpo per soddisfare il piacere dei minatori. Solo allora ti pagherò e potrai avere uno stipendi di 1500 – 2000 soles (circa 320 -420 euro). Ma se ti ostini, rimarrai qui. Lei non sapeva quanto fossi ostinata, ma io non sapevo quanto era ostinata Nora…”.

Respiro forte. “Dimmi Sol, ti davano da mangiare? E per i tuoi bisogni?”.

“Il cibo era scarso e me lo passano da sotto la porta, tipo patate, acqua, fagioli. Per i miei bisogni mi passavano un catino… Per il resto senza lavarmi e senza mai uscire!”.

Le sue parole mi devastano. Dico a lei: “Ma come è possibile trattare così una bambina di 11 anni? Lei al ricordo scoppia a piangere e devo dire che diverse volte il suo pianto ha percorso il nostro incontro… Ed io, come un bambino davanti al suo pianto, inizio a piangere. La buona assistente sociale Maromi ci fa portare due bicchieri di acqua. Con un gesto ingenuo brindiamo con lacrime e acqua al nostro incontro. Dopo la pausa continuiamo… Ci riesci ora Sol a parlare? Io riesco a scrivere… Ci proviamo?

“Si, Gigi. Dopo alcune settimane, Nora di fronte alla mia durezza usa un’altra strategia. Mi propone di andare a Puerto Maldonado come cameriera, per servire a questi uomini birra e whisky, e di mettermi disponibile al loro tavolo. Accetto, mi fanno fare doccia, mi portano vestiti buoni e poi la sera mi caricano su una macchina. Solo allora mi rendo conto che con me nella prigione ci sono altre sei ragazze. Siamo sette in tutto. Loro a differenza di me si prostituiscono in appositi camerini e danno il loro corpo a quelle bestie per sette o otto volte per notte!”.

Qui mi fermo io! “Cosa mi stai dicendo, che le tue compagne con la tua stessa età si prostituiscono 7 o 8 volte a notte?”.

“Si, padre, è così!”.

“Scusa, scusa, scusa! Facciamo un conto: 7 volte a notte per 30 notti in un mese vuol dire 210 uomini in un mese! Ė vero Sol?”.

“Si, padre, purtroppo è vero!”.

“È terribile veroooo. Scusa, ma se sono 430 euro al mese e lo dividiamo per 210 uomini, vuol dire che ogni rapporto sessuale viene pagato 2 euro!”.

“Sì, padre, questa è un’altra cosa squallida, ma solo se ti prostituisci… Per me le cose sono state differenti. Arrivata a Puerto Maldonado ho detto a Nora che chiaramente non avrei mai accettato la prostituzione. Mi misero a servire ai tavoli, vestiti provocanti e disponibilità a farsi palpare al tavolo, a questo ho acconsentito… Ma continuavo a resistere alla provocazione di Nora…”.

“Cavolo, Sol… Tutto questo è terrificante, in altre parole è una scuola alla prostituzione, prima il carcere, poi ai tavoli. Con il passare del tempo tu poi ti convinci che devi prostituirti, perché le altre fanno la stessa cosa…”.

