Caso Marogna: “Imminente” il giudizio in Vaticano. Una velina del Vatinculpop. Ma neanche l’ombra del processo 60SA che dovrebbe riguardare sei ex-funzionari della Santa Sede

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Analizzare significa essere persone devote e con la particolare devozione di porre fatti e situazioni sotto la lente (come disse Papa Francesco in riferimento al suo Segretario di Stato). E noi, che ci riteniamo devoti della lente, analizziamo. Così facendo, lo Staff del Blog dell’Editore passa le serate frenetiche da smartworking, in equilibrio tra lavoro, vita privata, affetti cari, animali domestici, vicini rumorosi, video conferenze, crisi di governo e assalti a Capitol Hill. Ma lo Staff senza indugio continua imperterrito a tenere sott’occhio gli abusi transoceanici in entrambi gli emisferi, ma anche quelli d’Oltretevere, che travestiti da “invito” candidamente vengono rivolti con gesti divenuti tutto d’un tratto educati, da distinto ossequio, nei confronti di cittadini italiani sollecitati gentilmente a raggiungere il vaticano.

E così mi sono trovato questa mattina a colazione, insieme ad un riassunto-sintesi degli argomenti di cui ci siamo occupati con cronaca, analisi e ipotesi, il suggerimento del mio Staff del Blog dell’Editore di ritornarci su, perché repetita iuvant… e l’ho accolto, dedicandoci la giornata. Erano allegati anche tre articoli, che riporto di seguito:
Il Vaticano non chiede più l’estradizione. Arrestata per niente l’assistente di Becciu (Brunella Bolloli – Libero, 19 gennaio 2021)
Papa Francesco, le sue riforme stanno migliorando il sistema vaticano? (Andrea Gagliarducci – Monday Vatican, 18 gennaio 2021)
Il caso Shalabayeva. Deportazione di cittadino straniero e diritti dell’uomo (Fonte Report Rai 3 e Rai News)

Prima di augurare i nostri attenti lettori buona lettura, ricordo i nostri articoli di ieri:
Il Mediagate Vaticano. Il Papa richiama all’ordine i suoi “addetti stampa”. Ruffini e Tornielli non dormono sereni (Vik van Brantegem)
Australian Gate/Mediagate Vaticano. Il Papa rimprovera la comunicazione della Santa Sede, che svela dati riservati (Ivo Pincara)
Caso Marogna. Per il Vaticano figura pessima mondiale e pure bella grossa. Vuoto legislativo incolmabile nello Stato pontificio (Vik van Brantegem)

Manca la Repubblica, Il Messaggero, Quotidiano Nazionale. Avvenire c’è, ma pessimo. Libero è l’unico quotidiano che si discosta dalla velina del Vatinculpop.

Riassunto-sintesi

L’Italia spesso e volentieri viene – anche ingiustamente – bistrattata sotto molti profili. Questa volta però puntualmente l’Italia istituzionale ha risposto picche allo Stato della Città del Vaticano (chissà, con il Presidente del Consiglio dei ministri “distratto” con crisi, inciuci, fiducia – sulle istanze “illegittime” riferite al caso Marogna, attraverso la Corte d’Appello di Milano su disposizione del Ministero di Grazia e Giustizia. A differenza di come la magistratura vaticana invece inizialmente aveva proceduto all’ordine di arresto e seguito dall’illegittima detenzione. L’istanza giudiziaria vaticana era passata insolitamente soltanto dall’Ufficio del Promotore di Giustizia (pubblico ministero), sorvolando la convalida dall’Ufficio del Giudice per le indagini preliminari. E questo dopo che era stato chiesto addirittura sin dalle prime ore dopo l’arresto, l’estradizione dall’Italia in Vaticano per Cecilia Marogna. Ma ieri il Tribunale dello Stato della Città del Vaticano, su istanza dell’Ufficio del Promotore di Giustizia, ha stranamente formulato la richiesta di revoca della misura cautelare. Questo dietrofront qualcosa vorrà pur dire.

