Parlando di guanti… meglio esagerare e scrivere G.U.A.N.T.I. – Con delle postille sui diritti fondamentali e di “una bottiglia al mare”

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Condivido un articolo dell’amico e collega Renato Farina su Libero, di Alessandro Cipolla su Money.it e di Francesco Verderami su Corriere.it di ieri, e di Luciano Cappone su Il Foglio di oggi, che mettono i bisturi direttamente nella piaga di questa emergenza coronavirus (dichiarato da chi ci governa il 31 gennaio 2020 e dimenticato fino al 9 marzo, che adesso vogliono prolungare fino al 31 gennaio 2021, per poter continuare a governarci con dei decreti incostituzionali e quindi illegittimi, lasciando che sui Navigli a Milano riprende alla grande la movida [*]): la totale incompetenza di coloro che pretendono di governarci (anche se li abbiamo mai eletti), eternamente in televisione, con dei balconazo.

Mascherine diventate un bene di lusso e guanti introvabili, neanche pagandoli a peso d’oro, mentre sono diventati obbligatorio quando si mette il naso e il piede fuori l’uscio di casa.

Quanto guadagna Domenico Arcuri, il commissario straordinario per l’emergenza coronavirus?
di Alessandro Cipolla
Money.it, 8 maggio 2020

Domenico Arcuri è stato nominato dal premier Giuseppe Conte commissario straordinario per le emergenze ospedaliere: la biografia e lo stipendio dell’ad di Invitalia.
Quanto guadagna Domenico Arcuri, il commissario straordinario per l’emergenza coronavirus?
Domenico Arcuri, amministratore delegato di Invitalia, è dal 16 marzo 2020 il commissario straordinario per le terapie intensive. Su di lui alla fine è ricaduta la scelta del premier Giuseppe Conte.
Nel pieno della emergenza coronavirus, il Presidente del Consiglio ha annunciato la nomina di un commissario straordinario per gestire l’emergenza: non Guido Bertolaso, di cui si era tanto parlato in questi giorni, bensì Domenico Arcuri, attuale amministratore delegato di Invitalia.
Qual è il compito di Domenico Arcuri? Questo, in quanto Commissario straordinario per le emergenze ospedaliere, è entrato in campo fin da subito per coordinare tutta la filiera di efficienza del sistema sanitario, come ad esempio il rifornimento delle attrezzature, o anche il monitoraggio dei posti letto suddivisi per categorie o la creazione di nuove strutture. Lavoro per il quale Domenico Arcuri si coordinerà con Angelo Borrelli, capo del Dipartimento della Protezione Civile.
La biografia di Domenico Arcuri
Domenico Arcuri, classe 1963 (ha 57 anni) è amministratore delegato di Invitalia (l’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa). Adesso, però, questo dovrà ricoprire un altro delicato incarico: quello di commissario straordinario per l’emergenza Coronavirus, con il compito di coordinare l’emergenza nel sistema sanitario.
Laureato in Economia all’Università LUISS di Roma, la sua prima esperienza lavorativa l’ha avuta nell’IRI – Istituto per la Ricostruzione Industriale – (direzione pianificazione e controllo dove si è occupato delle aziende del gruppo posizionate nei settori delle telecomunicazioni, dell’informatica e della radiotelevisione) salvo poi passare in PARS, joint venture Arthur Andersen e GEC, per la quale è stato amministratore delegato. Tra i suoi incarichi anche quello di partner responsabile italiano “Telco, Media e Technology” di Arthur Andersen, mentre nel 2004 ha ricoperto lo stesso ruolo per Deloitte Consulting.
Poi il passaggio ad Invitalia, dove – come si legge sul sito ufficiale dell’agenzia – ha guidato il piano, voluto dal Governo, di riorganizzazione e rilancio dell’azienda. Un’azienda che, ricordiamo, oggi gestisce i principali incentivi per le nuove imprese, come ad esempio Smart&Smart Italia e Fondo Italia Venture per le start-up innovative.
Vista la sua alta professionalità, oggi Domenico Arcuri collabora anche con alcuni dei più importanti atenei d’Italia, ovvero la Bocconi, la Federico II e la LUISS, ed è editorialista su alcuni quotidiani nazionali con articoli che spesso trattano il tema dello sviluppo del Sud Italia. Da tempo, infatti, Arcuri sostiene che “non esiste una questione meridionale, ma una questione nazionale che deve considerare prioritarie le politiche per il Sud”.
Lo stipendio
Dello stipendio di Domenico Arcuri in passato si è parlato soprattutto per via della sforbiciata, arrivata nel 2013, agli stipendi dei manager della Pubblica amministrazione con il commissario che si vide tagliare di molto il proprio compenso.
Se ai tempi di Deloitte Consulting pare che la sua retribuzione annua fosse di 600.000 euro, con il suo approdo a Invitalia secondo Il Tempo il manager aveva visto il suo stipendio lievitare fino a 900.000 euro.
Dopo una prima decurtazione a 800.000 euro, lo stipendio di Arcuri sarebbe poi passato nel 2013 a 300.000 euro a causa della normativa sul tetto dei manager. Una cifra confermata anche dal diretto interessato che nel 2014 a Repubblica ha dichiarato di guadagnare “300.000 euro, tutto compreso”.
Per il suo ruolo di commissario straordinario per le terapie intensive, Domenico Arcuri può contare su uno staff formato da 39 persone ma al momento non è stato reso noto se questo incarico è svolto in maniera gratuita o se è previsto un compenso.

