Oltre lo stato laicista (più che laico) e lo stato confessionale (che sono la stessa cosa), ci sta a cuore la libertà religiosa, di espressione e di insegnamento – Parte 3

Condividi su...

Segue dalla seconda parte: QUI.

Per completare la riflessione sui temi che abbiamo affrontato nelle due parti precedenti, nelle diverse sfaccettature (non nel significato dei tantissimi aspetti o punti di vista, ma di ciascuna delle facce o il complesso delle facce rilevate dall’operazione di taglio di una pietra preziosa, diretta a ottenere sulla sua superficie una serie di facce piane a orientazione prestabilita in modo da sottolineare i pregi della pietra o da eliminarne i difetti), proponiamo tre articoli, rispettivamente di Marco Iasevoli su Avvenire: Ddl Zan. Chiti [foto di copertina]: «Chi parla di ingerenza ha una concezione ottocentesca della laicità». L’ex parlamentare, che ha vissuto a sinistra dal Pci fino al Pd, sottolinea che «un partito, tanto più su leggi delicate, non dovrebbe mai avere paura del confronto»; Roberto Colombo su Tempi: La ragione profonda della resistenza della Chiesa al Ddl Zan e di Flavio Felice su Politica Insieme: La “libertà religiosa” contro le spinte laiciste e clericali.

La “libertà religiosa” contro le spinte laiciste e clericali
di Flavio Felice
Politica Insieme, 24 giugno 2021


La «Nota Verbale» della Santa Sede, consegnata all’ambasciatore italiano dalla Segretaria di Stato, con la quale si chiede di riconsiderare il testo del DDL Zan, in quanto potrebbe essere difforme dal Concordato – in particolare, potrebbe non garantire le libertà sancite dall’art. 2, commi 1 e 3 –, pone in evidenza i difficili rapporti tra Stato e Chiesa e solleva questioni di carattere teorico politico, oltre che giuridico.

Il fatto che si sia richiamato il rispetto del Concordato, questa volta da parte della Santa Sede, ma in altre occasioni è capitato allo Stato italiano, solleva la questione teorica del «giurisdizionalismo». Tra gli esponenti di spicco di tale filone di pensiero vorremmo ricordare il contributo del giurista piemontese Francesco Ruffini (1863-1934): senatore del regno, laico, agnostico e estremamene rispettoso del sentimento religioso. Il giurisdizionalismo, scrive Ruffini, nasce allorquando «Stato e Chiesa assumono l’uno rispetto all’altro posizioni giuridiche da far valere, sia per salvaguardare la propria autonomia sia per affermare il proprio diritto d’intervento nella sfera dell’altro». La qualità liberale del rapporto Stato-Chiesa dipende dal regime giurisdizionalista adottato e, nel caso del «giurisdizionalismo liberale» di Ruffini, ci troviamo di fronte ad un regime che si oppone sia alla soluzione teocratica sia a quella cesaropapista, oltre che a quella separatista.

Il «giurisdizionalismo liberale» di Ruffini, osservato con attenzione dallo stesso Luigi Sturzo, si contrappone al «separatismo» e assume la tutela della libertà religiosa come diritto delle singole persone e non un «diritto dello Stato». Il nucleo teorico del giurisdizionalismo liberale consiste nel riconoscimento della libertà di coscienza e di culto per tutti, all’interno di un regime giuridico diversificato tra le diverse Chiese «in ragione della loro diversa posizione storica, sociale e politica». Distinto dal giurisdizionalismo liberale è invece il separatismo, inteso come «quel sistema di relazioni tra Stato e Chiesa secondo cui quest’ultima sia dal primo considerata come semplice associazione di diritto privato».