Sicuramente lo Stato della Città del Vaticano ha comunicato urbi et orbi un fatto sensazionale e cioè che è imminente la celebrazione del giudizio [1]. Quindi, il Tribunale dello Stato della Città del Vaticano ha voluto far credere a Cecilia Marogna che il suo processo è pronto a partire e che manca solo lei. Avete letto bene. Si manca solo lei. Ora la domanda nasce spontanea, come mai il processo Marogna dovrebbe essere imminente, mentre non vi è nemmeno l’ombra del processo 60SA, che dovrebbero riguardare i sei funzionari della Santa Sede, che sono stati prima sospesi e poi licenziati (gli ex funzionari della Segreteria di Stato Fabrizio Tirabassi, Vincenzo Mauriello, Mons. Maurizio Carlino, Mons. Alberto Perlasca), spostata ad altro ufficio (l’ex funzionario della Segreteria di Stato Caterina Sansone) o non rinnovato nell’incarico (l’ex Direttore dell’Aif Tommaso De Ruzza). Ma soprattutto, considerata tutta questa premura di cattura che ha lo Stato della Città del Vaticano riferita ai cittadini stranieri, dov’è la richiesta di ordine di cattura internazionale, diramato dallo stesso ufficio Interpol [2] di Roma, dal quale è partito l’ordine di cattura di Cecilia Marogna, emesso per la cattura del latitante Fabrizio Tirabassi [4]?

Avete letto bene. Tirabassi si è reso irreperibile (quindi risulta latitante) sin dal 2 ottobre 2019, da quando è scoppiato lo scandalo finanziario della Segreteria di Stato scaturito dalla compravendita del palazzo di lusso al numero 60A di Sloane Avenue a Londra, denominato “caso 60SA”. Sin dal 2 ottobre 2019 ad oggi nello Stato della Città del Vaticano non si è vista l’ombra, non diciamo di un processo, ma neanche dell’inizio di un processo regolare, né di un mandato di cattura per chi è latitante. Però, improvvisamente viene definito “imminente” il giudizio per il caso Marogna, ma dai! Il Vaticano è divenuto incredibilmente morbido e improvvisamente attento ai diritti della cittadina straniera Cecilia Marogna. Ci tiene a comunicare che tale iniziativa tende tra l’altro a consentire all’imputata di partecipare a un processo, libera dalla pendenza di misura cautelare nei suoi confronti.

Abbiamo già reso noto, che riguardo al Mediagate il circo del “chiasso” è stato aperto e che avremmo fatto attenzione alle offese all’intelligenza (nostra e dei nostri attenti lettori), poiché anche al chiasso c’è un limite (come alla pazienza, che va transitata sì, ma approda). Ciò posto, nostro malgrado dobbiamo purtroppo constatare, che le offese all’intelligenza degli attenti lettori e alla nostra continuano. Non solo lo Stato della Città del Vaticano per circa 450 giorni (quindici mesi) dalla deflagrazione della pentola a pressione del caso 60SA, non ha dato inizio a nessun giusto processo. Invece, ha proceduto – in alcuni casi con la compiacenza di alcuni organi delle istituzioni italiane – a illegittime detenzioni, attività di perquisizione sequestro di beni in barba ai trattati internazionali dei diritti dell’uomo, di diritto alla difesa, di diritto al giusto processo, dello Stato di diritto.

Oltre alla illegittimità di richiedere l’estradizione da Italia in Vaticano, la magistratura vaticana illegittimamente richiede che Cecilia Marogna fosse interrogata in Italia su richiesta dell’autorità giudiziaria vaticana. Sono entrambe richieste illegittime, che non hanno nessun fondamento giuridico riconosciuto [3].

Dopo queste insolite attività – che definire illegittime è un’eufemismo – candidamente, come se nulla fosse, Cecilia Marogna viene invitata a recarsi nella Città del Vaticano per l’inizio del suo processo, per il quale si continua a sottolineare che è libera dalla misura cautelare. Oltrettutto, una misura cautelare che era stata già annullata senza rinvio dalla Corte di Cassazione, ma dai! Chissà perché la faccenda ci fa pensare, più che alla nostra infanzia, quando la nonna che dopo una marachella ci disse “venite, non vi faccio niente”, piuttosto al thriller di Paola Barbato “Non ti faccio niente”.
Cecilia Marogna – senza entrare nel merito dei reati di cui è accusata in Vaticano [4] – è persona intelligente, con un arguto e attento collegio difensivo. Pensiamo che in Città del Vaticano probabilmente non si presenterà mai, perché non vuole fare la fine di Gianluigi Torzi, considerato anche il fatto che si è fatta già 17 giorni di carcere italiano, illegittimamente, come sancito dalla giustizia italiana.

I Patti Lateranensi definiscono per l’istituto dell’estradizione, che esso possa (non debba) avvenire dallo Stato della Città del Vaticano verso l’Italia, ma non viceversa. La Santa Sede si è guardata bene al tempo del Trattato di istituire un accordo “a doppio senso” definendo invece una estradizione “a senso unico” non a caso, evitando così, di fatto, che un prelato debba essere estradato dallo Stato della Città del Vaticano e obbligatoriamente processato presso un Tribunale italiano, con imbarazzo della Santa Sede annesso. Quindi, per evitare tale imbarazzo, fu istituito con l’Italia una estradizione a senso unico, che ora ha un effetto boomerang, poiché nei confronti di Cecilia Marogna (come di nessun altro cittadino) non può vantare alcun diritto giurisdizionale.