Tra mascherine e guanti
Così Arcuri si è intrappolato con le sue stesse mani
La prossima grana del commissario saranno i guanti
di Renato Farina
Libero, 8 maggio 2020

Segnatevi questa parola: guanti. Meglio esagerare e scrivere G.U.A.N.T.I. perché così magari il Commissario unico per il Covid-19, Domenico Arcuri, la ricopia anche lui, e magari in conferenza stampa si esibisce in qualche battuta allo spirito di patata sul fatto che non c’è problema, a suo tempo fioriranno come violette in paradiso, e chi solleva la questione è “un liberista SE NE STA sul divano ed emette sentenze sorseggiando un cocktail” mentre lui lavora per il bene dei poveri, accidenti. Eravamo noi tra quei poveretti, che peraltro più che a cocktail andiamo notoriamente a Barbera come quelli della canzone di Giorgio Gaber, e abbiamo il vizio di cercare invano dal farmacista davanti a casa quelle famose mascherine a prezzo di Stato come una volta la benzina e il sale. Ma vedrete, sarà peggio con i guanti, saranno rari come la mitica figurina di Pier Luigi Pizzaballa nella raccolta Panini.
Una cosa per volta, direte. Anzitutto le mascherine. È questione più urgente. Le mani per il momento si possono nascondere in tasca, e ricoverarle lì, e la puoi scampare sia dalla multa sia dal virus, basta che eviti maniglie, non entri in una bottega o ti astieni dal metro e non sali sul sagrato per un funerale. Ma le mascherine! Senza sei escluso dal novero della civiltà, sei esposto alle contravvenzioni, al disprezzo di chi ne è dotato, ma soprattutto alle goccioline contagiose seminate nell’aria da un asintomatico o da un evaso dalla quarantena.
Dovrebbero essere quelle a 61 centesimi, 50 centesimi più Iva, ma a tutto ieri non c’erano, pur avendo il decreto disposto la loro diffusione capillare entro il 4 maggio. Ma com’è noto non è che i decreti producono soldi o mascherine. Infatti non sono arrivati ne gli uni né le altre. Ora pare si sia firmato un accordo tra le associazioni di farmacisti e il medesimo Arcuri. Ma i farmacisti stanno chiedendo in quali depositi ritirare gli scatoloni magici di roba cinese, perché quella italiana ancora non è disponibile. Attendiamo. E vedremo speranzosi quante saranno, se avranno la garanzia di sicurezza con scritto CE, e quando arriveranno in quantità tale da non generare il classico fenomeno d’accaparramento, che è matematico allorché il prezzo obbligatorio è più basso del valore reale.