A parere del Ruffini, il limite del separatismo risiederebbe nella sua astrattezza e incapacità di cogliere l’anima concreta delle istituzioni giuridiche che, qualora fossero imposte, a dispetto del loro radicamento storico nella vita delle persone, finirebbero per essere percepite come estranee e verrebbero rifiutate, provocando la reazione che, nella fattispecie della vertenza Stato-Chiesa, ridarebbe vigore a soluzioni teocratiche e cesaropapiste. Il giurisdizionalismo liberale, al contrario, avrebbe il merito di essere coerente con l’elemento più profondo della cultura delle persone e di promuovere soluzioni istituzionali ad esse coerenti e ispirate alla nozione di «libertà religiosa».

Come sappiamo dalla Dignitatis humanae, la libertà religiosa è la prima e fondamentale libertà. Per questa ragione, l’agnostico e liberale Ruffini è del tutto coerente con il Ruffini antifascista e rispettoso del sentimento religioso, estimatore di Manzoni e amico di Sturzo. Il vecchio professore liberale che si rifiuta, insieme al figlio Edoardo, di prestare giuramento al fascismo ci insegna che quella per la libertà è una battaglia che non avrà mai fine e che il nemico numero uno del liberalismo è il monopolio: monopolio del potere, della produzione, delle idee.

Qualora dovessero prevale le istanze del separatismo, si correrebbe il rischio di farsi dilaniare dalla tensione proveniente dai poli del laicismo, inteso come la soluzione alle vertenze Stato-Chiesa in regime di monismo politico – una sorta di panteismo di Stato –, e del curialesimo, la soluzione alle suddette vertenze in regime di monismo clericale, ossia il clericalismo. Al contrario, la libertà religiosa opera in regime di poliarchia e considera il monismo, sia nella versione laicista sia in quella clericale, la più pericolosa tra le malattie che possano affliggere, rispettivamente, l’ordine politico e la Chiesa. Una malattia virale che si corrobora, promuovendo il sentimento della «servitù volontaria», la quasi-divinizzazione del Principe, l’identificazione della volontà del Principe con il destino del popolo e il popolo con il gregge informe che necessita di un pastore che lo governi, lo inginocchi e lo bastoni.

La ragione profonda della resistenza della Chiesa al Ddl Zan
Roberto Colombo
Tempi, 24 giugno 2021


I cattolici si oppongono a ogni forma di violenza e stigmatizzazione. Ma la differenza sessuale, si legge nella Nota della Santa Sede, «non è disponibile».

È stato pubblicato dal Corriere della Sera il testo della Nota verbale (protocollo n. 9212/21/RS) che fa riferimento al disegno di legge n. 2005 (abbreviato come “ddl Zan”), recante «misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità», il cui testo è stato già approvato dalla Camera dei deputati il 4 novembre 2020 ed è attualmente all’esame del Senato. La sezione per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato vaticana l’ha consegnata lo scorso 17 giugno – attraverso l’arcivescovo britannico Paul Richard Gallagher che ne è il segretario – nelle mani del dottor Pier Mario Daccò Coppi, primo consigliere dell’ambasciata italiana presso la Santa Sede.

Si tratta di un intervento della Santa Sede presso il governo italiano, per via diplomatica (se ne sta occupando formalmente il gabinetto del ministero degli Esteri e l’ufficio Relazioni con il Parlamento della Farnesina, che provvederà a trasmetterla alla presidenza della commissione Giustizia del Senato) che ha riacceso un rumoroso dibattito politico e sociale dai toni spesso aspri, polemici e anche minacciosi. C’è chi chiede addirittura di abolire il Concordato tra l’Italia e la Santa Sede – rivisto nel 1984 per iniziativa dell’allora presidente del Consiglio Bettino Craxi e del cardinale Agostino Casaroli, in quegli anni segretario di Stato di san Giovanni Paolo II – in quanto foriero di intollerabili “ingerenze” della Chiesa nella vita politica del nostro paese.