“Gigi, hai proprio ragione! È proprio così e passati alcuni anni di mia resistenza, la situazione per me si fece molto più difficile. I clienti chiedevano sempre di me alla padrona… E offrivano davvero cifre considerevoli! Una sera un signore offri per il mio corpo una somma sconsiderata, ma per passare la notte intera. A quella quantità di denaro la donna mi minacciò di rimettermi nella cella, di riempirmi di bastonate come in quei giorni, di farmi finire male. Spaventata ed esausta accettati di prostituirmi. L’uomo mi prese sottobraccio entrammo nella stanza e cominciai a spogliarmi. Lui con gesto fermo mi bloccò: ‘Fermati, non voglio questo! sai chi sono e sai perché ho pagato tutto questo denaro per te?’. Mi avevano addestrato a mai domandare identità e quanti soldi pagavano gli uomini, mi spavento! Lui se ne accorge… Non voglio sapere nulla di te, non posso… Fai quello che devi fare e andiamo, finiamo presto sta storia… Lui mi risponde: ‘Abbiamo tutta la notte per noi!’. Poi con il gesto mi dice di non parlare. Estrae un distintivo e sottovoce mi dice: ‘Sono un agente speciale della polizia. Mi sono infiltrato per aiutarti ed aiutarvi’. Al vedere il distintivo lo abbraccio forte. Vuole sapere quante siamo e dove ci tengono prigioniere… Vuoto il sacco! Ogni tanto, quando vediamo le scarpe e di Nora per il pertugio basso fuori dalla porta. Lui applaude, usa espressioni compiacenti e lei se ne va… Il nostro colloquio dura circa un’ora, lui mi dice: ‘Ero venuto diverse volte nel locale, ti ricordi ed ho pensato che tu eri la persona più adatta ad aiutarmi senza troppi problemi: eri carina più di tutte le altre e la padrona non avrebbe mai sospettato per la grande quantità che ho dato di denaro, ma soprattutto eri anche la più scontrosa, la meno condizionata dalla tratta. Ti ho studiato bene ed ora ti ringrazio. Io vado, ma non ti preoccupare. Questa notte stessa organizzo un’azione militare e di polizia e ti veniamo a liberare con le altre!’. Sorrido, usciamo e lui se ne va. Nora ha il volto raggiante per i complimenti che l’agente ha nei confronti del mio corpo. Chiedo di andare in bagno e come gesto di generosità, mi concede di andare al bagno esterno più confortevole. L’incontro con l’agente speciale mi ha dato sicurezza. Non posso più stare lì. Loro lo sanno e mi conoscono ora! Come un gatto salgo sul tetto di lamiera del bagno e con un balzo mi trovo in strada… Chiedo aiuto ed un taxista mi porta alla polizia. Mentre vado dalla polizia, l’agente infiltrato non perde tempo vanno al chilometro 108 e portano in salvo tutte le ragazze, ma manco io! Arriva al posto di polizia con le altre ragazze, mi trova lì e mi abbraccia felice. Loro vanno al locale, arrestano la padrona e il gruppo di delinquenti e nella stessa notte mi porta con lei al chilometro 108, chiede alla donna dove siano i nostri documenti, lei dice di non averli, iniziano la perquisizione e dopo un’ora torna con la mia carta d’identità e con un gesto molto solenne me la restituisce. Mi chiede quando te l’ha tolta? A casa di mio padre a Cajamarca…”.

La storia che mi racconta sembra un romanzo, un film, una incredibile storia. Beviamo insieme un altro bicchier di acqua senza lacrime, ma il simpatico brindisi è in onore dell’agente infiltrato… La storia sembra finita qui, a lieto fine, ma mi rendo conto che lei ha 23 anni, una bimba bellissima che continua a giocare con un videogioco indisturbata e che il suo racconto giunge fino ai 16 anni… “Sol, se non sei stanca continuo con alcune domande, va bene?”.

“Certo, padre, continuiamo”.

Scrivo sul bloc notes datomi dalla Caritas: “E dopo la tua liberazione che cosa hai fatto?”.

“Sono vissuta qui a Puerto Maldonado per due anni. Sono gli anni in cui ho incontrato Maromi, assistente sociale che molto mi ha aiutato…. E poi dopo i 18 anni? Sono tornata a Lima dalle mie sorelle, ma loro male sopportavano la mia presenza. Mi hanno portato a Cajamarca, ma vedere mio padre è stato un disgusto e per questo motivo ha fatto ritorno a Puerto Maldonado!”.

Mi spavento, la interrompo e le dico: “Porca miseria, non mi dire che sei tornata a Puerto per di prendere quel lavoro, altrimenti ho perso tempooo!”.

Lei sorride divertita: “No, padre, qui a Puerto Maldondo conoscevo Maromi, che mi ha aiutato a trovare un lavoro onesto in un mercato. Ma poi un altro guaio. Mi sono innamorata io di un uomo, poi la relazione breve è terminata. Dopo alcuni mesi un delinquente mi ha sedotto ed io sono rimasta incinta, forse sfortuna a conoscere un uomo sbagliato? Non lo so… Ma ascolta, Gigi, che mi succede”.

