Siamo come un greggio di anime del limbo e cresce nel branco l’urlo minaccioso del va’ al limbo

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Non è un lapsus, sì, greggio, non gregge. Da “gregius”, in origine riferito alla lana come è tosata dal gregge, ancora sudicia, non lavorato, non raffinato, non purificato, rozzo, non condotto a perfezione, che ha bisogno di elaborazione, come persone ancora rozze e ignoranti affidate a un maestro perché le educhi.

In questi giorni dominati da variati psicosi, a cui si è aggiunta la follia del homo homini lupis a causa del Coronavirus – di cui abbiamo parlato già più volte, ancora questa notte (“Bigottismo” e “ipocrisia” in tempi di Coronavirus. Homo homini lupus, in una settimana) – viviamo con la sensazione di “essere come delle anime del limbo”, mentre nel contempo cresce nel branco in modo ossessivo-compulsivo l’urlo del “va’ al limbo”. Concordo con Marco Brusati che come sempre, soprattutto adesso, va tenuta alta la bandiera della verità.

Quindi, la parola del giorno per oggi è il sostantivo maschile “limbo” dal latino “limbus” (lembo, margine, orlo, limite), di origine sconosciuta.

Anticamente, lembo, orlo, bordo; in particolare la parte estrema del contorno di un astro; il bordo del cerchio graduato di uno strumento, e simili.

In anatomia, con il termine “limbo” è indicato il margine, l’orlo di una formazione anatomica: limbo sclero-corneale, la parte periferica della cornea, dove questa viene a contatto e si continua con la sclera.

Nel linguaggio comune, il lemma “limbo” è usato in senso figurato per indicare uno stato o una condizione non ben definita, di incertezza. Con l’espressione “essere come un’anima del limbo” si esprime di essere in uno stato di ansia, d’inquietudine, stare in pena, non aver pace. L’espressione “va’ al limbo!” è un modo attenuato per “mandare al diavolo” qualcuno, per dirgli cioè di levarsi dai piedi.

In ambito teologico, il titolo della Sura II il “Limbo” in arabo è “Al’a-Râf”, che l’esegeta Al Tabari intende che sia “la muraglia che divide l’Inferno dal Paradiso”.
Nella concezione teologica cattolica, si pensava che il “Limbo” fosse il luogo e la condizione temporanea delle anime appartenute a persone buone morte prima della resurrezione di Gesù (Limbo dei Padri o Sheol) e quello permanente in cui si trovano dopo la vita le anime dei bambini morti ancora non battezzati, che non hanno commesso dunque alcun peccato personale, ma non sono stati liberati dal peccato originale attraverso il battesimo (Limbo dei Bambini).

Il modo in cui usiamo questa parola è influenzato in maniera determinante dal “Limbo” raccontato da Dante Alighieri nel Canto IV dell’Inferno nella Divina Commedia, come del resto vale, in genere, per il nostro modo di immaginare i luoghi oltremondani della religione cattolica. Non ha inventato Dante il “Limbo”, ma è la sua versione, sono le sue parole a dar forma al nostro concetto. Il “Limbo” è il I cerchio dell’Inferno, complanare all’Antinferno, separati dall’Acheronte. Un bordo, al di là del fiume Acheronte ma al di qua dei gironi di dannazione veri e propri, in cui si assiepano le anime dei morti che non peccarono, e che pure sono condannate ad essere escluse dalla grazia di Dio perché non battezzate, dai bambini in fasce ai grandi dell’antichità.
Oltre agli infanti morti senza battesimo, il poeta vi colloca le anime di quanti non furono cristiani, ma vissero da uomini giusti e perciò non meritarono l’Inferno vero e proprio. Un posto particolare tra questi è riservato ai grandi personaggi della storia, soprattutto antichi greci e romani (tra i più importanti Aristotele, Omero e Cesare), ma anche musulmani come il Saladino, Avicenna e Averroè: questi vivono in un castello illuminato da una luce soprannaturale (il solo luogo illuminato di tutto l’Inferno, altrimenti immerso nell’oscurità), in una condizione malinconica ma serena, che molto deve alla suggestione dei Campi Elisi descritti nel sesto libro dell’Eneide. Di questi grandi personaggi fa parte anche Virgilio, che ha momentaneamente lasciato il suo posto tra di essi per guidare Dante nel suo viaggio. Nel Limbo dantesco non sono invece presenti le seguenti categorie di anime, trasferite dal Limbo al Paradiso al momento della Resurrezione del Cristo (Paradiso, canto XXXII): tutti i bambini nati prima di Abramo (Empireo, zona bassa della Rosa dei Beati); tutti i bambini circoncisi dopo Abramo (istruito per primo in questa pratica da Dio) e prima di Cristo, perché la circoncisione si può configurare come una sorta di Battesimo (Empireo, zona bassa della Rosa dei Beati); gli adulti circoncisi che hanno bene operato (Patriarchi e non) da Abramo a Cristo (Empireo metà superiore sinistra della Rosa, sotto Maria) perché la circoncisione si può configurare come un atto di fede nel “Cristo venturo” che dà gli stessi diritti della fede nel “Cristo venuto” (per questi ultimi, metà superiore destra della Rosa). I non-circoncisi sono all’Inferno, tranne le anime elette qui sopra.
Dante sente il termine “Limbo” non come nome tecnico, ma nel suo significato di “orlo”. Il I Cerchio dell’Inferno, detto Limbo da “lembo”, ovvero orlo estremo della voragine infernale: “Però che gente di molto valore | Conobbi che ’n quel limbo eran sospesi (Inferno IV, 44-45). “Sospeso” è un aggettivo ricorrente per le anime del Limbo nella Divina Commedia, ed è determinante nel nostro modo di figurarlo.

