“Made in China”. La censura del regime di Pechino su Wuhan e il modello di produzione comunista cinese. La verità va raccontata

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Condividiamo due articoli, che sono stati segnalati ieri su Twitter, uno seguito dall’altro (vorrà pur dire qualcosa… il caso non esiste).
Il primo articolo è ripreso da Tempi.it Medico di Wuhan. «Sapevo dell’epidemia: mi hanno impedito di dare l’allarme. L’Oms ha appoggiato la Cina senza prove», con la denuncia della censura imposta dal regime, quando il Sars-CoV-2 (ovvero, virus cinese di Wuhan) si poteva ancora fermare. Nella Nota [1] abbiamo aggiunto due articoli da Inside Over: il prima di un anno fa, del 25 gennaio 2020 Virus cinese. Nel mercato di Wuhan si vendevano anche koala, salamandre e topi e il secondo di ieri, del 26 gennaio 2021 Cosa accadeva in Italia quando il virus sembrava lontano.

Il mercato di Huanan a Wuhan.

Medico di Wuhan. «Sapevo dell’epidemia: mi hanno impedito di dare l’allarme». L’Oms ha appoggiato la Cina senza prove
di Leone Grotti
Tempi.it, 26 gennaio 2021

Il 10 gennaio l’ospedale di Wuhan, a pochi chilometri dal mercato di Huanan [1], considerato l’epicentro della pandemia di coronavirus, era strapieno di malati ma il governo cinese impedì ai medici non solo di dirlo, ma anche di portare la mascherina. È quanto dichiara per la prima volta un medico dell’ospedale alla Bbc in un nuovo documentario che sarà trasmesso stasera. «La situazione era fuori controllo e siamo andati nel panico».

«TUTTI SAPEVAMO»

Al 10 gennaio il governo aveva dichiarato ufficialmente appena 41 casi di coronavirus e, sostenuto dall’Oms, continuava a ripetere che il morbo non poteva trasmettersi da persona a persona. Ecco perché impedirono ai medici di portare le mascherine. Peccato che «tutti sapevamo che si trasmetteva da persona a persona, anche un pazzo l’avrebbe saputo. Questo ci ha gettato in uno stato di confusione e rabbia». Nel giro di pochi giorni, gli infettati diventarono centinaia di migliaia.

Anche il medico intervistato dalla Bbc spiega che le autorità dell’ospedale gli vietarono di mettere in guardia la popolazione di Wuhan e il paese intero dal pericolo. Analoghi tentativi a fine dicembre da parte dei dottori Li Wenliang e Ai Fen erano finiti allo stesso modo: minacce da parte del comitato di Partito interno all’ospedale, obbligo di tacere e di ritrattare le dichiarazioni fatte in precedenza.

«LA VERA STORIA VA RACCONTATA»

Pechino ammise la verità sulla trasmissione del virus soltanto il 20 gennaio ma ormai era tardi. Il 23 gennaio, quando Wuhan entrò in lockdown, l’ospedale centrale di Wuhan riceveva già 2.500 pazienti al giorno. «Molti pazienti avrebbero potuto non morire. Ma noi non potevamo fare nulla, non avevamo risorse a sufficienza», spiega ancora il dottore alla Bbc. «Credo che la vera storia di come è andata vada raccontata. Dobbiamo imparare dagli errori fatti perché tutto ciò non accada di nuovo».

Il documentario della Bbc, però, non mette sotto accusa soltanto il regime comunista, che ha sacrificato alla ragione di Stato milioni di persone, permettendo al virus di diffondersi in tutto il mondo. Sul banco degli imputati infatti c’è anche l’Organizzazione mondiale della sanità, che ha inspiegabilmente spalleggiato la Cina durante la prima fase della pandemia (e anche dopo). L’Oms infatti ha continuato a dire che non c’era alcun pericolo di trasmissione del virus nonostante non avesse alcuna prova, solo per non contraddire Pechino.