Siamo ormai a sera tarda, manca un quarto alle dieci. Stravolto dalle emozioni, dalla stanchezza e dalla giornata intensa, chiedo un altro bicchiere di acqua. Lo butto giù, mi stropiccio gli occhi e ascolto.

“Gigi, quell’uomo era un delinquente dedito ai furti. Mi incontra, dico a lui che sono incinta… Lui si inferocisce e mi dice che questo bambino non lo devo tenere! Che fa? Organizza un furto e con il denaro mi porta a forza in un ambulatorio con botte e minacce. Arrivo allo squallido ambulatorio e un dottore idiota mi fa bere una pozione per abortire. Nel giro di un’ora mi vengono le doglie e abortisco il piccolo feto. Quando il medico macellaio e il delinquente vedono uscire il feto uscire sorridono e io in preda ai dolori e all’angoscia per questo gesto che non volevo sprofondo in un lungo pianto. Mi ributta in macchina, arrivo nella mia abitazione e passo un’altra terribile giornata. L’unica soddisfazione? Il giorno dopo la polizia scopre il furto ingente e lo mette in carcere dove sta scontando dieci anni… Ma la buona notizia più bella viene ora, la mia speranza nella vita!”.

Prende la bimba in braccio e la mette a sedere sulle sue gambe. “Ti presento Angela, padre”.

La osservo con sguardo enigmatico, un fuori programma strano. “Si certo, Sol. So che lei è nata il 13 gennaio come me ed ha tre anni perché è del 2018, ma che c’entra tutto questo!”. La guardo senza capire. Maromi sorride.

Sol continua, dando un bacio alla piccola e accarezzando i suoi capelli dice: “Vedi, padre, dopo tre mesi la mia pancia incredibilmente continua a crescere. Mi chiedo il perché. Maromi mi porta ad una visita ginecologica e il buon dottore mi dice: ‘Sol tu hai concepito due gemelli in due feti diversi loro ti hanno ucciso solo un feto, ma questo più forte ha tenacemente resistito alle contrazioni ed è salvo. Il bimbo sta bene e deve avere un bel caratterino per resistere a quella schifezza che ti hanno fatto bere! Stai tranquilla tutto andrà bene!’.

“Woooow”, dico io e mi bacio la piccolina. La prendo un braccio e lei affettuosamente mi abbraccia. Faccio fatica a scrivere le ultime note sulla carta, perché ho letteralmente attaccata al collo la piccolina. Sol mi guarda con gioia. Quanto sono belli gli occhi di una ragazza bellissima, quando si riempiono di luce!

E Sol… continua: “Lei è la speranza della mia vita. In tutto il buio che ti ho raccontato, Angela è un raggio di sole sulle tenebre della mia esistenza. È il mio angelo custode, è lei e le sue esigenze che ora guidano la mia vita. E vuoi un’ultima parola? Da quando ho Angela, il sorriso è tornato sulle mie labbra”.

La bimba beve dal mio bicchiere l’acqua restante. Io guardo Sol e le dico: “Maromi mi dice che ora hai un lavoro onesto e che lavori con molta forza, ma immagino anche che hai tanti bisogni per lei… Non ti preoccupare ti starò vicino, ti do una piccola bella notizia: prenderemo in adozione a distanza la tua meravigliosa Angela e per tre anni ti accompagneremo con tanta forza. Per il momento prendi questi 200 soles. Non sono molti, ma sono puliti. Meglio avere in mano 200 soles in questo modo, che tenere nella mano 2000 soles per aver dato 200 volte il tuo corpo a uomini infami… E ricorda, noi non siamo ricchi e questi soldi vengono da povere tasche. Ma tu questa sera hai dato a tutti noi ed a tutti quelli che in Italia ti leggeranno un grande motivo di speranza. Torno a Bergamo dopo questo viaggio con nel cuore la tua forza e non sai quale consolazione sia questa in questi mesi che inizio una nuova vita!”. Ci abbracciamo tutti tre forti.

Tra alcune settimane sarà in libreria un piccolo libro, dal titolo “Sol”. Una bellissima ragazza di 23 anni che ha acceso nella sua vita un raggio di speranza, che si chiama Angela! E vi dico che Veronica, dopo aver visto il video l’ha già adottata. Ma non vi preoccupate, ne ho altre 14 di storie così. Ne potresti adottarne uno?

