Messa con il rito antico, 13 anni dopo Summorum Pontificum

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“Tredici anni dopo la pubblicazione del Motu Proprio ‘Summorum Pontificum’”, con cui Papa Benedetto XVI ha liberalizzato l’uso della Messale di San Pio V, “Papa Francesco desidera essere informato sull’attuale applicazione del documento”: è quanto scrive, in una lettera ai presidenti delle Conferenze Episcopali del mondo, il card. Luís F. Ladaria, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. La missiva, datata lo scorso 7 marzo, dà quindi l’avvio a una consultazione che coinvolgerà i vescovi di tutte le diocesi, chiamati a rispondere a un breve questionario di nove domande; il termine ultimo per l’invio dei risultati dell’inchiesta all’ex Sant’Uffizio è il 31 luglio 2020. 

Come ricorda Ladaria nella lettera, alla Congregazione per la Dottrina della Fede “sono stateaffidate le competenze di quella che fu la Pontificia Commissione ‘Ecclesia Dei’”, tramite il Motu Proprio di Bergoglio del 17 gennaio 2019.

Nel questionario viene domandato qual è la situazione all’interno delle diocesi riguardo la forma straordinaria del rito romano, se da essa la forma ordinaria abbia adottato degli elementi, se l’eventuale sua celebrazione sia dovuta a una necessità pastorale reale o promossa dall’iniziativa di un solo sacerdote. 

Ancora, viene chiesto se il “Summorum Pontificum” abbia influenzato la vita dei seminari e di altri istituti di formazione, se le norme e condizioni fissate dal Motu Proprio vengono rispettate e se oltre alla Messa anche le altre celebrazioni, come battesimi, matrimoni, ordinazioni, il Triduo Pasquale e i riti funebri, vengono svolte seguendo i libri liturgici anteriori al Concilio Vaticano II. 

Infine si chiede al vescovo se personalmente usa il Messale di San Giovanni XXIII, se per lui esistono aspetti positivi o negativi nell’uso della forma straordinaria e di esprimere un giudizio conclusivo su questa a tredici anni dalla promulgazione del documento.

Benedetto XVI ha emanato la Lettera Apostolica in forma di Motu Proprio il 7 luglio 2007, facendolo entrare in vigore il 14 settembre successivo. “Il Messale Romano promulgato da Paolo VI – scrive il Papa emerito – è la espressione ordinaria della ‘lex orandi’ (‘legge della preghiera’) della Chiesa cattolica di rito latino”. Ma il Messale promulgato da Pio V e aggiornato da Giovanni XXIII nel 1962, mai stato abrogato, “deve venir considerato come espressione straordinaria della stessa ‘lex orandi’ e deve essere tenuto nel debito onore per il suo uso venerabile e antico”. Per Papa Ratzinger queste due espressioni “non porteranno in alcun modo a una divisione nella ‘lex credendi’ (‘legge della fede’) della Chiesa”: sono “due usi dell’unico rito romano”. 

Nella lettera indirizzata ai vescovi per spiegare le ragioni del “Summorum Pontificum”, Benedetto afferma che “non c’è nessuna contraddizione tra l’una e l’altra edizione del ‘Missale Romanum’. Nella storia della Liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna rottura”. “Ciò che per le generazioni anteriori era sacro – continua Ratzinger -, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso. Ci fa bene a tutti conservare le ricchezze che sono cresciute nella fede e nella preghiera della Chiesa, e di dar loro il giusto posto”. 

Benedetto XVI ricorda però che “per vivere la piena comunione anche i sacerdoti delle Comunità aderenti all’uso antico non possono, in linea di principio, escludere la celebrazione secondo i libri nuovi. Non sarebbe infatti coerente con il riconoscimento del valore e della santità del nuovo rito l’esclusione totale dello stesso”.

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