LE GRAVI COLPE DELL’OMS

In un audio degli incontri interni dell’Oms, ottenuto dall’Associated Press e che sarà trasmesso stasera dalla Bbc, i funzionari discutono di quanto il virus assomigli alla Sars e di come «stiano disperatamente cercando di ottenere notizie dalla Cina». Il responsabile delle emergenze all’Oms, Michael Ryan, dichiara in uno di questi incontri nei primi giorni di gennaio: «Non possiamo dire che non c’è evidenza di trasmissione umana. Dobbiamo vedere noi i dati, dobbiamo essere in grado di determinare da noi stessi la distribuzione geografica, la tempistica e tutto quanto». Per tutta risposta, il giorno seguente l’Oms tornò a ripetere che non c’era pericolo, elogiando la risposta della Cina, proprio mentre il governo zittiva con la forza un altro medico che voleva rivelare a Wuhan la verità.

Tutti coloro che, in politica e sui media, elogiano il “modello cinese” e non si preoccupano della progressiva conquista di posti di potere da parte di Pechino negli organismi internazionali dovrebbero ricordarsi che è proprio il sistema autoritario del regime comunista ad aver permesso che il virus si diffondesse in tutto il mondo, non solo mettendo a tacere i propri medici, ma approfittando del silenzio inspiegabile e complice dell’Oms.

Poi, il secondo articolo è ripreso da Farodiroma.it, il bergogliano-cinquestellato house organ del Domus Santae Marthae (sede di Francesco) e del Campidoglio (sede della “bella Raggi”, come la chiamano loro) La Cina affronta il futuro nella continuità della transizione con la pianificazione socialista: luci ed ombre, che è un’offesa all’intelligenza degli attenti lettori. Potrebbe andare benissimo per gli analfabeti funzionali, ma non per coloro che la storia hanno studiato per davvero. È proprio come disse Italo Calvino: “Un paese che demolisce l’istruzione è già governato da quelli che dalla diffusione del sapere hanno solo da perdere”. Per i nostri attenti (e istruiti) lettori non serve un commento per capire che si tratta di un elogio del regime che governa in modo dittatoriale la Cina continentale, sul solco tracciato da Mons. Marcelo Sánchez Sorondo, Cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze, che arrivò a dichiarare: “In questo momento, quelli che realizzano meglio la dottrina sociale della Chiesa sono i cinesi”.

Può bastare – insieme all’articolo ripreso da Tempi.it – il tweet che segue, per inquadrare il pedissequo elogio di un regime totalitario sanguinario, a cui il Faro di Roma ha dato ospitalità e spazio. Non serve altro: «”Made in China”, Amelia Pang racconta come la Cina sta sfruttando i suoi deportati nei campi di rieducazione e di lavoro. Degli uiguri non si butta via niente e anche i loro capelli vengono commercializzati. E a noi va bene così, cercavamo manodopera e merci a basso costo» (Giulio Meotti – Twitter, 26 gennaio 2021) [2].

Il Giorno della Memoria serve affinché le atrocità del passato non si ripetano. Ma forse stiamo già dimenticando? Questo è un campo di detenzione in Cina. Anno 2020 (Dutch Uyghur Human Rights Foundation).
Chi sono gli uiguri e perché vengono perseguitati e repressi.

La Cina affronta il futuro nella continuità della transizione con la pianificazione socialista: luci ed ombre
di Luciano Vasapollo
Farodiroma.it, 26 gennaio 2021

Il Presidente attuale Xi Jinping si caratterizza spiccatamente per la sua guida in una fase in cui la Cina passa da uno stato di fortissimo sviluppo all’esercizio di uno status di potenza internazionale. Egli assume in sé le caratteristiche dell’innovatore nella continuità politica.

Proprio la continuità ideologica lo distingue, agli esordi della sua ascesa a Presidente (dopo essere stato vicepresidente del paese): secondo quanto riferito dal New York Times, egli in uno dei suoi primi viaggi e colloqui con i vertici del paese identificò le ragioni del collasso sovietico nello sgretolamento delle idee e dei valori del socialismo, dichiarando contestualmente la volontà del loro recupero e della loro ispirazione. In occasione della XX riunione dell’Ufficio Politico del CC del Parto Comunista Cinese, il Presidente Xi ha posto in particolar modo tracciato la continuità teorica del materialismo dialettico nello sviluppo della politica dei comunisti cinesi, da Mao a Xi appunto, affermando «il materialismo dialettico è la visione del mondo e la metodologia dei comunisti cinesi».