È notte. Maromi accompagna Sol ed Angela alla sua macchina ed io salto sulla Jeep. Con Padre Carlos, Padre Percy, Olinda ed Hernan andiamo a cena. Sono le dieci. Ho gli occhi rossi per le lacrime e l’infezione che mi sono beccato. Ma nel cuore ho una grande gioia, forte, sicura, che nessuno mi può togliere e che spero in questa mia nuova vita crescerà ancora di più, forse lontano dal Vaticano, ma vicino a Sol ed alle nostre opere di solidarietà.

Video – Fondazione Santina in Perù – Progetto di illuminazione dell’asilo infantile nelle Ande a Villa San Roman.

Vado a pranzo qui a Villa San Roman. Olinda mi sta attendendo. Sputo le foglie di coca che ho masticato mentre scrivo e spero che un po’ di energia della coca sia presente in queste parole! Un forte abbraccio dalle Ande da Gigi, Sol e Angela.

Dalìla con Adriana.

Report 46/5
Dalìla


Laberito è un piccolo Paese, che si trova a cinquanta chilometri da Puerto Maldonado. Questa bellissima regione purtroppo è famosa per due grandi piaghe: le miniere d’oro illegali e la tratta di persone.

Le miniere illegali sono le responsabili tra l’altro, oltre che dello sfruttamento dei lavoratori, anche del disastro ecologico causato dal mercurio usato per aggregare l’oro. La bellissima foresta ti appare così piagata, vi sono ampi squarci in cui il verde ha lasciato posto a morte e distruzione, alberi seccati e terra avvelenata.

Ma oltre al grave problema ecologico qui vi è uno sfruttamento del lavoro e del lavoro minorile che non ha proporzioni. I minatori senza alcun contratto vengono pagati a settimana e secondo quanti grammi di oro estraggono. Di più, mi racconta Carlos, i turni sono terrificanti: si lavora per 24 ore di seguito e vi è qualcuno che per aumentare il salario lavora con una dobla, una doppia, cioè per 48 ore. Questi uomini vivono isolati dal mondo. Si può raggiungere queste comunità solo con una canoa, un bote, che alle spalle quando scendi a riva ti toglie ogni possibilità di fuga, autentici schiavi soggetti a durissime leggi con alimentazione scarsa.

Vi immaginate che genere di appetiti sessuali può generale tra questi uomini che lavorano duramente l’assenza di donne? Ma a questo… ci pensa chi porta ragazzine minori. Semplicemente con una parola nefasta, che è tratta umana! Proprio così. Molte ragazzine vengono invitate dall’altopiano delle Ande a Puerto Maldonado per lavorare in un salone da parrucchiera, come cuciniere, come donne delle pulizie… Sono generalmente donne che arruolano queste povere vittime, poi una volta adescate, con generosità si paga il costo del viaggio fino a Puerto Maldonado… Solo che a porto Maldonado non arriveranno mai, perché l’auto ad un certo punto cambia direzione e le piccole si sentono disorientate. Vengono drogate, violentate e poi messe a disposizione del branco animalesco dei minatori, che opera nefandezze su di loro. Se rimangono incinte, vengono scaricate a qualche angolo di strada, oppure se troppo usate dagli uomini, vengono convertite in cuciniere!

Questa è la realtà terribile della tratta qui a Laberinto! Questo ammasso di disperati lavora lì per alcuni mesi, poi con la stessa canoa lascia le miniere avvolgendo la sua dipartita da una forte coltre di silenzio.

Sto tentando in questi giorni di incontrare qualcuno che possa parlare, ma i primi tentativi fatti a Boca Union sono falliti. Per giungere a Boca Union sono quaranta minuti di barca da Laberinto. Il Rio Madre de Dios oggi è molto burrascoso e da due giorni il caldo tropicale ha lasciato posto al freddo di 15 °C. L’aria è sferzante e le gocce di acque sollevate dal motore sono ghiacciate. Ben coperti guardiamo le sponde del fiume lungo 6700 chilometri. È meravigliosa la natura qui in Perù ed è per me più facile parlare con Dio. Scendiamo a Boca Union, un pueblo di circa trecento persone. La strada è piena di fango e devo ringraziare i miei scarponi anfibi – regalo di mia nipote Martina – che i piedi mi rimangono asciutti nel fango della strada. La gente mi guarda con diffidenza. Perché questo europeo è qui tra noi? Ci vuole denunciare? Il peruviano è molto sospettoso e le facce degli uomini non sono certo quelle dell’accoglienza della meravigliosa Messa del mattino a Laberinto!

