Una riforma del Diritto Canonico maturata con l’intento di garantire sempre maggiore coerenza tra la dottrina professata e la testimonianza di vita dei fedeli
“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit” (San Giovanni Paolo II).
«La misericordia senza giustizia è madre della dissoluzione, la giustizia senza misericordia è crudeltà» (San Tommaso d’Aquino).
Ritorniamo oggi sulla riforma del Libro VI del Codice di Diritto Canonico, presentato il 1° giugno 2021 in una Conferenza Stampa presso la Sala Stampa della Santa Sede, con un’intervista di Andrea Micciché al Sottosegretario del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, Mons. Markus Graulich per Vox Canonica, seguita dalla presentazione di Angela Ambrogetti per ACI Stampa.
- Costituzione Apostolica Pascite gregem Dei del Santo Padre Francesco con cui viene riformato il Libro VI del Codice di Diritto Canonico del 23 maggio 2021, pubblicata sul Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede N. 347 il 1° giugno 2021 [QUI].
- Il nuovo Libro VI del Codice di Diritto Canonico, pubblicato il 1° giugno 2021 sul Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede 348 in latino, italiano, francese, inglese, tedesco e spagnolo, in vigore dall’8 dicembre 2021 [QUI].
- Gli interventi di S.E. Mons. Filippo Iannone, O. Carm., Presidente del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, e S.E. Mons. Juan Ignacio Arrieta Ochoa de Chinchetru, Segretario del medesimo Pontificio Consiglio, alla Conferenza Stampa sulle modifiche al Libro VI del Codice di Diritto Canonico, pubblicati sul Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede N. 349 del 1° giugno 2021 [QUI].
Explicatio Canonum
Pascite Gregem Dei. Nuovo diritto penale canonico: revisione del libro VI CIC. Intervista a mons. Graulich
di Andrea Micciché
Vox Canonica, 1° giugno 2021
Un’altra riforma scuote il diritto della Chiesa.
Con una Costituzione Apostolica Pascite Gregem Dei oggi presentata in occasione di una conferenza stampa con il Presidente del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, S. E. Mons. Filippo Iannone e con il Segretario dello stesso dicastero, S.E. Mons. Juan Ignacio Arrieta – della quale daremo prontamente notizia – Papa Francesco interviene in modo massiccio sul libro VI del Codice di Diritto Canonico, quello dedicato al diritto penale.
Una revisione che si annuncia di estrema rilevanza, perché recepisce le nuove istanze sanzionatorie e adegua la normativa ecclesiastica alle situazioni che si sono presentate negli ultimi anni.
Ma è anche una revisione che parte da lontano, visto che l’idea originaria risale al pontificato di Benedetto XVI e, dal 2011 a oggi, ha visto un costante lavoro dei dicasteri competenti e di canonisti.
Ciò conferma, se non altro, l’indole riformatrice del Papa regnante, che, fin da subito, ha dichiarato di voler garantire sempre maggior coerenza tra la dottrina professata e la testimonianza di vita dei fedeli.
Abbiamo intervistato il Sottosegretario del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, mons. Markus Graulich [*], chiedendo di illustrare ai lettori i caratteri salienti della riforma.
Quali sono le modifiche principali introdotte dal Santo Padre al VI libro del Codice? Riguardano principalmente la struttura o le fattispecie penali?