18 gennaio 2020
Lo Staff del Blog dell’Editore

[1] Nel Comunicato Stampa della magistratura vaticana di ieri si parla di “giudizio imminente”. Questo non è la stessa cosa di “processo imminente”. Tutto ciò avvalora la nostra tesi del “tranello” teso a Cecilia Marogna, al fine di attirarla nella Città del Vaticano con inganno, in quanto un “giudizio” può avvenire anche in camera di consiglio in assenza dell’imputato. Per esempio, vedi un giudizio di non luogo a procedere, oppure un giudizio di archiviazione. Il “giudizio” non impone la presenza dell’imputato. Tutto ciò per dire che è sempre di più nostra convinzione, che il “processo Marogna” non è previsto, come non sono mai stati previsti i giusti processi nella Città del Vaticano. L’attività impropria della magistratura vaticana prosegue sempre e solo per attività di indagine, per portare informazioni al Capo di Stato, che taglia teste con processi sommari, eseguendo le sue sentenze in barba ad uno Stato di diritto degno di questo nome.

[2] In riferimento a richieste abusive di arresti dell’INTERPOL. Nonostante la sua posizione politicamente neutrale, alcuni hanno criticato l’agenzia per il suo ruolo negli arresti che i critici sostengono fossero politicamente motivati. Nella loro dichiarazione, adottata a Oslo (2010), Monaco (2012), Istanbul (2013) e Baku (2014), l’Assemblea parlamentare dell’OSCE (PACE) ha criticato alcuni Stati membri dell’OSCE per il loro abuso dei meccanismi di indagine internazionale e ha sollecitato a sostenere la riforma dell’INTERPOL al fine di evitare procedimenti giudiziari motivati politicamente. La risoluzione dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa del 31 gennaio 2014 critica i meccanismi di funzionamento della Commissione per il controllo dei fascicoli dell’INTERPOL, in particolare le procedure non contraddittorie e le decisioni ingiuste. Nel 2014, PACE ha adottato la decisione di analizzare a fondo il problema dell’abuso di INTERPOL e di compilare una relazione speciale su questo argomento [QUI].

[3] La Convenzione europea accorso tra gli Stati membri del Consiglio d’europeo in merito alla assistenza giudiziaria in materia penale, entrato in vigore il 12 giugno 1962 [QUI]. La lista dei Paesi membri che ratificano il suddetto accordo. Lo Stato della Città del Vaticano e la Sana Sede non sono presenti [QUI].
La Santa Sede, a nome e per conto dello Stato della Città del Vaticano: è membro di INTERPOL a pieno titolo; non è Stato membro dell’ONU, dove ha solo status di Osservatore Permanente; aderisce alla convenzione Moneyval, ma non è Stato membro; aderisce alla Convenzione del Consiglio d’Europa sul trasferimento delle persone condannate del 1983 e a Protocolli del 1997 e del 2017; aderisce all’Accordo parziale allargato sugli Itinerari culturali del Consiglio d’Europa del 1987; aderisce alla Convenzione sui Diritti del Fanciullo, adottata dall’Assemblea Generale dell’ONU nel 1989; aderisce alla Convenzione contro la Corruzione adottata dall’Assemblea Generale dell’ONU nel 2003.

[4] Sottolineiamo il fatto di non poco conto che Cecilia Marogna è imputata dalla magistratura vaticana di ipotesi di reato per aver “distratto” la somma di 575.000 euro (rif. Adnkronos), a lei affidata per scopi umanitari. Se la suddetta situazione viene paragonata alla vicenda di Maurizio Tirabassi, che ha contribuito al saccheggio di 454 milioni di euro (rif. Il Fatto Quotidiano), ma al quale deve essere addirittura riconsegnato il tesoretto sequestrato in casa del padre dopo illegittima perquisizione e sequestro, per la situazione di Tirabassi non vi è neanche lontanamente né l’ombra di un processo né l’ombra di una richiesta di cattura internazionale. Il parallelo tra i due casi assume connotati quasi inverosimili, in quanto Tirabassi per mezzo del proprio ufficio, unitamente ad altri imputati, ha contribuito a sottrarre alla Santa Sede molto ma molto di più rispetto alla somma attribuita in ipotesi di reato a Cecilia Marogna. Però, per lo Stato della Città del Vaticano – dopo 15 mesi dai fatti del 2 ottobre 2019 – il problema più urgente da risolvere resta “Donna Cecilia”, mentre il latitante Tirabassi ringrazia e se la spassa nei Paesi caraibici con suo tesoretto.