“La notte che morì Pier Soderini, L’anima andò de l’inferno a la bocca; Gridò Pluton: – Ch’inferno? anima sciocca, Va su nel limbo fra gli altri bambini” (Epigramma di Machiavelli).

Giobbe (3,9-12;16-20) menziona un luogo nel quale i bambini mai nati vivono in pace, e che ospita anche schiavi, prigionieri, vittime dei malvagi sfiniti di forze.

Anche i Vangeli ne parlano: “Se uno non sarà rinato nell’acqua e nello Spirito Santo, non potrà entrare nel Regno di Dio” (Gv 3,5);“Chi crederà e si battezzerà sarà salvo” (Mc 16,16).

Sant’Agostino affermava che i bambini non ancora battezzati fossero destinati alle fiamme dell’inferno anche se “fiamme mitissime”, in polemica con l’eretico Pelagio che invece pensava fossero destinati alla vita eterna.

Il teologo Pietro Lombardo strutturò più compiutamente l’ipotesi del “Limbo” del XII secolo. E se forse non a lui, ma almeno ai suoi commentatori (fra cui San Tommaso d’Aquino) che si deve la scelta dell’immagine del lembo, del nome del “Limbo”. E Dante mette Pietro Lombardo con Tommaso D’Aquino in Paradiso, nel cielo del Sole.

Per San Tommaso d’Aquino il “Limbo dei patriarchi” (detto talvolta anche “Il seno di Abramo”, in quanto è il luogo dove i Patriarchi riposavano, assieme ad Abramo il primo Patriarca, in attesa della venuta di Cristo) è un luogo di transito per le anime dei giusti morti prima della venuta di Cristo, e quindi macchiati ancora dal peccato originale. Non vi è visione di Dio ma neppure la pena del senso (come nell’inferno). Il limbo dei santi Padri differisce dal Purgatorio perché nel Purgatorio manca la visione di Dio (la pena del danno), e c’è anche la pena del senso. Nel limbo dei santi Padri si godeva invece della conoscenza naturale di Dio. San Tommaso dice che in questo limbo vi era una grande gioia a motivo della gloria che i giusti speravano. Quindi, il Limbo dovrebbe essere uno stato di felicità naturale, a differenza del Paradiso in cui vi è una felicità soprannaturale. In esso non vi sarebbe quindi nessuna sofferenza o pena.

Nel Catechismo maggiore di San Pio X si legge: “I bambini morti senza Battesimo vanno al Limbo, dove non è premio soprannaturale né pena; perché, avendo il peccato originale, e quello solo, non meritano il Paradiso, ma neppure l’Inferno e il Purgatorio”.

La dottrina del “Limbo dei bambini” – secondo la quale le anime dei giusti e dei buoni non-cristiani (quindi, non-battezzati) morti col debito del solo peccato originale, in Grazia di Dio sufficiente da non dannarsi, ma senza la condizione necessaria per andare in Paradiso (in tal caso era detto, più genericamente, “Limbo dei Giusti”), non sembrano meritarsi l’Inferno e che non possono però seguire il cammino divino verso il Paradiso, è “in limbo” – è stato a lungo una conclusione teologica, ma mai stato un dogma.

I giansenisti insegnarono come certa l’inesistenza del “Limbo dei bambini”, ma furono condannati da Papa Pio VI, che però non dichiarò come certa la sua esistenza. Quindi, sebbene il “limbo” sia popolarmente concepito come un “luogo dove vanno le anime”, la parola descriveva e rifletteva una situazione di incertezza teologica. Comunque, è importante notare come nei documenti magisteriali della Chiesa (Concili e Catechismo) non era mai stato dichiarato che il Limbo sia eterno, diversamente dall’Inferno (dei dannati) e dal Paradiso che, al contrario, sono stati dichiarati eterni in modo esplicito.

Nel Catechismo della Chiesa Cattolica è insegnato che, quanto ai bambini morti senza Battesimo, la Chiesa non può che affidarli alla misericordia di Dio, come appunto fa nel rito specifico dei funerali per loro.

La mistica e veggente beata Caterina Emmerich ha asserito che, mentre il Limbo dei Padri è terminato con la Risurrezione di Cristo, il Limbo dei Giusti contiene tutti i bambini morti senza battesimo e i giusti di altre religioni, in attesa che, con il Giudizio Universale, ascendano anch’essi al Paradiso.

