Manifestazioni a Torino, Perugia e Biella contro il Ddl Zan, per i nostri figli e per le donne #RestiamoLiberi

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Ad un anno di distanza dalla manifestazione di Roma e un mese dopo quella di Milano dello scorso maggio, altre piazze si sono fatta sentire nuovamente contro il disegno di legge Zan sull’omotransfobia, a difesa della famiglia naturale e della libertà d’espressione. Ieri il tour di #RestiamoLiberi per chiedere lo stop al Ddl Zan liberticida, inutile, dannoso e pericoloso ha fatto tappa a piazza Castello di Torino. Ancora una volta si è fatto sentire in piazza come moltissimi italiani siano contrari a questo disegno di legge. Poi, dando notizia delle manifestazioni di oggi a Perugia (alle ore 16.00 in piazza della Repubblica) e a Biella (alle ore 17.00 in piazza Duomo), l’amico e collega Marco Tosatti ha scritto su Stilum Curiae: “Mentre la stagione calda porta i soliti cortei carnevaleschi definiti inspiegabilmente Gay Pride, con qualche simpatica deriva fra il blasfemo e l’osceno, come a Roma, ci sembra giusto nel clima di follia prevalente pubblicare questo comunicato delle Sentinelle in Piedi, relativo al Ddl liberticida Zan.

Prosegue la mobilitazione delle Sentinelle in piedi: “Il Ddl Zan va affossato, non modificato” #RestiamoLiberi

Di fronte al dibattito rumoroso e nello stesso tempo vuoto di queste settimane non possiamo che rimarcare il nostro no al Ddl Zan sulla cosiddetta omotransfobia.

Il problema non è uno o più articoli del testo, il punto non è modificarlo o trovare una versione “condivisibile”, non si tratta di “edulcorarlo”, siamo di fronte ad un testo che sancisce per legge che il dato di realtà non esiste più.

Per legge si certificherà che l’identità di una persona dipende dal suo momentaneo “sentire”, annientando la Verità, minando la famiglia, violando l’innocenza dei bambini e svilendo l’uomo, la sua sacralità dal concepimento alla fine naturale.

Il Ddl Zan non serve a impedire violenze o ingiuste discriminazioni, già punite dal codice penale, anche con le aggravanti se necessarie. Il testo ha lo scopo di imporre, con la forza della legge, una visione dell’uomo fluido, privato dei suoi legami fondamentali, senza identità, confuso e quindi facilmente manovrabile.

Siamo di fronte ad un testo funzionale alla repressione del dissenso: si punirà (e poi si “rieducherà” come previsto dal testo stesso) chi si esprime in modo “non allineato” sui temi della famiglia, del matrimonio e dell’identità umana. Ma non solo.

Siamo all’interno di un disegno molto più grande. Lo Stato e le entità sovranazionali, sempre più in mano alla grande finanza e alla tecnocrazia, pretendono di definire che cosa ci fa bene e che cosa ci fa male, quali sono i diritti “concessi” ai cittadini e quali negati, quali attività sono essenziali e quali no, che cosa si può dire e che cosa no. Che cosa dobbiamo fare del nostro corpo.

Il dissenso viene silenziato, deriso, screditato ed infine patologizzato.

Etichettare le persone come “omofobe”, infatti, è il preludio del segnalarle come affette da una patologia.

La stessa cosa avviene, oggi, con chi non condivide le politiche di gestione della pandemia.

Il metodo è simile perché la matrice è la stessa. Non è solo una questione di libertà di espressione quindi questo testo impedirà di esprimere pubblicamente la verità sull’uomo, ovvero che nasciamo maschi e femmine.

Ma nessuna legge potrà cambiare la realtà. La persona umana non può essere ridotta ad un orientamento sessuale.

Per questo scendiamo in piazza, Scegliamo lo spazio pubblico reale – invece di quello virtuale – per affermare il nostro essere cittadini liberi e protagonisti.

Saremo in silenzio, con un libro in mano, per contrastare il mare di menzogne che ci vengono propalate ventiquattro ore al giorno. Ci prendiamo il tempo per la verità.

Saremo ad un metro di distanza non per il cosiddetto distanziamento sociale, ma perché ciascuno di noi veglia in quel metro quadrato di piazza, nello stesso modo in cui è sentinella nella propria vita.