* * *

«La giustizia vaticana esce con il naso sanguinante dai tribunali italiani – Il Vaticano ha abbandonato la sua richiesta di estradizione per una donna italiana ricercata con accuse legate a cattiva condotta finanziaria collegata a una serie di scandali che recentemente hanno scosso i più alti livelli di potere nella Chiesa. All’udienza di lunedì in un tribunale italiano a Milano, il Vaticano ha detto che non sta cercando di arrestare la donna, Cecilia Marogna, 39 anni, sospettata di coinvolgimento in affari loschi in qualche modo collegati al cardinale caduto in disgrazia Angelo Becciu e un sviluppo immobiliare di Sloane Avenue a Londra da 200 milioni di sterline. Ciò ha rimosso il motivo dell’udienza, che era quella di valutare la richiesta di estradizione. (…) Non esiste un trattato di estradizione tra l’Italia e la Santa Sede o la Città del Vaticano, e osservatori vaticani si chiedevano se la corte non si sarebbe pronunciata contro la richiesta del Vaticano sulla base del fatto che il Vaticano non poteva garantire il diritto di Marogna a un processo equo – qualcosa che sarebbe stato solo l’ultimo di una serie di occhi neri per la giustizia vaticana» (Catholic Herald, 19 gennaio 2021).

«Pensate a una partita di calcio in cui, all’89esimo minuto, una squadra fa sospendere la partita e firma la “sconfitta a tavolino”, per non andare fino in fondo e non ammettere d’aver perso 9 a 0 (ipotesi magnanima).
Come definireste quella squadra?
Ecco: fatto sta che più o meno così – anzi peggio, perché non hanno nemmeno firmato la “sconfitta a tavolino” – si sono comportati ieri i magistrati di un piccolo Stato. Né si sono scusati per la loro tracotante improntitudine.
Sì, poiché prima spiccano un mandato di cattura internazionale, coinvolgono l’Interpol, lasciano circolare calunnie, fanno arrestare dalle autorità di un altro Stato una persona, la fanno sbattere in carcere, la tengono lì per 17 giorni (e ancora sarebbe lì se i magistrati dell’altro Stato non avessero stabilito che quell’arresto non era legittimo), ne pretendono (e ottengono) la custodia cautelare per mesi, ne chiedono l’estradizione e all’ultimo momento, appena prima che i giudici competenti dell’altro Stato esprimano la sentenza (che i primi intuiscono, quantomeno), affermano: “Fermi tutti, ritiriamo la nostra richiesta di estradizione, si faceva per scherzare; tanto faremo noi il processo con i nostri metodi, a casa nostra”. Ecco, come definireste i magistrati di quel piccolo Stato?
E giustamente, visti i precedenti messi in luce da Vik van Brantegem in questo articolo – nuovo tassello del mosaico –, che fiducia dovrebbe avere nella correttezza della loro “giustizia” una persona imputata, senza che ci siano i minimi requisiti di garanzia per chi deve difendersi da accuse che puzzano sempre più di calunnie?» (Andrea Paganini, 19 gennaio 2021).

Il Vaticano non chiede più l’estradizione
Arrestata per niente l’assistente di Becciu
di Brunella Bolloli
Libero, 19 gennaio 2021


Imputata a sua insaputa, con la notizia dell’imminente rinvio a giudizio fatta arrivare prima alla stampa che alla diretta interessata e ai suoi avvocati. Già incarcerata senza motivo, chiusa 17 giorni in cella a San Vittore, dopo essere stata fermata dall’Interpol su mandato dei pm di Oltretevere, Gian Piero Milano e Alessandro Diddi, i quali per ottenere questo provvedimento di custodia cautelare avevano tralasciato il piccolo particolare che non esistono trattati di estradizione tra Italia e Città del Vaticano, infatti il 17 dicembre la Cassazione ha disposto l’annullamento senza rinvio della misura cautelare: in pratica l’arresto era illegittimo.

Quindi, il colpo di scena di ieri: niente più richiesta di estradizione. È «venuto meno il vincolo» che aveva determinato il presupposto della richiesta di estradizione, ha scritto l’autorità giudiziaria vaticana in un documento letto ieri in aula dalla Corte d’appello di Milano riunita proprio per decidere la consegna dell’indagata. Non c’è pace per Cecilia Marogna, la quarantenne manager cagliaritana al centro di un’indagine relativa a fondi del Vaticano che coinvolge anche il cardinale Angelo Becciu, ex “sostituto” della prima sezione della Segreteria di Stato, fatto dimettere dall’incarico a seguito di una campagna stampa velenosa e falsata in cui il cardinale sardo è risultato una specie di malfattore che rubava i soldi destinati ai poveri per darli ai ricchi (Marogna) e ai suoi parenti.