Cosa chiede la Chiesa

L’oggetto della Nota è la considerazione «che alcuni contenuti dell’iniziativa legislativa […] avrebbero l’effetto di incidere negativamente sulle libertà assicurate alla Chiesa cattolica e ai suoi fedeli dal vigente regime concordatario». Esplicitamente, il testo si riferisce alla «piena libertà di svolgere la sua missione pastorale, educativa e caritativa, di evangelizzazione e di santificazione. In particolare è assicurata alla Chiesa la libertà di organizzazione, di pubblico esercizio del culto, di esercizio del magistero e del ministero spirituale, nonché della giurisdizione in materia ecclesiastica» (art. 2, c. 1), e al fatto che, attraverso il Concordato, «è garantita ai cattolici e alle loro associazioni e organizzazioni la piena libertà di riunione e di manifestazione del pensiero, con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione» (art. 2, c. 3). Per evitare questo effetto negativo «sulle libertà assicurate alla Chiesa cattolica e ai suoi fedeli», la Nota chiede di «trovare una diversa modulazione del testo normativo in base agli accordi che regolano i rapporti tra Stato e Chiesa e ai quali la stessa Costituzione repubblicana riserva una speciale menzione».

L’articolo contestato del ddl Zan

Nel tentativo di individuare gli scenari e le situazioni concrete in cui questo vulnus alla libertas Ecclesiae et fidelium potrebbe configurarsi nel caso dell’approvazione del ddl Zan così come è attualmente scritto, l’attenzione di quasi tutti i commentatori si è concentrata sul fatto che l’articolo 7 del testo in discussione al Senato non esenterebbe le scuole paritarie cattoliche dall’organizzare attività in occasione della costituenda Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia e la transfobia, e sul rischio che i vescovi, i sacerdoti, i genitori cristiani, i catechisti, gli educatori degli oratori e i responsabili delle associazioni e dei movimenti cattolici, e gli insegnati di religione nelle scuole statali e paritarie possano venire indagati, censurati o persino condannati sul presupposto che le loro parole o i loro scritti – pur non contenendo alcun incitamento né approvazione rispetto a discriminazioni o violenze verso chicchessia – possano essere messi in relazione causale con atti criminosi e deprecabili che violano la dignità, i diritti civili e la vita delle persone che il ddl Zan intende tutelare, compiuti con responsabilità propria da chi abbia ascoltato o letto quanto pronunciato dai pastori, dai genitori, dagli educatori, dai docenti o dai singoli fedeli cattolici.

Il centro della Nota

Senza negare l’importanza di prendere in considerazione pratica questi rischi seri per la libertà di pensiero e di iniziativa culturale ed educativa della Chiesa e dei singoli fedeli che sono contenuti nel ddl Zan, il centro di gravità della Nota – che non può sfuggire ad una sua più attenta lettura – sta nella riaffermazione della irrinunciabilità, per ogni credente, ad accogliere integralmente quanto la Parola di Dio, la Tradizione bimillenaria della Chiesa e l’insegnamento costante e coerente del suo Magistero pregresso e recente insegnano sulla persona umana e la sua sessualità, l’amore coniugale, la procreazione e l’educazione dei figli. Nella Nota si ricorda che «ci sono espressioni della Sacra Scrittura e delle tradizioni ecclesiastiche del magistero autentico del Papa e dei vescovi che considerano la differenza sessuale secondo una prospettiva antropologica che la Chiesa cattolica non ritiene disponibile perché derivata dalla stessa Rivelazione divina».

Verità non «disponibili»

Ecco la ragione profonda, ultima per la quale lo Stato non può chiedere alla Chiesa e ai singoli pastori e fedeli, genitori, educatori o insegnanti cristiani di abbandonare la «prospettiva antropologica» con cui essi vivono il loro essere uomini e donne secondo realtà e ragione ed alla luce della Rivelazione, che della realtà svela il senso ultimo e della ragione allarga gli orizzonti sino ad abbracciare l’Infinito e l’Eterno. Una legge umana non può chiedere questa rinuncia culturale e religiosa: questa Verità divina non è «disponibile» a noi, l’abbiamo accolta così come si è mostrata realistica e ragionevole, corrispondente all’esperienza elementare della vita e, dunque, credibile. Non rientra tra le idee costruite dall’uomo nel tempo, né tra i pensieri consuetudinari o le teorie datate, che la Chiesa e i credenti possono gettarsi alle spalle per ossequiare una norma di legge.