Di modifiche ce ne sono tante. Possiamo dire che circa i 2/3 del Libro VI sono stati modificati. Da una parte, ciò riguarda alcuni principi. Per esempio, nel nuovo Libro VI non si trova più la dicitura “può essere punito con una giusta pena”. Ora, tutte le pene sono obbligatorie e c’è un lungo canone (il nuovo 1336) che fa un elenco di pene tra le quali i Vescovi e gli altri responsabili nella Chiesa possono scegliere. Si è avuta anche l’introduzione di pene pecuniarie. Un altro esempio è che la sospensione è ora una pena che può essere applicata anche ai laici. Poi, si è sottolineato che anche l’applicazione del diritto penale fa parte del ministero pastorale e non è contrario alla carità nella Chiesa, anzi. Sono molto grato che il Santo Padre lo accenna molto chiaramente anche nella Costituzione Apostolica di promulgazione. Vi è stato un riordinamento delle fattispecie e l’aggiunta di altre, in modo particolare quelle che erano già previste in altre leggi universali come nel motu proprio Sacramentorum sanctitatis tutela. Un cambiamento che mi sembra molto importante è, inoltre, lo spostamento dei delitti circa l’abuso di minori dal titolo che tratta dei delitti contro obbligazioni particolari dei chierici al titolo riguardante i delitti contro la vita, la dignità e la libertà degli uomini. Questo non cambia la fattispecie, ma può sicuramente cambiare la prospettiva nella quale il delitto è trattato.
Perciò, per rispondere anche alla seconda domanda, ci sono sia cambiamenti strutturali che riguardo alle fattispecie penali.
Qual è stato il percorso di formulazione della revisione del VI Libro? Vi è stata una ricezione delle istanze del processo di sinodalità avviato dal Papa?
Certamente il lavoro di preparazione del testo riformato è stato un processo sinodale, come lo era stato la revisione del Codice dopo il Concilio. Il testo è stato preparato con l’aiuto di esperti che hanno avuto a disposizione oltre sessanta sedute lungo gli anni. Nel 2011 fu ultimato un primo schema, il cui testo venne inviato alle Conferenze Episcopali, ai Dicasteri della Curia Romana, ai Superiori religiosi, alle Facoltà di Diritto Canonico e ad alcuni esperti. In seguito, lo schema è stato riveduto considerando le risposte ricevute. Ci sono state in seguito anche altre consultazioni. Questo è stato un lavoro sinodale, precisamente nel senso inteso e descritto dalla Commissione Teologica Internazionale: come un processo che coinvolge tutti, alcuni e uno. La consultazione si rivolgeva a tutti gli interessati, il discernimento è stato fatto da alcuni (il Dicastero e i suoi membri), la decisione di promulgare il libro è stata presa da uno, cioè il Papa, supremo legislatore della Chiesa.
Come si coniuga l’aspetto medicinale della pena canonica con questa revisione?
Penso che questa coniugazione sia ben riuscita, perché le pene medicinali sono determinate in maniera precisa; spero inoltre che una nuova consapevolezza del diritto penale della Chiesa possa anche avere un effetto preventivo.
Come inquadra lei la revisione del diritto penale nella Chiesa nel complesso di riforme avviate dal Santo Padre?
La revisione rispecchia e incorpora le riforme avviate non solo da Papa Francesco, ma già da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Era quest’ultimo, infatti, all’inizio dei lavori e ne ha dato l’avvio. Poi, Papa Francesco, quando è stato eletto, è stato tenuto sempre aggiornato di tutti i passi della riforma e ha sempre incoraggiato questo lavoro. Infatti, nella Costituzione Apostolica di promulgazione fa riferimento alla connessione delle sue riforme con la revisione del diritto penale canonico.
[*] Mons. Markus Graulich, S.D.B. Nato il 13 agosto 1964 a Hadamar (Germania); Professo della Congregazione Salesiana dal 15 agosto 1984; ordinato sacerdote il 25 giugno 1994 a Berlino. Dopo due anni di docenza nella scuola e coadiutore nella parrocchia salesiana di Essen, inizia gli studi di diritto canonico conseguendo il Dottorato nel 1999 e iniziando la docenza di principi e storia del diritto canonico all’Università Pontificia Salesiana in Roma. Nel 2004 discute la tesi di abilitazione all’insegnamento e tiene corsi, oltre a Roma, anche nelle Facoltà teologiche a Benediktbeuern, Erfurt e Mainz.