I fondamenti della dialettica del materialismo prendono le mosse, citando Engels, dall’universalismo della materia che unisce il mondo intero, che innerva l’oggettività delle cose da cui partire per l’analisi e per delineare e prospettive, in luogo del soggettivismo. Proprio a partire dalla quella concretezza e materialità dell’analisi, viene ribadito il concetto dello stato primario di costruzione del socialismo esistente nella Cina popolare e della non brevità della fase iniziale della transizione. Il rifiuto del soggettivismo, dell’estetica dei proclami irrealistici sono alla base di questa visione, che non è nuova alla cultura politica e di governo cinese, notoriamente espressa nella formula “attraversare il fiume tastando le pietre” applicata specialmente alle valutazioni e alle scelte economiche nazionali.

La robustezza degli ideali, la loro prosperità, lo studio e la formazione ideologica attraverso i fondamentali del marxismo sono gli strumenti per collegare dialetticamente la coscienza con la realtà materiale, la dimensione dialettica mentale e quella materiale.

Come già ricordato, l’eredità della teoria della contraddizione principale di Mao è un elemento propulsore dell’evoluzione delle cose e della realtà, essa è la chiave interpretativa fondamentale per descrivere lo sviluppo e la prassi cinese. Le contraddizioni sono, in questa accezione, sinonimi dei problemi: di quelli antichi e di quelli nuovi sorti dal superamento di quelli precedenti. Questi problemi, secondo l’elaborazione dialettica, necessitano di un approccio diretto, di nessun mascheramento o dissimulazione, proprio in quanto elementi fondamentali di una visione prospettica dello sviluppo storico. Questo concetto risulta di grande interesse tanto più a fronte del funzionamento reale del capitalismo, il quale dissimula la propria crisi, rifiuta di prendere atto dei propri limiti poiché essi necessariamente implicano il suo superamento.

La dissimulazione del capitalismo implica necessariamente la non soluzione dei problemi, anzi, il loro ingrandimento. Il materialismo dialettico implica il rifiuto dell’astrattismo, della metafisica implicante “il minimo sforzo”, perché non sottoposta alla prova della realtà. Viceversa, l’oggettività e il materialismo sono gli strumenti per la comprensione della realtà in continuo divenire, ma in modo sistematico.

Allo sviluppo delle forze produttive, la leadership di Xi Jinping ha legato i problemi della qualità dello sviluppo, della necessità di nuovi e diversi strumenti di calcolo della prosperità economica rispetto al PIL, della promozione della civiltà ecologica, del governo fondato sulla legge, cioè della rule of law. Sotto questo ultimo aspetto, l’elaborazione cinese afferma l’unità organica tra guida del partito e popolo, come padrone del destino suo e del proprio paese. La Costituzione cinese è intesa, in questo quadro, come legge fondamentale che rispecchia i risultati conquistati dalla leadership del PCC nella espressione della propria funzione di guida e di direzione popolare.

Governo del PCC e, per esso, del popolo con la garanzia di effettività rappresentata dalla legge sono elementi fondamentali di quella che lo stesso Xi ha definito “democrazia socialista”. Il governo del Partito Comunista, in quest’ottica è fattore d’assicurazione e garanzia del governo effettivo del popolo cinese, con a fondamento la legge che guida il popolo nell’esercizio del suo potere di governo.

Ciò, tuttavia, è possibile solo rimuovendo e non accettando la scissione tra teoria e pratica, guidando quest’ultima sotto la direzione della teoria, rifiutando il dogmatismo, poiché la teoria, al pari della pratica presuppone non immutabilità, ma l’innovazione nella continuità.

Questa capacità di innovazione nella continuità, pur presentando elementi controversi la stessa permanenza del conflitto continuo tra mercato e socialismo, è sicuramente l’elemento fondamentale che ha consentito di pianificare il futuro cinese in una prospettiva, di raggiungere nel 2020 una “società moderatamente prospera”, sulla base di quanto indicato dal tredicesimo piano quinquennale approvato nel 2016, e, come ha affermato nel discorso di fine anno del 2019 dallo stesso Xi Jinping, di affrontare in modo radicale la questione della sconfitta della povertà in Cina, dopo aver emancipato – in “un processo epico” per usare le parole del filosofo Domenico Losurdo – dalla povertà circa 800 milioni di persone dagli anni ‘80, ed, inoltre, ridurre entro limiti socialmente accettabili i livelli di inquinamento.