Non possumus (At 4,20). La legge non può chiederci questo perché «bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini» (At 5,29), come rispose Pietro ai rappresentanti del potere di allora. Questo diniego è una esigenza dettata non solo dall’ossequio interiore alla volontà del Creatore ed alla Parola di Dio che ce la manifesta, ma anche dalla missione stessa della Chiesa: «pastorale, educativa e caritativa, di evangelizzazione e di santificazione», come ricorda la Nota, citando il Concordato. Come potrebbero la Chiesa ed un credente educare i giovani al rispetto dovuto ad ogni persona, alla carità nelle parole, negli sguardi e nei gesti verso chiunque, indipendentemente da come egli o ella pensa e vive la sua sessualità, assumendo una «prospettiva antropologica» diversa o addirittura contrapposta a quella vissuta nella fede?

Una prospettiva che non muta

A chi è familiare con le locuzioni presenti nei testi della Chiesa, risulta evidente che quando – in riferimento ad affermazioni teologiche o norme morali – viene detto che esse sono «espressioni della Sacra Scrittura e delle tradizioni ecclesiastiche del magistero autentico del Papa e dei vescovi», si sta parlando non di opinione o di tesi discussa e discutibile, ma di sententia definitive tenenda (cfr Concilio Ecumenico Vaticano II, Lumen Gentium, 25), anche se non definita in forma solenne dal Romano Pontefice quando parla ex cathedra o dal Collegio dei vescovi radunato in Concilio. La Nota intende così richiamare l’attenzione sul fatto che la una «prospettiva antropologica» sull’essere uomo-donna, sulla sessualità ed i suoi atti, sul matrimonio e sulla procreazione ed educazione dei figli che la Chiesa abbraccia non può essere mutata per rispondere alle imposizioni contenute in un articolo di legge, anche se la Chiesa può condividere alcune finalità che la legge stessa si propone.

È evidente che i cattolici – come cittadini e come credenti – si oppongono fermamente ad ogni forma di discriminazione, stigmatizzazione, o violenza verbale e fisica contro le persone che manifestano in qualunque declinazione il loro pensare ed il loro vivere la sessualità. E sono anche convinti che simili azioni debbano essere prevenute, identificate e punite, come ogni altra forma di violazione della dignità e della vita di qualunque cittadino. Ma non possono abbracciare né insegnare ai loro figli, allievi o fedeli una visione della identità-differenza sessuale “fluida”, autoreferenziale, costruita culturalmente e socialmente senza una inerenza nella realtà “bio-logica” (la “logica della vita”) che è inseparabile da quella “antropo-logica” (la “logica dell’essere umano”). Né possono fare propria o trasmettere ai loro figli, allievi o fedeli una forma di relazione “matrimoniale” che si estenda al di fuori della unione sponsale tra un uomo e una donna, o educare alla possibilità di maternità non femminili e paternità non maschili, né di maternità o paternità multiple. Il pensiero “gender” – nella sua forma oggi dominante – non è compossibile con lo sguardo cristiano sulla vita e la sessualità.

Identità e differenza

Sin dalle sue prime pagine, la Bibbia rivela la volontà di Dio di creare l’essere umano (′adam) come «maschio (zakar) e femmina (neqebah)» (Gn 1,26), una identità(′adam)-differenza(zakar/neqebah) che non sono autogenerate dal soggetto, ma offerte, create perché la sua libertà le assuma come compito per la vita, come vocazione creaturale.

