Oggi un Bambino è nato per noi. Omelia per il Natale 2020 del Patriarca Latino di Gerusalemme

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Nell’omelia della Messa di Mezzanotte a Betlemme, il Patriarca Latino di Gerusalemme, Sua Beatitudine Monsignor Pierbattista Pizzaballa Pizzaballa ha sottolineato che la salvezza “ha un volto e un nome ed è quello di Gesù, nato per farsi cibo e bevanda, insegnandoci che non c’è salvezza al di fuori dell’amore dato e ricevuto”.

Monsignor Pizzaballa ha presieduto le celebrazioni della Vigilia di Natale, nel rispetto della tradizione, in quella che è stata la sua prima uscita pubblica dalla fine della quarantena, necessaria perché risultato positivo al Coronavirus. Con il canto dei primi Vespri nel primo pomeriggio del 24 dicembre, si era già entrati nella solennità natalizia, subito dopo che Monsignor Pizzaballa aveva fatto il suo ingresso a Betlemme, accolto dalla gente in strada e da undici gruppi di scout con tamburi e cornamuse. Per la Santa Messa di mezzanotte nella Chiesa di Santa Caterina a Betlemme, il numero di partecipanti in presenza è dovuto rimanere limitato, anche se migliaia di persone da tutto il mondo erano collegate via streaming o in televisione in diretta.

A mezzanotte in punto, mentre al piano superiore si svolgeva la liturgia natalizia, il Custode di Terra Santa, Padre Francesco Patton, O.F.M., ha presieduto la prima Messa nella sottostante Grotta della Natività, alla presenza di un ristretto gruppo di persone. Da quel momento, ogni quaranta minuti e fino alle quattro del pomeriggio del 25 dicembre, altre Messe vengono celebrate nella Grotta, per continuare a tenere viva la preghiera sul luogo del Natale.

Anche Monsignor Pizzaballa, al termine della Messa di mezzanotte, ha pregato nella Grotta della Natività, dove si è recato in processione portando in braccio una statua del bambinello. Con un gesto simbolico, lo ha posto nel luogo dove la tradizione colloca la mangiatoia, perché sia visibile che, in quella fredda grotta, anche oggi Gesù nasce per noi.

Oggi Gesù nasce per noi

Omelia per il Natale 2020 di Sua Beatitudine Mons. Pierbattista Pizzaballa
Betlemme, 24 dicembre 2020

Is 9, 1-6; Tt 2, 11-14; Lc 2, 1-14

“Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce, su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse” (Is, 9,1)


Carissimi,

la profezia di Isaia e il Vangelo del Natale che abbiamo appena ascoltato illuminano anche quest’anno la notte dei pastori e la notte del mondo intero.

Ci sentiamo tutti ottenebrati, stanchi, sfiniti, oppressi da troppo tempo sotto il giogo pesante di questa pandemia che sta bloccando le nostre vite, sta paralizzando i rapporti, sta mettendo a dura prova la politica, l’economia, la cultura, la società.  Antiche debolezze strutturali si sono amplificate e non sembrano profilarsi all’orizzonte soluzioni chiare e condivise.

Anche chi ci governa brancola nel buio. Le comunità cristiane, da parte loro, faticano a conservare ritmi consolidati nel tempo e non riescono a immaginare il nuovo che verrà.

Tanti in questi mesi, come e meglio di me, hanno provato a fare diagnosi, a immaginare scenari futuri, a dipingere a tinte più o meno scure la situazione attuale.

Io però, in questa mia prima messa natalizia da Patriarca, non voglio accordare la mia voce a quella di quanti sanno ben descrivere la notte. Io devo, voglio, dare voce alla profezia, farmi eco del Vangelo, comunicarvi la grazia di quest’ora.

Sì, fratelli e sorelle, poiché quella che stiamo vivendo qui, adesso, è un’ora di grazia!

Non è una pia illusione, né fuga romantica in una religione rassicurante o in una consolazione a buon mercato.

“Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un Figlio”: questa è la certezza dei cristiani. La notte, qualunque notte, non è l’ultima parola sulla storia nostra e dell’umanità. Se Colui che è Luce da Luce è nato di notte, allora anche la notte appartiene al giorno, anzi, la notte diviene natalizia, cioè diviene luogo di una nuova e possibile nascita. Noi cristiani sappiamo che al fondo delle nostre crisi, dentro le nostre oscurità, in mezzo alle nostre debolezze è nato un bambino che è un Dio potente e con Lui è cominciata una nuova storia di fiducia e di speranza, di rinascita e di risurrezione. La vita divina che Cristo ci porta in dono può e vuole trasformare la morte in vita, il dolore in speranza, la paura in fiducia. Credere in Lui non è negare irragionevolmente la realtà, ma avere uno sguardo nuovo e profondo che ci fa scorgere nel dolore della creazione le doglie di una nuova nascita. Credere è continuare a camminare non con la tenacia di chi non si arrende ma con la fiducia di chi tende e attende una meta.

