Proposta per continuare a celebrare in sicurezza: riordinare l’emergenza

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Volentieri ospito in questo spazio un secondo Position Paper, di oggi 15 ottobre 2020 – dopo il primo con una proposta di uscita dal periodo di blocco delle Messe [1] – questa volta con una proposto per evitare il ritorno al blocco delle Messe – a cura di DiReSoM, un gruppo di docenti e ricercatori di diritto ecclesiastico e religione nelle università statali italiane [2], quindi una proposta “laica” e non proveniente da nessuna “tifoseria”.

Questa proposta – a seguito del Dpcm del 13 ottobre 2020, “in relazione alle questioni che toccano più da vicino l’espressione della libertà religiosa” – oggettivamente è una notizia e tra altro, due osservazioni sono di particolare rilevanza: “Riteniamo opportuno osservare che il rinvio ai Protocolli sottoscritti a maggio produce effetti diversi per la Chiesa cattolica rispetto a quelli assunti con tutte le altre Confessioni religiose”; “Questa informalità produce un inevitabile disordine regolamentare che incide sulla tutela dei diritti e delle libertà e indebolisce il rispetto del principio supremo di laicità, che presiede anche il sistema delle fonti del diritto italiano. (…) A nostro avviso, soluzioni così disordinate non aiutano i cittadini a orientarsi consapevolmente, e producono inevitabilmente effetti negativi sull’efficace contrasto al contagio, specialmente in un momento che torna ad essere particolarmente critico”. Buona lettura.
V.v.B.

Per continuare a celebrare in sicurezza: riordinare l’emergenza

Nella nostra veste di professori e ricercatori di diritto e religione nelle università statali, costituiti nel gruppo di ricerca “DiReSom” – che nel corso di questa pandemia ha attivato il primo portale web internazionale su diritto, religione e coronavirus (www.diresom.net) – sottoponiamo al Governo italiano e alle istituzioni confessionali un secondo contributo [1] alla riflessione circa la possibilità di consentire le celebrazioni dei culti religiosi, nel rispetto delle misura necessarie per prevenire il contagio del virus Sars-CoV-2, causa della malattia Covid-19.

Il Dpcm 13 ottobre 2020 ha aggiornato le misure di contenimento del contagio attraverso la posizione sia di regole in senso stretto, sia di alcune raccomandazioni, volte nel loro complesso a prevenire la sospensione di alcuni diritti fondamentali, che ha purtroppo caratterizzato i provvedimenti delle c.d. «Fase 1» e «Fase 2».

In relazione alle questioni che toccano più da vicino l’espressione della libertà religiosa, vale la pena segnalare che nello scorso mese di maggio vennero stipulati sette diversi Protocolli che dettano regole condivise fra lo Stato e le confessioni religiose per consentire la ripresa in sicurezza delle pratiche religiose collettive, che erano state sospese a marzo. Si tratta di regole ideate nel quadro epidemiologico presente all’epoca, che in parte sono state superate, anche in forza di chiarimenti successivi che hanno disciplinato la graduale ripresa delle attività di culto. Purtroppo, la sovrapposizione di regole nazionali, regionali – talvolta comunali – e confessionali – che a loro volta agiscono a diversi livelli – ha creato situazioni di incertezza applicativa, che di fatto fanno registrare una loro applicazione disomogenea sul territorio nazionale, con pericolose ricadute negative sulla sicurezza sanitaria personale e collettiva.

Negli ultimi giorni la curva epidemiologica ha ripreso progressivamente a salire e il Dpcm emanato il 13 ottobre ha dettato nuove regole e introdotto alcune raccomandazioni, che sul versante religioso si sintetizzano nel rinvio (art. 1, comma 6, lettera p)), per lo svolgimento delle funzioni religiose con la partecipazione di persone, «al rispetto dei Protocolli» pubblicati a maggio.

Il rinvio a questi atti firmati dal Governo e dalle rappresentanze confessionali, in qualche occasione, può apparire problematico, proprio perché nel frattempo alcune regole sono state riviste – pure attraverso circolari ministeriali – e altre sono cadute in desuetudine. Abbiamo infatti potuto verificare l’applicazione disomogenea e vieppiù rilassata di quelle regole, che contribuiscono a produrre una flessione dell’attenzione collettiva.