«Dio iscrive nell’umanità dell’uomo e della donna la vocazione, e quindi la capacità e la responsabilità dell’amore e della comunione» (Giovanni Paolo II, Familiaris consortio, 11).

«Spetta a ciascuno, uomo o donna, riconoscere ed accettare la propria identità sessuale. La differenza e la complementarità fisiche, morali e spirituali sono orientate ai beni del matrimonio e allo sviluppo della vita familiare» (Catechismo della Chiesa cattolica, 2333).
Lo stesso Catechismo della Chiesa cattolica – citando Familiaris consortio (22) e Mulieris dignitatem (2) di san Giovanni Paolo II – ci ricorda anche che «creando l’uomo “maschio e femmina”, Dio dona la dignità personale in egual modo all’uomo e alla donna. L’uomo è una persona, in eguale misura l’uomo e la donna: ambedue infatti sono stati creati ad immagine e somiglianza del Dio personale» (2334).

Il fondamento del rispetto

È questa identica dignità personale dell’uomo e della donna che fonda l’attenzione e il rispetto, la valorizzazione e la protezione, la cura e l’amore che sono dovuti ad ogni essere umano: in questo l’antropologia ebraico-cristiana incontra e valorizza le istanze contro la discriminazione e la violenza che sono presenti in coloro che – in una prospettiva civica di autentica laicità – chiedono un rafforzamento legislativo della tutela di tutte le persone, indipendentemente da come concepiscono e vivono la loro sessualità. Lo sottolinea anche il Catechismo, che, in questo, ha anticipato il ddl Zan: «Un numero non trascurabile di uomini e di donne presenta tendenze omosessuali profondamente radicate. Questa inclinazione, oggettivamente disordinata, costituisce per la maggior parte di loro una prova. Perciò devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione» (2358).

Quello che è di Cesare e quello che è di Dio

In questi giorni, non pochi si sono erti a difensori della “laicità dello Stato” italiano contro le pretese “ingerenze clericali” citando il Vangelo di Matteo: «Date a Cesare quello che è di Cesare, e a Dio quello che è di Dio» (Mt 22,21). A ben vedere, è proprio questa affermazione di Gesù che sta dietro alla richiesta della Nota trasmessa dalla Santa Sede al governo italiano. Si tratta di assegnare «quello che è di Cesare» e «quello che è di Dio».

Il compito istituzionale dello Stato “laico” e non totalitario è quello di garantire il rispetto dei diritti e delle libertà di tutti i cittadini attraverso leggi e decreti che li tutelino da ogni forma di intolleranza o aggressione. Un compito che si deve fermare qui (e non è un impegno di poco conto, se realizzato efficacemente). A noi cittadini (anche cattolici) spetta il dovere di riconoscere allo Stato questo compito, di dare a lui l’obbedienza e la collaborazione per raggiungere lo scopo. Al contrario, quando le leggi hanno la pretesa di imporre una nuova concezione antropologica, cultura ed educazione in nome delle pretese egemoni di alcuni, esse trascinano lo Stato verso una forma inaccettabile di potere ideologico, dove fa fatica a trovare spazio la libertà di espressione, comunicazione ed educazione per tutti i cittadini e le loro associazioni. Cesare faccia Cesare e non altro, e a questo Cesare noi presteremo la massima collaborazione.