Tempo perso

Dal mese di maggio e per un tempo indeterminato, forse un anno, serviranno 9 milioni di mascherine al mese. E ci domandiamo perché dopo tutto questo tempo non siamo in grado di sfornarle con sicurezza nelle mille tessiture chiuse e delocalizzate che si sarebbero potute incentivare per tempo a riaprire. Qualcuna in effetti l’aveva fatto. Ma erano rimaste gelati dall’annuncio di Arcuri fatto su misura per le industrie cinesi, dato che il costo di produzione in Italia, dove nelle fabbriche non ci sono schiavi ma persone, è stringendosi la cinghia di 70 centesimi. Forse ci saranno sovvenzioni, le fabbriche italiane sono state dotate di macchinari più produttivi. Ma intanto perché tutto questo tempo perso? Dal primo decreto del Presidente del Consiglio (Dpcm) sono passati due mesi; 68 giorni dalla dichiarazione dello stato di emergenza; 75 dall’affermazione di Conte secondo cui eravamo pronti ad affrontare la pandemia se mai fosse arrivata, ma “gli allarmi sono ridicoli” (Zingaretti). A proposito di Zingaretti. Le Iene hanno tolto la mascherina del bravo amministratore al governatore del Lazio. Hanno dimostrato lo spreco di 31 milioni di euro, di cui 11 anticipati, per acquistare mascherine inesistenti. Nessuna richiesta di commissariamento, nessuna vocina che si è alzata dai tg e dai giornali di regime… Se fosse stato di centrodestra sarebbe stato appeso a un lampione, come da tradizione antifascista. E quante storie simili e orrende si susseguono. Arrivano a Libero, e sono pronto a portare alle autorità testimonianze, diari incredibili di infermiere da reparti Covid in regioni rosse dove sono mancate mascherine di ricambio, poi ne sono state messe a disposizione di fasulle, quindi ritirate, poi sostituite dalle medesime ma dotate di un marchio diverso.
Il problema oggi dell’emergenza è la carenza dell’indispensabile. In compenso abbonda il superfluo: cioè virologi da tivù ed esperti governativi. Non si trovano mascherine da ok-il-prezzo-è-giusto e guanti mono uso salva batteri neanche a peso d’oro. In compenso si trova sempre e dappertutto a canali unificati lui, Arcuri. L’uomo che da Commissario per combattere l’emergenza Covid è diventato l’emergenza da combattere per salvarci dal Covid.
È ormai uno degli uomini più popolari d’Italia. Fa ormai lo stesso effetto, parliamo qui ai più attempati, del mitico speaker della tivù di Baghdad nel gennaio-febbraio 1991, il quale sosteneva che negli arsenali e nei silos di Saddam Hussein c’erano milioni di missili. Più modestamente l’ex marito di Myrta Merlino, elemento forse decisivo del curriculum, invece si riferisce tuttora alle mascherine. Ce n’è quattro milioni là, sette milioni lì. Ma 90 milioni al mese non è chiaro come provvederà. Noi abbiamo visto in foto giganteschi imballaggi cinesi.
Mascherine a 50 cent dove siete? Se ci siete battete un colpo. A Roma girano i vigili urbani a dar multe ai farmacisti, se non le forniscono ai clienti, ma che ci possono fare se hanno solo quelle più care, e non quelle chirurgiche, di solito azzurrine e pieghettate? La fase 1 è stata quella delle mascherine, che non si trovano, che sono fasulle, che sono ferme in dogana, e i medici e gli infermieri hanno dovuto lavorare con pezze da straccivendoli o da angiporto cinese. La fase 2 sarà caratterizzata soprattutto però dai guanti. Noi perciò insistiamo e vorremmo tanto sapere perché non si trovano, e se e come pensano di recuperare questi affari monouso, che dovremmo tutti avere per salire sugli autobus, entrare nei supermercati, e – recita il protocollo tra governo e vescovi – per andare a messa.
Dove stanno, ci sono depositi dov’è segretata una scorta strategica, c’è un elenco di posti dove acquistarle? I farmacisti e i loro fornitori all’ingrosso lo sanno bene che rispetto alla questione delle mascherine, quest’altra faccenda ci strozzerà, e soprattutto strozzerà lui, Domenico Arcuri. Il quale fa però abbastanza tenerezza, ed è così bravo nel fare il capro espiatorio di Giuseppe Conte e dei 900 esperti invisibili, che probabilmente si strangolerà con le sue stesse mani però nude perché i guanti disinfettati non se li sarà trovati neanche per sé stesso.