Con diffidenza il nostro gruppo viene scrutato da capo a piedi, finché il bravo Felix chiede del Governatore Edgard. Una sorta di responsabile di questa sfigata comunità, che si compone di tre vie e quattro negozi scassati. Edgard con i suoi stivali bianchi fa sfoggio di tutta la sua autorità e mi accoglie con un sorriso. E mi dice: “Benvenuto monsignore, la stavo aspettando”. Appena Edgard mi stringe la mano, l’atmosfera di freddezza con la quale avevamo messo piede nella fangosa riva, si scioglie in sguardi distesi, ed alcune donne accennano anche al sorriso.

“Edgard buongiorno, sono felice di essere venuto qui, in questo posto tanto difficile da raggiunge. Avevo visto una cosa del genere in Brasile nella regione di Porto Velho, piccoli villaggi impossibili da raggiungere se non con barchette. Temo solo per la vostra salute”.

Edgard mi risponde: “Venga con me, facciamo un piccolo giro del villaggio”.

In verità, per percorre l’abitato fuori dal mondo impieghiamo 15 minuti di lento passo… Tre negozi, uno di alimentari, uno di ferramenta ed uno di combustibile, che vende bombole del gas per la cucina, nulla di più. Poi un posto medico, un ambulatorio, una piccola scuola elementare per i pochi ragazzini che vivono il quel l’inferno e… il campo da pallone regalato dai proprietari del terreno della miniera. I proprietari di questa terra sanno bene come ammansire gli uomini che lavorano lì. Edgard mi mostra il piccolo villaggio e poi mi dice che i minatori sono lontani dal villaggio, che offre solo supporto di carattere logistico e che non è possibile oggi visitare le miniere. Oltretutto, si dovrebbe avere un permesso, che mai nessuno ti darà, dice e infine: “Hai visto come ti guardavano appena sbarcato! Figurati se tu sali nella foresta…”. Queste parole sono un divieto assoluto di accesso e rivelano la mia ingenuità. Per arrivare là, dovrei fare un lungo lavoro di preparazione e questo alcune volte mi sfugge.

Dalìla nasce in questo contento. Non è vittima di tratta, ma la sua storia illustra molto bene gli appetiti sessuali di molta gente, che qui viene depravata dalla miniera e che si nutre di alcool, sesso e coca. Ma non la coca che mastico io, ma la coca che viene raffinata clandestinamente in questa foresta e il cui fiorire è formidabile… È già qui non ci si lascia mancare nulla.

Questa ragazza, che incontro in una stanza che Padre Percy mi ha procurato, è nata il 30 giugno 2001. Ha una bellissima figlia, che si chiama Adriana, di otto anni e che è nata il 13 settembre 2012. Scrivo queste date con il gusto di dire che sono storie reali, ma qui la crudezza delle date è davvero una provocazione. Se Dalìla è nata nel 2001 e la sua bambina Adriana nel 2012? Facciamo insieme la sottrazione 2012 – 2001 è uguale a 11! Appena Dalìla mi dice le date, me le faccio ripetere. Non ci credo, ho sentito male? La ragazza, che oggi ha 20 anni, mi ripete con voce forte e chiara… E mi rendo conto della mia stupidità! Ti rendi conto della tua stupidità, non a Roma in un comodo ufficio, ma qui parlando con Dalìla nell’inferno di Boca Union, oppure, peggio ancora di Delta 1.

Dalìla è una bella ragazza, troppo presto mamma, ma con un enorme fortuna di avere alle spalle Gabriela e Alver, che sono i suoi due genitori. Gabriela ed Alver io non li incontro, ma dal racconto preciso di Dalìla sono due grandi cristiani, due davvero bellissimi volti di speranza. La ragazza inizia: “Grazie Gigi, i miei genitori e Padre Percy mi hanno raccontato di te e del tuo programma di adozioni a distanza in cui hai inserito Adriana. E sono felice di raccontarti anche il mio dolore e la mia storia. Vedi, quando hai undici anni sei una bimba, e qualcuno che si chiama Jilmer ha rubato la mia vita!”.