Per l’accusa la manager amica di Becciu avrebbe ottenuto dal porporato oltre 500mila euro che lei, secondo gli inquirenti di Oltretevere, avrebbe speso in beni di lusso non in missioni umanitarie in Africa come invece lei ha sempre dichiarato.

Ieri il “giudice istruttore” del Vaticano ha fatto presente di aver disposto la «libertà provvisoria» per Marogna e di avere, dunque, revocato la misura cautelare che era il “presupposto” per chiederne l’estradizione. Da qui la rinuncia a portare avanti l’istanza di estradizione, in pratica una retromarcia messa nero su bianco nel bollettino della Santa Sede, diffuso urbi et orbi, dove però s’insiste sull’imminente processo a suo carico (e forse di Becciu), che potrebbe concludersi perfino con un arresto.

Nel documento si legge, infatti, che l’iniziativa «intende, tra l’altro, consentire all’imputata – che ha già rifiutato di difendersi disertando l’interrogatorio dinanzi all’Autorità giudiziaria italiana, richiesto in via rogatoriale dal promotore di Giustizia – di partecipare al processo in Vaticano, libera dalla pendenza di misura cautelare nei suoi confronti». Dunque «l’imputata» deve essere processata a tutti i costi e con lei rischia pure il cardinale Becciu, indagato in Vaticano per offesa al re, peculato, abuso d’ufficio e interesse privato, nonostante si sia sempre professato innocente.

I difensori della manager non ci stanno. Gli avvocati Maria Cristina Zanni, Massimo Dinoia e Fabio Federico «prendono atto con grande dispiacere» del fatto che, secondo loro, la decisione vaticana è arrivata nel momento in cui la Corte d’Appello di Milano avrebbe negato l’estradizione. «Anziché riconoscere i loro errori», fanno notare i legali, «hanno revocato il mandato di cattura, sottraendosi al confronto con noi e al giudizio della Corte. «È paradossale che le autorità vaticane tentino di far ricadere sulla signora Marogna la causa della loro retromarcia, per non essersi fatta interrogare a Cagliari». Infatti, come ha affermato il ministro di Giustizia in questo caso e come ha ribadito il tribunale di Roma in un’altra vicenda, non esiste alcun accordo di assistenza giudiziaria fra l’Italia e lo Stato della Città del Vaticano, quindi i Promotori di giustizia non avevano alcun diritto di chiedere quell’interrogatorio e la signora Marogna aveva il sacrosanto diritto di scegliere di difendersi nella sede istituzionale, che era appunto la Corte d’Appello di Milano, da dove però loro si sono sfilati.

La sintesi è che dopo tre mesi di sofferenza per la donna, dipinta come una specie di mantide mangiasoldi benedetti, e infatti definita la “dama del cardinale”, non c’è stata «piena giustizia», piuttosto una «fuga senza onore da parte del Vaticano». Ma l’intrigo vaticano di sicuro non finisce qui.

Papa Francesco, le sue riforme stanno migliorando il sistema vaticano?
di Andrea Gagliarducci
Monday Vatican, 18 gennaio 2021
(Nostra traduzione italiana dall’inglese)

Un articolo dell’Associated Press pubblicato la scorsa settimana [*] ha fatto luce sulla debolezza del sistema giudiziario vaticano. Questa debolezza è emersa drammaticamente durante l’inchiesta sull’acquisto di immobili di lusso a Londra da parte della Segreteria di Stato della Santa Sede.

L’inchiesta è stata un procedimento sommario autorizzato direttamente dal Papa. Papa Francesco ha saltato la parte procedurale delle autorizzazioni del Tribunale vaticano. La polizia vaticana ha perquisito e sequestrato materiali della Segreteria di Stato, dell’Autorità di informazione finanziaria vaticana e di alcune abitazioni delle persone indagate. Le operazioni sono state portate avanti senza alcuna considerazione delle norme internazionali.

Al momento, a causa di questa indagine, sei persone sono state prima sospese e poi retrocesse (o non rinnovate) dalla loro posizione. L’Autorità di informazione finanziaria vaticana è stata ampiamente rimescolata con nuovi vertici (tutti provenienti dall’ambiente italiano). Il Papa ha costretto il Cardinale Angelo Becciu a dimettersi e persino a rinunciare alle sue prerogative cardinalizie.

