Sabato la sentenza per Paolo Gabriele. Che sorride quando gli viene ricordato di aver ringraziato la Gendarmeria per il trattamento ricevuto

Condividi su...

Gli ultimi quattro testimoni del processo a Paolo Gabriele sono tutti Gendarmi vaticani: De Santis, Bassetti, Carli e Cintia. Nessuno di loro è stato sentito durante la fase istruttoria. La loro testimonianza è stata richiesta dall’avvocato Cristiana Arru, difensore di Gabriele. Le domande dell’avvocato insistono continuamente su alcuni particolari: la perquisizione nell’abitazione di Castel Gandolfo (e Dalla Torre ci tiene a specificare che il Tribunale si occupa dei reati avvenuti nello Stato di Città del Vaticano, e che dunque i risultati di quella perquisizione sono fuori dal processo); l’uso di guanti della Gendarmeria durante la perquisizione nell’abitazione di Paolo Gabriele in Vaticano (non sono stati usati, ma De Santis ci tiene a specificare che “nelle perquisizioni cartacee non si usano”); la grandezza dell’armadio in cui sono stati trovati i fascicoli e quella delle 82 scatole di materiale che sono state portate via dall’appartamento di Paolo Gabriele (armadio a due ante, alto fino al soffitto; scatole della grandezza di scatole da trasloco, di 50x60x40 cm). Non la disturba – spiega ai giornalisti – che la sua insistenza su Castel Gandolfo non venga messa mai a verbale. “E’ perché voi lo sentiate”, dice. E quando le fanno notare che le scatole sono tantissime, quasi un trasloco, si limita a commentare: “Appunto”. E poi, la pepita e l’assegno, che non tutti i gendarmi hanno visto. Ma è ovvio, visto che si sono divisi i compiti, alcuni a perquisire il soggiorno, altri lo studio. E uno di loro, Bassetti, è arrivato solo in seguito, per perquisire la stanza dei bambini, e permettere loro di andare a letto.

Dal tono delle domande, sembra quasi si voglia far notare che la Gendarmeria forse è stata troppo zelante nel sequestrare tutti quei fascicoli. Sono circa “un migliaio i fogli di interesse” dichiara Carli. Ma i gendarmi sono molto precisi nelle deposizioni. Se da una parte ci sono molti che spingono per individuare in Paolo Gabriele un capro espiatorio, che magari è stato incastrato, i gendarmi ripercorrono con precisione il loro lavoro. La perquisizione del 23 maggio comincia tra le 15 e le 16 (alle 15 e 50) e termina intorno alle 23, quando i gendarmi decidono di portare via tutto il materiale per analizzarlo con cura. In tutto quel tempo in casa di Paolo Gabriele non sono “mai, nella maniera più assoluta” rimasti soli. Il maggiordomo era sempre lì. Li trattava con gentilezza. Affermava: “Vedete quanto mi piace leggere, quanto mi piace studiare”. Compativa: “Mi dispiace che a causa mia stiate facendo tardi”. Ogni tanto offriva un bicchiere d’acqua o del caffè. Cintia ci tiene a spiegare che mai è stato maltrattato. E a margine i giornalisti chiedono all’avvocato Arru perché questo fatto non fosse stato detto alla conferenza stampa indetta a fine agosto per la fine del procedimento istruttorio, quando lei e l’allora altro difensore Carlo Fusco descrissero un Paolo Gabriele in buono stato di salute psico-fisico. “Riguardava quel dato momento”, risponde l’avvocato.

I gendarmi trovano tra le carte di Gabriele di tutto. In un certo disordine, ritenuto in qualche modo funzionale a nascondere le prove. Ci sono persino documenti cifrati, molti di più di quelli che sono stati poi pubblicati nel libro Sua Santità, cosa che – lamenta De Santis – “riguardano i rapporti tra la Segreteria di Stato e le Nunziature: la libertà di Gabriele nel fotocopiarle faceva venir meno un rapporto molto complesso”. Ma ci sono anche documenti personali del Papa con la scritta in tedesco “da distruggere” (e quando questo viene riferito, Paolo Gabriele accenna un sorriso), corrispondenze personali del Papa con cardiali, documenti autografi di Benedetto XVI. E poi, materiale informatico, con varie chiavette USB, due o tre  portatili, un iPad, un computer fisso, una memory card, una Playstation un hard disk, diverse memory card. “Sarà interessante analizzarli”, afferma de Santis. E dalla Torre: “Questa parte riguarda lo stralcio del processo”. Cioè – sembra di capire – il processo al tecnico informatico della Segreteria di Stato Claudio Sciarpelletti.

Il profilo che viene fuori è molto lontano da quello del mero fotocopiatore di documenti, vista la mole di originali che sono dichiarati nell’appartamento. Documenti che venivano mescolati in mezzo a ritagli di giornale o fogli di scaricati da Internet, riguardanti la massoneria, la P2, la P3 e la P4, manuali di tecniche di spionaggio, ma anche i rapporti tra la Chiesa e lo yoga. Fare lo spoglio dei documenti non è stata impresa semplice.

Ora, gli occhi sono puntati sulla giornata di sabato, quando il processo si concluderà. Nel frattempo, l’avvocato fa sapere che Paolo Gabriele è rimasto deluso dal fatto che le persone da lui nominate (i cardinali Comastri e Sardi, la storica collaboratrice del Papa Ingrid Stampa, e monsignor Cavina, ex officiale della Segreteria di Stato ora vescovo di Carpi) siano stati definiti da alcuna stampa come “suoi complici”. Si è parlato anche di “suggestioni ambientali”. In realtà, Paolo Gabriele amava avere rapporti con tutti, e si deduce sia dalle dichiarazioni da lui rese ieri al processo, sia dalle perizie psichiatriche che ne hanno definito l’imputabilità. E con tutti cercava di essere gentile. Magari raccogliendo informazioni, come aveva fatto con Luca Catani (credendo addirittura che fosse un magistrato) o con il minutante di segreteria di Stato Giuseppe Mauriello.

Infine, una curiosità. Prima dell’inizio del processo l’avvocato Arru si avvicina ai giornalisti, e chiede se è vero che qualcuno aveva twittato fasi del dibattimento, ieri, durante il dibattimento, come riportato su un non specificato organo di stampa italiano. Le viene spiegato che no, non era successo durante il dibattimento, ma durante il briefing – lo ha scritto korazym.org – e le viene spiegato l’ “accordo tra gentiluomini” che vige tra i giornalisti con le regole dell’embargo. Un accordo violato ieri.

Free Webcam Girls
151.11.48.50