“Grazie di cuore Dalìla. Sono convinto che anche tu ci potrai tanto, ma tanto aiutare, raccontando la tua storia. Se te la senti, io sono pronto ad ascoltarti!”.

Lei continua con una sorta di timidezza che deve vincere. Lo intuisco dagli occhi, da come accarezza Adriana mentre parla. Non è facile raccontare una violenza sessuale! “Quando avevo 11 anni vicino a casa mia viveva Jilmer, nelle nostre piccole strade sterrate tutti ci conosciamo. Una mattina lui mi incontra per strada, mi chiede di salire a casa sua. Io rispondo di no. Lui insite una seconda ed una terza volta. Ma io rispondo: no! Allora mi regala 20 soles, sono felice, lo ringrazio e vado a comperare caramelle e bibite. Poi, felice del mio acquisto, rientro a casa. Mia mamma mi vede mi dice: ‘Dalìla, chi ti ha dato tutta questa roba?’. Lei usava un tono preoccupato, ma nella mia ingenuità io vedo solo un tono di voce severo e rispondo: ‘Ho trovato per strada 20 soles e con quelli ho comprato tutte queste caramelle!’. Alcuni giorni dopo, Jilmer mi incontra di nuovo e mi chiede di salire in casa, ma io nuovamente rispondo di no. Passata circa una settimana succede una cosa inquietante per me. La nostra vicina di casa, Karen, ha un piccolo negozzietto come pettinatrice. Bussa alla porta e chiede a Graziela, mia mamma, se posso andare al suo negozio, perché deve fare un salto al mercato e non ha nessuno che possa accudire il locale. Mia mamma acconsente ed io esco. Jilmer è seduto sul muretto, mi saluta. Io entro nel negozio e Karen esce. Lui vede uscire la padrona, dopo alcuni minuti entra nel locale, chiude a chiave e mi inizia a palpare il seno e le parti intime. Io provo disgusto, il tutto dura pochi minuti, riapre la porta e se ne va!”.

Interrompo la ragazza: “Scusa Dalìla, ma cosa hai fatto? Immagino che tu abbia gridato, lo hai detto ai tuoi genitori?”.

“Niente, padre. Ho avuto paura, disgusto e mi sono chiusa in un totale silenzio. I miei se ne erano accorti, domandavano, ma io non rispondevo nulla. Jilmer mi aveva anche minacciata e avevo paura, soprattutto la paura di incontrarlo di nuovo!”.

Scuoto la testa con la rabbia nel cuore… Dalìla continua il suo racconto con gli occhi lucidi…: “Giorni dopo, una mia amica, Rosalbina, mi invita a giocare con lei nella stessa casa di Jilmer. Queste abitazioni hanno il bagno in comune, vado al bagno e Jilmer è lì ad aspettarmi. Mi mostra foto pornografiche dal suo cellulare e io scappo fuori dalla casa. Alcune ore dopo rientro per tornare dalla mia amica a giocare e incontro Marta, la moglie di Jilmer, che mi invita a mangiare a casa sua. La seguo fiduciosa e lei mi serve un piatto di patate e pollo. Mentre finisco di mangiare arriva Jilmer e lei esce… Rimaniamo soli io e lui, chiude la porta e poi…”. Si ferma un momento, inghiotte amaro e mi dice: “Lui mi aggredisce e mi violenta più volte! Dentro di me il cuore si ghiaccia, provo dolore, sconcerto, angoscia e affogo tutto nelle lacrime, la bocca chiusa dalla sua disgustosa grossa mano. Lui gode e poi stanco di piacere apre la porta e se ne va dopo avermi minacciato se avessi parlato!”.