Scelta degli uomini

C’è stata una logica nella scelta di quest’uomo: è su misura per Conte. Come scriveva Machiavelli, un principe si misura dalla qualità degli uomini di cui si circonda. Conte ne ha scelto uno del suo medesimo profilo. Anzi un po’ più bassino per non fargli ombra. Ha preso Colao su ispirazione del Quirinale, e l’ha piazzato dove conta zero, perché troppo autorevole per lui. Arcuri va benissimo, ha anche la caratteristica di essere ottimo terminale per lo scaricabarile, un manichino da mattanza del tipo che, uno volta sacrificato lui, se ne trovano altri dieci così nei vari carrozzoni di Stato, tipo quello – Invitalia, un ente del Tesoro specialista nello sviluppo del Mezzogiorno – dove lui era stato depositato prima del gran balzo sul palcoscenico della nostra disperazione.G.U.A.N.T.I!

Arcuri in ritirata
Dopo il disastro, il governo vuole alzare il prezzo delle mascherine a 1,50 euro. Il commissario si segga sul divano e ci beva su
di Luciano Capone
Ilfoglio.it, 9 maggio 2020

Nella sua prima uscita pubblica, a fine marzo, Domenico Arcuri – l’uomo chiamato da Giuseppe Conte a risolvere la crisi di approvvigionamento di materiale sanitario – si era presentato con un linguaggio bellico: tutto un parlare di guerra, alleati e munizioni. Quasi stesse preparando un’invasione militare, invece di procurarsi mascherine e ventilatori sul mercato mondiale.
Più recentemente, proprio in un’ottica da economica di guerra, il Commissario straordinario ha annunciato un tetto (0,50 euro) al prezzo per le mascherine chirurgiche in una ormai celebre conferenza in cui se l’è presa con “i liberisti che emettono sentenze da un divano con un cocktail in mano”. “Ogni papà con un euro potrà comprare due mascherine ai suoi figli”, era lo slogan. La strategia militare di Arcuri che aveva come obiettivo “gli speculatori”, come prevedibile, ha però colpito indiscriminatamente la popolazione civile. Dopo la sua ordinanza, le mascherine sono praticamente sparite dalla circolazione. L’imposizione di un prezzo politico, come accade dai tempi di Diocleziano, ha reso introvabile un bene che era scarso. Gli esercenti hanno smesso di vendere per non andare in perdita. Esaurita rapidamente la merce residua, hanno smesso di ordinarla aspettando i rifornimenti statali. Le imprese italiane, che avevano avviato una conversione, hanno smesso di produrre. I broker internazionali hanno dirottato le mascherine verso mercati più convenienti. Arcuri ha cercato di rattoppare la situazione rincorrendo le aziende proponendo contratti per far ripartire la produzione. Ma ormai la frittata era fatta.
L’intervento su un mercato delicato che si stava assestando autonomamente, facendo allineare l’offerta con la domanda, ha inceppato il meccanismo. Pertanto il governo sta pensando di correre ai ripari: nella bozza del “decreto Rilancio”, il tetto al prezzo delle mascherine chirurgiche fissato da Arcuri è stato triplicato: 1,50 euro.
Ora è chiaro a tutti che il commissario che aveva il compito di trovare le mascherine, le ha rese più scarse. Forse Arcuri dovrebbe uscire dalla trincea e posare la baionetta, per sedersi comodamente sul divano e sorseggiare un Negroni. In una drammatica crisi come questa, bere un cocktail è sicuramente preferibile all’imposizione di prezzi a caso.