Noi oggi ci alziamo in piedi per dire NO ad una legge liberticida.

Sentinelle in piedi
26 giugno 2021

Manifestazione a Torino: “Contro il Ddl Zan per i nostri figli e per le donne” #RestiamoLiberi

“Sabato 26 giugno a piazza Castello alle 17 a Torino siamo scesi in campo per dire che noi e milioni di italiani #Restiamoliberi. Non solo il nostro gazebo informativo è stato a disposizione dei torinesi che hanno voluto informazioni reali sulla proposta di legge contro l’omotransfobia, ma abbiamo fatto sfilare anche alcuni camion vela con immagini eloquenti per far capire alle persone i rischi che si nascondono dietro la propaganda antidiscriminatoria”, ha dichiarato Jacopo Coghe, Vice presidente di Pro Vita & Famiglia Onlus che era presente insieme ad altri gruppi ed associazioni alla manifestazione contro il Ddl Zan con un bandierone di 600 mq dispiegato in piazza in nome della libertà, alla presenza di circa 1000 persone.

“Vorrei trovare qualcuno che non sia d’accordo sul rispetto di ogni persona e di ogni opinione, ma qui ci troviamo di fronte ad una legge liberticida che mette a rischio bambini e donne – ha continuato dal palco Jacopo Coghe – perché verranno distrutti i loro diritti e noi questo non lo possiamo permettere”. “È in gioco la nostra libertà di espressione e non solo. Si chiede che venga rispettata anche la libertà religiosa e quella educativa”, ha sottolineato Jacopo Coghe. “L’articolo 7, che istituisce la giornata nazionale contro l’omofobia da celebrare nelle scuole di ogni ordine e grado, deve essere soppresso. È un’entrata a gamba tesa che viola il diritto di priorità educativa dei genitori. Già oggi con la scusa del bullismo si entra nelle scuole a spiegare ai ragazzi e ai bambini di tutto, transessualità, genderismo e noi non vogliamo questo per i nostri figli”, ha proseguito Coghe. “Sia chiaro e lo gridiamo al governo e a tutti: noi non vogliamo il gender in nessuna scuola, cattolica o meno, non è un problema di confessione o religione, di scuole cattoliche o statali, ma di libertà educativa di tutte le famiglie italiane”, ha concluso Coghe.

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Montaruli (FdI): «Inammissibile il rischio del carcere con il Ddl Zan»

Tra i parlamentari piemontesi che sono stati presenti ieri a Torino c’era anhe Augusta Montaruli. La trentasettenne deputata di Fratelli d’Italia è in prima linea contro il Ddl Zan e auspica che l’evento possa dare un segnale anche alla giunta Appendino, particolarmente sbilanciata sull’ideologia arcobaleno. Intervistata da Pro Vita & Famiglia, l’On. Montaruli conferma la posizione sua e del suo partito: nessuna legge contro l’omotransfobia, al massimo un inasprimento delle pene, a patto che non si introducano nuove fattispecie di reato, meno che mai il reato d’opinione.

Onorevole Montaruli, a piazza Castello non una semplice manifestazione contro un progetto di legge. Quali principi si vogliono affermare e difendere?
«Si va a difendere il sacrosanto diritto alla libertà di pensiero, che va garantito anche rispetto a temi come la libertà sessuale. Intendo dire che la libertà sessuale deve tenere conto delle conseguenze che comporta. Ci sono in ballo importanti tematiche, quali l’omogenitorialità o l’utero in affitto: queste due cose, al momento, sono entrambe illegittime, eppure, una volta approvato il Ddl Zan, contrastarle, potrebbe significare incorrere in un’indagine penale. Ovviamente questo è inammissibile, ne va della tenuta democratica e del pluralismo. Sono fortemente contraria a un testo di legge, che, in primo luogo, sopprime la libertà di pensiero in nome di un diritto legittimo – quello di vivere liberamente la propria sessualità – che però incontra un limite laddove iniziano i diritti dei minori. Sono proprio i minori che il Ddl Zan “tira per la giacchetta”. L’articolo 7 del Ddl, introducendo l’ideologia lgbt nelle scuole, compromette e condiziona i minori ma soprattutto la libertà di scelta formativa delle famiglie su questi temi».