Stato e Chiesa: a ciascuno il suo

La missione della Chiesa – riconosciuta anche dal Concordato con l’Italia – è quella di annunciare la Verità di Dio sull’uomo, su ogni donna e uomo che sono stati da Lui creati. Attraverso l’attività pastorale, educativa, caritativa, evangelizzatrice e di santificazione, la Chiesa è a servizio dell’incontro dell’uomo con Dio, che svela il senso ultimo della sua esistenza come uomo e come donna. Il mandato della Chiesa non è di dettare leggi civili né di organizzare la vita e le relazioni sociali tra di essi, in modo che siano rispettati i diritti, i doveri e le libertà di tutti. Questo spetta allo Stato. Lo faccia fino in fondo, riconoscendo e rispettando anche la libertà della Chiesa e dei fedeli di compiere la propria missione all’interno del suo territorio. La Chiesa faccia la Chiesa e non altro, e a questa Chiesa lo Stato garantisca tutta la libertà di cui ha bisogno perché Dio sia conosciuto e amato nel mondo, Lui che ha mandato il suo Figlio Gesù non per abolire il potere terreno, ma per redimerlo dalla pretesa di essere lui stesso come Dio.

Scriveva il cardinale Giacomo Biffi: «Nessun organismo dello Stato, nessuna forza politica, nessun partito può pretendere ciò che appartiene soltanto a noi come persone (alle quali anche lo Stato è finalizzato) e a Dio, come Signore dell’universo. Nessun organismo dello Stato, nessuna forza politica, nessun partito può impadronirsi della vostra anima o manipolarla, può interferire nelle vostre convinzioni morali, può imporvi una sua concezione del mondo: “Date a Cesare quel che è di Cesare”, ma niente di più. Come si vede, il Vangelo non insegna affatto la rivoluzione o la contestazione del sistema; al contrario, predica la lealtà e l’obbedienza verso l’autorità, le sue leggi e le sue decisioni».

Se non vogliamo citare il Vangelo, ci basti il politico e giurista romano Domizio Ulpiano, mentore dell’imperatore Alessandro Severo: Suum cuique tribuere (Dare a ciascuno il suo).

Ddl Zan. Chiti: «Chi parla di ingerenza ha una concezione ottocentesca della laicità»
L’ex parlamentare, che ha vissuto a sinistra dal Pci fino al Pd, sottolinea che «un partito, tanto più su leggi delicate, non dovrebbe mai avere paura del confronto»
di Marco Iasevoli
Avvenire, 25 giugno 2021


Mozione d’ordine, si sarebbe detto in altri tempi. E una mozione d’ordine la chiede Vannino Chiti, ex ministro, già parlamentare e presidente della Toscana che ha vissuto per intero la traiettoria politica dal Pci al Pd. «Andiamo a ritroso, andiamo a quando la Cei, con il cardinale Bassetti, ha detto con parole pacate della necessità di approfondire alcuni punti del ddl Zan e non ha trovato risposte. Questa non è politica, non si può eludere il dialogo». Il riferimento, chiaro, è proprio al Pd.

Ora è intervenuta la Santa Sede a chiedere un confronto e chi sinora l’ha negato si trova in difficoltà?
La Santa Sede ha fatto delle considerazioni in rapporto al Concordato che non si possono definire in nessun modo imposizioni. Chi si esprime in questi termini, e avanza sospetti di ingerenza, ignora la storia della Chiesa dal Concilio Vaticano II a oggi. Il cardinale Parolin ha ulteriormente precisato che non c’è volontà di interferire con il processo legislativo. Ma il diritto di esprimersi non può essere negato.

Nel suo campo politico però la parola più utilizzata è «ingerenza».
È infantilismo politico. Un riflesso condizionato. Una concezione ottocentesca della laicità.

È un giudizio molto duro…
Guardi, se fossi ancora parlamentare, la prima domanda che mi farei è quale sia la “manina” irresponsabile che ha reso pubblica una nota diplomatica e alimentato questa contrapposizione, spingendo a radicalismi che non servono al Paese. La Santa Sede è solita trattare questi temi con discrezione, mi chiedo chi tra i protagonisti della politica avesse l’interesse a polarizzare il dibattito…

Rendendo più ardua la via del dialogo?
Io penso che un partito, tanto più su leggi importanti e delicate, non dovrebbe mai avere paura del confronto. Letta con prudenza aveva aperto uno spiraglio, poi… Sarebbe un risultato importante, e non una sconfitta, avere largo consenso su una legge contro omofobia e transfobia. Si potrebbe dire di aver condotto al Sì una destra che in parte non voleva nemmeno affrontare il tema. E rafforzerebbe la posizione assunta dall’Italia rispetto all’Ungheria.