Il Cardinale Joseph Ratzinger, nel libro Rapporto sulla fede scritto nel 1984 con Vittorio Messori, affermava che “il limbo non è mai stato una verità definita di fede. Personalmente lascerei cadere quella che è sempre stata soltanto un’ipotesi teologica”.

Il teologo della Casa Pontificia, Padre Raniero Cantalamessa, OFM Cap, nel 2001 ha scritto: “Dimentichiamo l’idea del limbo, come il mondo dell’irrealizzato per sempre, senza gioia e senza pena, dove finirebbero i bambini non battezzati, insieme con i giusti morti prima di Cristo. Questa dottrina, che pure è stata comune per secoli, e che Dante ha accolto nella Divina Commedia, non è stata mai ufficializzata e definita dalla Chiesa. Era una ipotesi teologica provvisoria, in attesa di una soluzione più soddisfacente e, come tale, superabile grazie a una migliore comprensione della parola di Dio. Il bambino non nato e non battezzato si salva e va a unirsi subito alla schiera dei beati in paradiso. La sua sorte non è diversa da quella dei Santi Innocenti che festeggiamo subito dopo Natale. Il motivo di ciò è che Dio è amore e “vuole che tutti siano salvi”, e Cristo è morto anche per loro!”.

Infine, nel 2007 la Commissione teologica internazionale ha pubblicato il documento “La speranza di salvezza per i bimbi che muoiono senza essere battezzati”, con cui fu dichiarato ufficialmente l’inesistenza del Limbo, cozzante con i principi della religione cattolica, non avendo colpa l’individuo del suo “non-Battesimo”, soprattutto nei casi di bambini abortiti o comunque morti prima del Battesimo. Il testo era in discussione presso la Commissione teologica internazionale dal 2004, quando questa era presieduta dal Cardinale Joseph Ratzinger ed era stato sottoposto il 19 gennaio 2007 dal Cardinale William Levada a Papa Benedetto XVI, che l’ha approvato e ne ha autorizzato la pubblicazione, avvenuta il 19 aprile 2007. L’argomenti principale del testo di 41 pagine è che la misericordia di Dio “vuole che tutti gli esseri umani siano salvati”, la Grazia ha priorità sul peccato, e l’esclusione di bambini innocenti dal Paradiso non sembra riflettere lo speciale amore di Cristo per “i più piccoli”. La Chiesa, spiega il documento, ha continuato a parlare del Limbo perché, a causa del peccato originale, il Battesimo è la via ordinaria per la salvezza e per questo si chiede ai genitori a battezzare i figli. Ma, riflettendo sulla misericordia di Dio, “la nostra conclusione – scrivono i teologi, con l’approvazione di Papa Benedetto XVI – è che i molti fattori che abbiamo considerato (…) danno serie basi teologiche e liturgiche alla speranza che i bambini morti senza Battesimo siano salvi e godano della visione beatifica”.

Quindi, come tale, il “Limbo dei Bambini” (o “dei Giusti”), anche se è mai stato un dogma, non fa più parte della dottrina cattolica (al contrario del “Purgatorio”, che ne fa ancora parte, insieme al “Inferno” e il “Paradiso”).

Foto in evidenza: Andrea Mantegna, “La discesa di Cristo nel Limbo”. La prima versione fu dipinto per il Marchese Lodovico Gonzaga nel giugno 1468. La versione più piccolo (28,8×42,3 cm), probabilmente eseguito per Ferdinando Carlo, l’ultima Duca di Mantua, intorno al 1470-75, in prestito al Frick Museum di New York dalla Barbara Piasecka Johnson Collection.
«Le frequenti affermazioni del Nuovo Testamento secondo le quali Gesù “è risuscitato dai morti” (1Cor 15,20; cfr. At 3,15; Rm 8,11) presuppongono che, preliminarmente alla risurrezione, egli abbia dimorato nel soggiorno dei morti (cfr. Eb 13,20). È il senso primo che la predicazione apostolica ha dato alla discesa di Gesù agli inferi: Gesù ha conosciuto la morte come tutti gli uomini e li ha raggiunti con la sua anima nella dimora dei morti. Ma egli vi è disceso come Salvatore, proclamando la Buona Novella agli spiriti che vi si trovavano prigionieri (cfr. 1Pt 3,18-19)» (Catechismo della Chiesa cattolica, 632). La discesa di Gesù agli Inferi è un articolo della fede cattolica, affermato nel Simbolo Apostolico: Gesù «patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto; discese agli inferi; il terzo giorno risuscitò da morte». L’espressione indica la solidarietà profonda con cui Cristo volle unirsi, attraverso il sacrificio della croce, al destino di morte comune a tutti gli uomini e l’estensione dell’opera della salvezza a tutte le generazioni passate e future.
Gli inferi non sono l’Inferno, che è la condizione definitiva del peccatore, segnata dalla sofferenza, ma indicano quello che l’Antico Testamento palesa come il soggiorno dei morti, in ebraico sheol, in greco hádes (cfr. At 2,31).

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