Dal 2009 inizia una sempre più intensa collaborazione con i dicasteri della Santa Sede: consultore della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi (2009); Consultore del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi (2010); promotore di giustizia sostituto del Supremo Tribunale della Segnatura (2009-2011); Prelato Uditore della Rota Romana (2011-2014). Il 22 maggio 2014 viene nominato da Papa Francesco Sotto-segretario del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi.
Papa Francesco firma la riforma del Diritto Canonico con nuove fattispecie di reatoDai reati patrimoniali al tentativo di ordinare donne e agli abusi sui minori con norme uguali per tutta la Chiesa
di Angela Ambrogetti
ACI Stampa, 1° giugno, 2021
Una riforma attesa e necessaria che rinvigorisce il diritto canonico, mezzo pastorale che negli ultimi anni “ha subito, talvolta, un’erronea interpretazione, che ha alimentato un clima di eccessiva rilassatezza nell’applicazione della legge penale, in nome di una infondata contrapposizione tra pastorale e diritto, e diritto penale in particolare”.
La revisione del VI del Codice di Diritto Canonico era stata voluta da Benedetto XVI nel 2007. I tempi cambiano e occorrono degli aggiornamenti.
Papa Francesco nella Costituzione Apostolica “ Pascite gregem Dei” pubblicata oggi e firmata a Pentecoste, e che sarà in vigore dall’8 dicembre 2021, chiarisce che “la carità richiede che i Pastori ricorrano al sistema penale tutte le volte che occorra, tenendo presenti i tre fini che lo rendono necessario nella comunità ecclesiale, e cioè il ripristino delle esigenze della giustizia, l’emendamento del reo e la riparazione degli scandali”.
“Un clima di eccessiva rilassatezza nell’applicazione della legge penale, in nome di una infondata contrapposizione tra pastorale e diritto, e diritto penale in particolare” ha detto il Presidente del Pontificio Consiglio per i testi legislativi Filippo Iannone, O. Carm. Si tratta di una maggiore e più certa applicabilità.
“Una riforma- dice Iannone- che ha lo scopo di rendere le norme penali universali sempre più adatte alla tutela del bene comune e dei singoli fedeli, più congruenti alle esigenze della giustizia e più efficaci e adeguate all’odierno contesto ecclesiale, evidentemente differente da quello degli anni ’70 del secolo scorso, epoca in cui vennero redatti i canoni del libro VI, ora abrogati. La normativa riformata vuole rispondere precisamente a quest’esigenza, offrendo agli Ordinari e ai Giudici uno strumento agile e utile, norme più semplici e chiare, per favorire il ricorso al diritto penale quando ciò si rende necessario affinché, rispettando le esigenze della giustizia, possano crescere la fede e la carità nel popolo di Dio”. Importante poi l’inserimento della “presunzione di innocenza”.
Il codice viene rinvigorito con la riforma non solo aggiornato. Si può anche parlare di un inasprimento. “In tale senso- spiega il Segretario del Pontificio consiglio per i Testi legislativi Juan Ignacio Arrieta Ochoa de Chinchetru – sono stati anzitutto incorporati al Codice reati tipizzati in questi ultimi anni in leggi speciali, come la tentata ordinazione di donne; la registrazione delle confessioni; la consacrazione con fine sacrilego delle specie eucaristiche.
Sono state incorporate poi alcune fattispecie presenti nel Codex del 1917 che non vennero accolte nel 1983. Ad esempio, la corruzione in atti di ufficio, l’amministrazione di sacramenti a soggetti cui è proibito amministrarli; l’occultamento all’autorità legittima di eventuali irregolarità o censure in ordine alla ricezione degli ordini sacri”.
I criteri di fondo sono tre: “Una adeguata determinatezza delle norme penali che prima non c’era, al fine di conferire un’indicazione precisa e sicura a chi le deve applicare. Per far sì che ci sia anche un impiego uniforme della norma penale in tutta la Chiesa, le nuove norme hanno ridotto l’ambito di discrezionalità lasciato prima all’autorità, senza eliminare del tutto la necessaria discrezionalità richiesta da alcuni tipi di reato particolarmente ampi che esigono volta per volta il discernimento del Pastore”. Un secondo criterio “è la protezione della comunità e l’attenzione per la riparazione dello scandalo e per il risarcimento del danno” e infine un terso obiettivo è “fornire al Pastore i mezzi necessari per poter prevenire i reati”.
