Ci dovevamo fermare…
Winter was coming…
so we said.
And winter came…
and here it is.
Summer will come…
so we hope.
If we realize in time…
that to stop we have .
To stay Homo sapiens sapiens…
and to stay alive.
We have to love…
and accept to be lovee.
L’ho scritto il 1̊ febbraio 2020, quando non avevamo non ancora molto chiaro cosa significasse la pandemia Coronavirus/Sars-CoV-2/Covid 19, a cui si pensava ancora come una semplice influenza, soltanto “un po’ più brutta”. E invece, abbiamo capito che è una cosa proprio cattiva. Parlavo della parola del giorno “strapiombo”: “Homo sapiens sapiens, tornando cavernicolo, sta mandando questo mondo a picco“.
Ma la Madama, tenutaria della BCE e la sua Clientela dell’UE, a Strasbourg e e Brussel, l’avranno capito, che il virus, oltre ad essere uguale per tutti proprio cattivo, non ha religione o partito politico o sistema economico alcuno?
La speranza per la specie chiamata ”uomo sapiente che è sapiente” è espresso nella poesia di Mariangela Gualtieri, che segue e che accompagno con una foto nostra, di me e mio amore Valentina, pensando – con nostalgia a quello che fu – con speranza alle tante estate, che il Signore ancora vorrà donarci…
Questo ti voglio dire
ci dovevamo fermare.
Lo sapevamo.
Lo sentivamo tutti
ch’era troppo furioso
il nostro fare.
Stare dentro le cose.
Tutti fuori di noi.
Agitare ogni ora – farla fruttare.
Ci dovevamo fermare
e non ci riuscivamo.
Andava fatto insieme.
Rallentare la corsa.
Ma non ci riuscivamo.
Non c’era sforzo umano
che ci potesse bloccare.
E poiché questo
era desiderio tacito comune
come un inconscio volere –
forse la specie nostra ha ubbidito
slacciato le catene che tengono blindato
il nostro seme.
Aperto le fessure più segrete
e fatto entrare.
Forse per questo dopo c’è stato un salto
di specie – dal pipistrello a noi.
Qualcosa in noi ha voluto spalancare.
Forse, non so.
Adesso siamo a casa.
È portentoso quello che succede.
E c’è dell’oro, credo, in questo tempo strano.
Forse ci sono doni.
Pepite d’oro per noi.
Se ci aiutiamo.
C’è un molto forte richiamo
della specie ora e come specie adesso
deve pensarsi ognuno.
Un comune destino
ci tiene qui.
Lo sapevamo.
Ma non troppo bene.
O tutti quanti o nessuno.
È potente la terra.
Viva per davvero.
Io la sento pensante d’un pensiero
che noi non conosciamo.
E quello che succede?
Consideriamo se non sia lei che muove.
Se la legge che tiene ben guidato
l’universo intero, se quanto accade mi chiedo
non sia piena espressione di quella legge
che governa anche noi – proprio come
ogni stella – ogni particella di cosmo.
Se la materia oscura fosse questo
tenersi insieme di tutto in un ardore
di vita, con la spazzina morte che viene
a equilibrare ogni specie.
Tenerla dentro la misura sua, al posto suo, guidata.
Non siamo noi che abbiamo fatto il cielo.
Una voce imponente, senza parola
ci dice ora di stare a casa, come bambini
che l’hanno fatta grossa, senza sapere cosa,
e non avranno baci, non saranno abbracciati.
Ognuno dentro una frenata
che ci riporta indietro, forse nelle lentezze
delle antiche antenate, delle madri.
Guardare di più il cielo,
tingere d’ocra un morto.
Fare per la prima volta il pane.
Guardare bene una faccia.
Cantare piano piano
perché un bambino dorma.
Per la prima volta stringere
con la mano un’altra mano
sentire forte l’intesa.
Che siamo insieme.
Un organismo solo.
Tutta la specie la portiamo in noi.
Dentro noi la salviamo.
A quella stretta
di un palmo col palmo di qualcuno
a quel semplice atto che ci è interdetto ora –
noi torneremo con una comprensione dilatata.
Saremo qui, più attenti credo.
Più delicata
la nostra mano starà dentro
il fare della vita.
Adesso lo sappiamo quanto è triste
stare lontani un metro.