Postille

[*] I diritti costituzionali e le libertà individuali

A coloro che invocano i 30.000 morti (fino a ieri e i numeri – che sono persone – saliranno ancora parecchio e per parecchio tempo) per motivare la sospensione dei diritti costituzionali e delle libertà individuali, rispondo, che il problema certamente non sono solo questi. Non solo per me che vivo nella Campania (isola felice, ma anche noi i nostri morti abbiamo avuto e abbiamo e avremo, come al Nord) e con tutti il rispetto per i morti (che sul mio “Blog dell’Editore” ricordo OGNI GIORNO), la costituzione e i diritti costituzionali non possono essere sospesi da nessuno, per nessuno e per nessun motivo.

E la confusione creati da chi ci governo è un fatto. Le responsabilità penali verranno (devono essere) stabiliti, non fra 25 anni, ma adesso.

Non dimentichiamo cosa è successo fine febbraio (quando il Governo aveva già dichiarato lo Stato di Emergenza dal 31 gennaio… che adesso vuole prolungare, per poter continuare a governare con dei decreti illegittimi). E per forza devono prolungare lo stato d’emergenza, perché temono le rivolte popolari. “Molti si lamentano giustamente perché dallo Stato non arriva un euro di sostegno. Devono però sapere che l’Italia ha solo debiti e non ha risorse per nessuno. Non c’è trippa per gatti” (Vittorio Feltri). Quello che dice Feltri lo sa con maggior ragione Conte, che comunque continua a promettere sempre gli stessi 50 miliardi di Euro che non ci sono.

Ricordo un’altra volta la campagna #milanononsiferma del Sindaco di Milano Giuseppe Sala – e il video e la sua divulgazione, pubblicato il 27 febbraio 2020 sul suo profilo Facebook – ha aggravato la situazione, amplificando gli effetti di una scelta sbagliata presa dai politici, ossia quella di aspettare che il problema scoppiasse all’ennesima potenza prima di intervenire rigidamente in via preventiva. E oggi loro vogliono pararsi il sedere. Invece, vanno presi con delle pedate in quel posto, direttamente nella galera. Riporto alla memoria che anche il Sindaco di Bergamo Giorgio Gori ha fatto come il Sindaco di Milano: #bergamononsiferma Un video per la città che non molla (L’Eco di Bergamo, 27 febbraio 2020). Rischiano entrambi denuncia penale a carico per procurata epidemia.

Fate caso alla data e ripeto: 27 febbraio, un mese dopo la dichiarazione dell’emergenza. Gran parte dei morti al nord sono da collegare con le decisioni presi, non presi e presi male da chi governa. E per favore, non offendere la nostra intelligenza, caro Giuseppe dei Conti di Giuseppi, non da noi cittadini.

E non venire a dirmi che “nessuno sapeva cosa fosse il Covid-19 (nemmeno la scienza)”, perché non è vero. Invece, vero è, che c’è stata confusione stratosferica anche fra virologi, che stanno più in televisione a litigare tra loro, che non nei loro laboratori a trovare cure per il Covid-19 e vaccino contro il Sars-CoV-2.

Mi viene ricordato che sia il Governatore Fontana-con-la-mascherina che il Premier Conte-dei-balconazo hanno detto (le parole sono gratuite), che ci sarà un momento dove chi ha sbagliato pagherà (invece di stare zitti parlano ancora), che Sala e Gori hanno già fatto pubblica ammenda (che non costa), che quel momento non è ancora arrivato (così andiamo alle calende greche e mai arriverà, perché lo stato di emergenza possono prolungare 6 mesi per 6 mesi, non costa niente, a loro), che ora dobbiamo proseguire con rigore per evitare di vanificare gli sforzi e le perdite di questi mesi (ecco, l’unica cosa giusta, perché i sacrifici stiamo facendo noi, i cittadini trattati come sudditi).