Il sistema giudiziario vaticano è quello che è: funziona sotto le decisioni di un monarca assoluto, e quindi è fuori da qualsiasi convenzione internazionale, sebbene la Santa Sede firmi e ratifichi molte convenzioni internazionali.

Tuttavia, l’Associated Press si è concentrata su un problema critico. Che la Santa Sede sia una monarchia assoluta è un dato di fatto. Allo stesso tempo, anche la Santa Sede fa parte di un sistema internazionale e per questo firma documenti, dichiarazioni, protocolli d’intesa e convenzioni ONU. La Santa Sede potrebbe talvolta sentirsi spinta a mettere a rischio la propria sovranità. Eppure non vuole rischiare di perdere la particolarità del suo piccolo Stato, che alla fine è nato con lo scopo principale di dare al Papa la cittadinanza internazionale. La Santa Sede è, tuttavia, invitata a rispettare i trattati che ratifica.

Il rispetto dei trattati, e al tempo stesso conservandone la specificità, è possibile solo se si costruisce un sistema giuridico dettagliato, libero da influenze esterne e indipendente. Non si tratta solo di riformare il codice penale vaticano. Si tratta invece di creare un sistema giuridico che funzioni, adatti agli standard internazionali e non metta a repentaglio la sovranità della Santa Sede.

È un obiettivo impegnativo. Per raggiungerlo, ogni istituzione della Santa Sede deve vedere riconosciuta la sua dignità. In questo modo, la Santa Sede come istituzione viene messa al primo posto.

Ci sono due correnti nel pontificato di Papa Francesco. La prima corrente è quella della continuità. Papa Francesco non ha fermato le riforme già in corso e avviate sotto Benedetto XVI. Invece li ha accettati e li ha portati a termine. Si tratta, in particolare, di alcune riforme nel ramo finanziario della Santa Sede, ma anche in quello giuridico (nel 2013 Papa Francesco ha promulgato il nuovo codice penale vaticano).

D’altra parte, anche Papa Francesco ha preso decisioni che non consideravano la struttura della Santa Sede. Un esempio è il modo in cui ha unito i dicasteri ancor prima che si concludessero le consultazioni sulla loro fusione, o il modo in cui ha preso le decisioni quando ha visto una certa mancanza di chiarezza. Alla fine, Papa Francesco considera le istituzioni della Santa Sede come uffici che devono essere puniti in caso di malfunzionamento e non come parti della Curia romana. In qualche modo, alcune decisioni di Papa Francesco hanno annullato alcuni dei processi di riforma già avviati.

L’ultimo esempio di questo tipo è venuto dal trasferimento di fondi dalla Segreteria di Stato all’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica (APSA). La decisione è arrivata al termine di una serie di “avanti e indietro” nel sistema finanziario vaticano. La scelta è legittima e segue il criterio di riunire tutte le operazioni finanziarie in un unico portafoglio e, eventualmente, in un unico portafoglio di un soggetto sovrano.

Tuttavia, le disposizioni di Papa Francesco sembrano essere punitive e non parte di un piano generale. Perché tutti gli altri uffici della Santa Sede con qualche autorità finanziaria non sono stati inclusi in questa decisione? Perché non è stata spiegata la motivazione della decisione? Possiamo dedurre che il management dell’APSA costituirà un fondo sovrano poiché questo è stato al centro della discussione. Non sappiamo però cosa pensa il Papa.

Porre queste domande mostra che il pontificato ha un problema nel considerare le cose da un punto di vista globale. Papa Francesco per lo più aggiusta le situazioni o smonta e ricostruisce tutto quando le cose sono difficili. Papa Francesco ha applicato questa logica, ad esempio, al progetto di ristrutturazione del Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede.

Molti dettagli mostrano che non esiste un design semplice. Le riforme di Papa Francesco, alla fine, sono state appena strutturali. Cominciano con un’idea, e talvolta questa idea ha basi teologiche. Non cambiano la struttura complessiva ma solo alcuni aspetti delle strutture. A volte, le riforme mirano a unire gli uffici per risparmiare denaro. A volte, le riforme stabiliscono nuovi uffici per mostrare nuove priorità. Non possiamo dire, in tutta onestà, che il Vaticano sia cambiato dopo queste riforme.

L’imminente Costituzione apostolica Praedicate Evangelium riscriverà le funzioni e i compiti degli uffici della Curia romana. La nuova Costituzione sostituirà il Pastor bonus di Giovanni Paolo II. Questa Costituzione è stata studiata per più di dieci anni da quando Giovanni Paolo II ha voluto che esprimesse un’idea teologica. Papa Francesco, invece, sottolinea sempre che le realtà sono più grandi delle idee. È probabile che il suo approccio sarà pragmatico.