La capacità di individuazione delle tappe dello sviluppo cinese si spinge anche a prefigurare, nel 2035, la Cina come un paese socialista moderno e a considerare conclusa la prima parte della transizione al socialismo, e, nel 2049 (a cento anni dalla fondazione della RPC) di divenire un paese socialista potente e prospero. Come h affermato lo stesso Xi Jinping: oggi, più che mai, il processo di ringiovanimento complessivo della società cinese appare prossimo e a portata di mano.

L’elemento di garanzia per il perseguimento degli obiettivi fondamentali della società è rappresentato dal Partito Comunista, il suo ancoraggio al marxismo-leninismo è pienamente affermato nella direzione di Xi, al pari della difesa della “purezza” del suo corredo ideologico, come strumento funzionale all’esercizio della direzione generale e complessiva della società in ogni settore, e della selezione ferocemente meritocratica e contraria ad ogni indulgenza corruttiva.

Della centralità nel pensiero del Presidente cinese della lotta ideologica per la conservazione della purezza ideologica del socialismo con caratteristiche cinesi contro l’opera delle forze occidentali anticinesi viene dato atto, con allarme, anche in Occidente. Lo stesso Financial Times si preoccupa di evidenziare il quadro in cui questa battaglia è alimentata dalla leadership cinese: secondo un virgolettato attribuito a Xi Jinping riportato dal giornale economico internazionale, «il capitalismo sta inevitabilmente morendo e il socialismo sta inevitabilmente vincendo».

Del carattere sistemico della crisi capitalistica si è già accennato. Va altresì sottolineato che parliamo da tempo di crisi sistemica poiché la strutturalità e globalità della crisi rende evidente la tendenza alla caduta del saggio di profitto nei paesi più sviluppati, o meglio da noi sempre definiti paesi a capitalismo maturo. È chiara l’evidenza in questo caso dell’enorme distruzione di “forze produttive in esubero”, siano esse forza lavoro o capitale come esplicitazione di forma di lavoro anticipato, e quindi non vi non siano più le condizioni per ripristinare un nuovo modello di valorizzazione del capitale che sappia dare la “giusta” redditività agli investimenti e quindi creare possibilità per un nuovo processo di accumulazione capitalista, anche attraverso il cambiamento del modello di produzione.

Il mercato di Huanan a Wuhan.

[1] Origine e cronistoria

Virus cinese. Nel mercato di Wuhan si vendevano anche koala, salamandre e topi
di Federico Giuliani
Iside Over, 25 gennaio 2020

In molti si interrogano sul perché il nuovo coronavirus cinese sia partito proprio dalla città di Wuhan, in Cina centrale.

Il direttore del Center for Infectious Disease Research and Policy dell’Università del Minnesota, Michael Osterholm, ha spiegato sulle pagine del Wall Street Journal che il capoluogo della provincia dello Hubei ospita tutti gli ingredienti per un’epidemia perfetta: “È una città densamente popolata, con numerosi mercati di animali vivi dove si mescolano persone, maiali, pipistrelli o altri mammiferi potenzialmente infetti”. Per la cronaca, stiamo parlando di un centro urbano di 11 milioni di abitanti.

In ogni caso il South China Morning Post ha cercato di approfondire la questione per capire cosa diavolo accadesse quotidianamente nel mercato del pesce di Huanan, a Wuhan. Ebbene, è emerso che, accanto a pesci e frutti di mare, in quel luogo si vendessero Koala, serpenti, topi, cuccioli di lupo. E ancora: tartarughe, salamandre, pavoni e perfino porcospini. Tutte queste specie citate erano esposte nei giorni scorsi al mercato di Wuhan, luogo da dove si sarebbe generata l’epidemia di coronavirus.

Gli animali venduti nel mercato di Wuhan

Animali del genere, vivi e venduti come prodotti alimentari, potrebbero aver giocato un ruolo chiave nella propagazione della pandemia che ha messo in ginocchio la Cina. D’altronde le pubblicità esposte tra i banchetti reclamizzavano la vendita di volpi, coccodrilli ma anche altre bestie particolari e rischiose per le più basilari norme igienico sanitarie. Gli animali erano destinati ad essere uccisi e cucinati dai clienti in un secondo momento.

Su Weibo, un social molto popolare oltre la Muraglia, numerosi utenti hanno scritto messaggi inequivocabili: “Si mangiavano anche i koala. Non c’è niente che i cinesi non mangerebbero”. Il risultato è che adesso c’è un virus che sta circolando a ritmi da record in tutta la nazione cinese e sta allarmando il mondo intero. Pechino ha imposto il blocco di 13 città per un totale di 40 milioni di persone in “isolamento”.