E invece siamo al muro contro muro.
Con l’aggravante che nel Pd si parla di disciplina di partito. Un aspetto che Letta doveva sottolineare, invece, è che su questi temi vale la libertà di coscienza. Se il Pd è un partito di credenti e non credenti, su questi temi non può esserci un vincolo.

È in coerenza con questa fase in cui la sinistra vuole darsi un’identità netta su certi temi, no?
In Italia come in Europa la sinistra sta facendo questo errore, dimenticare che diritti civili e sociali sono inseparabili. Se non si tengono insieme succedono disastri. È giusto combattere per i diritti anche quando riguardano minoranze e avanguardie, ma devi tirarti dietro il popolo, e il popolo te lo tiri dietro con i diritti sociali ed economici.

Lei dice: non basta come argomento quello della “laicità” dello Stato?
Si sta riproponendo una versione parziale della laicità. Si vuole dire che le fedi religiose devono restare nel segreto dei cuori e non avere rappresentanza pubblica? Ma questo è sbagliato, è un residuo storico che indebolisce la laicità e indebolisce la democrazia, che si nutre del confronto e del pluralismo.

Guardi che sul web sono partite petizioni per abolire il Concordato.
Estremismi infantili. Anzi bisognerebbe in tempi rapidi arrivare ad un’intesa secondo le indicazioni della Carta anche con i fedeli musulmani. Accordi chiari con le religioni rafforzano la nostra democrazia, invece le campagne tipo ‘aboliamo l’8xMille’ la indeboliscono in maniera drammatica.

Ma secondo lei sulla legge Zan un punto di caduta esiste?
Non mi esprimo nel merito, ma a mio avviso se si riprendesse tra le mani la differenza tra «opinione » e «istigazione» si troverebbe la quadra.

Fine.

Il Concordato fra Stato italiano e Chiesa Cattolica Romana fa parte dei Patti Lateranensi, dal nome dal palazzo nel quale vennero sottoscritti l’11 febbraio del 1929 da Benito Mussolini e dal Segretario di Stato di Sua Santità, Cardinale Pietro Gasparri. I Patti Lateranensi furono degli accordi molti ampi che misero fine alla disputa che da sessant’anni divideva la Chiesa Cattolica Romana e lo Stato italiano. Prima che venissero firmati, tra Stato e Chiesa non esisteva, almeno formalmente, alcun rapporto. Il Papa si considerava un “prigioniero politico” di Casa Savoia, la famiglia reale d’Italia che nel corso del Risorgimento aveva invaso per ben due volte i territori dello Stato della Chiesa, un tempo esteso a tutto il Centro Italia, fino a ridurlo alla sola città di Roma. Nel 1870 l’esercito italiano attaccò Roma, difesa dai soldati del Papa e da numerosi volontari provenienti da tutta Europa, e la conquistò rendendola poco dopo la capitale del Regno d’Italia.

Il Concordato attualmente in vigore, che regola i rapporti tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica, venne sottoscritto a Villa Madama il 18 febbraio 1984 dall’allora Presidente del Consiglio dei Ministri dell’Italia, Bettino Craxi e dal Segretario di Stato di Sua Santità, Cardinale Agostino Casaroli. Esso è il frutto della Revisione, prevista dall’Articolo 7 della Costituzione, del Concordato firmato l’11 febbraio 1929 da Benito Mussolini e dal Cardinale Pietro Gasparri nell’ambito dei Patti Lateranensi, che segnarono la conciliazione tra lo Stato italiano e la Santa Sede, con la soluzione della «questione romana».

Free Webcam Girls
151.11.48.50