Paolo Gabriele rinviato a giudizio. Ma le indagini non sono finite

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Non finisce con il rinvio a giudizio di Paolo Gabriele il lavoro della magistratura vaticana, impegnata ad indagare sulla fuga di documenti riservati dal Palazzo Apostolico. Non finirà nemmeno con il processo, che insieme a Paolo Gabriele vede imputato per favoreggiamento anche Claudio Sciarpelletti, tecnico informatico della Segreteria di Stato. Sciarpelletti è il nome nuovo di questa indagine. Mai era stato ammesso il coinvolgimento di un altro imputato nella fase istruttoria nei confronti di Paolo Gabriele, e è presumibile che – se non ci fosse stata una soffiata alla stampa – non si sarebbe mai fatto nemmeno il nome di Paolo Gabriele prima della fine della fase istruttoria. Ma è pur vero che la posizione di Sciarpelletti è nettamente meno grave di quella del maggiordomo del Papa. Tenuto in cella per un giorno (la notte del 25 maggio, due giorni dopo l’arresto di Paolo Gabriele), lasciato subito in libertà con l’intesa di tenersi a disposizione, quindi lasciato completamente in libertà, Sciarpelletti paga un atteggiamento poco coerente nel rispondere alle domande nei vari interrogatori. Per Paolo Gabriele, sorpreso in flagranza di reato, la questione è molto differente. Ed è comunque una questione tutta da chiarire.

 

La requisitoria del Promotore di Giustizia vaticano Nicola Picardi, completamente recepita nella sentenza di rinvio a giudizio pronunciata dal giudice istruttore Bonnet, contribuiscono a dare maggiori dettagli di una situazione che comunque è lungi dall’essere risolta definitivamente. Padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa della Santa Sede, nel presentare i due documenti sottolinea come “la magistratura vaticana ci tiene a dire bene che è la conclusione parziale dell’istruttoria riguardo il reato di furto aggravato contestato a Paolo Gabriele e ciò che era connesso a questa vicenda”. Perché sono state molte le segnalazioni, i rapporti, le indicazioni di reati su cui indagare. E allora la magistratura si è trovata nella situazione di dover mettere un punto. E il punto è stato messo sulla questione che era forse più chiara, se non altro perché Paolo Gabriele è stato trovato in flagranza di reato.

I due documenti permettono di ricostruire nei dettagli la vicenda. I nomi dei testimoni, per privacy, sono occultati, eccetto quello di mons. Georg Gaenswein, segretario particolare di Benedetto XVI. Lui, insieme all’altro segretario Alfred Xuereb, alle quattro Memores Domini che prestano servizio nell’appartamento papale, a Birgit Wansing e allo stesso Paolo Gabriele, si è riunito il 21 maggio, prima dell’arresto, in una sorta di redde rationem perché ognuno si prendesse le sue responsabilità. Gabriele si sarebbe mostrato “freddo” – dice Gaenswein – nel negare ogni addebito, anche di fronte all’evidenza dei fatti messa in luce dal segretario del Papa, e cioè che due di quei documenti li poteva avere solo lui. In seguito, Paolo Gabriele dichiarerà ai giudici che il suo comportamento di negazione dei fatti gli era stata suggerita dal suo padre spirituale, che gli avrebbe suggerito di non negare solo davanti al Papa.

La figura di questo padre spirituale è tutta da definire. Sarebbe lo stesso che pochi giorni dopo l’arresto del maggiordomo ha dato una intervista in forma anonima, sottolineando la fedeltà di Paolo Gabriele al Papa? Non si sa. Però si apprende che anche a lui Paolo Gabriele avrebbe dato una busta di documenti. Che lui afferma di aver capito subito essere parte di qualcosa di illecito, e quindi di avergli immediatamente bruciati. Ha provato almeno a far comprendere a Paolo Gabriele la gravità delle azioni che stava compiendo?

Poi, dopo l’arresto (la notte del 23 maggio) Paolo Gabriele decide di collaborare. E qui si delinea meglio la personalità del maggiordomo del Papa. Che dice di ritenersi “un infiltrato dello Spirito Santo”, sostiene che di fronte a certe situazioni di corruzione ha pensato che “uno shock mediatico” potesse aiutare in qualche modo il Papa a fare pulizia, ricostruisce il modo in cui ha contattato il giornalista Gianluigi Nuzzi colpito dai suoi precedenti lavori, afferma di essere stato anche il famoso corvo intervistato – camuffato – nella trasmissione Gli Intoccabili, pur ammettendo che non sarebbe andata in onda l’intervista integrale. Non si parla di rapporti con altri giornalisti, e nei documenti della magistratura si capisce che altri documenti di quelli pubblicati sono probabilmente venuti da altri ambienti. C’è da dire che il contenuto di alcuni dei documenti pubblicati da Nuzzi era già stato raccontato nei dettagli precedentemente in altri articoli di giornale. Anche il quel caso il “corvo” era Paolo Gabriele? Sono domande legittime, ma non fanno parte del procedimento attuale.