Le ipotesi in circolazione

L’origine del coronavirus non è ancora nota. Circolano varie ipotesi. Alcuni scienziati cinesi hanno puntato il dito contro i serpenti, i quali, dopo essere stati infetti dai pipistrelli, avrebbero trasmesso il morbo – nel frattempo mutato – all’essere umano.

“I risultati della nostra analisi evoluzionistica – affermano gli studiosi – suggeriscono per la prima volta che il serpente è il più probabile animale selvatico serbatoio del virus 2019-nCoV”.

Altri si dicono scettici. Stando a quanto affermato da David Robertson, un virologo dell’Università di Glasgow, “nulla supporta il coinvolgimento dei serpenti. Ci vuole molto tempo perché questo processo si svolga. Mancano prove che i serpenti possano essere infettati da questo nuovo coronavirus e fungere da ospite”.

Anche Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dello Spallanzani, è dello stesso avviso di Robertson: “La trasmissione del coronavirus dai serpenti è stata esclusa. Questo virus, per essere trasmesso ha bisogno dei mammiferi e non dei rettili”.

I chirotteri (Chiroptera Blumenbach, 1779) sono un ordine di mammiferi placentati comunemente noti come pipistrelli. È il secondo gruppo di mammiferi più numeroso dopo i roditori, comprendendo circa il 20% delle specie descritte.

Altri ipotizzano che dietro l’epidemia di polmonite possa esserci un errore umano capitato al Wuhan National Biosafety Laboratory, una struttura situata proprio a Wuhan dove vengono studiati gli agenti patogeni più pericolosi al mondo.

Cosa accadeva in Italia quando il virus sembrava lontano
di Mauro Indelicato e Sofia Dinolfo
Inside Over, 26 gennaio 2021

Era il 23 gennaio 2020 quando a Wuhan scoppiava l’emergenza sanitaria legata al nuovo coronavirus con il governo cinese che per la prima volta metteva in quarantena 11 milioni di persone. Nel frattempo in Italia si assisteva alle notizie provenienti dalla Cina con una certa inerzia, come se si stesse guardando un film che non appartenesse alla realtà più vicina. Il nostro Paese in quei giorni proseguiva la sua vita quotidiana interessandosi di sport, gossip e politica. Fino ad allora, nessun allarme sanitario. Eppure il “mostro” lo avevamo già in casa, quando ce ne siamo accorti nel febbraio successivo era già troppo tardi.

Quel lockdown in Cina visto da lontano

Dal mercato di Wuhan all’intera metropoli è stato un attimo: il Sars-Cov-2 ha corso velocemente facendo ingolfare gli ospedali e dando inizio alla conta irrefrenabile dei morti rendendo dunque necessaria l’applicazione di misure restrittive per domare i contagi. È stato così che il 23 gennaio del 2020 si è sentito parlare per la prima volta di lockdown, la misura più restrittiva di contenimento che obbligava tutti a stare in casa. L’annuncio, avvenuto alle due del mattino, ha stravolto le abitudini di un popolo attivo trasformando i luoghi pubblici in deserti. Le immagini registrate dai droni e trasmesse in tutto il mondo rabbrividivano gli spettatori. La Cina viveva il suo dramma mentre gli altri Paesi osservavano attoniti a quello che stava accadendo. Immagini surreali che provocavano la sensazione di assistere alle scene drammatiche di un film: staccando gli occhi dai media le persone tornavano a vivere la propria quotidianità senza immaginare quello che sarebbe accaduto poco dopo.

In Italia la prima scossa che ha fatto scattare l’allarme è arrivata il 29 gennaio con la coppia dei cinesi soccorsa e ricoverata allo Spallanzani di Roma. Scampato il primo pericolo, anche l’Italia si apprestava a divenire protagonista inconsapevole dell’emergenza coronavirus.