Sono perfettamente d’accordo sul vivere con rigore e a far rispettare il rigore agli analfabeti funzionali e agli stronzi a zonzo. Qui, sul mio “Blog dell’Editore” lo ripeto ogni giorno. Ci vuole assoluto rigore – ma soprattutto responsabilità personale e il vivere secondo dei principi etici e morali, nonché sanitari – ma non accetto assolutamente di essere governato con dei decreti incostituzionali e quindi illegali. La costituzione non può essere sospesa da nessuna e i diritti fondamentali (inclusi i diritti religiosi… date a Cesare quello è di Cesare e a Dio quello che è di Dio) non possono essere negati da nessuno a nessuno. E PER NESSUN MOTIVO. Non per mia sicurezza sono disposto a cedere la mia libertà e non esercito i miei diritti fondamentali per danneggiare quegli degli altri. Non siamo sudditi ma cittadini liberi.

Invece di fare pubblica ammenda (che non costa niente) Sala e Gori (per menzionare solo loro a titolo di esempio) dovevano dimettersi (ma questa è quello che costa, in termini di poltrone e altro).

Il 31 gennaio 2020 si sapeva benissimo cosa era il coronavirus Sars-CoV-2 e la malattia che porta, Covid-19. Non spegniamo la memoria e accendiamo il cervello. Se no, perché dichiarare LO STATO DI EMERGENZA se non si sapeva che c’era un’emergenza?

E non venire a dirmi, che in piena emergenza sanitaria ed economica non si possono cambiare sindaci, governatori e presidente del Consiglio. Perché peggio di come è, andrà comunque. E questo ci dimostrano già i fatti.

Anche colui che veste di bianco, che il 2 maggio 2020 ebbe a dire: “Nella mia terra c’è un detto che dice: ‘Quando tu vai a cavallo e devi attraversare un fiume, per favore, non cambiare cavallo in mezzo al fiume'”, comunque, sei giorni dopo ha “cacciato” l’Arcivescovo metropolita di Genova, che a 77 anni – mi risulta – gode di un eccellente stato di salute fisico e mentale. Mentre, invece, lascia altri al loro posto: il Decano della Rota romana che ha 78 anni, il Prefetto della Congregazione per il clero che è vicino agli 80, e altri esempi ci sono, di prelati saldamente in sella. Ovviamente, qui si tratta non solo di questioni anagrafiche…

Comunque, il punto fondamentale che pongo, posso formulare in modo semplice (più chiaro di così…): “Non voglio vivere schiavo, preferisco morire libero, come tante generazioni prima di noi”. Ognuno è libero di pensarlo come vuole, ma permetto a nessuno di togliermi le mie libertà, rispettando le libertà altrui.

[**] Coronavirus, le manovre per il governissimo. Giorgetti: «La bottiglia è nel mare». Dentro c’è l’esecutivo Draghi di unità nazionale
I contatti bipartisan per superare l’attuale esecutivo. Ci sono anche autorevoli esponenti della maggioranza pessimisti sulla tenuta di fronte al crash economico
di Francesco Verderami
Corriere.it, 8 maggio 2020