I fogli mi cadono per terra, abbraccio forte Dalìla e lei corrisponde con dolcezza all’abbraccio… e io inizio a parlare: “Penso che quell’uomo sia un essere disgustoso già per sua costituzione e abbrutito dal lavoro nelle miniere… Ma comunque tutto questo Dalìla non è giustificabile”. Prendo in braccio Adriana e continuo a scrivere. Ho paura a fare domande, paura che si chiuda nel silenzio. Non voglio essere un elefante in una cristalleria. Non mi conosce ed è un argomento delicato!

Dalìla invece, confortata dal mio abbraccio, continua con più sicurezza: “Padre, ritorno a casa quella sera, mi chiudo in un ermetico silenzio, anzi sono proprio incapace di parlare, mi ha polverizzato l’anima e la vita quel bastardo. I miei mi vedono strana, ma anche io sono cambiata radicalmente dopo quella atrocità, muta e scontrosa… E il mio mestruo era venuto meno, ma erano le prime volte che lo avevo e non ci ho fatto caso con una testa più da bambina che di donna sviluppata. Ma poi inizio la nausea e la pancia cresceva, finché vuotai il sacco con i miei genitori. Loro rimasero sconvolti… Ma in modo risoluto mio padre Alver andò da Jilmer: ‘Tu hai messo incinta mia figlia, o tu me lo confessi o la prova del DNA ti inchioderà!’. Duro, chiaro e determinato mio padre lo costrinse ad ammettere e poi ritornò a casa con intenzione di denunciare. Fu Jilmer e Marta insieme a bussare alla porta della nostra casa il giorno dopo. Ero presente anche io. Jilmer inizia a parlare e dice: ‘Vorrei scusarmi per quanto ho fatto e chiedo a tutti voi di perdonarmi e per mostrare che sono pentito ecco qui 10.000 soles (2.500 euro). Sono per Dalìla solo ad una condizione conveniente per tutti e soprattutto per la piccola Dalìla, troppo piccola per avere un figlio. Ecco perché deve abortire!’. Jilmer parlava con un tono delicato, dolce e convincente… Ma non mi sarei mai aspettato la reazione di mio padre Alver. Mio padre inizio con un discorso che ricorderò per tutta la vita. Il tono della voce era forte, freddo chiaro ed alto. Non ammetteva nessuna interruzione, un tono esigente e di una forza formidabile. Ecco, padre, le parole che ben ricordo: ‘Brutto delinquente, hai ragione tu e quella delinquente di tua moglie Marta su una cosa, questa piccola bimba, mia figlia Dalìla era da poco mestruata, forse era il suo terzo o quarto mestruo… e tu? La violenti! Una bimba non può crescere un’altra bimba, ma questo è un problema mio, non tuo… Il tuo problema è l’atroce crimine di violenza su una minore, brutto disgraziato abbrutito dal vizio perverso. Ma come ti permetti? Vieni qui in casa mia e proponi di abortire? Ma tu non hai capito nulla. Io e mia moglie ci preoccuperemo di far crescere questo bimbo. Come cresciamo Dalìla, cresceremo una creatura che più o meno può essere sua sorella… Ma tu, ma tu uomo malvagio divorato dal vizio: tu proprio tu dovrai marcire in una cella’. Don gigi, mio padre aveva la forza di un puma delle nostre terre, era un fuoco irresistibile e proseguì: ‘Fuori di qui immediatamente, ci vedremo presto in tribunale!’. Mia madre era stata zitta tutto l’incontro, ma i suoi occhi erano fuoco nel guardare quei farabutti. Si alzò, andò verso la porta ed esclamò questa frase: ‘Fuori di qui miserabile, io sarò la mamma di questa creatura e tu andrai in prigione e a differenza di mio marito ti dico che mai più vedrò il tuo volto… Ti disprezzo miserabile a fatica non ti sputo in faccia, ma esci immediatamente di qui!’”.

Mentre la ragazza-madre parlava, cresceva in me una fortissima stima e ammirazione per i due genitori, che con gran forza in un luogo di inferno come quello che ho descritto, hanno il coraggio di reagire. Interrompo Dalìla: “Ma, Dalìla, dimmi, davvero loro hanno cresciuto tua figlia?”. Lei risponde di sì con un lento gesto della testa senza alcuna parola. “Che meravigliosi genitori hai ragazza, che forza tuo padre e tua madre, me li devi abbracciare, peccato che non ho il tempo di incontrarli, ma torno il prossimo anno e vengo a casa vostra per un paio di giorni va bene?”.