Nell’abitazione di Paolo Gabriele si trova di tutto. Non solo parte dei documenti comparsi nel libro Sua Santità (Paolo Gabriele li fotocopiava con la stampante multifunzione del suo ufficio), ma anche una serie di fotocopie di vari articoli di giornale, ritagli, tutti in grande confusione. Ha la passione per “l’intelligence”, dichiara Paolo Gabriele. E in mezzo a quella confusione si trova anche un assegno da 100 mila euro indirizzato al Papa – “finito per caso tra le carte, non avrebbe mai pensato di incassarlo”, dichiara all’Ansa il suo avvocato Fusco – una pepita d’oro la cui presenza è giustificata da Paolo Gabriele con un laconico “nella degenerazione del mio disordine è potuto capitare anche questo”, e una edizione dell’Eneide del 1581, donato a Sua Santità dalle Famiglie di Pomezia. “Gaenswein – dice Gabriele ai magistrati – talvolta mi faceva omaggio di taluni doni fatti al Santo Padre. In particolare questo avveniva per i libri sapendo che io avevo una passione particolare per questi. Per quanto riguarda l’edizione dell’Eneide, ricordo che avendo mio figlio cominciato lo studio di quel poema, chiesi a mons. Gaenswein se potevo far vedere il libro al professore del mio figlio. Lui disse di sì, e il libro rimase da me in attesa di essere sostituito”. Gaenswein considerava Paolo Gabriele “un mero esecutore”, ma con il tempo ha cominciato a fidarsi e a dargli qualche compito di “ordinaria amministrazione”.

Non avrebbe avuto complici, Paolo Gabriele. Nemmeno Claudio Sciarpelletti. In un cassetto della scrivania del suo ufficio è stato trovata una busta di dimensioni medie, intestata con un “Riservato P. Gabriele”. Sciarpelletti ha spiegato in modi diversi la presenza della busta: prima ha detto che gli era stata consegnata da Gabriele – senza intestazione – due anni prima, per un parere: lui non l’avrebbe mai aperta e se ne sarebbe dimenticato, e solo in seguito avrebbe apposto l’intestazione per ricordarsene. Poi, la busta sarebbe stata consegnata a lui perché fosse consegnata a Gabriele. Che in una versione dei fatti appare come un semplice conoscente del maggiordomo, in un’altra addirittura come un amico tale da giustificare un paio di uscite insieme con le rispettive famiglie. Le prove però sono insufficienti ad accusarlo di concorso nel reato furto aggravato o di violazione del segreto per lui, ma una più mite di favoreggiamento, le cui pene possono andare dal “nulla al poco”, dichiara padre Federico Lombardi.

Paolo Gabriele può andare incontro ad una condanna più ampia, un massimo di 8 anni, che saranno certamente di meno, considerato che era incensurato e le attenuanti. Tra queste, quelle della sua particolare situazione psicologica. Si è discusso a lungo, tra i giudici, del fatto se Paolo Gabriele fosse o meno imputabile, se fosse capace di intendere e di volere. È stata chiesta una perizia psichiatrica: quella d’ufficio è stata affidata al professor Tatarella, quella di parte è stata affidata al professor Cantelmi. Per il primo, Gabriele era capace di intendere e di volere, per il secondo no. Ma entrambi sottolineano aspetti particolari della personalità del maggiordomo. Tatarella parla di “elementi di tipo persecutorio”, più volte “fa riferimento a complotti e macchinazioni a favore e/o danno di personaggi di rilievo sia laici, sia, più frequentemente, prelati”. Tatarella sottolinea che Gabriele ha “un’intelligenza semplice in una personalità fragili, con derive paranoidi a copertura di una profonda insicurezza personale e di un bisogno irrisolto di godere dell’affetto e della considerazione degli altri”. La perizia va oltre: sostiene che Gabriele ha sviluppato “inquietudine, tensione, rabbia e frustrazione” proprio per l’ “inidoneità a tener presente la natura del proprio incarico lavorativo” e questo lo rendeva “soggetto di manipolazioni esterne”. Chissà se proprio da quei personaggi, “dipendenti e prelati, anche di alto rango” con i quali, “molto verosimilmente, andava al di là di quanto avrebbe potuto riferire se si fosse attenuto ai suoi limiti e ai suoi doveri di riservatezza impliciti nel suo ruolo istituzionale”.

Resta dunque aperta la pista di chi possa avere innescato le azioni di Paolo Gabriele, qualcuno abbastanza intelligente da comprenderne le debolezze e abbastanza furbo da saper dare un suggerimento rimanendo fuori da ogni perseguibilità penale. Ma di questo “ambiente” parlerà presumibilmente il rapporto della Commissione Cardinalizia (i cardinali Herranz, Tomko, De Giorgi), le cui conclusioni ancora non sono state rese note anche per non sovrapporsi con le indagini della magistratura. Afferma padre Federico Lombardi: “Il Papa vuole seguire con coerenza e concretezza la pista della magistratura. Per questo possiamo immaginare (ma è solo una supposizione) che dopo questo rinvio a giudizio, il Papa aspetterà il giudizio. E conosciamo il carattere di questo Papa, attento anche a lasciar proseguire le cose secondo i tempi opportuni, senza farsi prendere dalla fretta”.

Sarà dal prossimo 20 settembre, quando termineranno le vacanze dei tribunali vaticani, che si deciderà il calendario del processo. Nel frattempo, sia Gabriele che Sciarpelletti (il primo agli arresti domiciliari, il secondo libero) restano sospesi ad cautelam dal loro incarico: non vanno a lavorare, ma percepiscono comunque lo stipendio.

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