Riteniamo opportuno osservare che il rinvio ai Protocolli sottoscritti a maggio produce effetti diversi per la Chiesa cattolica rispetto a quelli assunti con tutte le altre Confessioni religiose. Questi ultimi (ai quali sarebbe da aggiungere anche il Protocollo con la Congregazione dei Testimoni di Geova, del 25 maggio 2020, non richiamato nell’allegato al Dpcm) infatti seguono un approccio più laico, che in sostanza lascia alla responsabilità delle autorità confessionali il compito di adeguare la celebrazione dei riti alle regole di prevenzione del contagio dettate dalle autorità statali. Questo meccanismo garantisce l’autonomia confessionale e consente alle autorità religiose di conformarsi con maggiore semplicità alle regole sanitarie di volta in volta previste. Ci sembra utile peraltro evidenziare che alcune di queste Confessioni hanno preferito seguire un approccio molto precauzionale, e perciò non hanno perciò ancora ripreso le attività di culto collettive.

Parzialmente diversa e più complessa appare invece la questione riferita alla Chiesa cattolica. In questo caso il Governo italiano si limitò a verificare la compatibilità sanitaria di un Protocollo prodotto dalla Conferenza episcopale italiana, che prevede regole molto dettagliate circa la modalità di celebrazione delle Messe e di altri sacramenti, insieme a disposizioni – per così dire – interne alla Chiesa stessa (come ad esempio la dispensa dal precetto festivo). Il richiamo integrale al Protocollo sottoscritto il 7 maggio 2020, che è anche allegato al Dpcm del 13 ottobre, pone quindi alcuni problemi di compatibilità con le successive modifiche, assunte in «via breve», per lo più interpretativa e talvolta a seguito di meri scambi epistolari. Tale procedura informale, che si giustifica con il carattere emergenziale di regole che devono opportunamente essere adattate alla situazione epidemiologica, ha di fatto creato i problemi di difformità applicativa già richiamati, e troppo spesso attenzioni e precauzioni ancora necessarie appaiono spesso disattese.

D’altra parte, non possiamo non osservare le problematicità connesse alla produzione normativa che ha caratterizzato la gestione dell’emergenza, realizzando un certo disordine nella gerarchia delle fonti con una conseguente maggiore complessità interpretativa. Nel caso che ci interessa più da vicino, osserviamo che alcune disposizioni sono state modificate o abrogate tramite circolari ministeriali, nonostante si trattasse di provvedimenti espressione del potere regolamentare, richiamati in una fonte legislativa.

Adesso che il nuovo Dpcm rinvia esplicitamente ai Protocolli di maggio, che sono addirittura allegati al testo del Decreto, si pone esattamente il problema di coerenza interpretativa che muove la nostra riflessione: dato che è evidente che formalmente si debbano applicare le regole letteralmente richiamate nell’ultimo Decreto, anche se sostanzialmente appare legittimo fare riferimento anche alle modifiche successivamente intervenute, seppure prive di sufficiente formalità.

Mentre cominciavamo a ragionare su queste difficoltà, l’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali della Conferenza Episcopale Italiana, ha precisato che il Protocollo del 7 maggio deve considerarsi integrato con le successive indicazioni del Comitato tenico-scientifico, comunicate del corso dell’estate, e ha quindi chiarito:

– la non obbligatorietà dei guanti per il ministro che distribuisce la Comunione, che deve però igienizzarsi accuratamente le mani;
– la possibilità di celebrare le Cresime;
– la possibilità di celebrare con cori e cantori, che devono comunque mantenere le distanze di sicurezza;
– la possibilità per gli sposi di non indossare la mascherina;
– la possibilità per i componenti di uno stesso nucleo familiare o per conviventi/congiunti/parenti con stabile frequentazione, di non attenersi all’obbligo del distanziamento.

Questi opportuni chiarimenti non risolvono però il problema di fondo. Dato che si tratta di deroghe rispetto a quanto previsto dal Protocollo del 7 maggio – richiamato e allagato al Dpcm del 13 ottobre, lo riperiamo – frutto di comunicazioni di volta in volta comunicate dalla Presidenza della Conferenza episcopale, che informava di un’interlocuzione con il governo italiano, oppure, in altre occasioni, da note del Capo Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Viminale.

Questa informalità produce un inevitabile disordine regolamentare che incide sulla tutela dei diritti e delle libertà e indebolisce il rispetto del principio supremo di laicità, che presiede anche il sistema delle fonti del diritto italiano. Se dal punto di vista pratico il Comunicato stampa della Conferenza episcopale italiana va visto con favore, non si può non evidenziare che siamo di fronte ad un’interpretazione effettuata dall’autorità confessionale di un provvedimento governativo. Questo modo di procedere non può che generare confusione: ad esempio, è realistico domandarsi se le forze dell’ordine deputate a controllare il rispetto del Dpcm del 13 ottobre dovranno attenersi alla sola fonte normativa italiana o anche alla nota stampa dei vescovi. A nostro avviso, soluzioni così disordinate non aiutano i cittadini a orientarsi consapevolmente, e producono inevitabilmente effetti negativi sull’efficace contrasto al contagio, specialmente in un momento che torna ad essere particolarmente critico.