L’Italia del gossip

Cosa accadeva sul territorio nazionale mentre il Covid-19 iniziava a correre indisturbato? Era il primo gennaio 2020 quando è stato proiettato per la prima volta nei cinema il film “Tolo Tolo” di Checco Zalone. Campione di incassi con i botteghini sempre pieni, l’ultimo lavoro del comico pugliese ha fatto ben sperare al settore cinematografico per l’avvio di una stagione positiva, mentre gli italiani si dividevano in due correnti in merito a cosa fosse politicamente corretto e cosa no dentro a quel film che parlava di immigrazione. Le polemiche ci hanno fatto compagnia per tutto il mese di gennaio. In quello stesso periodo un evento clamoroso ha acceso i riflettori del gossip italiano verso il Regno Unito e le questioni legate alla famiglia reale. Il principe Harry e la moglie Meghan avevano annunciato su Instagram la loro decisione di trasferirsi nel nord America staccandosi dalla Royal Family. Il fatto chiamato “Megxit”, rievocando con un gioco di parole la Brexit, ha animato tutti i salotti televisivi e i media in generale.

Ma se c’è un evento che ogni anno a febbraio unisce gli italiani a dire la propria, è Sanremo. Anche lo scorso anno, dal 4 all’8 febbraio, il concorso canoro più atteso e discusso di sempre ha tenuto impegnati i cittadini nella condivisione di curiosità e meme. In quest’ultimo caso, quello che ha spopolato sul web, è stato l’interrogativo sul destino del cantante Bugo dopo l’interruzione in diretta dell’esibizione con il collega Morgan che è valsa la squalifica dei due. Dal “Che fine ha fatto Bugo?” si è passati ai commenti sul twerk di Elettra Lamborghini che in tanti hanno cercato di imitare senza però riuscirvi. Per i più romantici occhi puntati alle questioni sentimentali del vincitore Diodato: per alcuni giorni non si è compreso se la canzone fosse stata una dedica all’ex Levante o meno. Il virus era in Italia e, inconsapevoli di questo, le questioni di maggior interesse erano altre.

Quella partita che ha spedito un intero territorio all’inferno

In un Paese calciofilo come il nostro, ovviamente anche un anno fa si pensava al mondo del pallone. A gennaio i tifosi trattengono il fiato più per il mercato di riparazione che per le partite. E mentre a Wuhan a inizio 2020 esplodeva definitivamente la bomba epidemiologica, in Italia la bomba che più ha fatto clamore in quel periodo è stata rappresentata dal ritorno di Zlatan Ibrahimovic al Milan. Il calciatore svedese prometteva di far tornare le folle delle grandi occasioni sugli spalti di San Siro. Spalti che però, da lì a breve, saranno destinati ad essere vuoti. Il campionato di Serie A sarà tra i primi a fermarsi a causa dell’avvento della pandemia. Una delle ultime partite con pubblico al seguito ospitate dal “tempio” del calcio milanese, ha riguardato la squadra bergamasca dell’Atalanta.

I nerazzurri per la loro prima esperienza in Champions League dovevano giocare proprio a San Siro. Il 19 febbraio il match Atalanta – Valencia ha rappresentato il coronamento di un sogno di un intero territorio: i bergamaschi, con più di 45mila tifosi arrivati a Milano, hanno battuto nettamente gli spagnoli. Una festa che però ha contribuito ad alimentare l’imminente emergenza sanitaria. I primi di marzo, come hanno sottolineato ne “Il Libro nero del Coronavirus” Andrea Indini e Giuseppe De Lorenzo, la provincia di Bergamo è già cinta d’assedio dal virus. Per molti virologi non c’è alcun dubbio: il morbo in quel momento era già presente in Lombardia e il match di Champions ha fatto da detonatore dell’epidemia. Quanto accaduto a San Siro potrebbe essere preso come emblema dell’Italia di un anno fa: un Paese ancora in vita, con la mente rivolta alla sua quotidianità, che non sapeva di avere in casa quel “mostro” destinato a stravolgerlo per sempre.

E c’era chi diceva di non preoccuparsi

Qual era invece lo scenario politico nell’Italia pre Covid? A Roma i fari erano puntati soprattutto sull’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini. Tra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio, le questioni principali hanno riguardato i procedimenti giudiziari del segretario del carroccio. Il 20 gennaio infatti, la giunta per le immunità del Senato ha dato il primo via libera per il processo contro Salvini sul caso Gregoretti, mentre il 12 febbraio palazzo Madama ha dato il disco verde definitivo. Nel frattempo, il primo febbraio è stato lo stesso Salvini ad annunciare un rinvio a giudizio sul caso Open Arms. La politica quindi era ancora caratterizzata dall’onda lunga degli strascichi che nell’estate precedente avevano portato alla fine del governo Conte I. In parlamento di quanto accadeva a Wuhan se ne parlava molto poco. I discorsi legati al Covid sono arrivati nei palazzi romani solo dopo la proclamazione dello stato d’emergenza sanitaria, dichiarato il 30 gennaio. Ma non era uno degli argomenti centrali.