La domanda è, allora, in che misura questo approccio pragmatico può contribuire a distruggere il sistema vaticano? E quanto riuscirà la Santa Sede a mantenere la sua credibilità internazionale acquisita con tanto impegno?

Sotto Paolo VI, in generale, si trattava di avere sacerdoti nelle posizioni chiave, garanti della successione apostolica e leali anche se a volte non competenti nelle questioni di cui dovevano occuparsi. Giovanni Paolo II si è progressivamente concentrato sulla professionalizzazione, valorizzando anche i laici. Giovanni Paolo II ha ulteriormente internazionalizzato la mentalità della Santa Sede. Pio XII aveva internazionalizzato il personale della Santa Sede, ma Giovanni Paolo II ha internazionalizzato la sua mentalità. La Santa Sede è passata da una mentalità italiana a una mentalità di Stato nel contesto internazionale.

Papa Francesco non è stato lineare. A volte è tornato a una mentalità italiana (come con la Financial Intelligence Authority). A volte, il Papa ha guardato soprattutto alla sua cerchia più stretta, amici in grado di risolvere problemi concreti. L’attenzione del Papa è sulla risoluzione dei problemi specifici, invece di creare un quadro per risolvere ogni problema di quel tipo quando si verificano.

Per tutti questi motivi, il sistema giudiziario vaticano è ancora debole. È debole perché è stato concepito in una realtà ristretta e non è stato gestito adeguatamente. Il Papa ha usato le sue prerogative senza pensare alle conseguenze. Le conseguenze possono avere un impatto globale.

Non sappiamo se questa mentalità papale interesserà anche altri settori della riforma della Curia. La Santa Sede sarà considerata un partner credibile? È vero, la fede è la cosa più importante e molte attività della Chiesa nascono dalla fede. È anche vero che la sua posizione internazionale consente alla Santa Sede di rimanere indipendente e di agire nel mondo senza essere soggetta a nessun altro potere. Anche questo fa parte della missione della Chiesa.

[*] The Associated Press e Galli della Loggia. Incompatibilità delle procedure della Santa Sede con le norme europee. Lo Stato della Città del Vaticano non garantisce i “diritti fondamentali” a un giusto processo – 12 gennaio 2021

Il caso Shalabayeva. Deportazione di cittadino straniero e diritti dell’uomo
Per il tribunale di Perugia fu “crimine di lesa umanità”, “realizzato mediante deportazione”

Il tribunale di Perugia ha pubblicato le motivazioni della sentenza con cui lo scorso ottobre ha condannato sei dirigenti di polizia per il trattenimento di Alma Shalabayeva, moglie del dissidente kazako Muktar Ablyazov, e della loro figlia Alua e la loro successiva espulsione, una vicenda che Report approfondì nell’inchiesta di Paolo Mondani “L’ostaggio”, andata in onda il 25 novembre 2013 (QUI).

L’indagine preliminare e il dibattimento, scrivono i giudici nelle 280 pagine del testo, “non hanno permesso di acquisire elementi concreti” in grado di fornire una risposta alla domanda se “vi fu un intervento al più alto livello politico-istituzionale dello Stato italiano che indirizzò l’operato della Polizia per conseguire la deportazione di Alma Shalabyeva e della figlia e compiacere, in tal modo, la Repubblica del Kazakhstan” ma comunque “durante tre interi giorni del maggio 2013, si realizzò, di fatto, una limitazione o compressione della nostra sovranità nazionale”, un evento che “sarebbe preferibile definire un ‘crimine di lesa umanità realizzato mediante deportazione’, nonché “un caso eclatante non solo di palese illegalità-arbitrarietà delle procedure seguite dalle istituzioni italiane, ma, soprattutto, una ipotesi di patente violazione dei diritti fondamentali della persona umana”. Si legge inoltre: “Gli imputati hanno perpetrato un crimine di eccezionale gravità, lesivo dei valori fondamentali che ispirano la Costituzione repubblicana e lo stato di diritto. La norma incriminatrice del delitto di sequestro di persona, cioè il reato più grave contestato nel processo” appare “quasi non adeguata a rappresentare, compiutamente, le dimensioni della condotta delittuosa e le devastanti conseguenze che essa ha cagionato”.