Dopo la nota della Santa Sede sulla violazione dei principi del Concordato, che piega potrà prendere il dibattito?
«Dicendo che viviamo in uno Stato laico, il Presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha detto una banalità. In ogni caso, quella della Chiesa non è un’ingerenza ma una difesa di coloro i quali, essendo cattolici, vogliono continuare a credere nella famiglia naturale e in tutto ciò che ne consegue. Mi auguro che la nota possa dare un ulteriore supporto alla riflessione. Certamente è un atto diplomatico, in virtù del quale il presidente del Consiglio dovrebbe sforzarsi di dare una spiegazione più esaustiva, rispetto a quella, molto stringata e direi anche ovvia, che ha dato mercoledì scorso al Senato. Alla luce di questo, trovo che la risposta dell’On. Zan e dei sostenitori del suo Ddl sia ancora una volta sintomo di un estremismo ideologico, che proclama: “O votiamo il Ddl così com’è o niente…”. C’è un clima di estremizzazione, quando, al contrario, dovremmo trovare un senso di equilibrio che, evidentemente, né Zan e i suoi sostenitori mostrano».

Per Fratelli d’Italia, il Ddl Zan, allo stato attuale dei lavori in Senato, è inaccettabile. Ritiene comunque ci siano i margini per una legge diversa, rispettosa delle libertà di tutti?
«Il Ddl Zan è inaccettabile, innanzitutto, perché è scritto “con i piedi”. Fin dal primo articolo, ad esempio, afferma di tutelare la “sessualità autoliberata”, ponendo però problemi giuridici che non vengono affrontati. Dall’articolo 2, poi, scaturisce molta confusione, anche perché continuo a sentire persone che pensano si tratti di un inasprimento delle pene. L’articolo 2, in realtà, inserisce una nuova fattispecie del Codice penale, nel ventaglio di ipotesi di reato previste dalla Legge Mancino. Mentre sulla religione e sull’odio razzista non si pongono grossi dilemmi, per quanto riguarda la sessualità, emergono serie questioni etiche, su cui, in Italia siamo estremamente divisi. Si introduce, quindi, una nuova fattispecie di reato, lasciando, però, la definizione dell’atto discriminatorio ai giudici, che, in tal modo, possono interpretarlo come credono, in assenza di una specificazione nella legge. Già oggi, in Italia, gli atti discriminatori nei confronti degli orientamenti sessuali vengono puniti ed è giusto che sia così. Si può anche discutere di un inasprimento delle pene ma questo può avvenire attraverso le aggravanti, non con l’introduzione di nuove fattispecie di reato. Tanto è vero che, in tutti i casi di cronaca dove si segnalano delle discriminazioni contro gli omosessuali, le persone che si rendono colpevoli di quei reati, finiscono già adesso nelle aule giudiziarie. Penso al caso di quella ragazza allontanata dalla famiglia perché omosessuale. Quella famiglia è ora sotto indagine e sta affrontando un procedimento penale. Tutto questo senza che la legge Zan sia in vigore. Nuove fattispecie rischiano solo di creare confusione, compromettendo la libertà di pensiero e istituendo reati di opinione su un tema che è fortemente divisivo e che, soprattutto, chiama in causa i diritti dei minori che non possono esprimersi su questa legge».

A Torino, la giunta Appendino si è contraddistinta per vari provvedimenti nel segno dell’ideologia gender. La manifestazione di sabato prossimo intende dare un segnale al sindaco e alla sua amministrazione?
«Fin dal suo debutto, la giunta Appendino ha prodotto numerosi atti legati alle tematiche lgbt. Io stessa, non molto tempo fa, ho contestato la registrazione delle coppie omogenitoriali, un fatto assolutamente illegale, illegittimo e contro l’ordine pubblico, che un sindaco, ancora oggi, non può fare. Torino non è un laboratorio di idee, di contenuti e di confronto, al contrario, si sta rivelando un laboratorio per un’ideologia che ha delle ripercussioni estremiste. Su questo tema, peraltro, è intervenuta la Corte Costituzionale, dicendo chiaramente che bisogna prima legiferare. Mi meraviglia, però, che nessuno rilevi questo risvolto: la Consulta afferma che questa legiferazione dovrebbe servire a garantire che la nostra prima preoccupazione siano i diritti ai minori e non i capricci degli adulti. Torino, quindi, in questo momento, è una città in preda all’ideologia grillina che interviene su questi temi solo per cercare un consenso perduto, senza dare un contributo concreto alla lotta contro le discriminazioni. Queste ultime vanno, sì, combattute ma non certo con provvedimenti-spot illegittimi come quello che la giunta ha messo in atto».