Purtroppo, gli studi che stiamo svolgendo – a livello internazionale – ci rendono consapevoli che le manifestazioni religiose collettive, per loro natura, costituiscono uno dei maggiori fattori di rischio per il contagio. L’applicazione di misure cautelative disposte dalle autorità confessionali sconta un inevitabile difetto di corretta applicabilità da parte dei responsabili dei singoli luoghi di culto, che non dispongono sempre dei mezzi per verificarne la corretta applicazione da parte dei fedeli. Inoltre, l’efficacia di misure analoghe proposte in contesti appositamente formati (come ospedali, scuole, residenze sanitarie, eccetera) non è equiparabile a quella che può essere messa in atto da soggetti non qualificati, che non sempre possono ricorrere a competenze adeguate, per cui troppe volte agiscono contando sul buon senso o la diligenza richiesta ad ogni “buon padre di famiglia”.

Siccome riteniamo necessario che siano garantite forme di celebrazione il più possibile sicure per la salute individuale e collettiva, e al tempo stesso assistiamo ad una progressiva disattenzione verso il rispetto delle regole previste dal Protocollo di maggio, che sono certamente in vigore, proponiamo alle autorità civili e religiose che esprimano alcuni chiarimenti univoci, possibilmente nel rispetto delle dovute forme giuridiche, specialmente in relazione ai seguenti  punti, che ci sembrano essere rimasti in un cono di scarsa o nulla applicazione:

a) è ancora necessario mantenere la cartellonistica prevista dai protocolli all’ingresso dei luoghi di culto, volta a certificare il rispetto della distanza interpersonale?
b) è ancora necessario assicurare le diverse forme di rispetto previste dai Protocolli di maggio circa la limitazione delle presenze in rapporto allo spazio disponibile, nonché limitare comunque la capienza all’interno dei luoghi di culto di massimo 200 persone?
c) è ancora necessario prevedere forme di controllo all’acceso nei luoghi di culto ove si tengano celebrazioni collettive?
d) è ancora necessario assicurare il rispetto della regola che obbliga tutti (anche i celebranti) a indossare sempre la mascherina nei luoghi di culto?
e) è ancora necessario limitare al minimo il numero degli officianti?
f) è tuttora in vigore la regola che vieta il coro e i cantori? Se questi sono ammessi, rimane vietato o è ammesso anche il canto comune dell’assemblea?
f) è necessario riprendere a distribuire la comunione (e celebrare altri sacramenti che comportino il contatto fisico) indossando il guanto monouso?
g) è ancora in vigore la regola che impedisce di raccogliere le offerte ‘passando’ fra i banchi durante la celebrazione?
h) è tornata in vigore la regola che prevedeva di rinviare la celebrazione del sacramento della Confermazione?
i) è vigente l’esenzione del precetto festivo per i fedeli cattolici per età e motivi di salute?

Questo Position Paper è redatto a cura di DiReSoM e nasce da una riflessione collettiva di:

Pierluigi Consorti (coordinatore) – Università di Pisa
Simone Baldetti – Università di Pisa
Fabio Balsamo – Università “Federico II” di Napoli
Rossella Bottoni – Università di Trento
Cristina Dalla Villa – Università di Teramo
Antonello De Oto – Università di Bologna
Mario Ferrante – Università di Palermo
Fabio Franceschi – Università “La Sapienza” di Roma
Luigi Mariano Guzzo – Università di Catanzaro
Maria Cristina Ivaldi – Università della Campania
Chiara Lapi – Università di Pisa
Maria Luisa Lo Giacco – Università di Bari
Adelaide Madera – Università di Messina
Enrica Martinelli – Università di Ferrara
Francesca Oliosi – Università di Trento
Daniela Tarantino – Università di Genova
Stefano Testa Bappenheim – Università di Camerino
Alessandro Tira – Università di Bergamo

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[1] Il primo Position Paper “Per una cauta ripresa delle celebrazioni religiose” di DiReSoM del 27 aprile 2020 ho pubblicato il 29 aprile 2020 (QUI).

[2] DiReSom (Diritto e Religione nelle Società Multiculturali) è un gruppo di ricerca costituito in seno all’Associazione dei docenti della disciplina giuridica del fenomeno religioso (Adec) nel 2017. Le sue attività si sono svolte anche in collaborazione con l’European Academy of Religion. È coordinato dal Prof. Pierluigi Consorti, Ordinario di Diritto e religione presso l’Università di Pisa e Presidente dell’Adec.

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