Papa Francesco: in libreria tutte le novità editoriali della LEV
La Libreria Editrice Vaticana conferma la sua missione di essere al servizio del Magistero del Papa. E a neanche un mese dall’elezione di Papa Francesco, ha già pubblicato due sue scritti da cardinale e la raccolta dei suoi primi discorsi e omelie. Si intitola “Vi chiedo di pregare per me”, ed è in libreria da oggi, l’opera che raccoglie tutti gli interventi del nuovo Pontefice, dal saluto del 13 marzo al Regina Coeli del 1° aprile, e il cui significativo sottotitolo è “Inizio del Ministero Petrino di Papa Francesco” (96 pagine, 7 euro). Questa pubblicazione riporta 19 interventi e costituisce un utile strumento per seguire l’attività del Pontefice, permettendo di riassaporare con calma i suoi testi, e riflettere sulle esortazioni e i numerosi spunti in essi contenuti. Nell’incontro con i membri del Collegio cardinalizio in Vaticano la mattina del 15 marzo, il Papa ha ad esempio ribadito quella che è la missione della Chiesa: “Portare Gesù Cristo all’uomo e condurre l’uomo all’incontro con Gesù Cristo Via, Verità e Vita”, mentre nel suo primo Angelus ha rivolto ai fedeli l’invito di non smettere di invocare la misericordia di Dio: “Lui mai si stanca di perdonare, ma noi, a volte, ci stanchiamo di chiedere perdono. Non ci stanchiamo mai, non ci stanchiamo mai!”.
Il 19 marzo Papa Francesco ha presieduto la Messa per l’inizio del ministero petrino e ha ricordato che “l’odio, l’invidia, la superbia sporcano la vita”, osservando poi che “non dobbiamo avere timore della bontà, della tenerezza” e che “il vero potere è il servizio”. Durante la Messa del Crisma, il 28 marzo, ha esortato i sacerdoti: “Siate pastori con ‘l’odore delle pecore’ ”, mentre nel pomeriggio dello stesso giorno, prima di lavare i piedi ad alcuni ragazzi detenuti nel carcere minorile di Casal del Marmo, ha definito quel gesto “una carezza di Gesù”, che è venuto “per servire, per aiutarci”. La notte di Pasqua Papa Francesco ha raccomandato ai fedeli: “Non chiudiamoci alla novità che Dio vuole portare nella nostra vita!”. “Trovare chiuse le porte” è una “tra le esperienze più negative degli ultimi decenni”, mentre le “porte che restano aperte” sono “simbolo di luce, amicizia, gioia, libertà, fiducia”. Ha inizio con questa contrapposizione la lettera intitolata “Varcare la soglia della fede” (40 pagine, 5 euro), che il cardinale Jorge Mario Bergoglio rivolgeva all’arcidiocesi di Buenos Aires per l’Anno della Fede. “La crescente insicurezza ha portato a poco a poco a sbarrare le porte – osservava il cardinale Bergoglio in un passaggio –, a collocare sistemi di vigilanza, telecamere di sicurezza, a diffidare degli estranei che bussano alla nostra porta”. E proseguiva: “La sicurezza di alcune porte blindate custodisce l’insicurezza di una vita che diventa più fragile e meno sensibile alle ricchezze della vita e dell’amore degli altri”. “La porta chiusa ci danneggia, ci atrofizza, ci separa”, notava il cardinale. Nel cammino della vita si passa “dinanzi a tante porte”, molte delle quali ci rivolgono un invito “allettante ma menzognero a inoltrarvisi”, promettendo “una felicità vuota, narcisistica e con scadenza stabilita”, o conducendo a “crocevia” dove si troveranno “angoscia e disorientamento”. “Gesù è la porta – ricordava però Bergoglio, oggi Papa Francesco –. Lui, e solo Lui, è e sarà sempre la porta”, che “ci apre la strada verso Dio e come Buon Pastore è l’Unico che si prende cura di noi a costo della sua vita”.