Il tribunale di Perugia ha condannato a cinque anni di reclusione l’ex capo della squadra mobile di Roma, Renato Cortese e Maurizio Improta, all’epoca responsabile dell’ufficio immigrazione. Condannato inoltre l’allora giudice di pace Stefania Lavore a due anni e mezzo di reclusione, i funzionari della mobile romana Luca Armeni e Francesco Stampacchia a cinque anni, e quelli dell’Ufficio immigrazione Vincenzo Tramma e Stefano Leoni, rispettivamente a quattro anni e tre anni e sei mesi di reclusione. Cortese, Armeni, Stampacchia, Tramma, Leoni e Improta sono stati riconosciuti responsabili di sequestro di persona nei confronti di Alma Shalabayeva e della loro figlia Alua (Fonte Report Rai 3).

Le motivazioni della sentenza con cui i giudici di Perugia lo scorso 14 ottobre hanno condannato tutti gli imputati nel processo per la vicenda dell’espulsione di Alma Shalabayeva e di sua figlia avvenuta nel 2013 Tweet Caso Shalabayeva, disposto avvicendamento per Cortese e Improta​Caso Shalabayeva: condannati Cortese e altri imputati 13 gennaio 2021 Per il tribunale di Perugia il trattenimento di Alma Shalabayeva e la sua successiva espulsione, insieme alla figlia Alua, è un evento che “sarebbe preferibile definire un ‘crimine di lesa umanità realizzato mediante deportazione'”. Lo si legge nelle motivazioni con cui i giudici di Perugia lo scorso 14 ottobre hanno condannato tutti gli imputati nel processo per la vicenda dell’espulsione di Alma Shalabayeva e di sua figlia avvenuta nel 2013. Per questa vicenda in particolare l’ex capo della Squadra Mobile di Roma ed ex questore di Palermo Renato Cortese e l’ex capo dell’ufficio immigrazione ed ex capo della Polfer Maurizio Improta sono stati condannati a 5 anni per sequestro di persona. Per i giudici “un caso eclatante non solo di palese illegalità-arbitrarietà delle procedure seguite dalle istituzioni italiane, ma, soprattutto, una ipotesi di patente violazione dei diritti fondamentali della persona umana”. Per i giudici del tribunale di Perugia l’indagine preliminare e il dibattimento “non hanno permesso di acquisire elementi concreti” in grado di fornire una risposta alla domanda se “vi fu un intervento al più alto livello politico-istituzionale dello Stato italiano che indirizzò l’operato della Polizia per conseguire la deportazione di Alma Shalabyeva e della figlia e compiacere, in tal modo, la Repubblica del Kazakhstan” ma comunque “durante tre interi giorni del maggio 2013, si realizzò, di fatto, una limitazione o compressione della nostra sovranità nazionale”. Lo scrivono nelle oltre 280 pagine di motivazioni della sentenza.

”La circostanza che ha sconcertato maggiormente il Collegio è che nessun dirigente o funzionario della Polizia di Stato, in nessuna fase di questa vicenda, abbia avvertito la necessità di soffermarsi, e soprattutto di far soffermare l’intera struttura, per ragionare sul fatto che la possibile estradizione di Ablyazov (marito della Shalabayeva, ndr) (se fosse stato catturato a Roma) e, soprattutto, la successiva espulsione della moglie e della figlia sarebbero avvenute in favore di un paese, il Kazakhistan, messo all’indice, nella comunità internazionale, proprio perché nazione che violava i diritti umani, anche praticando la tortura e la eliminazione fisica degli oppositori”, si legge nelle motivazioni della sentenza. ”Tra il 28 maggio e le prime ore del 29 maggio, si creava una surreale situazione – scrivono i giudici del terzo collegio del tribunale di Perugia presieduto da Giuseppe Narducci – nella quale i più alti livelli della più importante forza di polizia del nostro paese restavano con il ‘fiato sospeso’ in attesa che la Squadra Mobile e la Digos romane realizzassero la cattura di una persona che assumeva le sembianze di un Bin Laden kazako, cioè di un pericoloso terrorista internazionale, quasi certamente armato, che metteva in ‘pericolo la sicurezza del nostro paese’ (furono queste le parole usate dal Ministro dell’Interno nel colloquio con il suo Capo di Gabinetto, sollecitandolo ad incontrare i rappresentanti del Kazakistan)”.

”Tuttavia le autorità kazake mentivano spudoratamente nel tentativo di presentare Ablyazov come soggetto legato ad ambienti terroristici e, soprattutto, come persona pericolosa che avrebbe potuto adoperare le armi in caso di arresto poiché non solo i reati che lo riguardavano in realtà attenevano alla sfera economica (appropriazione di fondi bancari, truffa, ecc.) e non certamente al terrorismo, ma inoltre, nel maggio 2013 gli investigatori privati italiani e israeliani, che lavoravano per conto dei committenti kazaki, non avevano mai avuto occasione di constatare che Ablyazov circolasse armato o disponesse di una scorta armata” (Fonte Rai News).

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