Tra le nuove fattispecie “ad esempio la violazione del segreto pontificio; l’omissione dell’obbligo di eseguire una sentenza o decreto penale; l’omissione dell’obbligo di dare notizia della commissione di un reato; l’abbandono illegittimo del ministero. In modo particolare, sono stati tipizzati reati di tipo patrimoniale come l’alienazione di beni ecclesiastici senza le prescritte consultazioni; o i reati patrimoniali commessi per grave colpa o grave negligenza nell’amministrazione” e il divieto peri i chierici di amministrare “beni senza licenza del proprio Ordinario”. Significativo anche il paregrafo 3 del canone 1379: “Sia colui che ha attentato il conferimento del sacro ordine ad una donna, sia la donna che ha attentato la recezione del sacro ordine, incorre nella scomunica latae sententiae riservata alla Sede Apostolica; inoltre il chierico può essere punito con la dimissione dallo stato clericale”.
Inoltre “il reato di abuso di minori è ora inquadrato non all’interno dei reati contro gli obblighi speciali dei chierici, bensì come reato commesso contro la dignità della persona”.
Significativo anche che il nuovo can. 1398 comprende “le azioni compiute non solo da parte dei chierici, che come si sa appartengono alla giurisdizione riservata della Congregazione per la Dottrina della Fede, ma anche i reati di questo tipo commessi da religiosi non chierici e da laici che occupano alcuni ruoli nella Chiesa, così come eventuali comportamenti del genere, con persone adulte, ma commessi con violenza o abuso di autorità”.
Vengono elevati i tempi della estenguibilità del reato in ambito amministrativo, e si estende la equiparazione della sentenza all’accordo extragiudiziale.
Il lavoro sulla riforma non viene solo da Roma. Le bozze del testo sono passate al vaglio delle Chiese locali.
Del resto però la questione era che la formulazione del 1983 nata dalla mentalità degli anni ’70 vedeva testi “spesso indeterminati, proprio perché si riteneva che i singoli Vescovi e i Superiori, ai quali spetta applicare la disciplina penale, avrebbero stabilito meglio quando e come punire nel modo più adeguato”.
E c’era anche una “difformità di reazioni da parte delle autorità” che “ risultava pure motivo di sconcerto nella comunità cristiana”.
I lavori hanno preso il via nel 2009 con un confronto continuo con le Conferenze episcopali, i Dicasteri della Curia romana, i Superiori Maggiori degli Istituti di vita Consacrata, le Facoltà di diritto canonico, i consultori e un ampio numero di canonisti.
Chiarissimo l’intento del Papa, anche perché “In passato, ha causato molti danni la mancata percezione dell’intimo rapporto esistente nella Chiesa tra l’esercizio della carità e il ricorso – ove le circostanze e la giustizia lo richiedano – alla disciplina sanzionatoria. Tale modo di pensare – l’esperienza lo insegna – rischia di portare a vivere con comportamenti contrari alla disciplina dei costumi, al cui rimedio non sono sufficienti le sole esortazioni o i suggerimenti. Questa situazione spesso porta con sé il pericolo che con il trascorrere del tempo, siffatti comportamenti si consolidino al punto tale da renderne più difficile la correzione e creando in molti casi scandalo e confusione tra i fedeli. È per questo che l’applicazione delle pene diventa necessaria da parte dei Pastori e dei Superiori. La negligenza di un Pastore nel ricorrere al sistema penale rende manifesto che egli non adempie rettamente e fedelmente la sua funzione, come ho espressamente ammonito in recenti documenti, tra i quali le Lettere Apostoliche date in forma di «Motu Proprio» (Come una Madre amorevole del 4 giugno 2016 e Vos estis lux mundi del 7 maggio 2019)”.