L’assessore regionale Marrone: «Ddl Zan limita anche libertà delle regioni»

Tra i rappresentanti istituzionali presenti alla manifestazione di Torino ieri, c’era anche Maurizio Marrone, Assessore regionale a Rapporti con il Consiglio regionale, Delegificazione e semplificazione dei percorsi amministrativi, Affari legali e Contenzioso, Emigrazione, Cooperazione internazionale e Post olimpico. Raggiunto da Pro Vita & Famiglia, Marrone ha spiegato perché anche le regioni hanno tutto l’interesse ad opporsi al Ddl Zan e ha illustrato gli obiettivi della giunta piemontese in tema di politiche familiari.

Assessore Marrone, perché la sua presenza in piazza a Torino?
«È una presenza, da parte mia, in quanto Assessore regionale. Ritengo che alcune previsioni del Ddl Zan, in particolare quelle che vanno a determinare un reato d’opinione, possano limitare, in modo illegittimo ma anche molto invasivo, la libertà legislativa delle regioni sulle libertà fondamentali. Penso, ad esempio, al tema dell’affido dei minori: a Torino, il Sindaco Appendino, senza alcuna norma nazionale che glielo consenta, ha inaugurato gli affidi di minori a coppie omosessuali. Qualora poi la Regione vada a impedirlo a livello legislativo (è appena cominciato un processo di riforma legislativa proprio in questo ambito), in qualità di legislatori che esprimono questo orientamento, rischieremmo di essere passibili di procedimenti penali per presunta omofobia. Idem per i bandi per le case popolari: evitare di riconoscere punteggi anche a coppie di fatto omosessuali, potrebbe comportare gli stessi rischi per i consiglieri regionali che decidano di votare in tal senso. Credo che le Regioni siano molto coinvolte in questo Ddl, quindi non possono fingere di ignorarlo. Anche con l’obiettivo di una più diffusa tutela della libertà di pensiero di ogni cittadino, che dovrebbe essere una preoccupazione pressante e fondamentale per le istituzioni a ogni livello».

Al momento del suo insediamento, lei auspicò un ricorso della Regione Piemonte alla Corte costituzionale, nel caso di un’eventuale approvazione del Ddl Zan. Conferma questa linea?
«Sì, abbiamo avanzato l’ipotesi di un’impugnativa su iniziativa regionale. Un ricorso simile era stato fatto durante la scorsa consiliatura dall’ex Presidente, Sergio Chiamparino, che aveva promosso un’azione nazionale contro il decreto sicurezza di Salvini. Per gli esempi che ho fatto, credo sia fondata la possibilità di un ricorso regionale contro il Ddl Zan, perché impone una sorta di pensiero unico obbligatorio nell’ambito del gender e delle politiche sulla famiglia, che effettivamente va a ledere l’autonomia legislativa delle regioni stesse. L’auspicio, chiaramente, è che, un po’ come è successo con le linee guida di Speranza, il Piemonte non si ritrovi in solitudine nel condurre questa battaglia ma si trovi in buona compagnia con altre regioni, a partire da quelle governate dal centrodestra».

Cosa vuole difendere, in modo particolare, la vostra amministrazione?
«Difendiamo soprattutto i diritti dei minori a non vedersi invase le scuole dall’ideologia del gender. Anche questo chiaramente ci preoccupa molto, visto che l’istruzione è un altro tema su cui le Regioni hanno competenze importanti. Il fatto che nell’educazione statale si vadano ad inserire concetti come la fluidità di genere è qualcosa che noi di centrodestra assolutamente non condividiamo e che contrasteremo con ogni strumento disponibile».