Tante le risposte alla domanda: “In che consiste la sfida del varcare la soglia della fede?”. Tra esse appare l’invito a non cadere nel “disfattismo paralizzante”, ma a “pensare il nuovo, apportare il nuovo, creare il nuovo, impastando la vita con il nuovo lievito della giustizia e della santità”, l’esortazione ad “avvicinarsi a chiunque viva alla periferia della vita e chiamarlo col proprio nome”, e quella ad essere “Chiesa dalle porte aperte non solo per accogliere, ma fondamentalmente per uscire fuori e riempire con il Vangelo le strade e la vita degli uomini del nostro tempo”. Infine un testo nato in vista della celebrazione del secondo centenario dell’Argentina, “Noi come cittadini, noi come popolo. Verso un bicentenario in giustizia e solidarietà (2011-2016)”, coedito da Lev e Jaca Book, che ripropone un intervento tenuto dall’allora cardinale Jorge Mario Bergoglio in occasione della XIII Giornata di Pastorale Sociale, organizzata dalla Commissione di Pastorale Sociale dell’Arcidiocesi di Buenos Aires e svoltasi nel santuario di San Cayetano de Liniers il 16 ottobre 2010 (96 pagine, 9 euro). “La storia la costruiscono le generazioni che si succedono nell’ambito di un popolo in cammino” annotava nella sua introduzione il cardinale Bergoglio. Un popolo “che lotta per un senso, che lotta per un destino, che lotta per vivere con dignità”. All’inizio dell’intervento dedicato al bicentenario nazionale, il cardinale premette che “il sistema democratico è l’orizzonte e lo stile di vita che abbiamo scelto di avere e in esso dobbiamo dirimere le nostre differenze e trovare i nostri consensi”.
Osserva che “in quanto dirigenti, spesso non siamo stati all’altezza delle sfide che abbiamo dovuto affrontare”, mentre “la nostra politica spesso non si è messa in modo deciso al servizio del bene comune”, trasformandosi invece “in uno strumento di lotta per un potere asservito a interessi individuali e settoriali; di conquista di posti e spazi più che di gestione di processi”. Essa inoltre “non ha saputo, non ha voluto o non ha potuto mettere limiti, contrappesi, equilibri al capitale per sradicare la disuguaglianza e la povertà, che sono i flagelli più gravi di questo momento storico”. Sulla dimensione relazionale prevale piuttosto un “individualismo asociale e amorale”. Bergoglio ricorda però che bisogna “recuperare sempre più concretamente la propria identità personale come cittadino”, entrando a far parte di “un ordinamento, finalizzato al bene comune”, di una comunità nella quale “ciascuno ha un munus, un ufficio, un compito, un obbligo, un darsi, un impegnarsi, un dedicarsi agli altri”. La piena identità di cittadino si acquisisce nell’appartenenza a un popolo, cioè “la cittadinanza impegnata, riflessiva, consapevole e unita in vista di un obiettivo o un progetto comune”. In tale prospettiva, la riflessione sul cittadino “culmina sempre in vocazione politica, nella chiamata a costruire con altri un popolo-nazione, un’esperienza di vita in comune attorno a valori e princìpi, a una storia, a costumi, lingua, fede, cause e sogni condivisi…”. Essendo chiamato a contribuire al bene comune, il cittadino “per ciò stesso fa politica, che, secondo il magistero pontificio, è una forma alta della carità”. E nel cittadino sono inseparabili “le tre categorie fondamentali dell’essere che i filosofi chiamano i trascendentali: la verità, la bontà e la bellezza”.
Essere cittadini significa essere “chiamati a una lotta, a questa lotta di appartenenza a una società e a un popolo. Smettere di essere mucchio, di essere gente massificata, per essere persone, per essere società, per essere popolo”. Due i nemici della lotta: il “menefreghismo” e la “lamentela”. Il cammino da percorrere consiste, secondo Bergoglio, nella “riuscita di una cultura dell’incontro che privilegi il dialogo come metodo, la ricerca condivisa di consensi, di accordi, di ciò che unisce invece che di ciò che divide e contrappone”. Deve esserne autore “un soggetto storico che sia il popolo e la sua cultura, non una classe, una parte, un gruppo o un’élite”. Il bicentenario è allora “l’occasione per fissare politiche di Stato su temi che devono essere sottratti al congiunturalismo e alle pressioni politiche: i temi dell’educazione, della salute, del lavoro e della sicurezza”. Questo l’appello finale dell’arcivescovo: “Dobbiamo recuperare la missione fondamentale dello Stato, che è quella di assicurare la giustizia e un ordine sociale giusto al fine di garantire ad ognuno la sua parte di beni comuni”.