«La bottiglia è nel mare», dice Giorgetti. Dentro c’è un messaggio di cui tutti conoscono il contenuto. E per quanto il mare della politica sia in tempesta, la bottiglia resta a galla in attesa che «le cose maturino», che la corrente la spinga fino a riva. Allora si capirà che «non ci sono alternative» a un governo di unità nazionale con Draghi premier. Il vicesegretario della Lega non è il solo a pensarlo, ma comprende che oggi i più importanti esponenti della maggioranza non possano condividere pubblicamente i suoi convincimenti, sebbene anche loro siano consapevoli che l’attuale governo ha ben poche chance di reggere il crash-test economico al quale il Paese deve prepararsi. E per quanto smentiscano subordinate all’attuale esecutivo, sostenendo che dopo c’è solo il voto, i colloqui bipartisan su come affrontare l’imminente emergenza sono il segreto di Pulcinella del Palazzo.
In questa fase sospesa, ognuno continua legittimamente a coltivare le proprie aspirazioni: da Zingaretti che immagina di vincere le elezioni con il Pd primo partito e Conte che assorbe il Movimento, fino a Berlusconi che accarezza il sogno del Colle mentre si lamenta perché «la crisi ha dimezzato la pubblicità sulle reti Mediaset». L’idea però che tutto sia cambiato, emerge anche negli ultimi giochi concessi al tatticismo. L’altro giorno Renzi, per esempio, proprio mentre incassava il riconoscimento politico dal premier, in attesa di incassare anche sulle nomine, al telefono con esponenti grillini e democratici chiedeva: «Pensate davvero di andare avanti con questo governo, sapendo che in autunno sareste costretti a rincorrere le aste dei Bot andate male?». Si è sentito rispondere che «non ci sono le condizioni oggi». Valeva più di un’ammissione.
«La bottiglia è nel mare», sospinta dalla corrente che pure Conte prova a contrastare. Ma la sua speranza che l’Europa disponga «subito» un trilione di euro per il Recovery fund, si infrange sugli scogli di Bruxelles e in quel «spero molto presto» che Gentiloni è costretto a pronunciare. È tale la dimensione dei problemi, che in fondo il problema non è il premier, per quanto Giorgetti si conceda una battuta sull’«azzeccacarbugli che si è ingarbugliato». Il punto è che la pandemia ha sorpreso l’Italia mentre non aveva recuperato ancora il Pil perso durante la crisi del 2008: unico Paese tra i Grandi in questa condizione. Perciò non deve sorprendere se l’analisi di Franceschini, che teme la «vampata assistenzialista», coincide con quella di Giorgetti: «Il metadone somministrato all’economia assistita, può rivelarsi mortale». Fonti autorevoli raccontano che Draghi sia stato contattato da rappresentanti di vari partiti. Tutti sanno che l’ex presidente della Bce non si farebbe trascinare nelle manovre di Palazzo, e tutti si sono ripromessi di richiamarlo quando dal Palazzo arriverà una richiesta collettiva, unita alla garanzia che nessuna forza pretenderà di staccare dividendi nel giro di pochi mesi: la necessità di rimettere mano al sistema, a partire da una radicale revisione della spesa pubblica, non si concilierebbe con manovre di piccolo cabotaggio in Parlamento.
Se il messaggio della «bottiglia» venisse accettato, non nascerebbe un gabinetto tecnico ma un governo con «la forza della politica» che si spenderebbe a favore di un disegno ricostituente. L’interrogativo è se la politica sia in grado di fornire queste assicurazioni. «Non è facile, non sarà facile», riconosce Giorgetti: «Ogni partito avrà i suoi problemi da risolvere». E certo ci saranno resistenze. Ma come spiega uno dei maggiori dirigenti del Pd, «quando la crisi impatterà sul Paese, leadership deboli e incapaci di guidare il processo, saranno messe alle strette da un passaggio che si preannuncia traumatico. E si rivolgeranno a Draghi. Allora si capirà che gli avvertimenti del Quirinale contro una crisi di governo al buio, erano un modo per spiegare al Parlamento che in questa fase emergenziale può muoversi solo usando la sfiducia costruttiva». L’emergenza è iniziata e i cittadini non fanno più distinzioni. Se n’è accorto un esponente della Lega, chiamato da un imprenditore che gli chiedeva di «fare presto» con i decreti. «Ma noi siamo all’opposizione». E l’altro, gridando: «Non me ne frega un c… Sbrigatevi».

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