Quali ritiene siano i risultati più importanti dell’attuale giunta regionale piemontese in fatto di politiche per la vita e per la famiglia?
«Abbiamo avviato un dialogo a livello di rapporti formali e istituzionali tra le ASL piemontesi e le associazioni che tutelano la vita. Lo scopo è proprio quello di dare visibilità a queste associazioni all’interno dei consultori, a beneficio delle donne in gravidanza in difficoltà, specie per problemi di natura sociale ed economica, che, per questo, prendono in considerazione l’ipotesi di abortire. Si è trattato di un primo passaggio importante che ha visto il forte contrasto della sinistra radicale e delle associazioni lgbt, senza però alcun effetto: le nostre delibere nei TAR erano a prova di bomba, quindi sono uscite indenni da qualunque impugnativa. L’altro elemento è stato il nostro ricorso contro le linee guida del ministro Speranza, che intendevano trasformare i consultori da luogo di utenza e di informazione nei confronti delle donne a luoghi di attuazione diretta dell’aborto, con la somministrazione automatica del farmaco abortivo. Anche quella è stata una battaglia dura, in cui siamo stati aiutati dalla professionalità dell’avvocatura regionale piemontese. L’abbiamo spuntata, perché abbiamo mandato una nota al Ministero in cui formalizzavamo il nostro rifiuto a dare corso alle loro linee di indirizzo e, a quel punto, non abbiamo ricevuto più nessuna replica. Da questo punto di vista, il Piemonte è una Regione che è rimasta legata alla vera tutela delle donne e della vita all’interno dei consultori, senza l’interpretazione malsana e ancora più espansiva di certi effetti deleteri della legge 194, che viene dal governo nazionale».

Quali saranno, infine, i prossimi obiettivi nei restanti tre anni di mandato della vostra giunta?
«Finora abbiamo raggiunto l’obiettivo di dare agibilità alle organizzazioni di volontariato pro-vita su progetti da loro autofinanziati. Ora, però, la giunta di centrodestra punta a mettere in campo politiche di sostegno alla natalità e all’incremento demografico. Quindi parliamo di vere e proprie misure pubbliche e istituzionali di sostegno alle nascite, perché quelle previste a livello nazionale si stanno mostrando assolutamente insufficienti: i dati del crollo demografico che colpiscono tutta l’Italia e – in particolare, ahinoi, il Piemonte – lo dimostrano. La sussidiarietà promossa dalla nostra amministrazione regionale passa per i sostegni economici ma anche per la creazione di asili aziendali, per il sostegno al lavoro delle giovani madri e per tante altre misure di natura sociale. Dobbiamo far sentire la presenza concreta delle istituzioni al fianco delle famiglie che hanno intenzione di mettere al mondo dei figli ma che finora, in questo, non si sono sentite tutelate».

Pillon: «Gli italiani in piazza perché allarmati dal ddl Zan»

l Senatore della Lega Simone Pillon è stato raggiunto telefonicamente da Pro Vita & Famiglia e ha spiegato il senso di manifestazioni come queste a Milano e Torino, che continuano in tutta Italia.

Perché è stato importante fare una manifestazione anche a Torino?
«Perché le nostre preoccupazioni sono state fatte proprie, non solo da tantissime realtà che abbiamo sentito in questi giorni che non sono certo di destra ma che hanno manifestato tutte le loro perplessità, ma anche la Chiesa si è espressa ben due volte: prima con la CEI, poi addirittura con la Santa Sede che è intervenuta in modo chiaro e forte. A questo punto è chiaro che non è un testo che può essere accettato ma va pesantemente gestito. Adesso andremo a vedere come andrà a finire in Parlamento, ma tutto questo dà anche molta forza alla battaglia parlamentare».

Secondo Lei è efficace insistere contro il Ddl, attraverso le manifestazioni di piazza. Cosa ottengono queste iniziative?
«Servono moltissimo ad informare, perché se avessimo lasciato l’informazione nelle mani della disinformazione non sarebbe cambiato nulla. Solo il fatto di aver sollevato il problema ha permesso agli italiani di informarsi e nel momento in cui hanno cominciato ad informarsi, finalmente hanno cominciato a capire che si trattava di una legge sbagliata e questo non è poco».

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