Anche perché a livello mediatico si invocava prudenza: “In Italia il rischio è 0. Il virus non circola – commentava il virologo Roberto Burioni a “Che Tempo Che Fa” su Raidue il 2 febbraio 2020 – Questo non avviene per caso: avviene perché si stanno prendendo delle precauzioni”. Tutto quindi andava bene. Anzi, il vero pericolo sottolineato riguardava i pregiudizi verso i cinesi. Il primo febbraio, il sindaco di Firenze Dario Nardella è stato tra i primi politici a lanciare l’hastag #abbracciauncinese. Ecco il “diario” dell’Italia di un anno fa, ecco la cronaca di un Paese che giudicava lontana l’emergenza nata a Wuhan. Il 21 febbraio, con il primo caso di Covid rintracciato a Codogno, gli italiani si sveglieranno in una realtà ben diversa.

[2] Made in China: A Prisoner, an SOS Letter, and the Hidden Cost of America’s Cheap Goods [Made in China: un prigioniero, una lettera SOS e il costo nascosto dei beni a buon mercato americani] di Amelia Pang, in uscita il 2 febbraio 2021 (Algonquin Books, 288 pagine).

Amelia Pang è una giornalista pluripremiata che ha scritto per pubblicazioni come Mother Jones e New Republic. Ha trattato argomenti che vanno dalle importazioni organiche fraudolenti al fenomeno della violenza sessuale nelle riserve dei nativi americani. Nel 2017, il Los Angeles Press Club le ha assegnato il primo posto nel giornalismo investigativo per i suoi reportage sotto copertura sullo sfruttamento degli immigrati di contrabbando reclutati per lavorare nei ristoranti cinesi. Amelia è cresciuta in una famiglia di lingua mandarino nel Maryland e ha conseguito una laurea in studi letterari presso la New School. Vive vicino a Washington, DC, con suo marito, un agricoltore biologico. Questo è il suo primo libro.

Scopriamo con Amelia Wang la verità dietro i beni a buon mercato “Made in China”

Nel 2012, una madre dell’Oregon di nome Julie Keith aprì un pacchetto di decorazioni di Halloween. Gli oggetti di gommapiuma a buon mercato erano stati costati cinque dollari alla Kmart, un affare troppo buono per lasciarselo sfuggire. Ma quando ha aperto la scatola, è uscito qualcosa di scioccante: una lettera SOS, scritta a mano in un inglese stentato: “Sir: If you occassionally buy this product, please kindly resend this letter to the World Human Right Organization. Thousands people here who are under the persicuton of the Chinese Communist Party Government will thank and remember you forever” [Signore: Se occasionalmente acquisti questo prodotto, ti preghiamo gentilmente di girare questa lettera all’Organizzazione mondiale per i diritti umani. Migliaia di persone qui che sono sotto la persecuzione del governo del Partito Comunista Cinese ti ringrazieranno e ti ricorderanno per sempre].

L’autore della nota, Sun Yi, era un mite ingegnere cinese diventato prigioniero politico, costretto a un lavoro estenuante, a causa della campagna per la libertà di aderire a un movimento di meditazione proibito. È stato imprigionato insieme a criminali comuni, attivisti per i diritti civili e decine di migliaia di altri che il governo cinese aveva deciso di “rieducare”, scolpendo oggetti di gommapiuma e cucendo vestiti per più di quindici ore al giorno.

In Made in China, la giornalista investigativa Amelia Pang alza il sipario sulla storia di Sun e sulle storie di altri come lui, compreso il gruppo di minoranza uigura perseguitata, il cui abuso e sfruttamento sta rapidamente raccogliendo velocità. Ciò che rivela è una rete strettamente sorvegliata di laogai – campi di lavoro forzato – che alimenta il rapido ritmo del consumismo americano. Attraverso ampie interviste e reportage di prima mano, Pang dimostra il vero motivo del boom economico “socialista” della Cina continentale e il vero costo dei beni economici americani. Pang condivide quello che in definitiva è un invito all’azione, esortando a fare più domande e chiedere più risposte dalle aziende della Cina comunista che l’America patrocina.

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