Dalìla sorride e continua: “Sono sicuro che saranno felicissimi… ti aspettiamo! Sai, Don Gigi, il giorno dopo mio padre mi portò dal ginecologo e poi alla polizia dove fece regolare denuncia. Poi, colloqui con psicologi ed infine il mandato di arresto. Eravamo nel 2012. Jilmer si dilegua, scappa sui monti. lo ceravo per anni senza successo, finché sei anni dopo si presenta qui al villaggio nel tentativo di vendere la propria casa. La gente riferisce a mio padre, lui chiama la polizia e finalmente – purtroppo dopo sei anni – lo arrestano. La sentenza è chiara e forte: 35 anni di carcere per violenza sessuale aggravata dalle circostanze su una minore. Ora Jilmer è in carcere e penso che per un po’ ci resterà”.

La guardo con compiacimento. Finalmente una storia con un lieto fine, in cui il cattivo paga, dico a me stesso… E poi curioso dico: “Dalìla dimmi di te. Ora che cosa fai, come vivi?”. “Io ora, padre, sto studiando e nei tempi liberi dalla scuola svolgo lavori occasionali, spesso come cuciniera in una miniera. Ma due anni fa ho conosciuto un bravo ragazzo, che si chiama Dare di cui mi sono innamorata e vivo con lui. Lavora nelle miniere e riesce a mantenere me ed anche mia figlia, anche se lei deve tutto ai miei genitori che considera a tutti gli effetti genitori. Loro hanno aiutato me ad accogliere Adriana come mia figlia…”.

Cala il silenzio sulla nostra lunga chiacchierata. Devo tornare a Puerto Maldonado. La barca ci attende e il tempo corre.

Il racconto di questa storia mi ha colpito molto. Guardo intensamente Dalìla: “Ho un compito per te, Dalìla. Devi dire a Graziela che la ammiro molto e che proprio nelle sue mani affido la piccola somma mensile che invieremo per Adriana… Visto come hai usato i 20 soles di quell’ infame non vorrei che tu utilizzassi nello stesso modo i pochi puliti soldi che invieremo per Adriana…”. Lei ride divertita per la mia battuta scherzosa.

“Dai la carezza a Graziela da parte mia. A tuo padre e al suo coraggio invece darai un forte mio abbraccio e per te? Un grande bacio sulla fronte… Ed ora dammi il tuo cellulare per rimanere in contatto”.

Lei si alza, mi abbraccia forte, do un bacio alla piccola Adriana ed apro la porta dicendo: “Ricorda che ti siamo vicini dall’ Italia. Non sei sola. Duecento amici dell’Associazione Amici di Santina fanno il tifo per te. Se hai bisogno di qualche cosa, chiama!”.

Mi accompagnano alla barca e mi salutano con la mano, mentre la barchetta lascia la riva… Sul Rio Madre de Dios scende una meravigliosa serata di colori in una natura da paradiso terrestre. Gli spruzzi dell’acqua mi bagnano il volto. Non li sento. Sento nel cuore una grande gioia quello di aver fatto una cosa buona oggi. Mi viene alla mente una bella frase di un magnate dell’informatica, Bill Gates, che più o meno dice così: “Essere l’uomo più ricco del mondo non mi interessa, mi interessa molto di più concludere una giornata dicendo di aver fatto oggi qualche cosa di buono”. E a me, Don Gigi, oggi qui in Amazzonia mi sembra di poter dire di aver fatto qualcosa di buono. E questa è l’autentica chiave della felicità, non il successo, il prestigio in una miserabile carriera costruita sul vuoto o su fasce paonazze di vesti filettate.

Mons. Luigi Ginami a casa di Jacqueline (nella foto a destra) e sua figlia Edna (a sinistra), e il bambino Lian, che cieco dalla nascita. Anche la sua mamma Edna, 22enne, è cieca all’occhio destro. È stata abbandonata dal suo compagno 29enne, dopo un anno di convivenza. La mamma e la nonna hanno solo un lavoro occasionale, e Lian ha bisogno di cure.

Foto di copertina: Mons. Luigi Ginami con Lian, cieco dalla nascita.

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