“È apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini” (Tt 2,11). Sulla scena di questo mondo non agisce solo il male, la sofferenza e la morte. Se il male abbonda, la grazia sovrabbonda. Essa agisce nelle menti e nei cuori, insegna vie nuove di giustizia e di pace, di speranza e di vita. Quel che è accaduto qui 2000 anni fa non è una favola né un mito, ma è l’inizio di una storia nuova di cui, se vogliamo, possiamo essere i protagonisti. Una presenza misteriosa ma reale riempie di sé il mondo. La vita che qui a Betlemme è iniziata, ha sconfitto la morte e ci autorizza a sperare in quella vittoria che ancora si compie. Sperare nella grazia di Cristo non è illudersi, ma trovare ragioni per impegnarsi a costruire un ordine nuovo. La pandemia, con il suo carico di sofferenza e di morte, ci chiede di immaginare un mondo diverso, fatto di nuovi rapporti solidali e fraterni, dove il possesso sia sostituito dal dono e la ricchezza di pochi divenga bene per tutti.

“Oggi è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore” (Lc 2, 11). Esiste la salvezza e ha un volto e un nome: quello di Gesù Cristo. Egli è il Figlio di Dio, la Sapienza e la gloria del Padre che ha voluto, per sua misericordia, condividere le nostre gioie e i nostri dolori, fino alla morte e oltre. Egli ha percorso le nostre stesse strade, ha pianto le nostre lacrime, ha condiviso le nostre sofferenze lavando i nostri piedi fino alla fine. Con l’Incarnazione egli si è unito in qualche modo a ogni uomo, prendendo ciò che è nostro e donandoci ciò che è suo (cfr GS 22). In questa Città di Betlemme egli è nato per farsi cibo e bevanda, insegnandoci che non c’è salvezza al di fuori dell’amore dato e ricevuto. Salvare l’uomo è servirlo: e noi ci salveremo da questa e da tutte le altre crisi e sciagure solo se faremo del bene di tutti il nostro supremo interesse. “Il Natale del Capo è il Natale del Corpo”, scrive san Leone Magno (Discorso VI per il Natale). Ci siamo accorti, in questa tragedia, che siamo tutti connessi, e che siamo responsabili gli uni degli altri. La Chiesa, Corpo di Cristo, lo ha sempre saputo: il Salvatore che oggi è nato faccia rinascere anche noi alla consapevolezza che siamo tutti figli e perciò tutti fratelli, come ci ricorda il santo Padre, e che – per questo – l’amore è l’unica vera via di salvezza.

Fratelli e sorelle,

noi stanotte non vogliamo e non possiamo dimenticare la tristezza e la preoccupazione che stringe il cuore del mondo come in una morsa. Anche qui in Terra Santa non facciamo eccezione. Viviamo in una terra che ha come vocazione propria la pluralità e l’apertura al mondo, ma assistiamo continuamente ad atteggiamenti opposti. Anziché essere inclusivi siamo sempre più esclusivi: anziché riconoscerci l’un l’altro, ci neghiamo l’un l’altro. Penso in particolare ai nostri fedeli che vivono in Palestina: come per Maria e Giuseppe, anche per loro sembra non esserci posto nel mondo, sempre da capo invitati, prima di poter vivere con dignità a casa loro, ad attendere un futuro sconosciuto e continuamente rimandato.

Ma non vogliamo e non possiamo nemmeno dimenticare che con il Natale di Cristo Dio stesso è entrato nel mondo orientandone il cammino verso un futuro di gioia e di pace. Nel mezzo delle nostre paure, noi vogliamo afferrare la mano che Cristo ci offre per un rinnovato cammino di fiducia, di speranza e di amore.

Noi, perciò, stasera vogliamo contemplarlo con i Pastori, cantarlo con gli Angeli, accoglierlo con Maria e Giuseppe, offrirgli con i Magi l’incenso della nostra difficile fede, la mirra della nostra sofferta speranza, e l’oro del nostro fiducioso amore, e rimetterci in cammino.

A lui, Dio potente, noi chiediamo di sconfiggere la malattia, il male e la morte e restituirci giorni lieti e sereni.

A Lui, Consigliere Ammirabile, vogliamo chiedere di illuminare i politici, i medici e i ricercatori, e quanti cercano con sincerità di cuore soluzioni giuste e vere per il bene di tutti.

A Lui, Padre per sempre, consegniamo i malati, i poveri, i sofferenti e i defunti, perché tutti siano visitati dalla sua misericordia che sana, conforta, consola e vivifica.

A Lui, Principe della Pace, affidiamo questa nostra Terra e questa nostra Chiesa, le cui ferite fanno ancora più fatica a rimarginarsi in questo tempo difficile e doloroso.

A Lui, Grazia di Dio fatta carne, domandiamo di convertirci dai nostri egoismi e dalle nostre chiusure a pensieri e a opere buoni e santi, perché al Suo ineffabile dono corrisponda la nostra collaborazione fedele e concreta.
A Lui, Salvatore e Signore nostro, promettiamo di donare quanto siamo ed abbiamo perché ancora e sempre “si conosca sulla terra la sua via e fra tutte le genti la sua salvezza” (cfr Sal 67,3).

Amen.

+ Pierbattista Pizzaballa
Patriarca Latino di Gerusalemme

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